Anche i bruchi volano
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In un quartiere ai margini della citta vive Felix, dodicenne in affanno, iperattivo e ribelle. Ama la cultura, odia la scuola e Marcello Porcello, figlio del pediatra che gli somministra metilfenidato come fosse cioccolata. Si rifiuta di frequentare la scuola, così è seguito da un’orda di psicologi, pedagogisti, medici e specialisti che lui definisce i “draghi drugugubri”.
Un giorno incontra Alice, misteriosa ragazzina piuttosto vivace. Con lei e altri amici vivranno una metamorfosi grazie ad avventure e tragedie, alle prime esperienze sessuali e al desiderio di scontrarsi, misurarsi... volare.
“Mi sono svegliato sudato in piena notte; la luna mi guardava dalla finestra. Sulla terrazza si è delineata l’ombra di un ladro. Bussava sul vetro.
Ho sentito un «psssssst».
Mi sono alzato, ho afferrato la mazza da baseball e ho aperto la finestra.
La ragazza dagli occhi grigi è entrata adagio, scavalcando il davanzale. Teneva in braccio Undine, addormentata. L’ha posata sul letto e si è seduta anche lei. Non le ho chiesto niente. Ho lanciato la mazza da baseball per terra e mi sono gettato sotto il piumone, convinto di trovarmi nel mezzo di un altro sogno.
Alle sette e mezza mi sono ritrovato la sua faccia a due centimetri dal mio naso. Mi ha sorriso nella luce del mattino e aveva una margherita in bocca. La sciagurata aveva dormito con me. In quel momento mia madre ha spalancato la porta gridando il solito «On se reveille!» ed è rimasta lì con la bocca aperta. Undine si è rifugiata sotto il letto e nel giardino si è udito Wilhelm che abbaiava. Per dimostrare a mia madre che ero stupito quanto lei ho detto alla mia compagna di letto:
«E tu chi diavolo sei?»”
Daniele Dell'Agnola
Daniele Dell’Agnola (1976) ha studiato letteratura italiana e musicologia a Friburgo, dove si è laureato nel 2000. Ha ottenuto in seguito l’abilitazione per l’insegnamento dell’italiano. È docente nelle scuole medie, ha insegnato nelle scuole superiori e dal 2012 tiene corsi sulla narrazione, la scrittura e la riflessione sulla lingua alla scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI) di Locarno. Allo studio della fisarmonica (con Paolo Vignani, docente al conservatorio di Pesaro), affianca attività teatrali come autore e compositore di musiche.Nel 2008 pubblica Melinda se ne infischia con la prefazione di Dario Vergassola.Nel 2010, con Sergio Roic, Lena e il poeta: dalla Svizzera con furore (riscrittura di Zazie dans le métro) e nel 2014 Baciare non è come aprire una scatoletta di tonno, romanzo e spettacolo teatrale tradotto in francese e tedesco grazie ad un premio assegnato dalla Società Svizzera degli Autori e grazie alla collaborazione con la compagnia Masks on stage di Montpellier (Francia).Nel 2013 esce il libro Dimensione conflitto: tracce di ragazzi che scrivono, testimonianza di un progetto didattico realizzato con cinquanta quindicenni. Nello stesso anno inizia la collaborazione con il quotidiano “Corriere del Ticino” curando la rubrica di narrativa Il bidello Ulisse (36 racconti nei quali si legge il mondo della scuola e la società attraverso l’occhio insolito del bidello) che diventa, per la TV svizzera Teleticino, un format dedicato ai libri per bambini e ragazzi. Durante la trasmissione collabora con allievi, autori, editori, docenti, bibliotecari e librai.Dal 2010 è in scena con Ioana Butu nel suo spettacolo Imbratisare-abbraccio (regia di Silvana Gargiulo), presentato in trenta occasioni nella Svizzera italiana e nel Nord Italia.
