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L'anello di farfalla
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E-book412 pagine3 ore

L'anello di farfalla

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Info su questo ebook

“Mi diverte sapere che le cose dette con la voce possono in realtà anche essere taciute con il corpo. Così come all’opposto possono essere amplificate e gridate da mani o ghigni. La logica è la stessa. In questa comunicazione che va e viene di continuo rimbalzando tra gli oggetti e le persone, diventa impossibile dare spazio alla menzogna, impensabile tacere realmente e del tutto.
Persino il silenzio diventa altro e si impadronisce di un suo privatissimo spazio.
Guardare diventa sinonimo di ascoltare.
Gustare assume lo stesso significato di annusare.
I sensi si mescolano e si intrecciano nell’unico intento di prestare attenzione, di comprendere, di accogliere e di spiegare.”

Il libro raccoglie cinque racconti con personaggi e ambientazioni diverse l’una dall’altra, ma legate fra loro da un duplice filo. Udito, Vista, Tatto, Gusto, Olfatto, sono i titoli delle cinque storie narrate: i cinque sensi si intersecano con i momenti e gli stati d’animo di ogni singolo protagonista della storia raccontata.
LinguaItaliano
Data di uscita12 apr 2016
ISBN9788899091743
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    Anteprima del libro

    L'anello di farfalla - Simona Bergamini

    chiacchiere.

    Premessa

    Mi piace guardarti mentre le parole prendono forma e le idee mutano fino a diventare colori.

    Mi piace pensare che tu mi stia guardando mentre la voce attraversa lo spazio, l’aria e il buio, mentre le parole vagano fino a infrangersi nelle tue curiosità.

    Sarà un concetto vecchio e superato dalla tecnologia moderna, ma amo le risposte, anche e soprattutto quelle del corpo. Solo da qui può nascere una sintonia e un’empatia sincera tra chi ascolta e chi comunica. Del resto questo è un qualche cosa che mi è stato insegnato di continuo; lo so da sempre, ma da brava testarda, in passato, non ci ho mai creduto. Ho pensato che le parole, scritte o pronunciate, fossero l’unico mezzo espressivo possibile.

    Ho sempre sbagliato.

    Ora sorrido e mi compiaccio nel giocare con le regole della comunicazione.

    Mi diverte sapere che le cose dette con la voce possono in realtà anche essere taciute con il corpo. Così come all’opposto possono essere amplificate e gridate da mani o ghigni. La logica è la stessa. In questa comunicazione che va e viene di continuo rimbalzando fra gli oggetti e le persone, diventa impossibile dare spazio alla menzogna, impensabile tacere realmente e del tutto.

    Persino il silenzio diventa altro e si impadronisce di un suo privatissimo spazio.

    Guardare, diventa sinonimo di ascoltare.

    Gustare assume lo stesso significato di annusare.

    I sensi si mescolano e si intrecciano nell’unico intento di prestare attenzione, di comprendere, accogliere e di spiegare. A doverlo descrivere scegliendo le parole più appropriate, sembra essere un fenomeno molto contorto e difficoltoso da approfondire, quasi un artifizio pesante da gestire soprattutto a livello mentale, mentre nella quotidianità, anche all’insaputa dei più, accade tutto in pochissimi istanti, con una leggerezza e una semplicità che diventa stupore.

    Inoltre, inutile negarlo, il buio trasforma le cose a suo modo, a causa dell’assenza del colore che caratterizza forme e superfici. L’assenza di luce amplifica o annienta sempre in modo assoluto.

    Chissà come ti possono apparire ora queste mie parole.

    Aspetta.

    Aspetta, non trovo l’interruttore.

    Tutto è fermo, attutito e racchiuso in un attimo di silenzio, anche se la voce e le parole non smettono di fluire. Gli occhi si abituano tornando nuovamente dal buoi alla luce e le pupille si ritraggono in un baleno, fino ad essere come piccolissimi spilli appuntiti.

