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L’amore nonviolento
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L’amore nonviolento
E-book121 pagine1 ora

L’amore nonviolento

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La parola amore deriva dal latino e, inizialmente, indicava un trasporto soprattutto fisico nei confronti di una persona. Successivamente, il concetto si è evoluto e ha preso tante sfumature diverse: dall’amore romantico a quello platonico fino all’amore carnale e passionale.
Nei suoi racconti, Carla Rosco analizza le relazioni sentimentali: la costruzione dei rapporti di coppia, i problemi in cui ci si può imbattere nel tentativo di renderle stabili e, infine, il disagio nel momento in cui si decide di interromperle. La nostra identità personale è molto legata al rapporto con gli altri, e i rapporti sentimentali hanno un ruolo fondamentale in questo senso: chi ha paura di mettere a nudo una parte di sé, di dipendere affettivamente dall’altro, di confondersi con l’altro, avrà difficoltà a entrare nella fase più matura della vita.
Purtroppo, troppo spesso, la cronaca ci racconta di amori violenti, finiti tragicamente, e di episodi di bullismo tra giovani ragazzi che, in molti casi, vengono denunciati quando la situazione ha già raggiunto livelli estremi. Esplorare senza preconcetti il tema dell’affettività, in modo da individuare una chiave differente per descrivere la femminilità, la sensualità, e la passionalità, gli impeti più profondi dell’uomo, è l’obiettivo della scrittrice.
LinguaItaliano
Data di uscita31 ott 2020
ISBN9788832927658
L’amore nonviolento

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    Anteprima del libro

    L’amore nonviolento - Carla Rosco

    pensiero.

    E se arriva Mercedes

    Rafael mi aveva parlato a voce molto bassa: si dondolava sulle gambe e mi guardava con occhi così sereni e grandi che mi ero imbarcata una settimana dopo per Ibiza, lasciando finalmente Barcellona.

    Non riuscivo a trovare la sua cascina. Le indicazioni mi erano sembrate così chiare lì su due piedi, nella piazzetta di Barcellona dove avevo incontrato di nuovo Rafael: dolce chioma lunga, fragile, inattendibile. Sentivo le sue parole caricarsi di ombra mentre mi parlava della bella casa in campagna, senza acqua e senza luce, pozzo e candele, del mare azzurro vivo, poi aveva abbassato ancora di più il tono della voce: Peccato! L’estate scorsa è stata una festa continua, ma quest’anno sono partiti quasi tutti. C’era un cantante fra di noi. Sono andati in giro per l’Europa. Ci sono io, mia sorella, un amico che abita in una casa vicina con una bambina, tutti senza soldi.

    La strada polverosa era deserta.

    Caldo. Dove cavolo saranno andati a finire, non si vede niente all’orizzonte. Maledetto approssimativo di un argentino e maledetta me con la complicità dei miei silenzi discreti, pigri.

    Caldo. Finalmente passa qualcuno a cui chiedere informazioni.

    Mi inerpico per un piccolo sentiero erboso, sperando di veder sbucare quanto prima non solo la casa, ma i suoi abitanti che non ho potuto avvisare prima per mancanza del telefono. Potrebbero essere spariti tutti.

    Ho una fiducia buona nelle persone, una fiducia che non passa, nonostante tutto. Stupisce perfino me, quando risorge da macerie, orrori, con una verginità più acuta. Fu così bello sperare la prima volta!

    Vedo spuntare un enorme cane bianco, nemmeno il beneficio del luogo comune: se abbaia non morde. Mi fermo, poggiando la valigia per terra con cautela. Poi ne vedo sbucare un altro, un lupo scuro che abbaia però, e anche l’altro ora. Riprendo la valigia mentre schizzano verso di me in caracollante discesa libera.

    Pelotas! Peròn! Tina! È Rafael che grida e mi saluta agitando le braccia. Mi corre incontro, mi abbraccia sventolando la sua folta chioma. Non c’è forza nelle sue mani, ma una presa tenace che mi accompagna fin dentro la cucina dove sono tutti seduti a pelare patate.

    Una ragazza italiana dispersa a Barcellona, dice con la tipica coazione argentina a non esporre mai una cosa in modo semplice e banale.

    Cecilia, mia sorella, Miguel, il vicino di casa, Mercedes e un angioletto, Rosita.

    Mio dio! Sono proprio depressi! Pelare patate è veramente la cosa che stanno facendo, fino all’ultima buccia. E intanto il mondo caschi che forse è meglio.

    Mi viene una voglia irresistibile di prendere un coltello e… pelare pelare.

    In cucina ci sono i cani, gatti tre, un arredamento essenziale e vi batte poco sole. Rafael è diventato silenzioso mentre scambio qualche informazione per l’inevitabile conoscenza reciproca, poi mi dice che dormirò a casa del vicino che ha una stanza in più e mi accompagna a vederla.

    Lo seguo su per le scale. Da che parte sei? Caro, caro Rafael.

    Non penso più, ho visto uno scarafaggio spiaccicato contro uno scalino, nero, orrido.

    Lui continua a salire, tenero culetto ben tornito: è un fanciullo? È un uomo? Non si concederà come ho sempre saputo a fior di pelle, ne farò qualche sogno delicato, sospeso.