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Anteprima del libro
Anche i bruchi volano - Daniele Dell'Agnola
Ho letto da qualche parte che il prologo è una specie di introduzione. Bene, questo è il mio prologo. È breve, non c’è molto da dire.
Mi chiamo Felix, ho dodici anni e vi racconto com’è andata la storia della mongolfiera, di cui hanno parlato anche i giornali. Se mi sono deciso a scriverla è perché Sophie mi ha spinto a farlo. Lei ha venticinque anni ed è la mia maestra personale. Solo che dice di essere diventata la mia allieva, perché sono molto sveglio, scrivo bene e so un sacco di cose grazie a Wikipedia e a mio papà, che fino a dodici anni mi ha letto tonnellate di libri.
Sophie ha detto che la mia è una gran bella storia. Spero che piaccia anche a voi.
Ciao
Indice
La ragazza sull’albero
20 maggio
Elias è biondo, ha quattordici anni e s’appoggia al muretto con i gomiti a comandare tutta la scuola. Ulisse, il bidello, lo sbircia dal vetro del corridoio perché non si fida di quelli con gli occhi blu. Marcello, grasso come un bruco che non diventerà mai una farfalla, passeggia ai margini del piazzale durante le pause. È dislessico. Suo padre è un pediatra e ha l’abitudine di ghignare anche quando gli racconti storie tragiche. Una volta, durante una visita al mio pisello, mi ha chiesto se ero triste. Gli ho risposto di sì, mentre l’ansia montava su per la gola.
«E perché sei triste, Felix?» ha rilanciato.
«È morta la nonna» ho urlato con lo stomaco in subbuglio, mentre lui tirava indietro la pelle. Sul suo volto è comparso il solito sorrisetto, poi mi ha prescritto i farmaci. Perché sono iperattivo. È come in certe tribù, dove chi entra nell’età adulta riceve in regalo una sciabola. Qui ti impongono rituali nutrizionali a base di metilfenidato, con la speranza di farti diventare un uomo forte. La verità è che vogliono tenerci sotto controllo, a noi iperattivi.
Non lo sa nessuno che prendo quella roba, neanche il maestro di classe.
Sono basso di statura e sogno di diventare paracadutista per guardare i laghi dall’alto, planando nella pace del cielo, la stessa che ti saluta a diecimila metri dal suolo, quando vedi sorgere il sole dal finestrino dell’aereo. M’incanta l’idea di reincarnarmi nell’ala di un aereo, che s’alza e guarda le vite delle persone rimpicciolirsi e sparire. In cielo sei distaccato.
Amo le farfalle, odio i bruchi.
Ho appena pestato Marcello, detto Marcello Porcello
, durante la lezione di matematica perché mi ha sussurrato «Ciao tappo!» mentre stavo piegando un aereo di carta sotto il banco. L’ho rovesciato per terra ai piedi del prof come si fa con le botti. L’insieme dei numeri naturali è stato sospeso e il signor Killian, sporco di gesso, mi ha trascinato fino all’ufficio della preside, dal quale sono uscito cinque minuti dopo come un missile felice: espulso per mezza giornata.
Sul bus di linea stava seduta una vecchia con la borsetta stretta alle gambe e la bocca all’ingiù. Sono sceso con la sensazione che il mondo fosse imbronciato con me, nonostante la splendida giornata di libertà. Appena ho spalancato la porta di casa ho visto gli occhi gonfi e arrossati di mamma: le solite discussioni con papà, ho pensato.
«Qu’est-ce qu’il y a eu à l’école?»
«Rien. Elias mi ha dato un calcio nel culo.»
«Et toi?»
«Niente. Elias ha tre anni più di me, mamma. C’est tout, quoi!»
«È un bullo? Demain je vais... il faut lui parler et...»
«Smettila. Me la sono cavata. Io ho picchiato Marcello; tanto è grasso come un bruco e dislessico come uno scemo.»
