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Giallofestival 2019: I migliori racconti gialli
Giallofestival 2019: I migliori racconti gialli
Giallofestival 2019: I migliori racconti gialli
E-book547 pagine7 ore

Giallofestival 2019: I migliori racconti gialli

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Info su questo ebook

I racconti finalisti della prima edizione di Giallofestival.
50 racconti di altrettanti autori.
LinguaItaliano
Data di uscita22 mar 2020
ISBN9788868104092
Giallofestival 2019: I migliori racconti gialli

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    Anteprima del libro

    Giallofestival 2019 - AA.VV.

    AA.VV.

    GIALLOFESTIVAL 2019

    I racconti finalisti

    Prima Edizione Ebook 2020 © Damster Edizioni, Modena

    ISBN: 9788868104092

    Immagine di copertina su licenza

    Adobestock.com

    Damster Edizioni è un marchio editoriale

    Edizioni del Loggione S.r.l.

    Via Piave, 60 - 41121 Modena

    http://www.damster.it e-mail: damster@damster.it

    Negozio on line www.librisumisura.it

    GIALLOFESTIVAL 2019

    I migliori racconti

    INDICE

    DELITTO IMMAGINARIO

    OROSCOPO

    VERNICE

    IL BARISTA

    L’INCUBO PEGGIORE

    SPEED DATE

    UN’INDAGINE DI DANTE

    IL CONFRONTO

    IL CODICE A SEI CIFRE

    IL GIORNO DI CACCIA

    FATE SILENZIO

    RUMORI E RESPIRI

    L’ENIGMA DELL’UOMO NELLA CASCATA

    VIA CIMITERO 17

    LA CALDA NOTTE  DELL’ISPETTORE TIBBERIS

    CORALLO E PERDIZIONE

    IL LANCIO DEI DADI

    BELLA NONOSTANTE LA MORTE

    NIENTE VIENE DA NIENTE

    LA VENDETTA DI CIRANO

    AVEVI UNA FREDDA,  BELLISSIMA VOCE

    OGNI MALEDETTO ANNIVERSARIO

    LA NOTTE DEGLI ANIMALI PARLANTI

    FORSE UNA CINCIALLEGRA

    MAROTTA. ESTATE 1993

    UNO PIÙ UNO

    ERCOLE FATICA AL CALDO

    UN AGOSTO BOLLENTE

    I DETTAGLI FANNO LA PERFEZIONE

    ACQUE PROFONDE

    IL LUOGO DEL DELITTO

    LO FACCIO PER TE

    MISS NOVA E IL VOLO

    L’ULTIMA CHIAMATA

    IN QUATTORDICI MOVIMENTI

    L’AUTOSTOPPISTA

    FALCO PELLEGRINO

    LA RAGAZZA DI PIAZZA PASINI

    LA BADANTE

    DELITTO IN VIA DE MURA

    L’ULTIMA INDAGINE

    ISTINTO DI SOPRAVVIVENZA

     MISTERO FIORENTINO  PER SHERLOCK HOLMES

    LA VERITÀ NASCOSTA

    COLPO MANCINO

    SE LA NOSTRA STESSA ARMA  FOSSE IL CUORE

    IL MARCHIO DELL’AMORE

    IL PRANZO INTERROTTO  DEL BRIGADIERE PATERNÒ

    REFLECTERE

    STREGATTA CI COVA

    GLI AUTORI

    CATALOGO I GIALLI DAMSTER

    AI MORTI SI DICE ARRIVEDERCI

    L’ALTRA FACCIA DEL MALE

    COCKTAIL D’ANIME PER L’AVVOCATO ALFIERI

    CRIMINI

    IL PASSATO NON PERDONA

    LA PICCOLA EMILIA

    GIALLOFESTIVAL 2020

    #STODADIO - L’ENIGMA DI ARTOLÈ

    MORTE A TRECOLLI

    IL RENE È UN ORGANO SILENZIOSO

    UN CONTO APERTO CON IL PASSATO

    LA COLLERA DELLA REGINA

    LE NEBBIE DEL PASSATO

    IL SILENZIO ASSORDANTE DELLA FOLLIA

    APPUNTAMENTO A SAMARRA

    SPORCHI AFFARI DI CONDOMINIO

    FRA AMORE E MORTE

    BOLOGNA IMPERFETTA

    SOLO LE DONNE DEGLI ALTRI

    BUONO DA MORIRE. VITO INDAGA.

    IL NANO RAPITO

    IL DIAVOLO NON ABITA QUI

    UNA LIBERA DONNA D’AFFARI

    CONCORSO

    DELITTO IMMAGINARIO

    Giuseppe Aiassa

    Non sapevano che li stessi ascoltando.

    La notte era calda e bellissima, illune, tuttavia uno sciame di stelle occhieggiava pietosamente verso di me e in qualche modo misterioso leniva il mio dolore, senza placare la rabbia che mi offuscava la vista e faceva muovere a scatti le mie gambe come un tarantolato. Alice, mia moglie (o forse dovrei dire la mia ex moglie?), aveva riso dei miei tentativi di riconciliazione e se n’era andata con armi e bagagli dal suo principe azzurro di turno, senza nemmeno lasciarmi il tempo di dire bah, manco fosse scoppiata la terza guerra mondiale. E ora eccomi lì, al buio, lungo la scogliera, ad ascoltare con le orecchie tese una conversazione che rischiava di diventare sempre più compromettente e pericolosa.

