Il regno lontano: Origini e significa delle fiabe
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Anteprima del libro
Il regno lontano - Maria Antonietta Ricotti Sorrentino
Angela
INTRODUZIONE
Mi accingo ad affrontare questo breve lavoro con un intento preciso: la semplicità. Non pretendo infatti di presentare una trattazione completa o esauriente dell’argomento, ma solo di esporre in modo succinto e in tono discorsivo le principali interpretazioni della fiaba popolare: un argomento che, al di là della modesta apparenza, presenta implicanze culturali, storiche e psicologiche tutt’altro che modeste.
Quando mi capita di leggere qualche saggio su temi di vivo interesse che potrebbero essere sottoposti alla conoscenza di tutti, mi rammarico spesso per la loro specificità.
L’uso di un linguaggio da iniziati
, l’abuso di concetti che presuppongono precedenti conoscenze sull’argomento o un notevole bagaglio culturale, rendono spesso inaccessibile il discorso alla maggior parte dei pubblico e relegano la lettura del testo a quell’empireo di specialisti che possono pienamente comprenderlo.
Per questo penso che non sia del tutto inutile da parte mia questo tentativo di presentare un argomento di largo interesse, quale è quello delle fiabe, in un linguaggio semplice e con concetti lineari, augurandomi di non cadere inconsciamente nello stesso errore che poco fa rimproveravo ad altri.
Mi rendo conto del grosso rischio a cui mi espongo con tale proposito: quello del semplicismo e della interpretazione incompleta o impoverita dei concetti.
Ciò nonostante preferisco correre il rischio augurandomi che la facile lettura compensi le eventuali pecche del contenuto.
Convinta che le fiabe siano un nutrimento intellettuale per i bambini, sia sul piano estetico che sul piano psicologico, credo anche che siano un mezzo sempre valido per comunicare ai ragazzi quel senso di intima sicurezza che solo le cose perenni sanno dare.
È soprattutto un modo per avvicinarsi al loro mondo fantastico, alla loro vita interiore: un atteggiamento che una volta tanto ci rende attenti al loro modo
di essere, anziché al nostro modo
di vedere la loro formazione in conformità delle mutevoli teorie pedagogiche.
Nata dagli adulti e per gli adulti, la fiaba affonda le sue radici nel passato, vive di fermenti che sussistono intatti e profondi nelle pieghe nascoste della nostra personalità, ma solo ai bambini ormai è rimasto il dono magico di saper comprendere ciò che da tempo l’uomo moderno non sa più capire. Ed è alla loro fantasia che la fiaba sa ancora parlare.
Ho letto molte pubblicazioni ma verso alcuni autori ho un debito particolare: il materiale contenuto in questo libro è tratto soprattutto da Le radici storiche dei racconti di fate di V.J. Propp, Il mondo incantato di B. Bettelheim, Il linguaggio dimenticato di E. Fromm, Pollicino in famiglia di E. Bizzarri.
In questa seconda edizione mi sento di segnalare, come ulteriore approfondimento, il volume di Marina Zaoli Dalla fiaba al mito. Dal rito all’inconscio, recentemente pubblicato.
È alla lettura di queste opere che rimando chiunque voglia approfondire gli argomenti da me accennati.
LA FIABA OGGI
Parlare di fiabe al giorno d’oggi può sembrare uno strano anacronismo, eppure proprio in questi ultimi anni l’argomento ha acquistato una significativa attualità.
Dovunque, nel campo letterario, assistiamo ad una rivalutazione del genere fantasy
, sia nelle letture destinate agli adulti, sia nelle pubblicazioni per l’infanzia.
Dopo anni di letteratura impegnata, farcita di messaggi ideologici o di problematiche sociali, vediamo ora la diffusione di romanzi storici, avventurosi e sentimentali, il riaffermarsi di una letteratura di evasione che era stata relegata ad un posto di second’ordine e quasi dimenticata.
La produzione cinematografica è caduta addirittura nell’eccesso opposto, dando origine a una serie di film che mescolano la storia antica alla fantascienza, gli elementi mitologici o fiabeschi con le nuove possibilità suggerite dalla scienza e dalla tecnica, e usano i moderni strumenti dell’informatica per ottenere quegli effetti speciali
che tanto colpiscono la fantasia degli spettatori.
Ma tutto ciò non ha nulla a che fare con le fiabe, non solo perché esse hanno percorso un lungo itinerario storico e culturale ricco di significati, ma anche perché la fiaba non è nata per il cinema: la fiaba non deve essere rappresentata
ma deve essere immaginata
con la propria fantasia. Solo così può trasmettere il suo messaggio antico e assolvere il suo compito di tipo formativo e psicologico.
Tuttavia il fenomeno rivela la crescente esigenza di un genere fantastico e costituisce ormai un fatto di costume che sarebbe interessante studiare nei suoi risvolti psicologici e sociali.
Oggi si sente la necessità di evadere da una realtà abbastanza deludente, da un mondo fatto di problemi e di arida tecnologia, per rifugiarsi in una dimensione immaginaria in cui vengono recuperati i valori, si riaffermano i sentimenti, c’è spazio per il mistero e soprattutto c’è la soluzione consolatoria del bene che vince il male. Gli intellettuali e i sociologi avvertono il rischio del qualunquismo, della fuga dalla realtà, tuttavia molti psicologi rispondono che tale atteggiamento svolge solo una funzione di compensazione e contribuisce al mantenimento del nostro equilibrio interiore, fortemente compromesso dai problemi esterni.
Ma parlare di fantasia vuol dire parlare principalmente dei bambini, ed è soprattutto per loro che ho intrapreso questo breve studio sull’argomento.
Anche per i bambini l’impero delle mode traccia itinerari prefissati che troppo spesso dimenticano le reali esigenze e la vera natura del loro essere, trasformandoli ora in bambolotti senz’anima che non devono sapere e non devono intervenire nel nostro saggio mondo, ora in patetici piccoli adulti
che devono conoscere, ragionare, capire la nostra scienza esatta e le nostra piatta realtà con i suoi problemi. Così anche l’infanzia, questa unica età della vita in cui è permesso ascoltare se stessi, percepire i messaggi misteriosi delle cose, vivere sogni e sensazioni in una dimensione personalissima, crescere interiormente in un miracolo quotidiano di scoperte e di intuizioni, anche l’infanzia è stata strumentalizzata dal nostro consumismo, dalle nostre ideologie e dalle nostre convinzioni.
Ora, dopo anni di pubblicazioni scientifiche, di libri didattici, di novelle realistiche, ecco riaffacciarsi gli antichi volti amati e poetici dei personaggi da fiaba.
In epoche recenti le fiabe erano state contestate soprattutto per due motivi: si pensava che allontanare il bambino dalla realtà e portarlo in un mondo puramente fantastico fosse diseducativo; si pensava inoltre che i personaggi negativi delle favole (mostri, orchi, streghe), incutessero nei bambini dei terrori gravemente nocivi per il loro equilibrio psichico.
Studi piu recenti hanno completamente rovesciato queste affermazioni. Si è chiarito innanzitutto che il valore delle favole non è nel realismo di ciò che raccontano, ma è proprio nella loro irrealtà: permettono cioè quella libertà interiore, stimolano quella capacità di sognare e di creare che sono proprie del bambino e che, in una certa fase della sua formazione, sono addirittura una necessità. È bellissima, a questo proposito, una frase di Freud che, mettendo a confronto il bambino con l’adulto, parla di luminosa intelligenza del bambino
e di opacità mentale dell’adulto
: dove questa luminosa intelligenza è riferita propria a quella vitalità e ricchezza