    Il respiro si assesta dopo aver fatto due rampe di scale continuando a chiacchierare ininterrottamente.

    Loro due stanno bene quando sono insieme, anche se ultimamente si vedono più di rado rispetto a qualche anno fa.

    Una sembra succhiare dall’altra la giovinezza, la voglia di libertà, la frivolezza.

    Al contrario l’altra è attratta dal rigore calmo e pacato trasmesso dall’esperienza, da una sana e rispettosa ottemperanza di tutte le regole, da un saper guardare all’oggi in modo distaccato e disincantato di chi ha vissuto già molto di più di quanto le sia rimasto da vivere.

    Il domani sarà semplicemente gestito e occupato da qualcun altro al quale, proprio perché giovane ed esuberante, bisogna portare rispetto consegnando con dignità le proprie chiavi.

    Un clic si impone nel silenzio e una luce improvvisa irrompe nell’ingresso di una casa ampia e che profuma di fresco e di pulito. Una casa ordinata e dai colori sobri.

    Ecco, finalmente un po’ di luce…

    Grazie per aver fatto due passi insieme a me, era da tempo che non uscivo.

    Cosa stavamo dicendo prima di varcare la soglia di casa e essere immerse nel buio del mio ingresso…

    Accidenti!

    Mi capita spesso di cambiare argomento e di fare un po’ di confusione. Porta pazienza.

    Ah sì… Parlavamo dei gioielli visti nel negozio qui sotto. Ora ricordo.

    Il bello dei gioielli è che durano nel tempo loro e le loro storie.

    Descrivono momenti, contesti, mode, affetti, caratteristiche della personalità di chi li acquista, di chi li disegna, di chi li regala e di chi li indossa.

    Narrano di persone, fatti e sentimenti.

    Così come sanno fare i vestiti.

    No. Molto di più. Molto più in profondità.

    L’abbigliamento nasce da un bisogno, quasi un bisogno primario: scaldarsi quando il gelo pungente ferisce la pelle e gli arti, non farsi scottare dal fuoco del sole, fare in modo che la nostra cute e tutto il nostro prezioso organismo sia protetto da ciò che può ledere o danneggiare. Il vestiario ha lo stesso identico scopo dei peli e dei piumaggi che ricoprono gli animali.

    Poi, nel tempo, è diventato altro.

    Ma rimane pur sempre prevalente la funzionalità e l’utilità di tutto: d’inverno le giacche son pesanti e imbottite mentre d’estate ci si scopre fino a quando il pudore lo consente, fino a indossare i costumi da bagno.

    Tutto molto semplice.

    Tutto si ripete con lo scorrere del tempo e delle stagioni, un calendario dopo l’altro. Anche perché il corpo umano è sempre il medesimo, per cui si possono cambiare i tessuti e i colori ma poi, o stringi sopra e allarghi sotto, o tagli e cuci facendo l’esatto contrario, la conclusione è che non riesci sempre a inventare cose nuove e tanto diverse da ciò che hanno indossato le generazioni precedenti.

    In più c’è tutto il discorso, di ciò che può essere prodotto in serie: l’industrializzazione.

    Oggi un vestito si acquista anche con molta velocità. Con spensieratezza. Spesso rispecchia la persona che lo indossa, certamente nei colori, nell’essere più o meno attillato, oppure ancora nella lunghezza, nella sobrietà o all’opposto nella vivace e spesso smisurata

    stravaganza.

    Ma è un qualche cosa che comunque si usura, lacera, strappa, logora, rovina, teme l’avvicendarsi delle stagioni e lo scorrere del tempo. Molti di questi capi si gettano via con la stessa superficialità con la quale sono stati acquistati.

    Il gioiello è altro.

    Non mi dilungo rispetto a quelli in acciaio o in gomma fatti per essere venduti a poco prezzo.

    Mi riferisco a preziosità uniche in bellezza e valore.

    Il gioiello adorna; abbellisce.