    Erano due ombre che parlavano: non le avevo sentite arrivare e dapprima le mie orecchie avevano percepito solo suoni sommessi, avviluppato com’ero nel mio guscio di dolore. Poi le voci, una maschile e una femminile, avevano penetrato la mia solitudine e scalfito la mia rabbia; adesso ero sicuro che stessero architettando un omicidio, sicuro quanto la decisione di Alice era irrevocabile.

    — Accidenti, non va bene! — stava dicendo la ragazza, con una punta di stizza nella voce. Quanti anni poteva avere? Venti? Venticinque?

    Il suo compagno non rispose subito; nel silenzio assoluto sentii deglutire l’uomo, prima di rispondere con voce tranquilla e chiara:

    — Perché? Mi sembra un’idea perfetta.

    — Toglitelo dalla testa: il delitto perfetto non esiste.

    L’idea perfetta, mi sembrava di aver capito, era quella di eliminare una donna (una rivale in amore? una parente dei due? una ficcanaso? una datrice di lavoro? Accidenti, perché, invece di pensare ossessivamente ai miei guai coniugali, non ero stato più attento fin dall’inizio?).

    Il giovane, trent’anni al massimo, rise un pochino, commentando ambiguamente: — Proprio tu lo dici!

    Dal rumore seguente, capii che i due avevano assunto una posizione più comoda e si erano abbracciati, anzi forse si stavano baciando. Amore e morte, proprio come in una tragedia di Shakespeare o, per stare in tema, in un giallo di Agatha Christie. Purché a nessuno dei due venisse in mente di dare un’occhiata intorno, altrimenti ai miei problemi personali se ne sarebbero aggiunti altri. Non osavo muovere un muscolo né respirare: cosa avreste fatto voi, con due potenziali assassini distanti pochi metri, separati dal terzo incomodo solo da uno sperone di roccia? La reazione più naturale sarebbe stata darsela a gambe ed è quello che avevo intenzione di fare non appena se ne fosse presentata l’occasione. Nel frattempo, ero più immobile di una mummia egizia, confortato dal fatto che l’oscurità mi fasciava completamente e mi rendeva praticamente invisibile. Intanto la ragazza aveva ripreso a parlare con quella voce dolce e agghiacciante al tempo stesso:

    — Non la sopporto più, caro. Dobbiamo escogitare qualcosa.

    — Certo, sono d’accordo.

    — E allora?

    — Ma hai appena respinto la mia idea!

    — Che razza di idea! Non è minimamente originale e i poliziotti sentirebbero puzza di bruciato lontano un miglio!

    — I poliziotti? Quando mai hanno scoperto qualcosa?

    Ci fu un crepitio e, subito dopo, del fumo azzurrino salì verso il cielo, segno evidente che lui, o lei, o entrambi avevano acceso una sigaretta.

    Per concentrarsi meglio, opinai, su come far fuori una sventurata:

    Dio, in che situazione mi ero ficcato! La domanda successiva della giovane donna mi fece accapponare la pelle.

    — Hai portato la pistola?

    — Sicuro. Questo posto pullula di malintenzionati, non lo sai?

    Risero entrambi, due risate dissimili, eppure straordinariamente uguali, mentre io rabbrividivo nuovamente: mio Dio, avevano un’arma e l’avrebbero usata, se mi avessero scoperto. Maledissi Alice, me stesso e la decisione di riflettere in un luogo isolato.

    — La signora Ventura è diventata insopportabile. Bisogna eliminarla a ogni costo — riprese risolutamente la ragazza.

    — Siamo più realistici, cara, il tuo fair play è fuori luogo. Ammazzarla è la parola giusta, non ti pare?

    — Giusto, ammazzarla.

    Dio del cielo, cosa aveva mai combinato la signora Ventura per meritare una fine simile?

    — È egoista e pettegola — iniziò lady Macbeth con acredine.

    Be’, anche Alice lo era, a modo suo, considerai con un nodo alla gola.

    — Non dimenticare che è anche diventata, con l’avanzare dell’età, acida e intrattabile — rincarò la dose l’amico.

    Alice, mi balenò, lo era sempre stata, anche durante il periodo del fidanzamento.

    — Ma soprattutto — sottolineò lei — è una ricattatrice.

    Mi sentii decisamente spiazzato: la signora Ventura superava ampiamente mia moglie in quanto a malignità e perversione. Tuttavia, pensandoci bene… in realtà mi trovavo nelle mani rapaci della mia cara consorte, che al momento opportuno avrebbe saputo manipolare in modo superbo i giudici e così potermi spillare denaro a più non posso per il divorzio. Oh, conoscevo bene le sue arti ingannatrici e quasi sicuramente anche lei non avrebbe disdegnato il ricatto, se quest’ultimo fosse tornato a suo vantaggio: come si somigliavano Alice e la sconosciuta signora Ventura!

    — È proprio indegna di vivere. — La voce della ragazza, seria e gelida, mi strappò dalle mie riflessioni.

    — E noi la faremo fuori, come abbiamo fatto con il fratello — concluse il giovane amante, lanciando in mare il mozzicone della sigaretta, che disegnò nell’aria una scia luminosa.

    Dunque avevano già ucciso il fratello della signora Ventura!

    Incominciai a sudare copiosamente e suppongo che per alcuni minuti la vista mi si sia annebbiata. Involontariamente spostai il piede sinistro e qualche sassolino grattò sotto la mia scarpa.

    — Hai sentito? — era la voce dell’assassina, che alle mie orecchie ora suonava tenebrosa e allarmante.

