Guanti bianchi: Racconti dedicati a tutti i bilingui nell'anima
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Anteprima del libro
Guanti bianchi - Giovanna Pandolfelli
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Collana Sentieri
Guanti bianchi
di Giovanna Pandolfelli
Proprietà letteraria riservata
©2016 Edizioni DrawUp
Latina, Italia
Progetto editoriale: Edizioni DrawUp
Direttore editoriale: Alessandro Vizzino
Grafica di copertina: AGV per Edizioni DrawUp
I diritti di riproduzione e traduzione sono riservati.
Nessuna parte di questo eBook può essere utilizzata, riprodotta o diffusa, con qualsiasi mezzo, senza alcuna autorizzazione scritta.
I nomi delle persone e le vicende narrate non hanno alcun riferimento con la realtà.
ISBN 978-88-98980-70-3
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PREFAZIONE DELL’AUTRICE
La raccolta di racconti brevi che vi accingete a leggere è dedicata a tutti coloro che sono bilingui nell’anima. I racconti stessi hanno un’anima bilingue in quanto, se da un lato si servono del linguaggio narrativo come lingua dei sentimenti e delle emozioni, dall’altro le trame intendono portare alla luce vari aspetti legati al fenomeno stesso del bilinguismo.
Cos’è il bilinguismo?
Quando si parla di bilinguismo si intende la condizione individuale che permette di esprimersi in due o più lingue. La ricerca contemporanea predilige un approccio olistico che tiene relativamente conto del livello di conoscenza delle lingue, dando maggior rilievo ad aspetti quali i tempi di esposizione alle lingue e l’opportunità di interazione nelle stesse. La ricerca, anche grazie all’uso delle tecniche fornite dalla neuroimmagine sviluppatesi negli ultimi decenni, ha dimostrato i vantaggi cognitivi del bilinguismo che dipendono dai tempi di esposizione e dal loro uso nell’arco della vita, quindi strettamente legati all’età di acquisizione o apprendimento.
Nel primo caso, l’acquisizione è un processo involontario e inconsapevole che avviene prima dei tre anni di età (sull’età esatta non tutti sono d’accordo), mentre dopo questa fase subentra una sempre maggiore consapevolezza che ci porta a parlare di apprendimento, con regole e strutture da seguire. L’acquisizione prima dei tre anni garantisce un avvio ideale ad un bilinguismo bilanciato (ovvero un’equilibrata conoscenza delle lingue apprese in questa fase). Questo è ciò che comunemente si intende per bilinguismo, ovvero la somma di due monolingui in un’unica persona, ma non è esattamente così.
I racconti vogliono sottolineare che il bilinguismo, specie se si intende quello bilanciato, non è un fenomeno che si verifica automaticamente in seguito alla semplice esposizione alle lingue, seppure questa avvenga in fase precoce (prima dei tre anni).
Il bilinguismo non è un gioco
Esposizione e interazione sono i due fattori principali che permettono ad una persona, bambino o adulto, di acquisire la condizione di bilingue, precoce o tardivo, simultaneo (cioè apprendendo contemporaneamente due o più lingue in fase infantile) o consecutivo (prima una lingua e poi, una volta fissatene le basi, se ne introduce un’altra o altre).
Tuttavia, essendo la lingua una capacità cognitiva che evolve con la persona, a maggior ragione il bilinguismo richiede cura e attenzione in tutte le sue fasi evolutive. Ad esempio, se un bambino di cinque anni ha perfetta padronanza di due lingue in base agli standard corrispondenti alla sua età, non è detto che la manterrà dopo i sei anni, specie con l’inizio della scolarizzazione che potrebbe avvenire in una delle sue lingue o addirittura in un’ulteriore lingua. Senza entrare troppo nel dettaglio, basti dire che il bilinguismo va curato, coltivato, alimentato perché si mantenga un certo equilibrio linguistico.
