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Il nostro mondo
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E-book213 pagine2 ore

Il nostro mondo

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Info su questo ebook

Lui lo chiama “soloscopio” e lo utilizza spesso, nonostante non abbia la più pallida idea di cosa realmente sia e di quale assoluta importanza abbia. In verità, non ha idea neanche di quanta importanza abbia lui stesso. Mentre Rodrigo scopre lentamente informazioni che lo coinvolgono più di quanto avrebbe mai immaginato, nuove sorprese sconvolgenti si susseguiranno una pagina dopo l’altra, prima tra tutte... gli animali! Come sarebbe a dire, “che sorpresa”? Parlano! E non solo! Si stanno organizzando per un’operazione che avrà conseguenze fondamentali per il futuro del pianeta. Ma non dimentichiamoci che c’è Eleonora... Adesso basta, non possiamo dirvi tutto! Lasciatevi trascinare da questo racconto fantastico che vi porterà alla sospensione del dubbio in un attimo, per proiettarvi in una storia che non vi consentirà di staccarvi dalle pagine.
LinguaItaliano
Data di uscita8 nov 2016
ISBN9788856780314
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    Anteprima del libro

    Il nostro mondo - Giovanni Salvini

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2016 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatrosilfilo.it

    ISBN 978-88-567-8031-4

    I edizione elettronica ottobre 2016

    A Veronica e Federico

    PARTE PRIMA

    Capitolo 1

    «Ecco, l’ho trovato!» disse Albert contemplando il disegno soddisfatto. «E’ proprio perfetto» aggiunse.

    Era solo nella stanza e la luce del crepuscolo filtrava attraverso le tende ricreando nell’ambiente un’atmosfera quasi marziana.

    Sollevò il foglio all’altezza degli occhi e seguì il contorno della figura con ammirazione; non riusciva a concepire come un disegno così semplice potesse fornire tali sensazioni di armonia e tranquillità.

    In fondo si trattava solamente di un cerchio, ma l’uniformità del tratto che ne definiva la circonferenza e l’equidistanza perfetta dal centro, sembravano elementi chiave per indagare e scoprire l’essenza stessa delle cose.

    Dandosi una spinta coi piedi, il ragazzo si mise in moto e, ruotando sulla sedia girevole secondo un percorso circolare complementare a quello del disegno, lo osservò nuovamente e sperimentò in movimento le stesse sensazioni provate in precedenza.

    Avuta conferma di questa curiosa ed intensa percezione, quando si fermò, d’istinto sentì la necessità di comunicare la sua esperienza a qualcun altro della sua specie, come fosse una formica che traccia la via disperdendo i feromoni e richiamando le altre compagne a sé.

    Dondolando leggermente la testa per concentrarsi, dopo una breve riflessione escluse di poter coinvolgere le persone presenti in casa.

    L’unica persona di cui si fidava e che avrebbe realmente potuto condividere il suo stato emozionale era Peter, suo compagno di scuola.

    Peter era più vecchio di un anno e quindi le loro frequentazioni scolastiche erano limitate a qualche materia, ma aveva avuto modo di conoscerlo e di capire che non si trattava di una persona comune; si appassionava ad alcune cose con un’intensità apparentemente eccessiva o addirittura ossessiva, ma in realtà era soltanto il suo modo di esprimere la passione verso la conoscenza, verso la novità che fatica a trovare spazi nei limiti dettati dal senso comune.

    Erano fisicamente diversi, Albert snello, ma non piccolo, mentre Peter era piuttosto massiccio e tendeva a far sembrare di dimensioni modeste le persone che gli stavano intorno.

    Peter inoltre aveva un portamento sostenuto che ne esaltava la stazza in modo solido e deciso, mentre Albert sembrava schivo anche nei movimenti, pur esprimendo un potenziale affascinante, come un piccolo regalo di valore ancora impacchettato.

    In quel momento il ragazzo si rese conto che per raggiungere telefonicamente l’amico avrebbe dovuto recarsi in salone e correre il rischio di imbattersi nella madre, cosa che per uno vestito come lui, in mutande e maglietta scolorita, poteva risultare un po’ imbarazzante.

    Nell’attesa di prendere una decisione sul da farsi, Albert appoggiò il disegno sulla scrivania, si alzò e andò verso la finestra.

    La pioggia, ormai da un po’ di tempo, aveva finito di scendere copiosa, ne erano rimaste poche gocce disperse che si potevano intuire dal moto ondulato e ritmico trasmesso alle foglie che ne venivano colpite.