    — Cosa?

    — Un rumore… lieve come un sospiro.

    — Uno scherzo della tua immaginazione, come sempre.

    Tornò un silenzio assoluto, greve d’attesa: la mia serata, cominciata malissimo con Alice, si era trasformata in un incubo e dipendeva soltanto dal mio sangue freddo, e dalla fortuna, non cadere in balia di due spietati assassini per di più armati. Ma la Fortuna sovente non mi aveva assistito…

    — Non è difficile uccidere — constatò in quel momento lady Macbeth con un filo di voce appena udibile — è difficile ideare un piano originale.

    — Per far fuori la vecchia, dici?

    Così, la signora Ventura era anziana, mentre Alice era ancora giovane, ma egualmente detestabile e, perché no, ugualmente da eliminare. Quel pensiero si insinuò furtivamente nella mia mente sovreccitata e iniziò a germogliare lentamente: ero ancora sudaticcio e un furore nero, sconosciuto, si impadronì di me… io che mi ritenevo ed ero ritenuto l’essere più inoffensivo del mondo. Che dico, dell’universo!

    — Naturalmente. Chi, se no?

    — Ah, siamo daccapo. Intendi dire che vuoi realizzare un omicidio originale, superlativo, mai concepito prima, vero?

    La risposta della giovane fu una replica agghiacciante:

    — Sì, stavolta tutto deve essere perfetto: il movente c’è, ma tutto il resto è ancora poco credibile e dobbiamo spremerci il cervello perché il delitto risulti originale, ineccepibile, inspiegabile.

    — Originale, ineccepibile, inspiegabile — ripetè lui stancamente: tre aggettivi e, se avessi avuto il coraggio di sbirciare, lo avrei visto scuotere la testa in preda allo sconforto.

    — Il veleno è fuori discussione. — La giovane aveva alzato la voce, che risuonò perfida nelle tenebre azzurre.

    — Non ti avrei mai suggerito una cosa del genere. Il veleno lascia tracce e oggigiorno lo adoperano solo gli sciocchi.

    — No, no, niente veleno. Un mezzo abusato, ormai — convenne l’assassina con calma glaciale. — Escludo anche un’arma da fuoco.

    — Troppo rumore, hai ragione. Perché non tirare semplicemente il collo alla vecchia gallina?

    — È un delitto originale, ineccepibile, inspiegabile, secondo te?

    — Questa sera sono sottotono quasi nudo vicino a te: ho ben altro per la testa, sai…

    — Cerca di calmare i bollenti spiriti. Non abbiamo più molto tempo… tra venti giorni tutto deve essere finito.

    — Maledetta signora Ventura!

    Era come annaspare in preda a una paralisi in acque infide e sconosciute o essere stato catapultato in un mondo alieno e ostile: come potevano quei due pianificare un delitto adottando persino un tono leggero, quasi da operetta? Non osavo quasi respirare e inghiottivo lentamente la saliva per sciogliere il nodo che si era formato in gola. Mentre i due diabolici amanti continuavano a elaborare idee e metodi delittuosi, riflettei che, dal canto mio, non mi ero mai abbandonato a simili congetture macabre… be’, siamo sinceri, quella sera avrei strozzato volentieri Alice per il suo comportamento nei miei confronti, ma poi come la sarei cavata con i carabinieri? Quelli fanno una figura barbina solo nelle barzellette... nella realtà, invece, ti incastrano in quattro e quattr’otto e ti ritrovi a languire in una cella in compagnia di brutti ceffi. E poi io aborrisco la violenza, anche se eliminare la mia consorte significa rendere un servizio non solo al sottoscritto, ma all’intera umanità.

    — Amore, eureka, ho trovato! — La voce dell’uomo si levò cristallina nella notte illune.

    — Dimmi, dai, non tenermi sulle spine!

    — Basta aggiungere un piccolo dettaglio alla signora Ventura e il gioco è fatto.

    — Sono tutt’orecchi.

    — La signora Ventura soffre di cuore, vero?

    — Lo sappiamo benissimo tutti e due.

    — Per questo è costretta tutte le sere a inghiottire delle pillole, giusto?

    — Giustissimo.

    — Se fosse daltonica, non distinguerebbe il colore delle pillole, dico bene? Voglio dire, l’assassino ne potrebbe approfittare a suo vantaggio. Mia cara, ti sto servendo su un piatto d’argento un delitto originale, ineccepibile e inspiegabile, meglio di Agatha Christie e John Dickson Carr messi assieme!

    — Ma è geniale! Sia ringraziato il cielo! Non sapevo come cavarmela, questa volta! Ma certo: la signora Ventura è daltonica, confonde il rosso con il verde… ecco come l’assassino la farà fuori, sfruttando la sua infermità visiva. Dobbiamo metterci subito al lavoro!

    Di che diavolo stavano blaterando? Dietro lo scoglio, mi tappai la bocca con le mani, aguzzando contemporaneamente le orecchie. Questa volta, a rompere il silenzio fu lei, l’assassina: il tono di voce era quasi gioioso.

    — Cristo, la vita di una scrittrice di gialli è proprio dura!

    — Non direi, se al suo fianco c’è un maritino che la tira ogni volta fuori dai guai.

    — Devo proprio ammetterlo: questa volta, senza di te, non avrei saputo dove sbattere la testa. Il guaio è che trovare idee nuove e originali è come cercare il classico ago nel pagliaio. Senza contare che i lettori si aspettano da te sempre un capolavoro.