Lingua come identità
La lingua non è soltanto un insieme di regole grammaticali e sintattiche, è molto di più: è un codice che permette la comunicazione tra persone appartenenti a uno stesso gruppo, identificandone la stessa appartenenza. In quanto tale, la lingua contiene norme sociali che regolano i rapporti tra i parlanti e queste possono differire da una lingua ad un’altra.
La lingua svolge un ruolo sociale, rappresenta un codice comportamentale e culturale cui aderiscono i suoi parlanti nativi.
Chi parla più lingue non necessariamente è in grado di aderire ai vari codici socioculturali ad esso soggiacenti. È questa la differenza tra bilinguismo e biculturalismo. Si pensi a un adulto che impara una lingua straniera: per quanto possa essere buona la sua padronanza, non è detto che conosca le formule di cortesia da utilizzare nelle diverse circostanze (come congratularsi per la nascita di un bambino o con un neolaureato? Come esprimere le condoglianze?)
Un bilingue precoce, tuttavia, a contatto sin dalla nascita con più lingue, più codici comportamentali, abitudini, tradizioni diverse, può avvicinarsi anche alla condizione di biculturalismo. Nei racconti è il caso più evidente in I bambini italiani sono più fortunati in cui i giovani protagonisti bilingui e biculturali oltre che binazionali, approfittano del vantaggio sui coetanei mononazionali e attingono a tutte le tradizioni che le loro due culture (nello specifico quella belga fiamminga e quella italiana) offrono loro.
Affrontano il biculturalismo anche i protagonisti di Giocattoli cinesi e di La figlia della coiffosa; tuttavia nel loro caso si tratta di una condizione imposta loro come conseguenza della migrazione, mentre si intuisce che i bambini del racconto precedentemente citato hanno una consapevolezza della propria identità che scaturisce da una precisa scelta dei genitori. La differenza svolge un ruolo fondamentale sulla motivazione all’apprendimento delle lingue e sul concetto di identità culturale individuale. Nei casi di migrazione i protagonisti fanno i conti con la propria cultura di origine, solitamente percepita dalla comunità ospitante come inferiore, causando un conflitto interiore con cui il migrante deve riconciliarsi per vivere con il proprio biculturalismo e bilinguismo serenamente.
In Samira d’Egitto l’incontro-scontro tra culture, tra progresso e tradizione è il pretesto per riflettere sul diritto dell’infanzia agli affetti e alla libertà di crescere serenamente in qualsiasi condizione sociale.
Il racconto Francesco liberamente ispirato alla vita di Francesco d’Assisi, ne mette in risalto l’educazione fortemente influenzata dalla cultura francese. Francesco diventa qui per noi un biculturale ante-litteram.
Nel caso in cui il biculturalismo sia frutto di un progetto familiare preciso, sta ai genitori creare una consapevolezza che renda i figli orgogliosi della loro appartenenza e li motivi a coltivare entrambe le lingue. Diverso è il caso del professore ne Il professore e la montagna che sembra aver rifiutato il biculturalismo impostogli da una situazione dolorosa legata al suo passato così come Gaia, la bambina senza parole, sperimenta un blocco linguistico in seguito ad un trauma. Nel suo caso, Gaia aveva ricevuto un’educazione bilingue con il metodo one person-one language (una persona-una lingua) in base al quale ciascun genitore parla con i figli una lingua (solitamente la propria madrelingua, ma non necessariamente).
Ciò crea un legame tra la persona e la lingua che la identifica.
Altro esempio del legame persona-lingua è la storia di Pepatina, tratto da un racconto di Luigi Pirandello, in cui né la bambina né il padre sentono lo stimolo a integrarsi nella famiglia e la loro lingua di comunicazione diventa espressione del loro legame ed elemento di esclusione degli altri.
