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Epidemic Egonomic
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E-book139 pagine1 ora

Epidemic Egonomic

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Info su questo ebook

È l’agosto 2013. Nei quasi tre anni da che è stato creato in Corea del Nord, il prione noto come Morbo di Lee-Chang si è diffuso in ogni angolo del globo. Ora il mondo è sotto assedio da parte dei Gialli, gli uomini e donne infettati dal prione, che li ha resi cannibali perennemente affamati e aggressivi.
Una donna senza nome inizia a tenere un diario virtuale, in parte su PC e in parte su un blog, in cui continuerà a registrare la propria sopravvivenza in un angolo di provincia italiana, tra contatti con altri blogger, pessimi incontri, ricordi e musica, unico punto fermo quando il mondo le impazzisce attorno.
Epidemic Egonomic è nato dal contributo di Marina Belli al progetto di scrittura collettiva Survival Blog, svoltosi online dal 26 Novembre 2010 al 5 Febbraio 2011. Questa è la versione ampliata e arricchita di quell’esperimento di narrativa on-line, a cui si aggiunge un’appendice sulla Pandemia Gialla a cura di Alessandro Girola, creatore dello scenario del Survival Blog.

“Mi mancano quattro cose.
L’odore di casa: olio lubrificante, sudore, fumo di legna, rosmarino e lavanda.
Il cineforum una volta al mese, a mezzogiorno, per avere più elettricità da scialacquare.
Il Chimico che mi rasa la testa col taglia-capelli, col pollice sinistro che fa pelo e contropelo a controllare l’uniformità del taglio.
Il Chimico.
Quel che c’è stato prima è una leggenda metropolitana.”

LinguaItaliano
Data di uscita9 mag 2016
ISBN9781311383587
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    Anteprima del libro

    Epidemic Egonomic - Marina Belli

    Premessa

    Il seguente documento è la trascrizione di un file .doc [1] intitolato Epidemic – Egonomic, unico file contenuto nella chiavetta USB ritrovata seguendo le indicazioni di una dei blogger rimasti attivi durante la Pandemia Gialla.

    Le sole modifiche al testo consistono nell'aggiunta di note esplicative.

    Tenente Marco Brustia

    Stagnali, 10 aprile 2016

    Funeral Intro

    24 agosto 2013

    Per il mio trentesimo compleanno, invece di torta e regali, ho ricevuto fiori e condoglianze. E un’urna cineraria. C’è dentro mia madre.

    Era partita a inizio mese, per andare da una delle sue sorelle, nel Canton Grigioni. Non è mai arrivata.

    La sua macchina è stata trovata dalla Kantonpolizei nel parcheggio di un’area di servizio sulla strada per Coira. Per terra c’erano il cellulare in pezzi e macchie di sangue. La borsetta era finita sotto l’auto.

    Tracce materiali riconducibili alla scomparsa sono state rinvenute in un bosco, vicino al rifugio di un contagiato all’ultimo stadio da Prione di Lee-Chang. Il malato ha assalito uno dei poliziotti prima che lo ammazzassero.

    Le tracce materiali stavano in una scatola grossa come una vaschetta del gelato. Dopo le analisi e l’identificazione tramite il DNA, hanno cremato quel poco che c’era. Rischio biologico.

    Il funerale è stato strano. Tutta la famiglia riunita per una cosa così. I nonni piangevano a dirotto. Ogni tanto la zia imprecava in tedesco. Parole vuote del prete su mia madre e mio padre che si ritrovavano. L’orrida urna dorata. Quelli delle pompe funebri, amici di mia madre, si sono sentiti in dovere di farmi uno sconto.

    Il mondo sta impazzendo e io ho una nuova tomba da visitare.

    Buon compleanno a me.

    Colonna sonora: Adagio in Sol minore [2]

    Soul Courageous

    22 luglio 2014

    Novara è peggiorata da come me la ricordavo. Sant’Agabio più di tutto il resto. Il quartiere aveva un’atmosfera particolare già prima della Pandemia, con le vetrine con scritte in arabo, gli uomini in caftano, le donne velate, i sari, le carnagioni di ogni colore, le voci incomprensibili.