    — Ne hai già scritti due, di capolavori.

    — E questo sarà il terzo. Oh, come sono felice, stasera! Guarda che stelle! Manca solo la luna.

    — Sei tu, la mia luna.

    — Non vorrai mica riprendere a scrivere poesie, vero? Nessun poeta è mai diventato ricco.

    I due scoppiarono a ridere, lasciandomi letteralmente a bocca aperta. Benedetti ragazzi! E io che temevo di avere a che fare con una pericolosa coppia di assassini! Quasi non credevo alle mie orecchie: ero sollevato ma allo stesso tempo deluso. Quei due erano… degli imbrattacarte che progettavano omicidi… ma solo sulla carta! E ci campavano anche, ero pronto a scommettere. L’incubo si era dissolto come nebbia al sole e per la gioia avrei palesato la mia presenza e offerto loro persino un caffè. Con una dose massiccia di purgante, per la paura che avevo provato.

    — Questa volta mi merito qualcosa di più della solita dedica. — Era di nuovo lui, l’assassino, che parlava. — Perché non convinci l’editore a mettere anche il mio nome in copertina?

    — Il tuo nome? Stai scherzando, spero. No, non se ne parla nemmeno.

    — Che male c’è nel chiamarsi Paolo Gallina?

    — Nessun male per me, tesoro. Tutto il male del mondo per un editore, te lo garantisco.

    — Intendi dire che i lettori non gradirebbero un nome come il mio?

    — Esatto. È troppo prosaico, non colpisce l’immaginazione. Invece Angelica di Costantino evoca nobiltà, fantasia e mistero.

    — Ma tu ti chiami Maria Rossi.

    — Questo è il nostro segreto, amore.

    A suggellare il segreto giunse al mio udito lo schiocco di un bacio. Dunque avevo frainteso tutta la conversazione: i due giovani non progettavano un omicidio a mente fredda, bensì ero stato, era proprio il caso di dirlo, un testimone auricolare di un difficile e creativo parto letterario di un genere narrativo che andava per la maggiore. La signora Ventura esisteva solamente nell’immaginazione di una scrittrice, destinata a scomparire ingloriosamente per la gioia di un manipolo di lettori assetati di sangue e di enigmi da risolvere. La triste realtà era che Alice esisteva realmente, in carne e ossa, con la sua lingua tagliente e il suo lieve daltonismo che…

    La coppia sconosciuta se n’era andata, silenziosamente com’era venuta, come due fantasmi creati dalla mia mente, la quale ora lavorava freneticamente, simile a un meccanismo a orologeria ben oliato. Alice non soffriva di cuore come l’inesistente signora Ventura, ma assumeva regolarmente due pillole al giorno per la pressione arteriosa. E, incredibile ma vero, soffriva di una forma leggera ma fastidiosa di daltonismo…

    Mentre le stelle si spegnevano una a una, io precipitavo lentamente in un abisso senza fondo e buio come il firmamento che mi sovrastava. Infine trassi un lungo sospiro: ora sapevo come agire per liberarmi una volta per tutte di Alice. Naturalmente avrei acquistato il romanzo di Angelica di Costantino, alias Maria Rossi e, a tempo debito, mandato al marito un bigliettino di ringraziamento.

    In fondo se lo meritavano, no?

    OROSCOPO

    di Mario Antobenedetto

    Il primo cadavere fu rinvenuto in uno spiazzo, le gambe dritte, le braccia lungo i fianchi e un buco in fronte. Oltre all’atrocità della morte uno strano dettaglio: la camicia aperta sul petto a mostrare una bruciatura, il simbolo zodiacale dell’ariete marchiato a fuoco sulla carne.

    Il caso fu affidato all’ispettore della Polizia di Stato Marco Bucci, investigatore della squadra mobile di Ostia, e il luogo del ritrovamento indirizzò subito le indagini, poiché quello stesso spiazzo, molti anni prima, era stato intriso da un sangue molto famoso, quello di Pier Paolo Pasolini. Quel dettaglio quindi, alimentato dalla totale mancanza di indizi, aveva portato Marco Bucci a seguire le tracce dei reati di matrice omofoba; peccato però che quella pista si rivelò quasi subito un vicolo cieco, la vittima infatti era eterosessuale, l’ariete non era la sua costellazione e a detta di amici e parenti non frequentava mai l’idroscalo. Il tratto di selciato accanto alla stele di marmo dunque era ben presto rimasto l’unico punto in comune tra quel nuovo caso e la morte del famoso artista.

    A chiudere definitivamente quel filone d’indagine per aprirne uno completamente nuovo e pericoloso ci pensò, nemmeno due giorni dopo, il ritrovamento del secondo cadavere: una donna, in pieno giorno, nel parcheggio di un supermercato dell’Axa, nei pressi di Ostia; le differenze con il primo delitto finivano lì, a unirli c’erano la causa della morte, ovvero un colpo di pistola a bruciapelo esploso in piena fronte e il marchio, in quel caso il simbolo del toro, stampato a fuoco sulla coscia della vittima.

    Anche in quella circostanza i rilievi della scientifica furono infruttuosi: non un’impronta, un capello, niente, nemmeno una piccola scaglia di pelle. Anche le indagini preliminari di Marco Bucci stagnarono nel fango dell’inutilità, zero testimoni, assenza di telecamere sulla scena del crimine e nessun possibile movente, il tutto aggravato dall’amara consapevolezza che quel secondo marchio significava una cosa ben precisa: c’era un serial killer in circolazione.