    Impreziosisce il corpo, il viso e l’anima. Altro anche per il valore intrinseco che ha in sé il metallo utilizzato.

    Per la pazienza e l’arte impiegata nel realizzarlo, per la cura, la precisione e per la scelta delle pietre preziose. Da come esse vengono tagliate, dai colori intensi e scintillanti che racchiudono.

    Legati alla storia e alle civiltà, alle guerre o ai saccheggi.

    Refurtive ambiziose o testimonianza di imperi illustri, illuminati o sanguinolenti. Nascono dalla passione focosa che solo l’amore per il bello può accendere: nascono da occhi che sanno osservare e mani che sanno danzare.

    Professionalità e lavorazioni che da tanto antiche scavalcano il tempo fino a rimanere del tutto attuali e moderne.

    Ma anche i gioielli sbocciano da un bisogno;

    un bisogno sociale.

    Gli ornamenti, i copricapo, e soprattutto i colori

    di questi oggetti definiscono e rimandano al gruppo,

    allo status, al ruolo che ciascuno ha, rispetto ai propri simili.

    Un semaforo accesso per dire agli altri chi sei tu e come loro si devono, o possono, comportare nei tuoi confronti.

    Fin dall’antichità accade che il capo, colui che comanda, è reso, all’interno di un gruppo, riconoscibile nel modo più immediato e indiscusso. Così come son ben noti i colori che definiscono e accompagnano più o meno lunghi periodi di carestie, di glorie e di prosperità, di guerre o di paura.

    È un discorso lungo.

    È un discorso impegnativo e accattivante.

    Ci prepariamo un caffè.

    Ti va?

    Oltre ad accendere la luce, con movimenti lenti ma coordinati, Anna lascia l’ingresso e attraversa l’ampia sala. Cammina lentamente e fa strada fino ad arrivare in camera, senza aver bisogno di guardarsi attorno.

    Apre prima le tende e poi entrambe le tapparelle delle finestre. Le fa segno di sedersi, mentre lei si allontana per pochi minuti soltanto, il tempo di preparare e mettere sul fornello una moka di caffè al ginseng, qualcuno le ha raccontato che ha meno caffeina e che dà anche energia, è stato facile e piacevole crederci, inoltre una volta gustato, il sapore non ha deluso le aspettative.

    Il lampadario in cristallo bianco e opaco torna a spegnersi, la luce delle finestre è certamente più che sufficiente, mentre le pupille, in gran rapidità, tornano ad adattarsi all’ambiente circostante.

    Si illuminano gli sguardi così come le pareti bianche sulle quali si stagliano e spiccano i due corpi di donna.

    I gesti e i sorrisi riempiono e scaldano lo spazio ben distribuito e non troppo ricolmo di oggetti e colori.

    È bello continuare a chiacchierare di fronte a una bevanda bollente, lasciando che lo scorrere del tempo si trascini via le parole e le sciolga in un ascolto attento come fossero zollette di zucchero.

    Il caffè oggi versato nelle consuete tazzine bianche che Anna utilizza da sempre, viene però portato e sorseggiato in camera da letto, non in cucina, né tantomeno in sala.

    La zuccheriera in argento sempre ben pulita e lucidata è poggiata sul comò.

    Le era stata regalata da sua madre quando si era sposata, ormai diverse manciate di anni fa. Accompagna i suoi gesti da una vita intera. Sia che abbia di fianco le solite amiche con le quali scambia le chiacchiere del fine settimana, sia che abbia di fronte l’ospite più importante da ricevere e servire con rigorosa formalità, da sempre Anna si serve di quell’oggetto. Inoltre, a prescindere dalle persone presenti, lei versa per sé il primo sorso, il più leggero, così da lasciare la parte più buona di quella bevanda nera, alla persona servita dopo di lei. Porge i cucchiaini solamente in un secondo momento indicando di lì a poco anche la zuccheriera alla quale toglie il coperchio con grazie e delicatezza.

    Anna poi sorseggia il suo caffè ancora amaro.

