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A Roma oggi se dice così. Dizionario e modi di dire del nuovo romanesco
A Roma oggi se dice così. Dizionario e modi di dire del nuovo romanesco
A Roma oggi se dice così. Dizionario e modi di dire del nuovo romanesco
E-book190 pagine2 ore

A Roma oggi se dice così. Dizionario e modi di dire del nuovo romanesco

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Info su questo ebook

Da “Ahò” a “bella pe’ te”, da “sto a rota” a “zagajà” ecco a voi il libro per scoprire, attraverso la sua lingua, qualcosa in più sulla Città Eterna

Il romanesco è una “lingua” in evoluzione, non un dialetto “in via d’estinzione” come lamentano i più pessimisti. Ci sono parole e modi di dire che ancora conserviamo dai tempi di Nerone, accanto ad altri che prendono in prestito lo slang della più moderna tecnologia, sconosciuti ai romani di qualche decennio fa. Il tutto si amalgama in un mix linguistico di straordinaria concretezza, che rispecchia il carattere dei romani, sbruffoni e bonaccioni, dissacranti e ironici, mai contenti. Questo dizionario non è un manuale linguistico, ma un modo diverso e divertente di raccontare Roma, i suoi abitanti, il loro modo di fare e di comunicare nella vita di tutti i giorni. Ogni parola è “tradotta” in italiano e poi commentata con aneddoti e piccole storie tratte dal mondo di oggi o dai ricordi di un passato che rivive nei racconti dei più anziani. Nel frasario finale, si illustrano le espressioni, insulti feroci o semplici sfottò, che risuonano nei vicoli e nelle strade congestionate della città. Insomma, si spazia dai sonetti del Belli alle battute dei personaggi dei film di Sordi e Verdone, dai versi di Califano alle dichiarazioni d’amore di Venditti, fino al “neo-romanesco” contemporaneo di Johnny Palomba e Diego Bianchi, in arte Zoro.

A roma oggi se dice così:

Appiccicà - Cojonà - Inquartasse - Intuzzà - Monticiano - Piotta - Svortà - Stacce - Fattela pijà bene - Sto a schiumà - Vai cercanno Maria pe’ Roma - A chi tocca nun se ‘ngrugna - Magnatela ‘na cosetta
Patrizio Cacciari
è nato a Roma nel 1977, laureato nel 2004 in Teorie e Pratiche dell’Antropologia, è giornalista professionista dal 2007. Tra le sue passioni lo sport, la storia e la natura. Con la Newton Compton ha pubblicato diversi libri sul calcio e sulla città di Roma tra cui 101 storie su Roma che non ti hanno mai raccontato e 101 misteri di Roma che non saranno mai risolti.
LinguaItaliano
Data di uscita26 ott 2016
ISBN9788854199248
A Roma oggi se dice così. Dizionario e modi di dire del nuovo romanesco

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    Anteprima del libro

    A Roma oggi se dice così. Dizionario e modi di dire del nuovo romanesco - Patrizio Cacciari

    375

    Immagini: © Shutterstock

    Prima edizione ebook: novembre 2016

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-9924-8

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Realizzazione: Simona Merlini

    Illustrazione: © Fabio Piacentini

    Patrizio Cacciari

    A Roma oggi se dice così

    Dizionario e modi di dire del nuovo romanesco

    Introduzione

    A Roma ci sono i sette colli, i monumenti e le strade piene di buche. Ci sono le chiese, i sampietrini e i gatti addormentati al sole.

    A Roma ci sono i nasoni, i tassinari e i centurioni che si fanno le foto con i turisti. Ci sono le piazze, i giovani e gli anziani che osservano i cantieri stradali senza fine.

    A Roma ci sono i bambini, le suore e le foglie che cadono dagli alberi del Lungotevere. Ci sono i vigili, i lavavetri e i tramonti del Gianicolo.

    A Roma ci sono i romani e i loro modi di dire, le frasi inventate, gli abbracci, i sorrisi, le pernacchie. C’è un modo di fare, di intendere e di cavarsela.

    A Roma si parla romano e romanesco, che un po’ coincidono e un po’ no.

    A Roma se dice così.

    In questo libro, dolce-amaro, si raccontano storielle di amore, di lavoro, di cibo, di famiglia e di amicizia.

    Si raccontano la Città eterna e i suoi abitanti attraverso il loro bizzarro modo di relazionarsi con il prossimo.