    Infatti, nel giro di pochi giorni a Ostia e dintorni spuntarono i corpi morti rispettivamente sotto il segno di: gemelli, cancro, leone e vergine; altri quattro marchi incandescenti, un oroscopo di sangue enunciato da un pazzo che la stampa aveva già rinominato il killer dello zodiaco.

    Marco Bucci brancolava nel buio, non per sue mancanze, lui era un ottimo investigatore e in passato aveva risolto casi molto intricati e pericolosi, ma quel killer era dannatamente scaltro e fino a quel momento non gli aveva lasciato il minimo appiglio per iniziare la scalata verso la risoluzione dei crimini. Per lenire un po’ la frustrazione aveva deciso di far visita al vecchio mentore: Ennio Gagliardi, suo ex superiore presso la terza sezione della squadra mobile, che pur vivendo la sua meritata pensione circondato dalla stima e il rispetto di tutto il corpo non perdeva lo stesso occasione per tenersi aggiornato e tentare di dare una mano.

    — Scacco matto!— enunciò solenne Ennio Gagliardi.

    Dalla poltrona dirimpetto a quella occupata dal veterano si alzò il figlio Francesco, che ridendo salutò il padre e puntando la porta di casa passò accanto a Marco Bucci.

    — Il vecchio è ancora in forma?— ironizzò l’ispettore.

    — Imbattibile come sempre — rispose il ragazzo. I due si salutarono con un abbraccio e ognuno prese la propria direzione; Marco si accomodò sulla poltrona lasciata vuota da Francesco e indicando con il mento la scacchiera disse: — Non ti sembra il caso di lasciarlo vincere qualche volta?

    — Assolutamente no!— rispose ilare il vecchio. — Ormai ha più di vent’anni, è un uomo, non devo più trattarlo come un bambino. Ora vive anche da solo, ha comprato una casa dalle tue parti.

    Marco si fece una bella risata, fissò per qualche secondo i pezzi bianchi e neri e quando rialzò lo sguardo verso Ennio era tornato serio e preoccupato. I convenevoli erano finiti e i due poliziotti presero a parlare di cose serie.

    — Ancora nessun indizio? Quindi è veramente così astuto?

    Marco Bucci annuì e masticò amaro al suono di quelle parole, dure ma vere. — È metodico e preparato, sei omicidi e mai una sbavatura sulla scena del crimine. Quello che non capisco è cosa voglia dimostrare. Gli spara in fronte, li marchia, ma per il resto è sempre tutto diverso, uomini e donne, dalla casalinga all’uomo d’affari, dal pregiudicato all’incensurato.

    — Marco, sai meglio di me che la mancanza di un legame tra le vittime può significare una sola cosa… chi uccide a caso lancia un messaggio a chi deve fermarlo.— Ennio fissò il discepolo negli occhi. — Temo che questo killer ti stia sfidando, come se avesse un conto in sospeso con te.

    Quelle parole evocarono subito un pensiero nella mente dell’ispettore Bucci, che la sua voce incrinata dalla tensione non tardò a esprimere: — Tra l’altro rischio di perdere il caso, come sai io sono una mosca bianca al commissariato di Ostia, da Roma le pressioni sono tante e sono certo che al prossimo delitto affideranno le indagini a quel gradasso di Valerio Pirri.— Si riferiva al fatto che di norma la squadra mobile è incardinata presso la Questura e non in un semplice commissariato come quello di Ostia, ma l’ondata criminale abbattutasi in quel quartiere negli ultimi anni, unita alle sue mirabili doti investigative, avevano reso possibile quella rarità procedurale in seno alla Polizia di Stato, e così da anni l’ispettore Bucci rappresentava un’appendice della squadra mobile di Roma presso il litorale capitolino, ma con tanti delitti così ravvicinati e le pressioni mediatiche, i vertici della Questura avrebbero presto assicurato assistenza ai colleghi di Ostia. Peccato però che, nel dizionario italiano poliziesco, assistere viene tradotto con sostituire. Inoltre il rapporto tra Marco Bucci e Valerio Pirri era ossidato da antiche ruggini che minacciavano gravi infezioni al minimo attrito.

    — Ora non pensare a queste cose, resta concentrato sul caso. Ricorda: in assenza di indizi tangibili cerca di lavorare sui dettagli.

    — E così ho fatto, Ennio. Spulciando tra i filmati di varie telecamere prima di ogni delitto e una lista di nomi di persone presenti nei luoghi incriminati ho trovato una corrispondenza. Non è molto, anzi mi rendo conto che non è nulla, ma devo comunque provarci; però, visto che si tratta di una semplice sensazione, farò tutto in privato.

    Ennio Gagliardi annuì, sapeva bene quanto un bravo poliziotto dovesse affidarsi all’intuito e muoversi al limite, e spesso oltre, le procedure standard. I due parlarono ancora a lungo, soprattutto del pancione della moglie di Marco: già, perché l’ispettore nel giro di cinque mesi sarebbe diventato padre per la prima volta.

    Marco Bucci seguiva con maestria la macchina già da una decina di minuti, il sospettato era uscito in piena notte da casa con una borsa sportiva a tracolla, era partito in direzione del lungomare e in quel momento stava per svoltare verso una strada sterrata che portava ai piedi di un cavalcavia. L’ispettore fu costretto a tirare dritto: conosceva quella stradina, conduceva a una zona abbandonata priva di altre uscite, e seguendolo avrebbe fatto saltare il pedinamento.

