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Braci di provincia
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E-book558 pagine9 ore

Braci di provincia

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Info su questo ebook

Bruno è un investigatore sul lastrico, senza casi da risolvere e al limite della bancarotta. Improvvisamente, riceve un incarico insolito, pericoloso, impegnativo: indagare sui traffici poco chiari all’interno di una rete
televisiva molto famosa, il cui proprietario è pronto a vendere l’anima al diavolo pur di essere preso sul serio. Bruno bisognoso di soldi e di stimoli, accetta l’incarico. “Tutta la frustrazione di un’esistenza, a lunghi tratti grigia e senza sfumature; desiderava inconsciamente difficoltà, rotture di palle, problemi, desiderava carburante e non inerzia per le sue sveglie mattutine, desiderava tinte forti e immense sfumature, desiderava che fosse lui a decidere lo scandire dei secondi, dei minuti e delle ore, non il suo orologio e finalmente sapeva, o meglio sperava, che il caso Guidetti lo avrebbe richiamato lì, risvegliato da quel comodo torpore, nel quale era stato, suo malgrado, confinato.” L’accettazione del caso farà riaffiorare fantasmi e spettri sepolti da trent’anni, quando Bruno era appena un adolescente, e di quel nome tanto dolce e caro, Caterina.”
In un climax di eventi, Bruno si ritroverà immischiato in questioni pericolose, impantanato nella morsa del male e del peccato ma anche dell’amore, quello per Violante. “Poteva l’amore di Violante redimere Bruno e cacciare via i suoi fantasmi, bestia compresa, rendere il suo dolore più sopportabile, meno opprimente? Violante. Mi sei rimasta solo tu. E solo l’amore che provo per te mi tiene in piedi. Intreccio paradossale tra amore e morte.
Salvare l’amore e la persona che l’aveva reso umano o condannarla per sempre, alla giustizia dell’uomo.

Fabio D’Agostino è nato il 10 settembre 1988 a Benevento. Frequenta il liceo classico e si trasferisce a Roma per proseguire gli studi. La curiosità, stimolata dagli autori storici e dal pensiero filosofico, lo spinge ad approfondire l’analisi della società che lo circonda, coniugandola con l’interesse per la politica. Si iscrive così alla facoltà
di Scienze Politiche dell’Università di Roma “La Sapienza”. Si laurea con lode al corso magistrale di Relazioni internazionali con una tesi sul pensiero teologico - politico di Jacques
Maritain, in storia del pensiero politico contemporaneo; successivamente consegue un master in Intelligence operativa e strategie di antiterrorismo, e inizia a collaborare con una serie di articoli di geopolitica per una rivista scientifica bimestrale di intelligence, sicurezza internazionale e comunicazione strategica. Dopo il trasferimento a Padova, l’autore avverte l’esigenza di raccontare una storia italiana.
LinguaItaliano
Data di uscita31 dic 2022
ISBN9788830675254
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    Anteprima del libro

    Braci di provincia - Fabio D’Agostino

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    IL PALLIDUME DEL CIELO DI SETTEMBRE

    Il freddo lo avvolgeva, lo avvinghiava, strappandogli la pelle, centimetro dopo centimetro, pungendolo profondamente, mentre l’ossigeno cominciava ad esaurirsi nei suoi polmoni. Non toccava più. O forse non voleva, non poteva. Lo sterno cominciò a subire esplosioni ritmiche, dandogli dei sordi colpi, facendolo sobbalzare, contorcere, affamato di ossigeno, di aria. Ogni colpo, gli faceva strabuzzare gli occhi. Una voglia tremenda di aprire la bocca, un riflesso incondizionato prima di annegare, quel secondo, quell’istante, prima che la follia avesse preso il controllo, facendoti urlare, nel silenzio ovattato dell’acqua, cominciando ad ingurgitarne litri e litri, all’istante, avvelenando i polmoni. Ancora un colpo. Aveva come la sensazione che il suo esofago stesse crollando, come dopo un incendio e che i suoi polmoni, fossero ormai sacche, buste, collassate e inutili. Sentiva dolori ovunque e perse così la testa. Aprì la bocca, sperando di prendere aria, ma non fu così. Eppure, neanche nei suoi incubi peggiori, mai pensò, che sarebbe andata in quel modo.