    A Roma se dice così nasce dall’affetto e dalla passione che nutro per Roma e per i romani, mai felici fino in fondo, spensierati e pessimisti, sbruffoni e bonaccioni.

    Tra queste pagine potrete trovare molto del mio vissuto, delle mie esperienze personali e della mia famiglia, che non ringrazierò mai abbastanza per avermi trasmesso princìpi sani e insegnato valori come la solidarietà e l’amicizia.

    Questo lavoro non è un manuale di linguistica o di glottologia né ha mai avuto la pretesa di esserlo. A Roma se dice così nasce dall’idea di raccontare in maniera differente le sfaccettature e i piccoli gesti quotidiani. Saper dissacrare e rendere divertenti anche le situazioni più complicate è una grande dote del popolo romano.

    Scrivere è stato un modo per ringraziarlo di tutte le risate che mi sono fatto grazie al romanesco e alle sue applicazioni nella vita di tutti i giorni.

    I personaggi dei film di Carlo Verdone, le battute dissacranti di Alberto Sordi, i versi di Franco Califano, le dichiarazioni d’amore di Antonello Venditti. E poi ancora, i cabarettisti romani di successo di fine anni Novanta, i nuovi personaggi del neo-romanesco (perdonatemi il termine) come Johnny Palomba o il linguaggio televisivo di Diego Bianchi, in arte Zoro, fino alla diffusione e alla condivisione di sketch e battute sui social network. Pagine come Roma Sparita su Facebook o hashtag di tendenza come #frasideroma, che per tre giorni hanno imperversato su Twitter. Eccolo il patrimonio linguistico contemporaneo che, insieme al vissuto di tutti i giorni, ha fatto da serbatoio per questo libro. Daje! Se ci pensate, con questo slogan un sindaco di Roma ci vinse le elezioni.

    Ma che stai a dì?

    Dizionario del nuovo romanesco
    boccaverita_1.psd

    A

    Abbacchià, abbacchiasse Starsene abbacchiati, ovvero avviliti, spenti, senza entusiasmo. Che t’è successo? Te vedo abbacchiato. Quando un amico ti definisce abbacchiato significa che proprio non sei riuscito a nascondere la stanchezza, oppure a tradirti sono state le occhiaie. Eppure lo sapevi che dovevi andare a letto prima. Essere abbacchiati può dipendere dal poco riposo oppure da un pensiero. E allora quello stesso amico che ha notato il tuo abbacchiamento, potrà anche essere il conforto che stavi cercando. Dipende da te, voi stattene abbacchiato tutto il pomeriggio? Ne hai il diritto, se invece te voi ripijà, fai un bel respiro profondo e riparti.

    Abbèllo Il saluto per eccellenza, traducibile con Ciao bello, utilizzato la maggior parte delle volte dopo un incontro fortuito tra due conoscenti, ma non solo. A fare la differenza è il prolungamento delle vocali e la posizione della mano accanto alla bocca con cui si accompagna l’esclamazione. Abbèllo può chiaramente interpretare diversi significati. Esempi di utilizzo: situazione standard. Due conoscenti si incontrano in un bar, il primo prende la parola salutando l’altro con un bel sorriso stampato: Abbèllo. Mani dei due conoscenti che si incrociano con una stretta virile. Situazione di autodifesa: due colleghi in ufficio fanno finta di trovare un accordo per un cambio turno. Uno propone all’altro un qualcosa di inaccettabile per il prossimo fine settimana. La risposta è un Abbèlloooo con finale prolungato e mano accanto alla bocca ad accompagnare il rifiuto. Ovvero: Pensi di fregare proprio me?. Situazione imbarazzante: un tipo incrocia lo sguardo di un vecchio amico di cui non ricorda il nome. Quello lo saluta per primo riconoscendolo. Abbèllo, con pronuncia marcata sulla a, è la risposta giusta al momento giusto, quella che ti salva. Una bella pacca sulla spalla renderà il tutto ancor più naturale.