    Il killer svoltò nella strada sterrata e pochi metri più vanti fermò la macchina, controllò il retrovisore per accertarsi che nessuno lo stesse seguendo e dopo qualche minuto afferrò la borsa dal sedile del passeggero scendendo nel buio della notte.

    Marco Bucci si mosse lentamente tra le sterpaglie secche che conducevano ai piedi del cavalcavia, le suole delle sue scarpe finirono di scivolare nella polvere e l’ispettore si accucciò dietro una barriera jersey. Da quella posizione riuscì a vedere un writer impegnato nella realizzazione di un coloratissimo murales, pochi istanti dopo il sospettato sbucò da dietro un pilone, posò a terra la borsa e con decisione aprì la chiusura lampo.

    Il killer individuò la sua preda, si accucciò a pochi metri da lui e con gesti esperti estrasse la pistola dalla borsa.

    — Mani in alto! — gridò Marco Bucci dopo aver scavalcato il new jersey ed estratto la sua Beretta 92 FS dal retro dei jeans. Puntò dritto verso il sospettato che, intimorito e spaventato, aveva sollevato le braccia mostrando nella mano destra una scintillante bomboletta di vernice spray. L’ispettore con due lunghe falcate fu addosso al ragazzo, osservò abbattuto la scena, per estrema sicurezza frugò nella borsa solo per scoprire altre bombolette colorate e frustrato ripose la pistola, sotto gli sguardi spaesati dei due writer.

    Il killer dello zodiaco avvicinò la punta del silenziatore alla fronte del barbone addormentato ai piedi del cavalcavia, senza esitazione premette il grilletto e la testa del malcapitato sobbalzò leggermente, senza indugiare oltre raccolse nella borsa il simbolo della bilancia in ferro battuto, lo arroventò con un cannello da cucina e marchiò la guancia della sua settima vittima.

    Il giorno seguente il caso oroscopo venne assegnato all’ispettore Valerio Pirri. Tra lui e Bucci ci fu inizialmente una fredda e istituzionale collaborazione: punto della situazione, aggiornamento sulle piste seguite, condivisione dei fascicoli sui sette cadaveri e pianificazione della nuova strategia investigativa. Con il passare dei giorni Marco aveva dilatato gradualmente la sua presenza in commissariato, limitandosi al minimo sindacale imposto dal suo superiore. Tra i due mai un accenno ai rancori passati; oltre l’atavica rivalità professionale, infatti, a posare la pietra tombale sul loro rapporto ci aveva pensato un problema di donne: la moglie di Marco, prima di conoscerlo, era fidanzata con Valerio. Quindi seguirono lo scippo, l’odio e un commiato minaccioso: prima o poi te la farò pagare.

    Il resto del tempo Marco Bucci lo trascorreva in compagnia della moglie o a casa di Ennio Gagliardi, anche se le chiacchiere tra poliziotti superavano di gran lunga le carezze al pancione. Marco se ne rendeva conto e si sentiva anche un po’ in colpa, ma la sua dedizione al lavoro era una calamita troppo forte. Naturalmente il killer dello zodiaco era l’argomento di punta, anzi l’unico, delle loro discussioni e dall’avvento dell’ispettore Pirri nella testa di Marco continuavano ad alternarsi due pensieri: la vecchia minaccia del collega inviperito e la tesi di Ennio Gagliardi secondo la quale il killer sembrava avere un conto in sospeso con lui; e proprio a quel pericoloso connubio stava pensando in quel momento, guardando distrattamente il suo mentore rovistare tra vecchi scatoloni in cerca di un manuale di psicologia forense. Improvvisamente una scatola cadde dal ripiano alto e rovesciò a terra il suo contenuto: modellini, pupazzetti e altri giocattoli si sparsero per il pavimento della cantina e in particolare un piccolo elmo in plastica dorata rotolò fino ai piedi di Marco Bucci, che lo raccolse studiandolo con ponderato rapimento. Nella sua testa ruotarono e si incastrarono un paio di pezzi e il tetris si chiuse.

    — Scusami Ennio, devo scappare.

    L’ispettore Bucci seguiva il suo nuovo sospettato a debita distanza, aiutato nel suo occultamento dalla calca del lungomare di Ostia; da una posizione rialzata lo vide in un locale intento a chiacchierare e sorseggiare cocktail.

    Dopo aver lasciato casa, Gagliardi aveva plasmato a mestiere la sua intuizione, legandola il più possibile ai pochi dati utili dei sette omicidi, fino a creare un composto che avesse almeno una qualche forma concreta, e quella labile credibilità lo spinse a rimettersi in gioco e agire.

    Il sospettato uscì dal locale portando una borsa di pelle a tracolla. Marco Bucci lo vide fermarsi a salutare due poliziotti a un posto di blocco; dalla mimica si capiva che dovevano conoscersi molto bene e quel dato fece aumentare la sua fiducia. L’uomo proseguì sul lungomare e si infilò in un altro locale dove però rimase molto tempo in disparte a osservare le persone intorno a lui. Dopo circa un’ora si avvicinò a una ragazza sola al bancone, i due parlarono, sorseggiarono drink e dopo vari sorrisi e sussurri si allontanarono insieme verso l’arenile. Marco Bucci iniziò a correre nella direzione opposta, fiancheggiò il muro del locale, arrivò nella spiaggia buia e si accucciò dietro una barca in secca. Poco dopo il sospettato e la ragazza, camminando abbracciati sulla sabbia, giunsero nella zona delle vecchie cabine balneari, si appoggiarono a un muro diroccato e cominciarono a baciarsi. Dalla strada e dal locale non potevano essere visti, mentre dalla riva, con il buio, si intuivano a fatica le loro sagome, non per l’occhio attento e allenato dell’ispettore Bucci, però, che li spiava da dietro la barca; i due presero a baciarsi con più foga e lui iniziò a sentirsi uno stupido, annichilito dal pensiero di aver preso il secondo abbaglio consecutivo.

