Scritture aliene albo 2: A cura di Vito Introna
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Anteprima del libro
Scritture aliene albo 2 - Sandro Battisti
© EDS
Scritture Aliene albo n 2
- aUTORI vari ( Stefano roffo, luigi bonaro, giovanni agnoloni,
ugo spezza, tatiana martino, alessandro forlani, sandro battisti)
A CURA DI VITO INTRONA
- TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI
Il pettine di Elasto
Stefano Roffo
I raggi di sole della tarda primavera attraversavano la volta vetrata della Galleria Mazzini, disegnando arabeschi sulle lastre di pietra della pavimentazione, la cui nettezza era solo offuscata, qua e là, dalle orme fangose degli stivali dei cocchieri. Sotto lo sguardo indifferente dei grandi grifoni bronzei ai quattro lati della cupola, camminavo fianco a fianco con il mio amico e collega Elio Massallo, risalendo la lieve pendenza in direzione della collina dei Di Negro. In quella strada-salotto moderna e confortevole il rumore del via vai di carri e carrozze nella parallela via Roma arrivava attutito, poco più di un brusio.
– Per edificarla – disse Massallo agitando polemicamente il bastone dal pomo d’avorio, che sapevo avere un’anima di buon acciaio – si sono demolite la chiesa e il convento di San Sebastiano, il conservatorio di San Giuseppe e quanto restava del convento di San Domenico.
Lanciai un’occhiata al mio compagno; Massallo, una delle penne più acuminate del Caffaro, giornale al quale anch’io dedico il mio modesto contributo, è noto per il carattere impetuoso e per nulla conformista, non certo ostile al progresso. Forse la giornata trascorsa dietro la scrivania e non in giro a fiutar notizie
lo aveva esacerbato, l’immobilità forzata aveva acuito i dolori alla sua gamba. Massallo era solito sostenere che il fastidio della vecchia ferita non era però del tutto inutile, perché gli ricordava, soprattutto con il tempo umido, come talvolta il sostenere le proprie opinioni pretenda prove ben tangibili e come occorra, in tal caso, passare dalla penna al fioretto. Si tratta peraltro di strumenti nell’adoperare i quali il mio amico ha sempre dimostrato uguale impeto ed eleganza.
– Via, amico mio – dissi prendendolo sottobraccio – ci avviciniamo al volgere del secolo; possiamo ben rinunciare a qualche chiesa e qualche convento: il progresso, lo sai, pretende i suoi caduti!
Intanto eravamo arrivati in piazza Corvetto, dove le besagnine
, le venditrici di ortaggi, stavano smontando il mercato e riponendo la merce sui carretti, alle stanghe dei quali erano aggiogati, nel migliore dei casi, dei vecchi somari, nel peggiore il loro stesso marito o il più robusto dei figlioli. Vidi arrivare beccheggiando sulle grosse ruote l’omnibus per Albaro e saltai sul predellino, da dove feci un cerimonioso saluto al mio collega, cavandomi la bombetta, mentre lui rispondeva fingendo di tirarmi una fucilata con il bastone.
Il robusto tiro a quattro dell’omnibus portò me e una decina di altri signori e signore fino alla sommità della collina di Albaro. Scesi di fronte alla maestosa Villa Paradiso e mi avviai per la stradina sulla sinistra, che correva tra gli orti verso la casa dove ero nato. Di sicuro non era bella come Il Paradiso
, ma era pur sempre una villa elegante e ben costruita; la decisione di dedicarmi alle lettere anziché continuare l’accademia militare, come mio padre avrebbe voluto, aveva esasperato i rapporti con lui, tanto che un giorno, dopo l’ennesimo litigio, in preda all’ira avevo abbandonato la villa. Ora la abitava mia sorella Agnese fin dalla morte del nostro genitore, con la sola compagnia della servitù, visto che mio cognato era sempre in giro per il mondo a seguire i suoi affari.
Alla luce del sole calante, nel giardino di fronte all’ingresso, Agnese intratteneva tre ospiti. Erano seduti sotto il gazebo, attorno al grande tavolo rotondo in ferro battuto e sorseggiavano una bevanda verde che io, accaldato dalla salita, immaginai deliziosamente fresca. Li serviva una ragazzina di circa dodici anni che non avevo mai visto prima. La cosa non mi stupì: il matrimonio di mia sorella non era stato allietato da figli e lo spirito materno di Agnese si esprimeva spesso nell’accogliere in casa, per un tempo più o meno lungo, qualche giovane derelitta, col pretesto di aver bisogno di un aiuto per la cuoca. Questa ragazzina non sembrava una delle solite orfanelle smunte e un po’ goffe. Non era in costume da cameriera ma indossava un sobrio abito grigio con un piccolo grembiule bianco. Mi accomodai al tavolo e mentre porgeva anche a me un bicchiere piacevolmente freddo, pensai che i capelli biondi inanellati e gli occhioni stupiti la facevano somigliare a un’illustrazione di Sir Tenniel per Alice
.