    La vista faceva fatica a destreggiarsi nitida nei dintorni a causa del pallore dovuto al vapore stagnante, quasi che la strada, gli alberi, i giardini e le case cercassero di restituire all’ambiente l’umidità raccolta durante la tempesta, in un tentativo di scrollarsi di dosso l’acqua accumulata, come farebbe un cane dopo un bagno non voluto, ma senza l’agilità dei suoi movimenti coordinati.

    Albert distolse lo sguardo dall’esterno e si girò verso la stanza per osservarne il contenuto. Voleva disperatamente capire se qualcosa fosse cambiato rispetto a qualche ora prima, ma non notò nulla di strano, la solita stanza disordinata con i poster appesi ai muri e all’armadio, i vestiti lasciati spiegazzati in giro, i libri sparsi e qualche scarpa abbandonata spaiata sul pavimento.

    Cos’era allora quella sensazione che lo stava assediando quasi con fastidio?

    Diede un’occhiata di sfuggita allo specchio e ritrovò la sua immagine, non sembrava molto diversa dal solito, si concentrò sugli occhi per capire se fossero loro a tradirlo in questa circostanza, ma a parte qualche leggera striatura che dettava un brivido di languida stanchezza, non riuscì ad identificare alcuna anomalia sul suo volto.

    Questo lo tranquillizzò e, muovendo nuovamente le sguardo verso la stanza, si concentrò sulla moltitudine di fogli di carta sparsi in giro: erano il chiaro indizio dell’intensa attività grafica che, durante il periodo della grande pioggia caduta poco prima, aveva contribuito a creare il cerchio perfetto.

    Un fremito di soddisfazione lo percorse e occupò la stanza sorvolando sugli oggetti presenti.

    Era giunto il momento di agire e, con l’animo straripante di gioia controllata, Albert cominciò ad infilarsi un paio di pantaloni e si cambiò la maglietta, sostituendola con una camiciola a righine perbene.

    Così vestito si sentì pronto ad affrontare la casa, perciò uscì dalla stanza e si diresse fischiettando verso il telefono, lasciandosi dietro una scia di consapevole e gradevole incertezza.

    Capitolo 2

    Peter era rimasto confuso ed eccitato dal colloquio avuto con Albert il giorno precedente.

    Quel racconto di cerchi perfetti aveva stimolato la sua attenzione e, non appena terminata la telefonata, aveva cominciato a guardarsi intorno alla ricerca di qualcosa di speciale, qualcosa che lo portasse a decifrare segnali deboli, indizi di una verità fino a quel momento nascosta ai più.

    Si appassionava sempre in questa maniera, anche quando leggeva un certo tipo di libri oppure quando gli capitava di ascoltare delle storie curiose.

    Era parte del suo modo d’essere, ma non sempre riusciva a condividere questa passione con gli altri e talvolta questo atteggiamento istintivo lo faceva riscontrare borioso, infantile e, spesso, noioso.

    A dire il vero, la sua stazza ed il portamento scoraggiavano gli interlocutori dall’essere scontrosi nei suoi confronti, tuttavia non si può dire che fosse apprezzato dalla maggioranza dei coetanei, eccezion fatta per le coetanee, alle quali il fisico ed i lineamenti non comuni risultavano attraenti e pertanto sopportavano le sue stranezze con maggior benevolenza.

    Quel giorno, mentre camminava con aria investigativa lungo la strada di rientro da scuola verso casa, non gli sfuggì che si sarebbe scatenata una pioggia violenta come quella del giorno precedente, e affrettò il passo per evitare di prendersi una lavata che avrebbe potuto rovinare la pettinatura ordinata della folta chioma, alla quale teneva in maniera maniacale.

    Arrivò a casa quasi correndo, quindi entrò nell’appartamento e salutò la famiglia con un tono di leggero disappunto.

    Dopo aver appoggiato la borsa nell’ingresso, si infilò nella camera e, una volta seduto alla scrivania, si mise ad analizzare quanto scoperto durante la giornata.

    Verso l’ora di pranzo aveva visto due strani personaggi camminare a poca distanza uno dall’altro, lui quasi calvo con un soprabito viola e lei invece con un’ordinaria pettinatura a caschetto, ma con un abitino striminzito che ne metteva in risalto le forme massicce. I due si erano fermati separatamente vicino ad un chiosco e dopo pochi minuti si erano avvicinati ed avevano iniziato a confabulare.