    D’un tratto però il sospettato prese a frugare nella borsa a tracolla, la sua mano trovò l’oggetto cercato e iniziò a riemergere lentamente. Marco Bucci decise in meno di un secondo, cancellò dalla sua mente l’immagine delle bombolette spray in mano al writer ed estraendo la pistola da dietro i jeans corse in direzione delle cabine.

    — Fermo! Polizia!

    L’ispettore alzò la Beretta; il sospettato, colto di sorpresa, fu però lesto nel cingere il collo della ragazza con l’avambraccio, la usò come scudo, le puntò la canna della pistola estratta dalla borsa sulla tempia intimandole di stare zitta e fissò negli occhi il poliziotto, al quale sorrise sbeffeggiandolo: — Ma che bravo lui. L’allievo prediletto!

    Marco Bucci, concentrato ma incredulo di averci visto giusto e per l’assurdità della situazione, fissò negli occhi Francesco Gagliardi.

    — Come hai fatto a scoprirmi? — chiese quest’ultimo sempre con la bocca piegata da un sorriso nervoso.

    Marco usò la mano libera per recuperare dalla tasca dei jeans il piccolo elmo dorato, aprì il palmo dinanzi agli occhi di Francesco e aggiunse: — I cavalieri dello zodiaco sono il mio cartone animato preferito.

    Non confessò però come fosse stato un semplice colpo di fortuna a metterlo sulla strada giusta: se Ennio non avesse rovesciato quella scatola con i vecchi giocattoli del figlio, non avrebbe mai scoperto l’identità del killer dello zodiaco.

    Francesco continuò a ridere, ma Marco lo zittì con il tono perentorio della sua domanda:

    — Perché? Che senso ha questa mattanza?

    — Tu non puoi sapere cosa significa essere cresciuto da uno così — ribatté prontamente Francesco, tenendo ben stretta la ragazza che non osava aprire bocca e piangeva in silenzio. — Sempre una sfida, una gara per ogni fottuta cosa, dover dimostrare continuamente di essere il migliore.

    La verità scosse l’ispettore, non era per lui la nemesi, bensì per Ennio, e di colpo ricordò la partita a scacchi e tutte le altre volte che aveva visto il genitore sfidare il figlio.

    — E pensare che avrei voluto fare lo sbirro… ma t’immagini? Provare solo a intraprendere la carriera con il peso delle sue aspettative di merda! Mi chiedi perché? Per batterlo una volta per tutte, per dimostrargli di aver avuto il killer sotto il naso senza riuscire a scovarlo, per rovinargli la sua cazzo di reputazione!

    Marco Bucci si destò, ci sarebbe stato tempo per analizzare la situazione, in quel momento doveva solo fermare Francesco e salvare una vita.

    — Adesso però calmati e lascia andare la ragazza, ormai è finita.

    — Mi dispiace Marco, io me ne vado. Metti giù la pistola altrimenti le sparo, e sai bene che non mento.

    Sette cadaveri a cui era stato fatto l’oroscopo diedero pieno credito alle parole di Francesco. Marco iniziò a chinarsi per posare a terra l’arma tenendo sempre fissi gli occhi sui due ragazzi. Nel muovere un passo all’indietro il giovane killer voltò un attimo la testa, la mano armata si scostò leggermente dalla fronte della ragazza e Marco ne approfittò per prendere la mira e fare fuoco. Il proiettile colpì la mano di Francesco e la pistola cadde a terra tra le grida, di dolore per lui e di paura per lei. L’ispettore Bucci allontanò con un calcio la pistola, intimò alla ragazza di fuggire, e tenendo sempre sotto tiro Francesco, ormai contorto a terra in lacrime, prese il cellulare per chiamare i rinforzi.

    Nell’attesa della risposta provò a immaginare l’inferno in cui sarebbe piombato di colpo l’amico Ennio, ma subito un altro pensiero calamitò la sua attenzione: il pancione della moglie.

    L’indomani avrebbe dato senza dubbio un nuovo ordine alle sue priorità.

    VERNICE

    Transito Ariza

    Personaggi

    Silvia Pugliese, commissario di polizia;

    Giancarlo Pecchi, brigadiere;

    Zaira Eclissi, medico legale;

    Philippe Lambert, personal trainer;

    Paola Pirelli, cliente della palestra dove lavora Philippe;

    Annalisa Semeraro, casalinga misteriosamente scomparsa;

    Rita Mendez, receptionist della palestra;

    Simona Cuppini, guida turistica;

    Gianluca Rigliano, painter;

    Cesare Vernocchi, libraio.

    In un luogo isolato vicino a Bologna, aprile 2015.

    — Ti prego, uccidimi, non ce la faccio più.

    — Certo che morirai, ma quando deciderò io. Ora, ti ordino di cuocere questo pezzo di carne.

    — E poi? Vuoi mangiarla?

    — No, tesoro. La mangerai tu.