I tre commensali, presentati da mia sorella come Il cavalier Luigi Rizzi e sua moglie, la mia cara amica Anna
e Augusto De Porti, poeta
erano rispettivamente una coppia di mezz’età dall’aria dignitosa e un po’ tronfia (soprattutto lui) e un giovanotto grassoccio che sfoggiava un improbabile panciotto turchese.
– Rimarrà dunque anche lei a darci man forte contro gli spiriti? – domandò Rizzi, posando il bicchiere vuoto sul vassoio. Cadeva infatti il primo mercoledì del mese ed era consuetudine di mia sorella che in tale giorno si tenesse una seduta spiritica, in realtà più un pretesto mondano che un esperimento. Eravamo già alla sesta seduta dell’anno e non si era ancora mosso alcun tavolo, né tantomeno un solo ectoplasma aveva deciso di abbandonare l’aldilà per godere della nostra compagnia. Ma l’occasione aveva permesso ad Agnese di ospitare gli spiriti più bizzarri della città e tra questi alcuni individui di ambo i sessi, dotati di carattere interessante e di mentalità aperta. Lei poi non era dovuta andare lontano per trovare una medium di prim’ordine: la sua balia, Luigia Carbone, che era stata anche la mia e che ancora viveva in casa, si era rivelata estremamente dotata nel delicato ruolo.
– Non perderei questi mercoledì per nulla al mondo – risposi sorridendo. Lanciai un’occhiata in tralice a mia sorella; contrariamente al solito, non sembrava che il cavaliere, la sua consorte o quello svenevole giovane fossero una compagnia particolarmente stimolante. Agnese, che aveva colto il mio pensiero, poggiò con affetto una mano guantata sulla mia.
– Sai Eugenio, – disse – attendiamo ancora un ospite, un personaggio veramente… notevole.
Si sentì il rumore di un carro e delle grida di incitamento, poi, come evocato dalle parole di Agnese, in una nube di polvere appena fuori dal giardino si fermò uno spider nero a cui era aggiogata una splendida cavalla color rame. L’uomo a cassetta saltò giù, i suoi stivali neri non avevano ancora toccato terra che già il suo vocione tuonava: – Amici miei! Scusate il ritardo, ma la scienza è tiranna… – Porse la redini all’anziano stalliere di casa e mentre si spolverava l’incredibile giacca a scacchi attraversò il cancello dirigendosi a grandi passi verso di noi: – Bene, bene, i fantasmi non avranno di che lamentarsi, vedo un bel numero di valenti indagatori dell’aldilà! – continuò a gran voce.
– Il mio caro fratello Eugenio De Lucchi, uomo di lettere, Il professor Edward Challen, da Londra, della Royal Society – ci presentò mia sorella.
Challen in effetti prometteva di risollevare il livello di interesse della serata: era un gigante barbuto e, a giudicare dalla stretta di mano, dotato di forza erculea. La polvere bianca del viottolo gli aveva lasciato una patina chiara sul faccione, arrossato dal sole e probabilmente dall’agitazione perenne che sembrava animarlo. Dopo aver salutato me, fece un inchino ai perplessi Rizzi e dette una delle sue poderose strette di mano al poeta, che sembrò reggere con stoicismo la prova; poi crollò su una sedia di ferro, facendola cigolare.
– Tecnica preventiva antispiriti! – Disse estraendo una grossa pipa dal taschino della giacca – Fumi disinfestanti… se le signore permettono.
– Il professore – disse Agnese sorridendo – è piuttosto scettico sulle possibilità di successo dei nostri esperimenti.
– Macché, macché, – bofonchiò Challen tra una boccata e l’altra – darei il braccio destro… beh, facciamo il mignolo della mano destra, per poter dare una pacca sulla spalla a questi vostri ectoplasmi, ma con buona pace dell’esimio collega Mendeleev di Pietroburgo, che peraltro ha inventato una cosuccia come la tavola periodica degli elementi, occuparsi di spiritismo mi pare una bella perdita di tempo: al termine dei suoi esperimenti anche Dimitri ha dovuto concludere che in queste cose c’è sempre sotto la credulità, quando non, ma non è evidentemente il nostro caso, – disse alzando le mani – una frode.
– Eppure – esordì inaspettatamente Rizzi – in questi ultimi anni si sono scoperte varie, insospettate forme di energia: Crookes ha scoperto i raggi catodici, Goldstein i raggi canale, Roentgen, non più di tre anni fa, i raggi X; perché dunque ritenere impossibile che energie ancora da scoprire possano generare fenomeni fisici durante le sedute medianiche?
Bene
pensai forse l’imbustato cavaliere può rivelarsi più interessante del previsto
.
Challen lanciò verso di lui una nube di fumo aromatico – Ah, la nostra gentile ospite non mi aveva detto che lei, cavaliere, è uomo di scienza.
– Per Giove, no – si schermì Rizzi – io sono solo un commerciante: importo strumenti ottici dall’Inghilterra, prevalentemente dalla sua città. Ma in qualche modo l’occuparmi di ottica ha suscitato in me un interesse per le scienze, maggiore, immagino, di quello che avrei sviluppato se commerciassi in cavalli o insaccati.
– Nel qual caso si sarebbe occupato di veterinaria o di gastronomia – disse