Lo scrittore protagonista di Foglie (quasi) morte evidenzia come il bilinguismo possa dare vita a fenomeni di interferenze e di commutazione di codici (code - switching), specialmente se i livelli di conoscenza di entrambe le lingue grossomodo si equivalgono, oppure in periodi di intensa esposizione ad una lingua 2. Questo fenomeno è particolarmente diffuso tra interlocutori che conoscono le stesse lingue e sono quindi sicuri di capirsi anche mischiando le lingue; inoltre, è un’abitudine molto comune tra i bilingui, in età infantile. Il fenomeno è inconsapevole e si modifica poi con la crescita. In età adulta è invece consapevole e dipende dal contesto in cui ci si trova ad interagire. Nel racconto lo scrittore ha spinto la situazione all’estremo, ritrovandosi in una condizione in cui non è più in grado di esprimersi correttamente nella propria madrelingua.
Le lingue si dimenticano
Così come la padronanza della lingua può migliorare alimentata dall’uso e dall’esposizione, in determinate circostanze può regredire. Se si è studiata una lingua a scuola anche raggiungendo una discreta padronanza e si è poi smesso di utilizzarla per un certo periodo, si noterà come si perda la capacità di interagire con la stessa.
In questo notiamo come la nostra memoria procedurale svolga un ruolo predominante nella nostra vita sociale. Tuttavia va rilevato come lingue apprese in gioventù siano più radicate nella nostra memoria a lungo termine e quindi meno soggette a scomparire. La memoria individuale passa attraverso la nostra identità culturale e di conseguenza attraverso la lingua. Questo è il messaggio del personaggio di Rosa che ripercorre luoghi della sua memoria infantile mettendoli a confronto con le esperienze vissute lontano dai quei luoghi, ma imprescindibili per la propria identità.
Le lingue si dimenticano, dicevamo, e non solo quelle apprese come lingue straniere, ma anche la propria madrelingua, fenomeno che sperimenta con sgomento il protagonista di Foglie (quasi) morte. La pratica e l’esposizione costante prolungata negli anni di una lingua straniera può comportare un regresso nella lingua madre che va anch’essa coltivata e mantenuta in vita. Può accadere tuttavia anche l’inverso nei casi ad esempio di emigrazione in età più tarda, come nella storia della protagonista del racconto Nebbia crescente, recatasi già adulta all’estero e sebbene vi sia vissuta tutta la vita. La donna sente un bisogno quasi fisico di tornare alle origini. Lo sforzo compiuto sino a quel momento per vivere con abitudini, lingua, gente non sua comincia a venir meno e lei sembra rifiutarsi suo malgrado di perseguire quella strada. Nella sua mente riaffiora la lingua d’origine e quella appresa e prevalentemente usata negli ultimi decenni regredisce, segno che lei interpreta come il momento di tornare al paese d’origine.
Il bilinguismo dei sordi
Un capitolo a parte va invece dedicato a questa speciale forma di bilinguismo. Uso qui di proposito il termine sordo al posto di non udente o simili eufemismi, poiché nel corso delle mie ricerche su questo tema ho letto che le persone sorde preferiscono essere definite per quello che sono e non per quello di cui sono prive. Non so se ciò corrisponda a verità per tutti, ma personalmente ho apprezzato questa filosofia e l’ho fatta mia. Due racconti sono consacrati al particolare caso del bilinguismo dei sordi che imparano sia la lingua della comunità che quella dei segni.
Il bilinguismo è un diritto per i sordi che va difeso per permettere loro l’integrazione sia nella comunità di udenti a cui appartengono sia nella comunità dei sordi. Stessa condizione di bilinguismo è sperimentata dalle persone che vivono a contatto con i sordi, le quali parlano sia la lingua della comunità che quella dei segni per lo stesso motivo.
Particolarità di questo tipo di bilinguismo è la possibilità di usare entrambe le lingue conosciute, comunitaria e dei segni, contemporaneamente, grazie al fatto che l’una si serve dell’apparato fonatorio e l’altra delle mani, quindi in determinate occasioni l’una può venire in supporto dell’altra.
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