    Abbiocco Avete presente quella strana sensazione soporifera che si prova dopo un pranzo domenicale? Quel tepore che vi fa ciondolare sulla poltrona d’estate con il sottofondo delle cicale e le carezze del ponentino? Avete presente quel sentirsi sprofondare nel divano, avvolti dai cuscini, mentre il Gran Premio di Formula1 è al giro numero 49 oppure il gruppo della maglia rosa è ancora bello compatto quando mancano 137 km al traguardo? Signori, siete nel bel mezzo di un abbiocco di tutto rispetto. Nemmeno i più importanti studiosi conoscono la provenienza del verbo abbioccarsi, ma una traduzione fedele può essere abbandonarsi, accasciarsi, rilasciarsi. Ma che fine hai fatto, ti ho aspettato tutto il pomeriggio, Eh me devi scusà, so’ tornato a casa de corsa, mattinata infinita, ho mangiato al volo e poi me so’ abbioccato sul divano. Sai quanno te prenne?. Fernando Ravaro nel suo Dizionario romanesco ci fornisce un ulteriore elemento perché alla voce abbioccato dice: Sdraiato, rilassato, avvilito. Detto di bambino che si sdraia per eccesso di stanchezza o di sonno.

    Accannà Lasciare, smetterla. Di solito è utilizzato in diverse situazioni. La prima, forse la più comune, è quella durante una discussione tra amici o un rimprovero da una fidanzata o un genitore. Ahó, e accanna. Nel senso di Smettila, ho capito, non c’è bisogno che continui. L’altro utilizzo è relativo a una situazione legata a un luogo, magari quando uno dei due vuole andarsene e l’altro non ha intenzione di muoversi. T’accanno qui se nun te movi, è di solito la minaccia utilizzata dal proprietario della macchina per fare leva su chi non la pensa come lui. L’ultimo, la più drammatica, riguarda la sfera sentimentale: M’ha accannato la donna.

    Acchittàsse Sistemare, sistemarsi. È questo il verbo migliore per spiegare in lingua italiana il concetto tutto romano di acchittare/acchittarsi. Ci si acchitta un’uscita con gli amici, magari proprio la sera in cui vostra moglie aveva deciso di portarvi a teatro o a cena dai suoi, ci si acchitta un pokerino sempre tra amici in mezzo alla settimana durante le feste di Natale, ci si acchitta una bella cena solitaria con spaghetti e birra davanti alla tv quando gioca la tua squadra del cuore, ma non solo. Anche una donna può acchittarsi. E di solito lo fa per il proprio lui. Acchittarsi infatti può assumere il significato di Curare ogni particolare del proprio aspetto e del proprio abbigliamento in vista di un particolare appuntamento, festa o altro. Vi ricordate la scena di Un sacco bello in cui Ruggero, il figlio dei fiori interpretato da Carlo Verdone, torna a casa dal padre Mario Brega? La sua ragazza Fiorenza tira fuori dall’armadio una giacca e accostandosela davanti a uno specchio gli fa un complimento: «Ammazzate Ruggiè quant’eri fico tutto acchitto», facendo intendere di apprezzare l’idea di vederlo con il vestito buono, nonostante il loro stile di vita. Se una ragazza confida all’amica di essersi acchittata per vederlo, significa che lo ama, statene certi. E voi, se vedete che la vostra lei si è acchittata per voi, fatele capire che lo avete notato.

    Accollà, accollasse Me s’è accollata tutta la sera e nun so’ riuscito a annacce. È molto semplice spiegare il significato di questo verbo, così utilizzato dai romani. Quando una persona ti si accòlla significa che non ti lascia libero di concludere i tuoi impegni, che si frappone fra te e le tue commissioni, che diventa un ostacolo. Ma accollà può avere anche un altro tipo di significato. Accollasse i debiti, ovvero assumersi una responsabilità, degli oneri. Se una persona cui tenete è in difficoltà, sarete voi stessi i primi ad accollavve tutto. I romani, si sa, c’hanno er core grosso.

