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Ombre e falene: Sebastian Smith - L'inizio
Ombre e falene: Sebastian Smith - L'inizio
Ombre e falene: Sebastian Smith - L'inizio
E-book201 pagine2 ore

Ombre e falene: Sebastian Smith - L'inizio

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Info su questo ebook

Ha i contorni incerti di un sogno questo romanzo: Sebastian Smith è un ragazzo avvolto dal mistero, che vive una serie di avventure con la tranquillità e la leggerezza di chi non ha niente da perdere. Ma chi è Sebastian Smith?
Una serie di peripezie travolgeranno la sua vita, portandolo in luoghi così remoti e arcani che mai avrebbe immaginato di poter visitare.
Un destino, il suo, che lo inghiottirà pian piano, fino a distruggerne la lucidità. Ma Sebastian non si lascerà abbattere, e proprio attraverso quelle vicissitudini riuscirà a trovare sé stesso.
Primo volume di una saga che è un moderno romanzo di formazione, con il fascino delle fiabe terribili e insondabili, che aiutano a crescere.
LinguaItaliano
Data di uscita30 mar 2021
ISBN9791280353580
Ombre e falene: Sebastian Smith - L'inizio

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    Anteprima del libro

    Ombre e falene - Ally Charmy

    Gregor

    L’inizio

    Era una fredda mattina d’autunno.

    Le prime luci dell’alba facevano capolino tra le tende rosse e scure che pendevano severe dall’alto soffitto della camera padronale. Nei lunghi corridoi si avvertiva un via vai di donne vestite di bianco, con camici diritti e cuffie squadrate che sgomitavano mormorando frasi di fede, di amore e di speranza.

    Nel mezzo, in silenzio e con il capo basso, c’era un uomo che indossava una giacca di velluto blu, con due file di lucidi bottoni. Era seduto su una semplice panchetta in legno posta in un angolo della grande stanza, con le mani intrecciate, i gomiti appoggiati alle cosce e lo sguardo perso a correre tra le innumerevoli fessure del pavimento in pietra. Ogni tanto alzava leggermente il capo, come per volersi alzare, ma le grida improvvise lo bloccavano. Così, ritornava nella stessa posizione. Era lì da ore, ma non sentiva stanchezza. Non sentiva sonno né qualsiasi altro tipo di debolezza.

    In compenso aveva paura. Molta paura.

    Apriva gli occhi, chiudeva gli occhi. Si appoggiava alla gamba destra, poi a quella sinistra. Incrociava le mani, appoggiava il mento in un palmo, poi nell’altro. Allungava le gambe, le piegava. Perse alcuni minuti contando i piccoli chiodi che bloccavano la fibbia dei suoi stivali. Una volta finito gli sembrò di essersi perso qualcosa, come se quegli attimi di distrazione gli potessero aver fatto sfuggire un avvenimento irrinunciabile. Alzò lo sguardo come per ritrovarsi, ma immediatamente un altro grido lo riportò nella stessa identica situazione di qualche istante prima. Era tutto uguale. Sospirò pensando al tempo che sembrava non passare mai.

    Così pensò a lei, alla prima volta che l’aveva vista: era bella. Un pomeriggio passato seduto su un grande masso levigato in riva al fiume che costeggiava la tenuta di famiglia. C’erano i suoi amici, i suoi cugini e c’era lei, appena arrivata in città per l’estate, con i suoi capelli neri raccolti in un grazioso chignon circondato da perle candide e fiori di gelsomino.

    Nessuna delle ragazze che aveva incontrato fino ad allora gli aveva fatto quell’effetto, perché lei sì? Se lo chiedeva osservandola da lontano. Lei se ne accorse, eccome se se ne accorse. Non ci volle molto perché i due iniziassero a parlare. Da quell’istante, non ci sarebbe stato nessun altro per lei e nessun’altra per lui.