    A marzo hanno chiuso una sezione di quartiere con muri di prefabbricato per farne un ghetto per potenziali contagiati e ora Sant’Agabio fa paura.

    Io avrei voluto andare via da Novara: appurato che qui non c’erano posti davvero sicuri e che tornare a Galliate era inutile, l’unica opzione sensata era spostarci altrove. Quantomeno non fermarci in questa merdosa villetta color vomito lungo Corso Milano. Non solo è brutta e sta di fronte al ghetto, è pure in pessime condizioni, hanno addirittura strappato lo sportello del frigo.

    Cristian, però, ha chiesto una votazione democratica. Lui, Arianna, Marika e Matteo hanno votato a favore; io e Luigi contro. Viva la democrazia.

    Siamo rimasti qui.

    Ora Matteo è stato preso dai Gialli.

    Non so quando sia uscito. Ultimamente era così silenzioso da farsi dimenticare. Ci siamo accorti della sua assenza all’improvviso, nel pomeriggio. Quando è arrivato il tramonto e ancora non era rientrato, siamo usciti a cercarlo, sperando di essere meno visibili ai Gialli.

    Abbiamo trovato per terra il suo cappellino e la pistola, che non aveva sparato. Una pozza di sangue. Un gran puzzo di piscio.

    Credo si sia fatto ammazzare.

    Giusto ieri aveva parlato un po’, ma solo per dire quelle cazzate sul farla finita, e quel coglione di Cristian a dargli corda, pensando che scherzasse. Luigi sbuffava, in un angolo, e si accarezzava la medaglietta di San Cristoforo. Marika diceva che dovevamo solo trovare altre provviste e un nuovo rifugio, e tutto si sarebbe sistemato. Arianna, invece, ripeteva che se siamo arrivati fin qui vuol dire che siamo combattenti, che non ci arrendiamo, e guardava fisso Cristian.

    La verità è che anche per arrendersi ci vuole coraggio. Io non ce l’ho.

    Colonna sonora: Soul Courageous [3]

    We’re in This Together

    29 luglio 2014

    Sono nel ghetto da tre giorni. Si sta rivelando meno peggio di quel che pensassi.

    Sono ospite di uno sciroccato testardo che per ora si è rivelato pericoloso solo per i Gialli.

    Il portatile si è rotto, ma per fortuna sulla chiavetta avevo una copia aggiornata di tutti i file importanti. Credo che questo sarà il primo e unico tentativo di accendere questo vecchio pc, e non solo perché il baraccone impolverato ci ha messo cinque minuti buoni per avviarsi.

    Il padrone di casa è fuori a cercare i miei bagagli. Dice che ne avrà per un paio d’ore. Io sono rintanata qui, sola con il caldo asfissiante, la caviglia gonfia, uno stereo, un po’ di musica. [4]

    E questo computer. Niente connessione a internet. Forse è meglio così.

    Fuori, versi di Gialli e occasionali spari in lontananza, qualche motore. Più che altro c’è silenzio.

    Il 23 Luigi è stato preso dai Gialli mentre cercavamo di recuperare del cibo dal retro di un bar. Ci ha dato il tempo di scappare.

    Quando siamo tornati alla villetta, Arianna è andata in bagno, piangeva. Pensavo fosse per la morte di suo cugino.

    Uno sparo in casa. Siamo corsi al bagno. Si era sparata in testa. Sul braccio aveva un morso fresco, sanguinante.

    Cristian si è chiuso in uno dei suoi rari momenti di mutismo e si è messo a spostare il corpo e ripulire. Marika ha fatto la cinica, dicendo che così c’era più cibo per noi, ma aveva gli occhi lucidi e si tormentava una ciocca di capelli. Erano migliori amiche dalle superiori.

    Ho aiutato a pulire le piastrelle, continuando a ripetermi che era ketchup, nient’altro che ketchup.