    In cucina Miguel ha puntato i miei seni e gli occhi in uno sguardo solo, Mercedes raccoglie una patata dal cesto ai suoi piedi e Miguel mi prende su di sé – dolce cavallino galoppa galoppa, – Mercedes si solleva e il viso di lui è di nuovo ottuso. La camera ha una porta a vetri che non si chiude, si accosta. Bianco calce alle pareti, una fioritura di manifesti colorati, un lettino con un copriletto a strisce verdi e blu.

    Rafael si siede sul letto. Devo andare a Ibiza, sono più lì che qui. E non mi invita.

    Sono sempre così malinconici i tuoi amici? gli chiedo fingendomi serena; il silenzio di questo luogo sarà più assordante di Barcellona con tutta l’ansiosa impotenza di questa compagnia.

    È da quest’inverno che è cominciata la caduta. Mia sorella si è separata. Miguel e Mercedes sono in crisi. Io devo proprio andare a Ibiza ora, torniamo giù che prendi la valigia.

    Usciamo nel cortile assolato.

    A destra il pozzo e, subito dopo, l’ingresso della casa di Cecilia; Rafael è l’ospite tranquillo che la fa sentire meno disperata. Non sembrano fratelli, Cecilia è bionda, dura, acida.

    È rimasta sola, quando entro mi guarda così: con mio fratello niente da fare, cara.

    Bella l’Italia. Vorrei andarci, se riesco a sollevarmi dalla catastrofe economica. Si va giù, cara, giù giù e non ci si rende veramente conto fino a quando l’ultima monetina non ti piange in tasca. L’estate passata avevo un marito e un sacco di amici. Sono spariti tutti insieme. Migrazione di gruppo. Se ne volarono tutte via le bestioline… mio marito era il più bestia di tutti. Opportunista e traditore. Aveva un debole per le donne mature che sanno muoversi e prendere il piacere. Mi lasciava a bocca asciutta troppo spesso, ma quando facevamo l’amore era l’estasi con le sue grandi forti mani dappertutto. Mi provocava con le altre, sapeva toccare la mia morbosità, tocchi leggeri inebrianti. Ero diventata brava, riuscivo a controllare la gelosia e ad aspettare con pazienza le nostri notti di fuoco. Meglio così, pensavo, che tanti rapporti senza storia, ma è sparito con un’altra, quindici anni più di me. Quasi cinquanta! Mi ha scritto che se ne torna in Argentina, non importa la situazione che c’è. Ha nostalgia della sua terra, l’amarezza di star lontano. Se l’Argentina fosse una signora prosperosa con grandi tette… Maledetto imbroglione! Dovevo giocare all’attacco e invece ho aspettato culo in aria.

    Si passa le mani fra i capelli, mentre tende il viso verso l’alto e mi guarda con gli occhi chiari, da sopra in giù: trafiggono di rimpianto e orgoglio ferito.

    Non vuole che parli, vuole tenermi al muro delle sue ossessioni, senza concedermi né la sua amicizia né il fratello.

    "Non credo all’amore, credo al piacere. Scuola dura, cara. La gente… pecore impazzite dietro l’illusione di poter essere amate. Ma perché? Da chi? Se tutti cercano la stessa cosa che non danno. Mio marito era sincero, Se trovo più piacere con un’altra ti lascio, mi disse subito. Vivevo con questa mannaia sulla testa, poi ci feci il callo. Lui non mi lasciava e credevo di essere la donna più capace del mondo, mi inorgoglivo, camminavo a testa alta anche davanti alle donne che aveva avuto o stava lì lì per avere. Chiaro, mi prendevano attacchi improvvisi di gelosia. Non li confessavo. Lui, abile torturatore, mi prendeva con più forza mi spossava mi marchiava a fuoco così che non potevo desiderare nessun altro."

    Peròn e Tina piangono a brevi delicati singhiozzi, ai suoi piedi. Peròn è bianco, il muso grande da San Bernardo, Tina è un lupo scattante, volpino: non le sfugge nessuno dei miei movimenti e penso a tutte le porte aperte di queste case.

    C’è un movimento continuo di persone cani gatti e chissà quante altre cose che non vedo, i fantasmi dell’ultima estate compresi.

    La candela sul tavolino ha una fiammella palpitante che non può durare tutta la notte.

    Rafael scomparso, Cecilia a letto alle dieci di sera, Miguel e Mercedes parlano in modo concitato nella loro camera, qualche parolaccia e un problema di soldi che non arrivano.

    Le stanze sono contigue ma per entrare nella loro bisogna scendere una rampa di scale, salirne un’altra, percorrere un corridoio senza finestre, bussare a una porta chiusa, implorare una candela, confessare che ho paura!

    La cera gocciola perle di chiarore che non seducono le mie notti di lampadine e acqua calda nel bagno. Piango di rabbia e voglie di ossessiva memoria: piegare la realtà al piacere è un’impresa disperante, fardello di promesse inesaudibili scarnificate dalla noia e dal dolore, se tutto non è miracolosamente dato.

    Mercedes alza di colpo il

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