    Se non fosse stato per il modo in cui lei aveva allontanato l’altro al termine della conversazione, accompagnando i gesti fisici a vari insulti verbali, avrebbe potuto credere che fossero in combutta per organizzare qualcosa di particolare, in linea con le sensazioni che gli aveva trasmesso Albert.

    Purtroppo questo era stato l’unico evento che si era distinto da una routine che invece l’aveva attanagliato per il resto della giornata: lezione, pausa, lezione, mensa, biblioteca, lezione.

    In quel momento cominciò a vedere qualche goccia di pioggia cadere all’esterno, si tolse scarpe e pantaloni, si infilò la tuta e, prima di darsi una bella ripassata ai capelli affondandovi dentro le mani, arricciò il naso con soddisfazione: era contento di essere riuscito ad evitare di esporre la sua magnifica capigliatura ad un inutile lavaggio.

    Mentre osservava l’intensificarsi della pioggia, fuori dalla finestra notò con la coda dell’occhio un movimento tra i rami dell’albero più vicino e, colto dallo scrupolo se osservare con maggiore attenzione o attendere un momento per far consolidare il movimento in qualcosa di più realistico, si rilassò inarcando la schiena sulla sedia.

    Pochi secondi dopo, il movimento aveva esaurito i suoi effetti e Peter si rimise a guardare la pioggia con ottusa inerzia.

    Ma d’improvviso, accompagnata da un lampo intenso e sferzante, una palla pelosa e rossastra gli saltò di fronte sul davanzale e, per lo spavento, il ragazzo a momenti cadde dalla sedia.

    Una volta ripresosi, notò che la creatura non era nient’altro che uno scoiattolo, un comune scoiattolo, con il pelo rosso e qualche sfumatura nera e grigiastra, gli occhietti vispi e le zampine anteriori in movimento.

    Dopo pochi secondi l’animale iniziò a guardare attentamente Peter attraverso il vetro, quasi facesse fatica a capire chi o che cosa ci fosse al di là di quella strana lastra trasparente.

    La luce era diminuita notevolmente rispetto a poche decine di minuti prima ed i lampi iniziavano ad illuminare con sporadica determinazione il cielo e l’ambiente.

    Dal suo punto di appoggio, lo scoiattolo si limitava a brevi movimenti a scatti, ma dopo il terzo lampo ed i conseguenti tuoni, cominciò ad avere un atteggiamento strano, che Peter ricordò chiaramente anche a distanza di giorni.

    Non aveva ancora smesso di osservarlo quando l’animale cominciò a picchiettare sul vetro con una certa regolarità e a muovere le labbra e contorcere la bocca come se fosse colto da un tic nella parte anteriore del muso.

    Peter dapprima indietreggiò di qualche passo poi, spinto dalla sua innata curiosità, si riavvicinò alla finestra e provò anche lui a batterci sopra nel tentativo di rispondere ai segnali ritmici lanciati dall’animale.

    Quest’ultimo, per nulla intimorito dalla reazione del ragazzo, sembrò anzi quasi irritato dal ritardo della stessa e cominciò ad emettere dalla bocca suoni chiaramente distinguibili, come in un tentativo verosimile di comunicargli qualcosa utilizzando un linguaggio sconosciuto.

    A questo punto Peter valutò due opzioni: chiamare il soccorso medico e farsi ricoverare per carenza di vitamine indispensabili ad un corretto funzionamento dei sensi oppure andare avanti e scoprire se quanto gli stava accadendo fosse realmente possibile.

    Fu così che aprì la finestra e rimase in attesa.

    Capitolo 3

    C’era una volta un cane. Rodrigo guardò nuovamente l’inizio del racconto e un senso di leggero disgusto gli si materializzò nella mente.

    Non si può pensare che un cane sia in grado di sostituire un re! proseguiva il racconto cercando di essere spiritoso, A meno che la storia non sia la storia di un gruppo di cani... .

    Rodrigo posò il libretto e si girò nel letto mormorando «Che schifezza...».

    Stando sdraiato sul fianco gli occhiali gli davano fastidio, perciò decise di alzarsi e puntò deciso verso la scrivania.

    Inciampò un paio di volte nei libri che resistevano sparpagliati dappertutto sul pavimento di legno e raggiunse la destinazione dove, in maniera altrettanto caotica, coesistevano altri libri, documenti, fogli, vari elementi di cancelleria, un paio di occhiali rotti, vasetti di yogurt già mangiati ed addirittura qualche calzino, uno dei quali appeso sulla lampada come un impiccato o un serpente su un albero in attesa della preda.

