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Oltre i distretti: Alla ricerca di nuovi cluster di fattori per lo sviluppo locale
Oltre i distretti: Alla ricerca di nuovi cluster di fattori per lo sviluppo locale
Oltre i distretti: Alla ricerca di nuovi cluster di fattori per lo sviluppo locale
E-book295 pagine3 ore

Oltre i distretti: Alla ricerca di nuovi cluster di fattori per lo sviluppo locale

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Info su questo ebook

I testi che si vanno a pubblicare oggi nel merito della riflessione sui distretti industriali, presentano un qualcosa di paradossale. Si parla di un qualcosa che con la crisi partita dal 2006-2007 sembra ormai del tutto esaurito – ed in larga parte ciò è avvenuto – ma che deve essere riproposto come tema di riflessione e di nuova progettazione, perché quei distretti hanno lasciato tracce così significative da mettere subito in evidenza le potenzialità innovative che si potevano aprire nel quadro di una diversa visione dello sviluppo locale.
LinguaItaliano
Data di uscita8 mar 2018
ISBN9788832760385
Oltre i distretti: Alla ricerca di nuovi cluster di fattori per lo sviluppo locale

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    Anteprima del libro

    Oltre i distretti - Everardo Minardi

    precedente.

    Oltre… Riflessioni e progetti per un nuovo sviluppo di qualità

    DI EVERARDO MINARDI

    Innovazione dopo la tradizione

    I contributi di analisi sul profilo dei distretti industriali proposti in un periodo per lo meno contestuale all’avvento della crisi sistemica a partire dal settore economico e finanziario, già manifestano in maniera evidente la necessità e l’urgenza di andare oltre … le visioni, gli approcci ed i modelli di una modernizzazione industriale ormai conclusa e consumata.

    Da ciò la convinzione che dopo la crisi, anzi dentro la crisi occorre rispondere ai vecchi e nuovi vincoli della transizione con un formidabile processo di innovazione.

    Innovazione nel sociale, dove occorre riconoscere e dare spazio a nuove soggettività, unitamente a nuovi assetti sociali, dove si collocano non solo le esperienze di sharing economy e di economia civile di terzo settore, ma anche società multietniche e multiculturali, con visione del mercato locale e globale non poco distanti da quelle che in precedenza avevano guidato le prassi dei sistemi educativi, formativi e della comunicazione culturale.

    Innovazione nella economia, dove all’assetto produttivo e trasformativo dei beni di interesse prima della economia di capitale poi della economia pubblica, si affianca in misura crescente l’attività di produzione e di distribuzione di beni simbolici, con la contestuale azione volta alla valorizzazione dei beni comuni; con il risultato di portare in secondo piano, anzi spesso nelle condizioni di marginalità la produzione industriali di beni di consumo, quindi destinati alla collocazione in paesi e continenti caratterizzati dalla presenza di manodopera a basso costo.

    Innovazione nella tecnologia dell’informazione e della comunicazione, per effetto della quale si modificano i contenuti della professionalità (dalle competenze manuali a quelle digitali) e dove si superano, anzi si dissolvono rapidamente le vecchie forme e le vecchie regole organizzative, con l’effetto di dilatare linguaggi e confini, e con il risultato di riconfigurare non solo nella forma una società che afferma contestualmente le individualità, protagoniste del nuovo sistema informativo e comunicativo e le comunità, che nel loro assetto relazionale e sempre più fluido e liquido, si ripropongono come lo scenario di un nuovo ed inedito modello di società dei consumi.

    Un nuovo approccio allo sviluppo locale

    In questo contesto, come ormai si è manifestato, andava e va riconfigurato e ridefinito lo sviluppo locale dei territori e delle comunità, comunque investite dal processo di spoliazione progressiva delle aree interne e marginali delle regioni, ormai polarizzate sui centri e sulle aree metropolitane.

    Creatività, comunicazione e cultura: sono le parole chiave che già emergono dai contributi che hanno avviato la revisione critica dei modelli industrialisti di uno sviluppo che ha deformato gli aspetti ambientali, storici, culturali dei territori e delle comunità; tali parole sembrano in qualche modo mettere a tacere, o meglio collocare in secondo piano, le dottrine e le pratiche della pesante e diffusa della programmazione dall’alto della dinamica economica e del benessere sociale; non senza dimenticare le pratiche della pianificazione territoriale incapace di riconoscere le identità di origine delle realtà ad essa sottoposta, di cui spesso ha infranto equilibri millenari.

