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La banda del congiuntivo
La banda del congiuntivo
La banda del congiuntivo
E-book340 pagine2 ore

La banda del congiuntivo

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Info su questo ebook

Adriano, Fausto, Ginevra e Pietro provengono da mondi diversi, ma hanno tanto in comune.
Sono avidi lettori che cercano di diventare scrittori, a un’età in cui perdere tempo è un lusso improponibile; inoltre hanno la netta sensazione che le loro vite sarebbero dovute andare diversamente.
Quando il caso li fa incontrare scoprono di avere anche un nemico, in comune.
Una società che non legge più, abbrutita dai social network, dal copia e incolla, dal pensiero usa e getta; un mondo in cui la forma del linguaggio si e imbarbarita al punto da impoverire i contenuti; un sistema sociale all’incontrario, dove orwellianamente “l’ignoranza e forza”.
Ma soprattutto, in comune, hanno il fatto di essere stanchi.
Stanchi e arrabbiati.
E senza nulla da perdere.
In questo suo primo romanzo Danilo Catalani cala lo stile ironico e pungente dei suoi lavori precedenti nel genere noir, invitando il lettore, tra situazioni comiche e raffinati, fantasiosi delitti, ad unirsi alla più strampalata delle associazioni criminali:
La banda del congiuntivo!
LinguaItaliano
Data di uscita8 apr 2016
ISBN9788892591264
La banda del congiuntivo

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    Anteprima del libro

    La banda del congiuntivo - Danilo Catalani

    Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione.

    Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, animali, frutti, fiori, qualità, è assolutamente casuale.

    Prefazione

    Quello che avete tra le mani è il primo romanzo che esce sotto il simbolo di BookFaces.

    BookFaces è un'idea, nata dalla mente di quattro autori esordienti che sentivano il bisogno di condividere le proprie opere tra più persone possibili. L'idea è piaciuta parecchio, anche ad altri scrittori, così BookFaces è diventata associazione culturale in continua crescita.

    Tra i suoi obiettivi, scoprire nuovi scrittori e aiutarli a tirar fuori le loro opere dai cassetti per trasformarle in libri; dar loro maggiore visibilità nella giungla del self-publishing; mettere loro a disposizione un corso di scrittura creativa. Ma questa, credetemi, è solo la punta dell'iceberg…

    Di conseguenza, il primo romanzo con il logo di BookFaces non poteva che essere scritto da Danilo Catalani.

    Perché, mi chiedete? Intanto, perché BookFaces è frutto di una sua idea e, quindi, noblesse oblige. E poi perché una mente così fertile come la sua, sempre in ebollizione, ha soltanto bisogno di un foglio di carta (reale o virtuale che sia) per far materializzare una storia e, di conseguenza, chi meglio di Catalani per ottenere il primo romanzo del sole che legge?

    "La banda del congiuntivo" quindi ha un padre, ma nasce in una serata di quelle illuminanti, quando Book Faces era solo un embrione, ed è poi diventata la scintilla che avrebbe incendiato le menti dei soci scrittori.

    Cosa aspettarsi da un titolo del genere?

    Praticamente, state per salire a bordo di un ottovolante. Una storia senza pause, senza respiro, con quattro splendidi protagonisti impegnati in una grande opera sociale di pulizia e di rieducazione, vogliosi di rivalsa nei confronti delle ingiustizie che la vita gli ha riservato e che gli riserverà fino alla fine.

    Tra riflessioni e risate, questo romanzo noir-demenziale, o di humor nero se preferite, vi farà toccare con mano una situazione culturale sempre più disperata e ormai lanciata verso una discesa sempre più ripida. Ed è qui che intervengono i quattro della Banda, decisi a recidere i pesi morti prima che gli stessi trascinino tutti nell'abisso dell'ignoranza. Vi sfido fin d’ora a non dar loro ragione, ma credo che sarete tutti, indistintamente, sfacciatamente dalla loro parte.

    Ma attenzione, una parola sbagliata, un verbo errato e anche voi potreste incontrarli. E allora, nessuno di voi sarebbero al sicuro… OPS!

    Marco Salomone – Presidente di BookFaces Ass. Cult.