    Si fece largo tra il disordine e dopo pochi istanti recuperò un oggetto strano che a prima vista poteva sembrare un uccello meccanico, visto che era dotato di un bel paio di alette. A guardarlo più attentamente, in realtà si trattava di un oggetto inusuale, una specie di macchina per tracciare righe in assenza di squadra e righello.

    Non era una sua invenzione, ma l’aveva visto anni prima in un negozio di articoli da disegno ed era entrato per chiedere di che cosa si trattasse; il proprietario del negozio l’aveva sfidato ad indovinare cosa fosse poiché l’apparecchietto gli era stato portato come modello di prova per verificarne le opportunità di vendita, ma fino a quel momento nessuno era stato in grado di definirne l’impiego.

    Dopo averlo rigirato un po’ tra le mani ed averne constatato la delicata robustezza ed il design raffinato, Rodrigo fu in grado di dire precisamente quale fosse la sua funzione ed il negoziante, piacevolmente stupito dalla capacità del bambino, decise di regalarglielo, raggiungendo lo scopo di liberarsi di quell’unico esemplare che nessun altro cliente avrebbe apprezzato in maniera simile.

    L’oggetto infatti era molto particolare e una persona normale l’avrebbe definito strano: lo stesso appellativo veniva attribuito anche a Rodrigo ed i compagni di scuola approfittavano di questa sua reputazione come spunto per prenderlo sempre ed inesorabilmente di mira.

    Era lo zimbello non solo della sua classe, ma dell’intera scuola e veniva additato come persona da evitare ed allo stesso tempo da torturare, obiettivo del piacere sadico dei coetanei.

    Per fortuna di Rodrigo, questo sarebbe stato il suo ultimo anno in quella scuola, l’anno successivo avrebbe avuto accesso all’Università dove, forse e finalmente, i compagni lo avrebbero lasciato un po’ in pace e gli avrebbero consentito di allentare la tensione alla quale era sottoposto quotidianamente.

    Questo suo essere costantemente perseguitato era dovuto perlopiù all’aspetto fisico, gracilino e, in certi periodi, un po’ troppo brufoloso; inoltre, a completare l’essenza scenica, portava grandi occhiali fuori moda che invitavano i coetanei a sbeffeggiamenti diretti e fastidiosi, non appena avevano l’occasione di incontrarlo.

    Le ragazze perlomeno non infierivano su di lui, forse impietosite dalle continue molestie cui veniva sottoposto o forse perché, essendo un po’ più sensibili dei pari età maschili, sentivano che in lui c’era qualcosa di particolare, non solo qualcosa di strano.

    Era sicuramente dotato per lo studio e molti lo consideravano un po’ secchione, ma la sua dote migliore era quella di capire istantaneamente l’essenza meccanica delle cose, alle quali riusciva a dare vita e movimento, quasi fosse parte di un suo talento profondo o di una sua particolare empatia verso le macchine.

    Già da piccolo era in grado di aggiustare qualsiasi tipo di giocattolo e da ragazzo, nel tempo libero, si dedicava ad assemblare, riparare, ma soprattutto a far funzionare qualsiasi tipo di oggetto o macchinario.

    La famiglia aveva sempre sostenuto e stimolato queste sue qualità, fornendogli materiali ed attrezzi per dare sfogo al suo spirito creativo e la madre, rimasta vedova quando Rodrigo non aveva ancora compiuto dieci anni, lo aveva accudito come un gioiello prezioso, preservandone la luce dal mondo esterno e lucidandolo con cura e perizia nel contesto privato.

    E quell’oggetto anonimo e singolare che il ragazzo aveva recuperato nel negozio di articoli da disegno era di fatto il simbolo del suo essere solitario, incompreso, sicuramente utile e geniale, ma poco apprezzato dal mondo dei normali e per questo motivo, seguendo il suo stato d’animo, lo aveva battezzato soloscopio.

    E proprio mentre Rodrigo stava usando il soloscopio per tracciare alcune linee su uno dei fogli bianchi sparsi sulla scrivania, quasi d’improvviso la luce calò sensibilmente.

    Era già il secondo giorno consecutivo che questo accadeva e, non appena si accorse che il temporale stava per cominciare, il ragazzo si alzò

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