    Vanno, perciò, individuati nuovi assi di riferimento nel ridisegno dei processi di sviluppo locale. Prima di tutto vanno riportate al centro del nuovo disegno dello sviluppo le comunità; intendiamo riferirci in modo particolare alle relazioni sociali tra persone e famiglie, tra gruppi sociali e organizzazioni sociali, tra gruppi di interesse ed espressioni della economia informale e comunitaria.

    In questo contesto, in modo particolare vanno evidenziate le pratiche di condivisione delle domande e delle risposte che sono in grado di dare uno spessore sociale e normativo alle diverse esperienze di una vita comunitaria; da esse non si può prescindere se si intende cogliere le connessioni tra le esperienze di vita, i processi di apprendimento, le forme della comunicazione sociale e, quindi, le prassi organizzate di produzione di valore e di reddito, attraverso la costituzione delle imprese nelle loro diverse forme e matrici di riferimento.

    Poi l’attenzione va focalizzata sui territori, cioè sui fattori identificativi delle loro risorse, naturali e ambientali, strutturali ed infrastrutturali che li rendono sistemi, non solo riducibili agli ambiti della programmazione e della organizzazione economica. Se nel contesto odierno siamo in grado di rifocalizzare l’attenzione sulle aree interne, sui territori marginali, destinati all’impoverimento progressivo, ciò deriva anche dal fatto che possiamo individuare in tali ambiti potenzialità intrinseche di crescita e di sviluppo.

    In questa direzione si sono avviate, abbandonando i modelli di sviluppo meramente industriale, iniziative di progettazione condivisa e partecipata che hanno visto la presenza contestuale degli attori istituzionali, delle imprese e degli attori spesso coinvolti in esperienze aggregative non marginali della vita sociale e culturale delle comunità.

    Da ciò la ripresa di pratiche di progettazione e di intervento sociale che hanno dato valore alla dimensione simbolico-culturale dei processi dello sviluppo locale. Per produrre quel valore che è in grado di generare processi di condivisione dei valori di identità culturale e di partecipazione sociale (il capitale sociale di una comunità) e, di conseguenza, di attivare il processo di valorizzazione economica che si traduce in reddito e benessere (il capitale economico di un paese e di un territorio), si rende necessaria la mobilitazione di tutte le risorse (da quelle culturali a quelle economiche) per dare senso e significato alle azioni che producono crescita da un lato, e sostenibilità e qualità di uno sviluppo non riducibile alle quantità, dall’altro.

    Fare rete (networking) e far crescere grappoli (clustering) tra i fattori simbolici, culturali e strutturali dello sviluppo

    Territori e comunità vanno riconosciuti ed individuati nelle loro identità e nel loro patrimonio simbolico e culturale, ma vanno attivati consapevolmente in un assetto, aperto e dinamico, dove le singole identità vengono potenziate, dilatate e rese accessibili a soggetti, organizzazioni sociali e imprese; questi soggetti stabiliscono una vera e propria co-partnership per un nuovo e condiviso processo di sviluppo, in direzione del quale si rende praticabile una vera e propria responsabilità sociale.

    In questa prospettiva assumono un nuovo significato strumenti e risorse finalizzati a sostenere i processi di innovazione sociale, in ambiti territoriali specifici.

    In primo luogo, è indispensabile promuovere e rafforzare la logica della rete (network) e del fare rete (networking).

    Di certo ci troviamo di fronte ad un cultura istituzionale che ha visto sempre il Comune come una entità autosufficiente ed in sé comprensiva delle attribuzioni a più dimensioni che concernono la vita di una comunità (dalla demografia, alla valorizzazione del territorio e delle sue infrastrutture, ai servizi educativi e ai servizi per il welfare della popolazione); perciò non è facile nel contesto odierno cambiare la rappresentazione di entità comunali che pur hanno visto ridursi drasticamente la popolazione e, quindi, le risorse di cui disporre per la gestione delle funzioni pubbliche ordinarie.

    Inoltre, trattandosi di piccoli comuni collocati soprattutto nelle aree interne e, quindi, estraniati dalle dinamiche delle grandi città e delle aree metropolitane, è ancora di difficile comprensione, per gli effetti che ne conseguono, la riduzione del profilo istituzionale e delle competenze operative delle Province, che perdono progressivamente l’insieme dei rapporti – vincoli, ma anche opportunità – tra i singoli Comuni.