    Prologo

    La rossa era lì, ansimante.

    Gli occhi spalancati, colmi di odio; le narici dilatate inspiravano e soffiavano aria neanche fossero quelle d’un toro.

    Sul suo volto tirato, spigoloso, schizzi vermigli riprendevano il colore dei suoi capelli.

    Le spalle ricurve, come un predatore chino sulla sua ultima vittima, le braccia lungo il corpo, e nella mano destra il collo sfrangiato di una bottiglia di tequila.

    L’uomo giaceva ai suoi piedi, ma non in senso figurato.

    In una grande chiazza di sangue e tequila, il corpo esanime del proprietario del pub catalizzava l’attenzione della rossa e degli altri presenti.

    Le luci soffuse del locale rendevano la scena ancor più irreale di quanto potesse già essere.

    Unforgettable di Nat King Cole e lo scrosciare della pioggia battente sulle vetrate del locale completavano l’assurdità del tutto.

    Dopo un attimo eterno la rossa alzò lo sguardo dal cadavere e incrociò quello dei suoi tre amici.

    Esterrefatti.

    Scandalizzati.

    Terrorizzati.

    Nessuno trovava la forza o il coraggio di parlare.

    Fu la donna a rompere il silenzio irreale.

    Un sommesso ruggito, una minaccia postuma.

    Se fossi disse guardando sdegnata il corpo riverso in terra.

    Se fossi…, ribadì dirigendo un’occhiata ferina ai tre uomini.

    Parte prima

    I.

    Fausto era un ossimoro vivente.

    Mentre si specchiava facendosi la barba forse anche lui stesso cominciava a pensarlo.

    Un uomo di quell’età, di quella stazza, di quell’aspetto, con quel carattere, avrebbe dovuto fare il cuoco, oppure, meglio, gestire un pub.

    Anche il nome, a ben vedere, si abbinava bene con un grembiule, anzi, con una parannànza, come lo chiamavano dalle sue parti.

    Invece no.

    Fausto era un colonnello dell’esercito.

    Il padre militare, il nonno militare, lui militare.

    Un’equazione di una semplicità disarmante.

    Avesse avuto la forza d’imporsi magari ora avrebbe avuto una pizzeria a Torre del Greco, e probabilmente vivrebbe impastando acqua e farina, tritando mozzarella, facendo felici le persone e regalando sorrisi.

    Invece no.

    Dall’età di diciannove anni girava l’Italia, e il suo accento campano ormai si era imbastardito con quello di mille altri posti.

    Poi siccome Fausto stupido non era, e comunque aveva la serietà necessaria per fare bene anche le cose che non gli piacevano, era diventato Colonnello.

    Quando aveva potuto tornare alla sua terra natia, però non l’aveva fatto.

    Il suo innato ottimismo, la sua travolgente simpatia, gli avevano permesso di conquistare Jennifer, inglese, di dieci anni più giovane di lui, colta, di buona famiglia, ma soprattutto molto, molto più figa di quanto uno come lui potesse pensare di augurarsi.

    Così era rimasto di servizio nella più grande caserma di una città molto più campana di quanto la distanza dalla Campania lasciasse supporre.

    Mercoledì prossimo fanno dieci anni esatti di matrimonio, pensava tirandosi la pelle della guancia rubiconda.

    E nove anni dalla nascita di Enrico.

    La lametta arrivò a toccare la guancia di Fausto proprio nello stesso momento in cui il ricordo di quella mattina maledetta si riaffacciò alla sua mente.

    Il taglio non fu profondo, e di sangue ne uscì ben poco.

    Ma una fitta di sordo dolore prese allo stomaco il Colonnello, che crollò a terra sul tappetino arancione del bagno.

    E raggomitolato su un fianco, con le mani alla testa, e le dita a stringere solo il ricordo dei suoi capelli, Fausto cominciò a piangere con la disperazione di un bambino.

    Adriano passeggiava avvilito.

    La pioggerellina fitta che lo bagnava era quasi una benedizione dopo un’estate torrida come quella passata.

    L’unico problema era il toscano che si era appena acceso, incurante del regolamento che proibiva di fumare in servizio.