    Bologna, aprile, 2015

    In una bella giornata di inizio primavera, un gruppo di turisti sta scattando fotografie vicino alla centralissima fontana del Nettuno. Improvvisamente, uno di loro si accorge che l’acqua nelle vasche sotto la statua ha uno strano colore rosso, come se qualcuno vi avesse gettato un barattolo di vernice.

    — È normale, signora, che l’acqua all’interno delle vasche sia di questo colore? — chiede il turista rivolgendosi a Simona, la guida.

    La guida è sorpresa e anche arrabbiata per quello che pare un atto di vandalismo. Chi può aver osato profanare la bellissima fontana, versando nelle vasche quella sostanza che ha colorato l’acqua di rosso?

    — No, non è affatto normale — risponde. — Sarà meglio chiamare la polizia.

    — Commissà, al telefono una guida turistica dice che ce sta l’acqua rossa nella vasca della fontana del Nettuno — grida il brigadiere Pecchi all’indirizzo del commissario Silvia Pugliese.

    — Che dice, vado io a dà n’occhiata?

    — D’accordo Pecchi, vai tu. Fammi anche una cortesia, nelle prossime ore e nei prossimi giorni — risponde il commissario — tienimi d’occhio un paio di ragazzi, più volte segnalati come autori di murales notturni — gli ordina, passandogli un paio di schede.

    Pecchi altro non è che un violento, una testa calda che ha deciso di fare il poliziotto per poter dare sfogo alla sua natura rissosa. Non perde infatti occasione per intervenire alle manifestazioni, anche pacifiche, per poter colpire i dimostranti a manganellate.

    Pecchi comincia a presidiare Piazza del Nettuno e, quando Gianluca, uno dei due segnalati, si trova a passare di lì, fermandosi il tempo di fumare una sigaretta, Pecchi lo malmena pesantemente.

    Trascinato in questura, Gianluca viene interrogato dal commissario, ma fornisce un alibi certo per il giorno in cui l’acqua della fontana era sporca di rosso e per la notte precedente.

    Si potrebbe quasi archiviare il caso come atto vandalico a opera di ignoti, se non fosse che, dopo qualche giorno, l’acqua della fontana è di nuovo sporca di rosso.

    Ad accorgersene questa volta è una maestra che accompagna i propri alunni in gita scolastica. Il brigadiere Pecchi accorre sul posto, ma, a differenza della volta precedente, il colore dell’acqua presenta un’inquietante tonalità e un ancora più inquietante quanto inconfondibile odore di sangue.

    Pecchi avverte allora la Pugliese, la quale a sua volta contatta la collega e amica Zaira Eclissi, di professione medico legale, per predisporre tramite coroner le analisi di laboratorio.

    I risultati confermano effettivamente la presenza di sangue.

    Nei giorni successivi, è la stessa Eclissi a presidiare la fontana, dedicandovi tutte le ore libere.

    Zaira, figlia di un boss della droga, da anni ha deciso di riscattare le sue origini dedicando la propria professionalità al servizio della giustizia.

    La sua costanza viene premiata: in una mattina piovosa, mentre sosta vicino alla fontana, vede l’acqua colorarsi improvvisamente di rosso.

    Ma vicino al Nettuno non c’è nessuno oltre a lei in quel momento, quindi nessuno può aver versato nulla nella vasca. Zaira osserva gli ugelli, e si rende conto che da essi zampilla acqua rossa! Preleva un campione dell’acqua e, senza dimenticare di avvertire la Pugliese, corre in laboratorio per analizzarla. Di nuovo, la sostanza rossa non è vernice, ma sangue!

    Dopo qualche giorno, il fenomeno si verifica di nuovo, mentre la polizia brancola nel buio.

    Nel frattempo, in città viene denunciata una sparizione: Annalisa Semeraro, casalinga e madre esemplare, nonché moglie felice e devota. Non ci sono elementi per credere che potesse essersi spontaneamente allontanata. Il suo comportamento è sempre stato irreprensibile. Casa, lavoro, messa la domenica. Sue grandi passioni: la cucina e la lettura.

    Silvia Pugliese, nel corso delle indagini, interrogando i familiari, scopre che Annalisa passava molto tempo nella libreria vicina a casa. Il libraio, un tipo sfuggente e di poche parole, non convince Silvia, che comincia a tenerlo d’occhio.

    Pochi giorni dopo, mentre percorre in mountain bike una strada che si inerpica sui colli bolognesi, Rita, di professione receptionist in una palestra, nota Philippe, un collega, scendere dall’auto parcheggiata, attraversare un giardino e dirigersi verso un luogo chiuso al pubblico.

    Si tratta della conserva di Valverde, detta anche Bagni di Mario. Philippe estrae dalla tasca una chiave, con la quale entra nell’antica costruzione, una cisterna di epoca rinascimentale, ora in disuso.

    Rita, che non vista lo aveva seguito, non può far altro che tornare indietro.

    Il giorno successivo, al lavoro, Rita accenna a Philippe di averlo intravisto nella zona di Bagni di Mario, ma lui nega di esserci stato.

    Quello stesso pomeriggio Paola, una cliente, comincia a parlare con Rita in maniera sempre più confidenziale. Le due donne scoprono di avere in comune la passione per il découpage, così si accordano per vedersi per un tè quella stessa settimana a casa di Rita, in modo da scambiarsi consigli sulle tecniche.

    Il giorno fissato, Paola si presenta puntuale a casa di Rita. Il comportamento della visitatrice pare alquanto strano alla padrona di casa: innanzitutto, non degna

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