    Da ciò gli effetti di appesantimento dell’isolamento in cui si trovano i Comuni delle aree non urbane, che non sempre riescono a riconoscere i rapporti interni ai territori più vasti di quelli comunali, come gli ambiti dove ricomporre funzioni di governo e di gestione di quelle risorse che rendono sostenibile la vita delle comunità locali.

    In altre regioni, si sono avviate esperienze significative di aggregazioni tra Comuni su aree territoriali riconosciute e spesso caratterizzate da tradizioni politiche, sociali e culturali che ne facevano comunità più ampie, già di per sé orientate ad una loro integrazione; da ciò si è avviata la tendenza non solo alla fusione vera e propria tra i piccoli Comuni, ma anche alla creazione di Unioni intercomunali, volti alla gestione di attività di governo e di gestione di servizi che rispondono alle esigenze di popolazioni già di per sé integrate.

    Si è cioè affermata la logica, non sempre favorita nel mondo delle istituzioni del governo locale, della rete (network) tra enti ed organizzazioni di servizio pubblico e del fare rete (networking) come risposta alle domande sociali che si ingenerano con il cambiamento nelle comunità territoriali delle modalità di fruizione dei servizi e delle risorse del territorio; da ciò si produce anche la creazione di nuove risposte a domande sociali in continuo e rapido cambiamento.

    Il nesso tra networking e innovazione sociale diventa, perciò, in un certo senso fisiologico; senza di esso diventa difficile uscire da un isolamento ormai strutturale delle istituzioni locali e delle comunità, e cogliere invece la valenza di struttura aperta e multisettoriale che la costruzione di reti innovative tra istituzioni e organizzazioni può ingenerare.

    Con l’ulteriore effetto di rendere realizzabile e praticabile in termini estesi la struttura di relazione tra le imprese, le organizzazioni sociali e le istituzioni locali, come ambito di riconoscimento e di sostegno delle strutture finalizzate ad ingenerare innovativi processi di sviluppo locale.

    Ciò rende possibile concretamente il superamento di una visione unidimensionale, esclusivamente economica, dello sviluppo, per la attivazione del quale diventa rilevante, a volte decisivo, il ruolo svolto dalle istituzioni formative, dalle strutture e infrastrutture della informazione e della comunicazione (oggi fortemente mediata dalla ICT); ciò rende inoltre accessibili le azioni per lo sviluppo locale da parte di altri portatori di interesse non esclusivamente economici, ma sempre comunque con un impatto sociale ed economico positivo nei confronti delle comunità.

    In particolare, diventano progressivamente riconoscibili la presenza e la consistenza delle organizzazioni a finalità non profit (o di terzo settore), che in alcuni casi – come quello del Welfare locale o di comunità - contribuiscono a rafforzare, spesso a qualificare, l’insieme delle risposte istituzionali, professionali e sociali che si danno ai bisogni, non sempre esplicitamente espressi, delle comunità.

    Quindi, la rinnovata centralità dello sviluppo non meramente incentrato sui fattori economico-industriali oggetto della programmazione istituzionale (dallo Stato alle Regioni), consente di andar oltre i modelli affermati e riconosciuti di uno sviluppo che, se ha coinvolto le imprese e le strutture creditizie e finanziarie, spesso ha manifestato esplicite contraddizioni con i criteri di sostenibilità ambientale e di tutela del benessere delle persone e delle comunità.

    Perciò, il networking tra istituzioni, imprese e attori sociali nella vita delle comunità e dei territori è un fattore di innovazione necessario, da affermare e diffondere, con l’obiettivo di superare visioni individualistiche e isolazionistiche da parte di tutti i partner che possono attivare e sviluppare processi di cambiamento nella crescita del valore del reddito e nella responsabilità sociale della comunità.

    Tuttavia, il fare rete tra le diverse entità sopra richiamate non ha evitato che si venissero a riprodurre percorsi e processi decisionali e organizzativi nell’ambito dei quali le istituzioni locali, mediate dalla rappresentazione politica degli interessi e delle parti, hanno di fatto riprodotto i criteri della programmazione del passato. Nel costruire le prassi delle reti di cooperazione e di decisione tendono a riprodursi i condizionamenti già presenti con effetti limitativi consistenti nel passato.