    Il rituale è sempre il medesimo.

    Lei ha diversi servizi da caffè tutti in ceramica o porcellana, ma usa sempre lo stesso.

    Le tazzine, decorate con riccioli sul manico sottile e sui piattini, sono eleganti e raffinate ancora oggi e non mostrano in alcun modo i segni del tempo.

    Nella stanza c’è una strana atmosfera che la finestra aperta non riesce a diluire, tantomeno a disperdere, mentre le tende di lino dalla trama grezza e ricamate tutte attorno, vengono mosse senza alcuna fatica dalle parole e dall’aria di una primavera ancora frizzante e non certo afosa.

    Aleggia leggera un’enorme voglia di narrazione e di intimità.

    L’aria appesantita della stanza rimasta chiusa probabilmente dalla sera precedente, pian piano si dirada e lo spazio per eventuali parole si fa ampio ed accogliente; comodo e ospitale anche per quei pensieri che solo a volte riescono a farsi spazio fra le labbra per poi essere condivisi come piccoli e misteriosi segreti.

    Quando due donne parlano senza vincoli di tempo, ma con l’unica intenzione di coccolare e nutrire il puro piacere di entrambe di stare insieme, hanno bisogno di spazio.

    La camera da letto di Anna solitamente è chiusa.

    Lei la considera un qualche cosa di profondamente intimo e privato: un angolo della sua esistenza: della vita.

    È la camera sua e di suo marito.

    Lì ci sono le lenzuola e le federe nelle quali hanno dormito e dormono ogni notte.

    Ci sono le stoffe che accarezzano i loro pensieri più profondi: le paure, le preoccupazioni, i sogni e le piccole soddisfazioni taciute. Pensieri custoditi con gelosia e disincanto, ma anche quelli che possono essere vissuti solamente al buio quando si è sostanzialmente da soli e sprofondati in un silenzio privo di contesto.

    Altre persone perché mai dovrebbero entrare lì?

    Nella parete bianca di fronte al letto primeggiano due quadri a olio che Anna ama in modo particolare. Li ha voluti e acquistati durante un viaggio piacevole nel quale, lei e suo marito, si erano lustrati gli occhi e i sensi in una Istanbul variopinta, musicale e vivace, dai sapori forti e dagli odori intensi. Due quadri dipinti con tinte calde e legate alla terra e alla sabbia. Le tele sono ancora oggi racchiuse e delimitate da una lineare e sottile cornice scura.

    Ogni sera, e questo accade ormai tutte le sere, prima di addormentarsi lei si perde fra quelle pennellate apparentemente date con foga e velocità. Plasmate da una mano energica, che certamente aveva ben chiaro cosa e come dipingerlo. Sono anni ormai che Anna e suo marito ritrovano quelle tele nel medesimo posto al loro risveglio: finestre accanto ad altre finestre, allineate nella medesima parete. Le prime si aprono all’anima, ai ricordi e ai sentimenti, le seconde danno su di un piccolo cortile che circonda tutt’attorno gran parte della casa.

    Un cortile animato da minuscole piantine, tutte differenti fra loro. Alcune ricolme di fiorellini, altre caratterizzate da differenti profumi. Un solo albero di mimosa primeggia in altezza, quasi al centro di quel particolare angolo formato da miriadi di verdi differenti.

    Sembra essere tutto ben in armonia. Il buon gusto di Anna predomina dentro e fuori quella stanza: un gusto mai esagerato o pesante, a volte scontato forse e quasi prevedibile nella sua linearità, ma che si lascia ammirare sottovoce e con un sorriso.

    A guardarla bene, è difficile poter dare un’età ad Anna.

    Nonostante le rughe e le macchie scure sul dorso delle mani, il viso dall’aspetto sereno e cordiale la fa sembrare molto meno anziana di quello che è: austera forse, ma non certo vecchia.