    Dei rumori lo distolsero dai suoi ricordi: una donna vestita di grigio stava riempiendo il camino con nuovi ceppi secchi che in un attimo presero a scoppiettare. Un’altra gli si avvicinò per chiedergli se avesse avuto bisogno di bere o mangiare qualcosa. Lui disse di no. Lei non volle insistere ma si soffermò. Voci, preghiere, il ticchettio dell’orologio, un urlo, poi un altro.

    Ma quanto mancherà? chiese sottovoce.

    Solo Dio lo sa... rispose lei con un sorriso che si spense subito.

    Un grido acuto e straziante di donna, poi un altro. L’uomo rimase immobile. Subito dopo ci fu silenzio. Ma non durò molto. Un suono diverso, un pianto acutissimo lo fece sobbalzare. Alzò lo sguardo. La porta in legno si aprì.

    È un maschio! esclamò con soddisfazione la doula .

    L’uomo si alzò di scatto, penetrò la medesima porta e si avvicinò al grande letto in rovere che padroneggiava nella stanza. Una donna con dei lunghi capelli neri che abbracciavano il cuscino gli sorrise: si vedeva che era esausta ma felice.

    Sebastian… disse lui prendendo in braccio il piccolo appena nato.

    Era il loro primogenito. E tutto era andato bene.

    Sebastian si dimostrò sin da piccolo forte e coraggioso, arrampicandosi senza paura su alberi troppo alti e nuotando in stagni troppo profondi. Passò un’infanzia felice, amato e rispettato da tutti. Imparò quali fossero i valori di una vita onesta, e l’importanza di far la cosa giusta.

    Capiva la grandezza della vita, nei successi e nelle rinunce, nonostante avesse l’enorme fortuna di essere figlio di uno degli uomini più ricchi di Scozia. Non pretendeva nulla, se lo guadagnava.

    Avrebbe dovuto bastargli l’essere questo, che era tanto, per avere un’esistenza felice.

    Ma spesso non è sufficiente essere giusti, se altri attorno a noi non lo sono.

    Quando ebbe quattordici anni, Lord Honnor, un potente uomo d’affari e di politica, fece visita alla famiglia, chiedeva udienza al padre di Sebastian. Sembrava inizialmente una visita di cortesia, ma all’uomo non ci volle molto per capirne il vero scopo: voleva combinare il matrimonio tra sua figlia e il figlio di Lord Mac Gregor, Sebastian. Sarebbe stata una fusione tra potere e magnificenza, con evidenti vantaggi per entrambi.

    Pensa a ciò che potremmo fare... aveva detto Lord Honnor guardandolo diritto negli occhi.

    Ma la luce che Mac Gregor vide negli occhi dell’uomo che aveva di fronte non gli piacque per nulla. Così rifiutò.

    Questo è solo l’inizio... aveva concluso l’altro prima di andarsene ringhiando.

    Purtroppo quelle cinque parole non erano destinate a rimanere tali. E tutto sarebbe successo in così poco tempo che nessuno avrebbe potuto evitarlo.

    Quello non era solo l’inizio, come disse Lord Honnor: era la fine.

    Fu quella una sera strana: senza stelle, senza nuvole grigie che rincorrevano la luna, senza brezza d’autunno. Non c’era nulla. Un buio fitto galoppava sordo tra i cespugli di uva spina e nessun rumore serpeggiava tra le alte cortecce dei noci secolari.

    Sebastian capì all’istante che qualcosa non andava, che qualcosa stava per accadere.

    Suo padre, rinchiuso nel proprio studio oramai da giorni con i suoi fedeli amici, non era più lui da qualche tempo.

    Il ragazzo raggiunse la madre nel giardino d’inverno e trovò anch’essa stranamente inquieta. Era cosa inconsueta vederla così, perché ella aveva un’innata propensione al sorriso e all’intima gioia verso la vita.

    Cosa sta succedendo? le chiese tentando di osservarne le reazioni.

    Lei non disse nulla. Si fermò solo un breve istante, poi riprese a potare le sue rose asportandone i boccioli, oramai secchi e pendenti.

    Cosa sta succedendo? ripeté il ragazzo alzando lievemente la voce.