    Perciò, secondo la nostra impostazione, occorre che alla ritessitura di reti istituzionali, imprenditoriali e sociali nei territori integrati nei nuovi assetti post provinciali, si accompagni un attivo e diffuso processo di clustering, di costruzione di grappoli di imprese e di organizzazioni sociali di terzo settore che siano in grado di dare il massimo valore ai fattori imprenditoriali e sociali presenti nei territori e nelle comunità.

    I processi di clustering divengono, di conseguenza, secondo la nostra ipotesi, le espressioni più significative ed al tempo stesso si propongono come i fattori di empowerment più coinvolgenti della innovazione; nei processi di sviluppo infatti non intervengono corpi separati e specializzati di imprese, ma istituzioni integrate e strutture di servizio anche provenienti anche dall’esterno.

    L’innovazione introdotta dai cluster è rappresentata, quindi, dal fatto che nel disegno dello sviluppo dei territori e delle comunità intervengono attori economici e sociali che agiscono in maniera coordinata ed integrata, valorizzando i diversi fattori presenti ed accessibili nella dinamica delle comunità.

    Perciò, dopo i distretti industriali, si parla di distretti creativi, distretti culturali, distretti della conoscenza, distretti del gusto, villaggi produttivi, meta distretti.

    L’andare oltre … i distretti industriali, nella loro manifestazione concreta nei territori, non implica di certo la loro negazione e il misconoscimento dei benefici apportati ai livelli di reddito delle comunità ed ai trend della innovazione nella tecnologia e nel marketing delle imprese, ma afferma piuttosto la necessità, sempre più impellente, di procedere a diversi clustering di imprese e di organizzazioni sociali, operanti nei campi più diversi: dalla formazione alla comunicazione, alla ricerca.

    A partire dalle soluzioni diverse ed innovative del clustering si rende possibile, quindi, la costruzione di partnership attive e condivise, interessate a perseguire nuovi e diversi obiettivi di uno sviluppo, inteso non solo come crescita di quantità, ma di cambiamenti di qualità.

    In questa direzione, dovrà muoversi ora la ricerca, che si focalizzerà non di per sé sulla crescita economica delle imprese, ma sui processi di innovazione ormai in atto in diversi contesti territoriali, anche in ambito europeo; questi, a partire dal campo della ricerca scientifica e tecnologica, coinvolgono le istituzioni e le sedi della media ed alta formazione, nonché le molteplici espressioni e dimensioni della comunicazione mediatica, che ha dato un volto ed una metodica del tutto diversa al marketing e, quindi, alle imprese impegnate in tale settore.

    Dai percorsi disegnati dai processi di innovazione in atto, spesso ancora taciti e impliciti nel ridisegno dello sviluppo locale, è possibile individuare potenzialità inedite di riconoscimento e valorizzazione di tutte le risorse – da quelle simboliche a quelle strutturali – che generano Welfare e Well-being per le comunità.

    Distretti industriali: è veramente possibile una loro valutazione economica?

    DI FABRIZIO ANTOLINI

    I distretti industriali

    Con l’espressione distretto industriale si vuole indicare – in una prospettiva economica – un insieme di più imprese di piccole e medie dimensioni (PMI), specializzate nella produzione di una tipologia di prodotto e territorialmente concentrate.

    La loro prossimità territoriale, unitamente ad un condiviso ambiente socioculturale, ha favorito la integrazione orizzontale e verticale delle rispettive produzioni; si è dato origine, così, in molti casi, alla nascita di filiere di produzione che hanno come conseguenza principale una riduzione dei costi che non sarebbe stato possibile conseguire neanche se le imprese fossero di grande dimensione. Il distretto industriale si caratterizza, quindi, per tre aspetti:

    la localizzazione territoriale delle imprese;

    la specializzazione produttiva e l’esistenza di una filiera di produzione;

    un ambiente culturale nel quale gli operatori economici (imprese e lavoratori) si riconoscono.

    Vi è, però, anche una definizione giuridica di distretto industriale; infatti, sono tali le aree territoriali locali caratterizzate da un’elevata concentrazione di piccole imprese, con particolare riferimento al rapporto tra la presenza delle imprese e la popolazione residente, nonché alla specializzazione produttiva delle stesse¹.

    Entrambe le definizioni rendono ragione della complessità del fenomeno distrettuale nel quale l’esistenza di rapporti e di relazioni si uniscono ad un modello organizzativo che ha significato per l’Italia la propria via alla crescita economica.