    Si vede che ama gli oggetti con i quali ha riempito la casa sì, perché sono ben tenuti e ben disposti. Sono ammirati e spesso accarezzati, a volte spostati ma sempre per ricercare la posizione più idonea a valorizzarli al meglio; sono considerati parte di un’esistenza. A volte anche i manufatti più piccoli, sono destinati ad assumere una particolare connotazione all’interno non solo delle abitazioni, ma anche delle vite delle persone che li hanno voluti o semplicemente custoditi.

    Con il passare del tempo ci si rende conto che ci sono cose che non si vorrebbero mai cambiare né tantomeno si vorrebbero condividere. Ci sono cose che sembrano essere rivestite da una sorta di morbosa gelosia, perché sanno racchiudere emozioni che esistono solamente in chi ha saputo impregnarle proprio di un particolare valore. Si è consapevoli del fatto che sono privi di vita e per il resto del mondo resterebbero un qualche cosa di avulso dal sentire e dal provare, ma è una consapevolezza fugace.

    Eppure questo a volte accade.

    Non sempre.

    Oggi, nella camera di Anna è accaduto qualche cosa di diverso, anzi di opposto a ciò che è la consuetudine di quella casa e della donna che la abita.

    Sono state spalancate le finestre, ma non solo.

    Di fronte a un colloquiare intimo e di un tempo misto, impastato fra passato e futuro, si sono aperte porte e cassetti con maliziosa femminilità e complicità.

    Oggi è un pomeriggio così.

    Sulla stoffa color rosa cipria del letto matrimoniale Anna ha appoggiato due oggetti: due cofanetti.

    Uno blu scuro.

    Rettangolare.

    Forse in pelle. O forse, più semplicemente in finta pelle, visto che non emana alcun odore se non di chiuso. Una volta, tanto tempo fa, era un carillon. Ora è rotto e non è più in grado di produrre alcuna nota. Ha ancora sul retro una chiave di metallo che non gira più né in un verso, né nell’altro.

    La musica.

    Una volta attivato, la musica emessa sarebbe stata certamente, ci si potrebbe scommettere, un valzer di Tchaikovsky.

    Dolce, romantico, una melodia al di sopra di ogni stagione e di ogni calendario.

    Sì, il bellissimo motivo ad esempio de Lo schiaccianoci.

    Quel valzer immancabilmente tenero che dovrebbe essere ballato perdendosi nel sorriso di un cavaliere dal portamento accattivante e sicuro, facendo frusciare un abito lungo e largo nelle sue infinite arricciature e pieghe.

    Perché no.

    Nessuna banalità, ma semplicemente note che tutti hanno nel cuore se le hanno ascoltate almeno una volta. Musicalità che sfiora e accarezza le palpebre fino a farti chiudere gli occhi ormai resi sognanti e che lascia cadere indietro la testa leggera, del tutto priva di pensieri e preoccupazioni.

    Musica che conosci e apprezzi anche se dici di non amarla e alla quale preferisci melodie più aggressive e corpulente.

    Anna in realtà ama da sempre Al chiaro di luna di Beethoven, ma non ha mai trovato un carillon che la contenesse e sapesse emanarne il fascino e la dolcezza. Un piccolo desiderio mai svelato a nessuno: un segreto intimo e intenso.

    Quella scatolina blu è da tempo invece che non suona più e nessuno ricorda quali accordi sapeva proporre, così da allora è stata rinchiusa in un cassetto senza più essere esposta alla luce del sole, ma di certo non gettata.

    Uno dei due lati più lunghi, ha due bottoni a pressione un po’ scoloriti dal tempo e dalle dite che chissà quante volte hanno premuto su di loro; non chiudono più bene, bisogna spingere con forza e stare attenti che siano ben allineati affinché si senta il clic finale.

    Un cofanetto invece è bordeaux.

    Sicuramente in pelle, il profumo è inconfondibile, non ci si può sbagliare.

    Quadrato.

    Un unico bottone, e anche questo difettoso; a volte funziona, a volte no.

    Poi due, anzi no, tre scatoline lasciate libere di vagare nel

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