    La madre appoggiò le forbici, si tolse i guanti e si sedette su un divano di vimini. Vieni qua disse indicandogli il posto accanto al suo

    Rimasero per qualche istante in silenzio, scambiandosi sguardi tra occhi identici, curiosi quelli di Sebastian, amorevoli e preoccupati quelli di lei.

    Ti ricordi di quando eri un bambino, e io ti cantavo quella canzone per farti addormentare? chiese lei dolcemente prima di iniziare a intonare alcune note.

    Sebastian annuì con il capo.

    Vedi... a te sembrerà solo una sciocca nenia per bimbi piccoli, ma non lo era... era qualcosa di più.

    Non capisco, che intendi dire?

    Intendo dire che quando il momento arriverà, io sarò lì con te Sebastian, tutto ciò che accadrà avrà un seguito.

    Il ragazzo per un attimo pensò che la madre fosse impazzita, e lo colse un brivido.

    Questo lo so, me l’hai sempre ripetuto, madre. Poi rifletté e riprese: C’entra qualcosa con quello che sta accadendo? Non ci vuole molto per capire che sta succedendo qualcosa nella nostra casa.

    Sebastian, anche se le origini di tutto hanno visto nascere sia me che te, purtroppo ti ci ritroverai nel mezzo…

    Ma cosa stai dicendo mamma? disse il ragazzo stranito. Non comprendeva.

    La nostra famiglia discende da altre famiglie continuò lei e ognuno dei singoli componenti di essa aveva qualcosa che gli altri non avevano. Ti sto dicendo che io stessa faccio parte di coloro che ce l’hanno...

    Ce l’hanno? Ma che cosa?

    La madre non rispose e ricominciò a intonare le note di quella musica tanto famigliare a Sebastian. Echeggiavano tra le pareti della grande stanza straripante di piante e fiori...

    Madre... io non capisco…

    La porta si spalancò all’improvviso e le parole gli morirono in gola. La luce della luna fece capolino come un lampo tra rose e mughetti selvatici. I cavalli nitrirono, come in risposta i cani abbaiarono. I pavimenti di pietra della grande casa rimbombarono come sotto passi pesanti e veloci, le grosse serrature arrugginite cigolarono. Poi i fuochi si spensero.

    E i ricordi, come se fossero stati rubati alle memorie del tempo... svanirono.

    Scozia, 1760

    Tu sai che tutto questo non sarà mai tuo, se non accetti l’offerta di Snibor.

    Sì, lo so. rispose l’uomo appoggiato con la fronte alla finestra.

    Il fresco del vetro gli si espandeva tra le tempie, e un brivido lo scosse leggermente.

    E che intendi fare, Sebastian? continuò.

    L’uomo si scostò dal chiarore della sera di mezza luna, e si sedette su una grande poltrona rivestita in cuoio. Osservava in silenzio il camino acceso e quelle strane ombre che s’impadronivano delle mura arrampicandosi silenziose. Si alzò di scatto e di nuovo raggiunse il suo panorama.

    Guarda disse all’amico e dimmi: che cosa vedi?

    La terra più rigogliosa d’Inghilterra.

    Già. La terra più rigogliosa d’Inghilterra ripeté con un tono orgoglioso. Ma non è più mia terminò secco.

    È tua rispose l’amico a voce alta lo è da tre generazioni, e lo sai bene.

    Possedere un pezzo di carta non mi fa sentire quello che dovrei sentire. Non mi fa essere ciò che dovrei essere. Ho perso e lo devo ammettere, anche se fa male. Forse sono troppo giovane per capirlo a fondo. È successo tutto troppo in fretta, amico mio...

    Ma Sebastian, cosa dici? Tu non hai perso nulla e l’età non conta: conta la maturità, e tu ne hai! Ma, dicendo di no, hai compiuto una scelta.

    Dicendo di no ho accettato le conseguenze.

    E intendi quindi mollare così? Intendi forse dire che hai fatto la scelta sbagliata?

    No, certo che no, ma non ho avuto alternative. disse risedendosi afflitto accanto al fuoco.

    I due rimasero per un po’ in silenzio.