    Ma quello riguarda sicuramente le sigarette – diceva Adriano – non certo il sigaro, o la pipa, che hanno tutt’altra dignità.

    Si osservava riflesso nella vetrina di un negozio di abbigliamento.

    La barba rigorosamente acconciata alla Francesco Giuseppe, gli occhialini da vista tondi, gli conferivano quell’aria vintage che difficilmente si poteva abbinare a una vile sigaretta.

    Assolutamente. Serviva altro.

    Il Toscano era diventato il suo collega di lavoro preferito, l’unico, ormai, con cui aveva il piacere di scambiare due chiacchiere, l’unico in grado di fargli compagnia.

    Su e giù lungo un marciapiede.

    Per ore.

    Sei ore.

    C’erano rimasti due lavori che si facevano camminando lungo un marciapiede con un borsello a tracolla.

    A lui era toccato quello di minor gratificazione.

    Adriano faceva il vigile urbano.

    Certo – ripeteva sovente a chi commetteva l’errore di prendere l’argomento – a fare la puttana ti stimano di più, perché comunque doni piacere, col tuo lavoro. Col mio che piacere porto? Quello di fare la multa a chi ti impedisce di uscire dal cancello? È comunque un piacere collegato a un’emozione negativa come la vendetta.

    No.

    Ad Adriano proprio non andava giù il suo lavoro, ma alla soglia dei cinquant’anni, con moglie, figlio e, soprattutto, mutuo, che alternative aveva?

    Camminare.

    Fischiare.

    Multare.

    E parlare con la gente.

    Quella era la parte più difficile.

    Ad Adriano faceva proprio schifo, la gente.

    Molto, molto meglio un buon toscano.

    Pietro era contento.

    Aveva finalmente trovato il prodotto che lucidava il marmo come voleva lui.

    Gabriella sicuramente sarebbe stata entusiasta del risultato.

    Dopo mezz’ora di olio di gomito Pietro riusciva a specchiarsi nella lapide.

    Era invecchiato più negli ultimi 5 anni che nei precedenti quarantasette, ma il fisico era ancora quello tonico di un tempo, e le braccia sempre quelle di Pietro Pugno-di-pietra Sacchetti, il più giovane campione europeo della storia nella categoria pesi welter.

    Una vita fa.

    Ora radi capelli bianchi, naso schiacciato da una vita di pugni, occhi celesti, venivano riflessi da uno specchio di marmo bianco.

    Allora, Gabri? Che te ne pare?

    Buon lavoro, bravo. Te lo dicevo io che era solo questione di trovare il prodotto giusto.

    Lo so. Hai ragione come sempre.

    Però la foto non mi convince per niente, non capisco perché non la cambi.

    Ma se sei bellissima!

    Appunto, non sembro io, non sono venuta naturale.

    No, sulla foto non transigo. Va bene questa. Si vede che di donne non capisci proprio niente… tagliò corto ridendo.

    Gabriella era la sua vita. Glielo diceva sempre troppo poco.

    Per lei aveva rinunciato alla boxe, aveva messo la testa a posto, si era trovato un lavoro.

    Non riesco nemmeno a immaginare una vita senza di te – le diceva spesso.

    La campanella segnò l’orario di chiusura del cimitero.

    Pietro si avviò con la sua andatura stanca e ingobbita verso l’uscita, ridendo e chiacchierando da solo.

    Ginevra aveva sempre avuto problemi a vedere le cose nel verso giusto.

    Forse è per questo che adorava Sîrsâsana.

    Ora che aveva imparato a rovesciare un mondo fatto al contrario, tutto sembrava finalmente al posto giusto.

    Il centro yoga in cui si recava tre volte a settimana ormai da un anno era piccolo, raccolto, retto esclusivamente sul carisma di Ferdinando, il suo istruttore e mentore, ma lei non lo avrebbe cambiato con nessun altro posto al mondo.

    Lì trovava pace, equilibrio.

    In quella stanzona dall’arredamento minimalista, profumata d’incenso anche quando era spento, lì solo riusciva a dare un senso a una vita che, dopo il divorzio, di senso sembrava non averne più.

    Una carriera da avvocato non all’altezza di quella ben più brillante della buonanima.

    Ora soltanto così lo chiamava.