    Ahó Il richiamo per eccellenza del romano. Ahó. È molto divertente leggere la definizione che ne dà l’enciclopedia online della Treccani: Modo popolare (diffuso soprattutto nell’uso romanesco) di apostrofare qualcuno con stizza o risentimento: ahó, ma che vuoi?; ahó, non alzare tanto la voce!. È divertente nel senso che ahó è molto di più. Ahó è tutto: è un richiamo primordiale tra simili, è la maniera di richiamare l’attenzione, di salutare, di rispondere al telefono, di affacciarsi in una casa e verificare la presenza di qualcuno: Ahó, c’è nessuno?. Ahó? Me senti?, quante volte, da bravi romani, avete pronunciato questa frase al cellulare quando la copertura del segnale non era al massimo e magari vi siete accorti che stavate parlando da soli da cinque minuti. Ahó è un tratto tipico del romanesco, è il suono con cui i cittadini delle altre città caratterizzano i romani nelle loro maldestre imitazioni: Ahó, so’ de Roma. Ahó è anche il limite alla sopportazione, è il segnale che lanciate al prossimo quando avete finito la pazienza: Ahó, mo basta. Se è furbo (e romano), capirà che deve smetterla. Una delle migliori interpretazioni dell’ahó la dobbiamo a Tomas Milian e al suo storico personaggio Nico Giraldi, protagonista di numerosi film degli anni Settanta del Novecento. I suoi sketch con Bombolo, vittima delle prepotenze del commissario, oltre che da sonori schiaffoni erano spesso conditi da assordanti Ahó per richiamare l’attenzione di Bombolo stesso. Magistrale anche la performance del grande doppiatore Ferruccio Amendola, nato a Torino, ma romano d’adozione.

    Ajo La cucina romana è famosa per i suoi piatti poveri, fatti da ingredienti poveri. Tra questi c’è sicuramente l’aglio. In romanesco è scritto con la "j, che indica anche la difficoltà del romano nella pronuncia del gl. Avete mai sentito dire consolamose co’ l’ajetto"? Non è altro che il modo più amaro per constatare un insuccesso. Quando i risultati non sono quelli che ci si aspettava, ci si consola con l’ajetto, con un qualcosa di povero e misero. Ma il valore di un piatto di spaghetti ajo, ojo e peperoncino mangiato insieme a un amico vale più di mille parole.

    Ammazzà Letteralmente significa uccidere. È uno dei verbi più utilizzati dai romani che, frustrati dalla giornata, si sfogano con tutta la violenza verbale possibile. Vatte a ammazzà, è il suggerimento per il prepotente che non rispetta la fila, Va’ a morì ammazzato, l’incoraggiamento per il coattone che vi taglia la strada, Possin’ammazzatte, il rimbrotto affettuoso della zia al nipote burlone che le ha fatto prendere uno spavento. Ma ammazzà non si limita a essere utilizzato per inveire. Pronunciato secco con gli occhioni sbarrati è indice di stupore e meraviglia. Ammazza… è il complimento del fidanzato innamorato che resta senza parole di fronte alla bellezza della fidanzata appena salita in macchina e acchittata per l’occasione.

    Annà Semplicemente, andare. E qui si apre un mondo, perché quando qualcuno fa questa domanda a Roma, la prima risposta, quella che il romano ha sempre sulla punta della lingua, è la più irriverente e divertente. Quindi fate attenzione a chiedere ad alta voce ’Ndo dovemo annà?, perché già sapete cosa vi aspetta. E tra l’imbarazzo generale cercate di non arrossire troppo, anzi reagite con tranquillità e fate capire ai vostri amici che è ora di rientrare con un chiaro e sintetico: Ahó, stamo a annà?. Epica anche la disperazione di Carlo Verdone in Compagni di scuola (1991) quando nei panni del professor Piero Ruffolo confida agli ex compagni tutta la sua delusione per avere un figlio che quando gioca agli indiani fa dire al generale Custer: «Ahó, ve ne volete annà?».

    Antifona Da un punto di vista filologico l’antifona è un canto a due voci, nella liturgia è un versetto cantato prima o dopo una preghiera. Nel linguaggio di tutti i giorni ha assunto il significato di allusione, di avvertimento. Forse non hai capito l’antifona, ovvero, non hai ancora compreso che non sta andando come credi tu? Se ancora non ti ha richiamato dopo una settimana significa che non lo farà, se hanno chiamato il tizio che ha fatto il colloquio dopo di te significa che hanno scelto lui e forse è il caso di cercarsi un altro lavoro. Insomma, quando un amico vi dice che non avete capito l’antifona, significa che sta cercando di farvi aprire gli occhi. Ci viene ancora in supporto Fernando Ravaro con il suo Dizionario romanesco: Capire l’antifona, ovvero afferrare il senso nascosto di una frase e regolarsi di conseguenza.

    Anvedi Non è altro che una segnalazione di stupore. Tradotta in italiano starebbe per: perbacco, accidenti che roba! Insomma una meraviglia che all’improvviso vi colpisce: l’auto sportiva che il coatto del gruppo ha portato a far

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