    E poi, che cosa sarebbe la vita senza l’amore? Snibor lo sa bene, anzi, lo sa molto bene, direi.

    L’amico sorrise di stima e d’affetto, si avvicinò a lui e gli posò una mano piena sulla spalla.

    Qualcuno bussò. Avanti dissero all’unisono.

    Ah, siete qui a confabulare!

    Una donna dai lunghi capelli rossi si avvicinò al giovane e gli prese delicatamente la mano.

    Io ora devo andare, Sebastian. È tardi disse l’uomo raschiandosi la gola, comprendendo che fosse il momento di lasciare la stanza e rivolgendo un cenno di saluto a entrambi. La donna guardò Sebastian negli occhi e si strinse a lui appoggiando il viso sul suo petto.

    Non dovevi accettare aggiunse con un filo di voce.

    Non potevo non farlo, lo sai.

    Ma così perderai tutto quello che hai.

    Certamente. Terre, castelli, scuderie e campagne. Questo perderò. Ma non perderò te disse abbracciandola teneramente.

    La donna si scostò leggermente per guardarlo diritto negli occhi e sussurrò: Io ti amo, Sebastian…

    L’uomo non rispose, la baciò dolcemente accarezzandole le guance e il collo. Non erano importanti le parole per lei: quel bacio valse più di qualsiasi altra risposta.

    In un altro tempo

    La grossa falena volteggiava lenta, sinuosa tra rami, foglie, e ringhiere arrugginite.

    La sera stava dando spazio alle ombre impazienti. Una luce fioca danzava attraverso una piccola lampada appoggiata al muro di pietra che cingeva il castello.

    Una finestra semi aperta, un battito d’ali, un tepore improvviso ed eccola a schivare alti candelabri e mobili intarsiati d’ebano e ottone.

    Corridoi, porte alte incoronate da cimose dorate, grandi specchi immobili, un cupo silenzio.

    Più giù, doveva andare più giù. I corridoi si trasformavano presto in cunicoli, e le porte sontuose in sbarre di ferro.

    Il buio inghiotte tutto, il buio inghiotte tutto...

    Questa era ciò che Sebastian si ripeteva ogni volta che le ombre s’impadronivano della stanza in cui si trovava.

    Non rammentava da quanto tempo lo avessero rinchiuso. Aveva perso il conto dei giorni passati in quel posto.

    Chiudeva gli occhi e aspettava.

    Aspettava … cosa? Riapriva gli occhi e rideva, quando si faceva questa domanda.

    Aspettava la luce, forse. Almeno dodici, tredici ore di attesa nella stagione fredda. Avrebbe più assaporato i profumi della primavera?

    Il timo selvatico, la lavanda, il mare.

    E c’era quello strano rumore ogni notte: una specie di ronzio accompagnato da battiti leggeri. Non capiva cosa fosse, ma si rendeva conto che era l’unico segno di vita che ricevesse dall’esterno.

    E se fossi morto? si domandava spesso immaginandosi relegato in una dimensione parallela alla vita, in attesa che qualcuno più grande di lui decidesse il suo destino finale. Ma aveva paura di saperlo, così a quella domanda non rispondeva mai.

    La luce si assottigliava nel primo pomeriggio svanendo pian piano, portando con sé la sensazione di tepore della giornata appena passata e cedendo il passo al freddo, gelido compagno della notte, la quale lo trovava rannicchiato in un angolo, arrotolato in una lercia coperta bucata.

    Sebastian aspettava: aspettava quel rumore, l’unico essere che dall’esterno si degnasse di fargli visita.

    Se avessi usato la spada, ora non sarei qui disse prima di chiudere gli occhi, più per il freddo che per il sonno.

    La falena continuò a volteggiare lentamente, fino ad arrivare alle sbarre del piccolo occhio di una porta in ferro arrugginito.

    Ci passò nel mezzo attraversando il buio, planando in concentriche volute leggere, rasentando le pareti umide e il soffitto nerastro.

    Osservava Sebastian: era immobile, costretto dal suo peggior incubo.

    Gli si avvicinò, e delicatamente gli si appoggiò su

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