    Da quando il marito l’aveva lasciata per quella troietta con vent’anni meno di lei non aveva più voluto pronunciare il suo nome.

    Una vita da moglie non coronata dall’arrivo di un figlio, desiderato come nient’altro al mondo ma mai arrivato in dieci anni di tentativi (mentre la troietta c’era riuscita subito).

    La ricerca di un lavoro qualsiasi, tanto faticosa quanto frustrante (e necessaria, dopo lo show fatto durante la sua ultima udienza).

    I soldi rimasti dilapidati in psicoanalisi.

    I primi fili argentei tra i capelli rosso fuoco di cui era sempre andata fiera.

    Nulla di tutto ciò sembrava avere importanza mentre si trovava a testa in giù nel suo rifugio dalla porta rossa.

    La quiete, la serenità, pervadevano il suo animo, finalmente.

    Tutto grazie allo yoga.

    Tutto grazie a Ferdinando.

    Lui le donava un nuovo equilibrio.

    Lui era il tipo di uomo con cui, se solo l’avesse incontrato una ventina d’anni prima, avrebbe dovuto condividere la vita.

    Con lui sicuramente avrebbe avuto dei figli e sarebbe stata felice.

    Finita la lezione si diresse verso la sua borsa rosa, e uscendo dalla stanza gli rivolse un ultimo sguardo prima di ritornare nel grigio mondo reale.

    Eeeh – sospirò – Se solo Ferdinando non fosse così atrocemente gay…

    2.

    Fausto scriveva.

    L’aveva sempre fatto, fin da adolescente, di nascosto dal Generale (così chiamava suo padre) che probabilmente in questa passione avrebbe potuto vedere tracce di una omosessualità quasi patologicamente (per non dire immotivatamente) temuta.

    Scriveva di tutto, racconti di ogni tipo, soprattutto di fantascienza.

    Andava pazzo per Isaac Asimov (Si, mi raccomando, sperpera i miei soldi per darli a quell’ebreo di merda diceva il Generale), poi crescendo era rimasto folgorato dalle trame visionarie di Philip Dick (Gli androidi sognano pecore elettriche? Ma che si fuma sto comunista? Uno che si chiama Filippo Cazzo sarà pure finocchio! diceva il Generale).

    Fausto scriveva.

    Ma di nascosto.

    Aveva continuato anche dopo aver cominciato la carriera militare.

    Racconti più maturi, ma sempre molto fantasiosi, tipo Ai confini della realtà.

    Così aveva conquistato Jennifer.

    Scriveva per lei.

    Lei era il suo unico pubblico.

    L’aveva affascinata con poesie d’amore, sedotta con racconti erotici, divertita con storielle esilaranti, spaventata con trame orrorifiche, commossa con scene strazianti.

    Lei sapeva tirar fuori l’artista sotto la divisa.

    Purtroppo non era l’unica cosa che sapeva tirar fuori.

    Completamente calato in questa bellissima storia d’amore, Fausto non aveva capito quanto quelle missioni all’estero, che garantivano a Jennifer e al piccolo Enrico un tenore di vita di tutto rispetto, danneggiassero in realtà il loro rapporto.

    Così, mentre la produzione letteraria di Fausto, stimolata dalla struggente mancanza del suo amore, si triplicava, l’inglesina aveva trovato modi alternativi di passare le sue giornate, una volta che i pomeriggi di Burraco al circolo ufficiali le erano venuti a noia.

    Fausto se ne rese conto solo la mattina in cui tornò a casa dopo due mesi passati in Kosovo, senza avvisare, col fermo proposito di farle una sorpresa da mozzarle il fiato.

    Quando aprì la porta di casa la trovò seduta sul divano.

    In piedi davanti a lei c’era Ciro, il proprietario della pizzeria sotto casa, di cui erano clienti da anni.

    Coi pantaloni calati.

    Le stava mozzando il fiato in modo molto meno romantico di quel che aveva programmato Fausto.

    Il colonnello rimase lì, impietrito, con la mimetica addosso, il borsone in una mano e il sorriso che aveva in volto prima di entrare ancora non completamente svanito.

    Jennifer prese a farfugliare terrorizzata qualcosa che lui

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