Se mi sentisse papà, reagirebbe con una sberla. Lui è un maestro e sostiene che i dislessici sono intelligenti. Effettivamente Marcello ha il quoziente intellettivo di un marziano. La mamma si mette le mani nei capelli e sussurra: «Felix, il nous ont volé les vélos.»
«Le bici?»
«Tutte e tre. La mienne, la tienne e quella di papà con il rimorchio pour Maelle.»
Mi rannicchio sulla sedia con gli occhi bassi. Avrei voglia di spaccare il tavolo in due e di sfasciare la vetrina di una banca medio-grande. Le biciclette sono costate fatica e desiderio. Se piglio il ladro, lo uccido a pugni.
«E chi è stato, mamma!?»
Il suo silenzio mi fa sentire solo, nonostante la TV accesa, la radio a tutto volume e il caos ovunque. La nostra nuova gattina striminzita, regalo di papà, miagola e la mamma la prende in braccio. Dobbiamo decidere come chiamarla e io ho optato per Undine.
Wilhelm è accucciato sotto il tavolo a dormire. Ha appena divorato un osso, forse per sfogare la frustrazione dovuta alla nostra mancanza di considerazione a causa della nuova arrivata e del furto delle bici. Cani come Wilhelm non ne esistono: è talmente buono che, se trovasse i ladri, li lascerebbe tranquilli a bere birra in giardino.
Qualcuno bussa alla porta. La mamma va ad aprire, mentre mia sorella Maelle, che ha un anno e qualche mese e pasticcia tutto quello che trova sotto le mani, si spalma una pasta gialla sulla faccia. Gorgoglia e inghiotte saliva mista a pappa. Sbava e urla, sputa e probabilmente produce uno sbrodoloput dal culetto dopo uno spingi-spingi nucleare: è a quel punto che di solito scoppia l’uragano Maelle. Pappa e cacca sono una realtà concreta.
La mamma è ancora sulla porta. Vado da lei per dirle che Maelle sta imbrattando il tavolo di semolino. Lei tiene Undine stretta al petto, tanto che la micetta miagola, infastidita dalla presa. Sulla soglia c’è la nostra vicina di casa, la signora Kutzman, settant’anni, vedova svizzera tedesca, fanatica sostenitrice di Radio Maria, senza figli, ma con sei gatti che le tengono compagnia e con i quali Wilhelm, emblema della tolleranza, gioca offrendosi come cuscino, letto, tappeto, nascondiglio e ripostiglio di lucertole.
La Kutzman piange. Dice che non trova più i gatti, è convinta che glieli abbiano ammazzati. La ascoltiamo narrare per la trentesima volta la storia della sua vita con quell’accento da nazista. Racconta di suo marito, un basilese di sangue puro. Ci propina i soliti discorsi sui tempi della guerra e sui giovani di oggi che hanno troppo, prima di sciorinare le sue teorie sulla gente che ha smesso di pregare: ecco perché tutto sta andando in malora.
Quando le spiego che hanno rubato le nostre tre biciclette strilla una cattiveria sugli zingari, aggiunge qualcosa sui burqa, i negri e i siriani, poi si fa il segno della croce, contempla la Madonna nel vuoto e, dopo qualche secondo di pausa spara una raffica di pettegolezzi sulle crisi famigliari del quartiere: descrive le amanti bionde del signor Burla, le fughe della giovane Lara Lafranchi, le urla e il divorzio imminente dei Montemartini, le porte che sbattono e le telefonate agli avvocati origliate passeggiando per la strada.
Intanto mamma fa i salti mortali per imboccare Maelle, ordinandomi con gli occhi di sparecchiare, pulire il tavolo, preparare i biscotti e il caffè per la Kutzman, che continua a ripetere che sono davvero un bravo bambino. Forse un poco basso di statura, per l’età che ho.
Quando la vecchia chiede: «E suo marito lavora fino a tardi?» cala