    Per quanto riguarda l’individuazione dell’area distrettuale, intesa come area omogenea o funzionale², essa si ottiene seguendo le quattro fasi di seguito riportate:

    individuazione dei SLL prevalentemente manifatturieri;

    individuazione dei SLL prevalentemente manifatturieri di piccola-media impresa³;

    individuazione dell’industria principale dei SLL prevalentemente manifatturieri di piccola-media impresa;

    individuazione dei distretti industriali⁴.

    Va da sé che, al mutare dei criteri (le soglie) utilizzati, cambiano le partizioni individuate e ciò ovviamente incide sulla rappresentazione spaziale di un fenomeno che non ha un equivalente territorio amministrativo di riferimento.

    Durante gli anni Settanta, viene abbandonata l’idea – per la vulnerabilità dimostrata nei confronti delle tensioni culturali, politiche ed economiche di quel periodo – che la grande impresa rappresenti il miglior modello organizzativo produttivo. Segue, quindi una fase di sviluppo nella quale il ruolo della piccola e media impresa si rivela importante.

    A partire dal decennio successivo, in molte regioni del Nord-Est e del Centro, si evidenzia, relativamente alle PMI, una industrializzazione che, prevalentemente manifatturiera, si organizza in sistemi territoriali. Si è finito, così, con il costituire un tessuto produttivo dinamico, di tipo cooperativo con una precisa vocazione produttiva (specializzazione produttiva).

    Il distretto industriale è stato, quindi, anche definito come un network produttivo, che si alimenta di uno stato diffuso di conoscenza e di istituzioni ancillari, divenendo esso stesso una catena produttiva a valore aggiunto (OECD Focus Group, 1999)⁵. Nel nuovo scenario globalizzato della Net Economy, però, il distretto può perdere il carattere localizzativo geografico per evolvere verso sistemi industriali dove, sfruttando le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie informative e della comunicazione (Ict), possano trasformarsi in networks produttivi o reti di imprese virtuali.

    Per tracciare l’evoluzione dei distretti industriali, sarebbe però opportuno avere informazioni quantitative che non sempre la statistica ufficiale può garantire dovendo la stessa rilasciare informazioni di qualità e rispettose delle metodologie condivise a livello internazionale. Dal punto di vista economico, qualunque operatore economico –considerato individualmente oppure territorialmente aggregato – può risultare competitivo in un sistema economico globalizzato se è in grado di esprimere, creatività e flessibilità. Queste caratteristiche sono tipiche dei distretti industriali [Antolini F., Boccella N., 2006]⁶ per il tessuto produttivo che li anima che, come più volte illustrato, risulta costituito prevalentemente da PMI.

    La stessa analisi dell’area produttiva distrettuale potrebbe seguire approcci molto diversi; ad esempio, resource based evolutivo, se si vogliono studiare i mutamenti che si sono rilevati nei processi interni e nelle routine organizzative a livello aziendale, alla ricerca di nuove dinamiche di produzione; oppure è possibile svolgere un’analisi differente, volta ad evidenziare l’interazione esistente tra le imprese ed il territorio, focalizzando l’attenzione sui fattori che rendono possibile la formazione di poli di concentrazione di piccola e media impresa aggiungendo, in questo caso, anche un’articolata analisi dei principali mercati di riferimento.

    Qualunque dei due approcci si preferisca, l’informazione statistica diviene un elemento irrinunciabile per la conoscenza degli insediamenti produttivi.

    I distretti industriali: quale valutazione è realmente possibile?

    La struttura socioeconomica

    A livello di indicatori, per ciascun distretto industriale, la statistica ufficiale ci permette di conoscere i comuni che ricadono al suo interno, l’industria principale, la superficie di delimitazione, il numero di abitazioni e famiglie interessate e, infine, il numero di unità locali con relativi addetti, anche con particolare riferimento al manifatturiero. Va da sé che le informazioni disponibili, necessariamente rispecchiano le fonti statistiche sulle quali gli stessi indicatori sono ottenuti che, nel caso specifico, sono il censimento demografico e quello economico.

    Le informazioni sono in questo caso di carattere strutturale e consentono di evidenziare i cambiamenti intervenuti nel corso del tempo.

    Tabella 1 - Distretti industriali per regione e ripartizione geografica

    CENSIMENTI 2001 E 1991

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