    Il peggio è che i razziatori erano già passati dal bar. Due morti in cambio di tre di lattine di funghi in scatola e un litro di aranciata.

    Arriva il 25, il decimo giorno nella villa: ora di levare le tende. Prima del tramonto Cristian va a controllare il fuoristrada, per essere sicuro che tutto sia in ordine per la partenza. Marika imbraccia il fucile e lo copre da una finestra del primo piano. Io mi aspetto il peggio, mi estraneo con la musica. So già che Marika inizierà a sparare e urlare quando i Gialli arriveranno a prendere Cristian. Non voglio sentire anche questa morte. Spero che sia una cosa breve.

    Conto tre canzoni senza spari o urla, poi Cristian rientra. Mi guarda con le labbra serrate. Marika sbarra la porta.

    Aspettiamo le quattro di mattina, nella speranza che i Gialli siano meno attivi per il fresco. Quantomeno che non ci circondino appena mettiamo il naso fuori dalla villetta. Sappiamo di essere ottimisti.

    Esco per prima e corro lungo Corso Milano in direzione del centro, verso il fuoristrada.

    Passi in corsa, tintinnio di metallo e grida gutturali. Mi volto. Una manciata di figure che corrono verso di me. Altri Gialli inseguono Cristian e Marika, che vanno verso la periferia della città.

    Sono fottuta.

    Guardo avanti. Una falce di luna illumina la strada, i lampioni spenti, le auto parcheggiate lungo un marciapiede, il muro di prefabbricato lungo l’altro. Continuo a correre verso il centro, con lo zaino che ondeggia sulla schiena e lo stomaco contratto. Mi guardo intorno cercando un riparo e mi ripeto che non devo fermarmi. Lo zaino pesa sempre più.

    Getto uno sguardo indietro: la luna fa brillare un Rolex grosso come un pugno, un cranio pelato lucido di sudore, un braccio ingioiellato, dita femminili cariche di anelli.

    Guardo di nuovo la strada. Marika urla. Ben le sta.

    I versi dei Gialli si fanno più vicini. Uno strattone allo zaino. Incespico, sbilanciata all'indietro. Spingo sulle gambe per avanzare, ma gli infetti sono attaccati allo zaino. È la fine.

    No. Mi divincolo. Uno spallaccio scivola giù fino all’incavo del gomito. Li sfilo entrambi, mi slancio per riprendere velocità.

    Non voglio morire.

    Dolore alla caviglia destra, perdo l'equilibrio. Cado in avanti e protendo le mani. Ginocchia e palmi guantati impattano sull'asfalto, sbatto la faccia sul braccio. Gli occhiali saltano via, mi mordo il labbro.

    Una raffica di arma automatica sopra di me.

    Mi spiaccico a terra, chiudo gli occhi, trattengo il respiro. Mi copro la testa con le mani e prego che il sangue degli infetti non mi raggiunga. Non voglio diventare Gialla. Non voglio morire.

    Gli spari si interrompono. Passi che si avvicinano di corsa, una seconda raffica. Mi fischiano le orecchie. Inspiro tra i denti la puzza soffocante di polvere e immondizia. Cessa il fuoco. Silenzio. Gli ematofagi sono morti.

    – Forza, tirati su, – sibila una voce d'uomo.

    Alzo la testa. Un tizio in anfibi, mimetica e passamontagna, con un fucile in spalla e un fucile automatico nella sinistra. Mi allunga la destra.

    Mi lascio aiutare ad alzarmi. Faccio fatica a stare in piedi, la caviglia non regge. Il tizio mi raccoglie gli occhiali. Corre dai Gialli e prende il mio zaino. Marika e Cristian devono essere morti.

    Mi metto lo zaino sulle spalle. Il tizio mi dà la doppietta, lui tiene l’automatica. Mi passa un braccio attorno alla vita e mi trascina quasi di peso fino a una scala di alluminio appoggiata contro il muro del ghetto, a venti passi

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