    ‘È ancora presto’ pensò Bruno, girandosi sul fianco destro, nel suo letto. Mancavano circa quarantacinque minuti al suono della sua sveglia; ma lui non riusciva a riprender sonno, cominciando una futile guerra di nervi con sé stesso. Fece il pessimo errore di cominciare ad elencare le questioni da risolvere in giornata e in settimana, sperando di stimolare la noia ed abbattere quella tensione insopportabile. Dopotutto, il lunedì aveva, per lui, questa odiosa funzione. ‘Non pensare, non pensare, non pensare’ cominciò a recitare questo mantra, nervosamente, con la speranza di vincere le ansie che attanagliavano il suo animo. Fu tutto inutile. Bruno aprì gli occhi, scrutando la sua stanza da letto, cercando consuetamente i suoi punti di riferimento che sembravano dargli fiducia e serenità. Cercò con lo sguardo, alla sua sinistra, dapprima il suo abat- jour, in cima al comodino, barocco ma discreto, di colore oro, di ridotte dimensioni. Nessuna persona libera l’avrebbe desiderato in casa, figuriamoci in camera da letto. La sua libreria, con due ripiani, all’interno della quale c’erano, più che altro, testi del suo periodo universitario: una raccolta di testi, senza alcun criterio, senza alcun legame logico, incompleta, come il suo percorso di studi. Necessitava coraggio ora; Bruno chiuse gli occhi e si voltò verso la finestra. Era un vero e proprio atto eroico, per lui, il risveglio ufficiale. Il richiamo, alla vita quotidiana. Dalla tendina, traspariva parzialmente la luce del giorno; non si riusciva a capire esattamente che tipo di giornata sarebbe stata, poiché i raggi del sole trasversali erano talmente flebili e deboli, da renderne complicata la decifrazione. Sole? Nuvole o pioggia? Era un gioco sciocco, che incuriosiva e divertiva, al tempo stesso, Bruno. Ora di alzarsi: colazione rapida e poi studio. Era un programma che Bruno seguiva pedissequamente, da circa cinque anni. Ma, guai a pensare che Bruno fosse una persona abitudinaria. Aveva bisogno di quei punti fermi, di riferimento, per cercare di decifrare la sua esistenza, di quell’orrendo abat- jour, di quella libreria, per mettere ordine nella sua testa. ‘Ne ho percorsa di strada, però. Ma, dove mi ha esattamente portato, ancora non l’ho capito. Magari, oggi è il mio gran giorno’. Era una strada trafficata, contorta, quella sua mente, ma anche coperta da una trapunta di speranza e di un nemmeno tanto velato ottimismo sul futuro; un turbinio di pensieri e ricordi nel quale Bruno, si perdeva ogni giorno, alienandosi, spesso, dalla quotidianità della vita. Almeno fino a quando non chiudeva la porta di casa sua e usciva, per aprire il suo studio. Si apprestò a chiudere quel vecchio e cigolante portone di casa, lanciando un attento sguardo al cielo; nuvoloso, ma con il sole prepotente che cercava di squarciare quel velo grigio e pallido, che nascondeva il cielo. Quel cielo di settembre era sempre stato unico e ispiratore.

    ‘Basta così; devo uscire’ disse Bruno a sé stesso, ricominciando a battere le palpebre. Apparteneva a quella ristretta e fortunata cerchia di persone, che non aveva bisogno di mezzi di trasporto, per raggiungere il posto di lavoro; infatti, lo studio era ad appena ottocento metri dalla sua abitazione. Bisognava percorrere questo viale alberato, per circa dieci minuti e poi svoltare sulla destra, su una strada secondaria. La particolare geometria degli alberi del viale e i giochi di luce con i raggi di sole che filtravano dalle foglie di quei platani, erano sempre stati ispiratori, stimolanti per Bruno, che trovava piacevole, rilassante e rassicurante passeggiare su quel tappeto di foglie cadute che spesso però si appiccicavano sotto la suola della sua scarpa, facendolo imprecare la natura, i suoi frutti ed i suoi misteri. Una rapida svolta a destra e la settimana di Bruno avrebbe avuto finalmente inizio. Lo studio era ricavato da una vecchia tabaccheria, chiusa negli anni settanta, di una sua vecchia zia. Neanche a dirlo, accanita fumatrice. Il posto si articolava in due locali: una sala d’aspetto, più o meno sempre buia, fredda e inospitale, con sedie messe senza alcun criterio, rovinate dal tempo e dall’umidità e le pareti fresche ma piuttosto spoglie; c’erano quadri anonimi e stampe messe su alla meglio, così, tanto per rendere meno anonimo e assurdo quel posto. Bruno non era sicuramente il tipo che badava a queste cose. ‘Se entri in questo posto, nel mio studio, non vai in un salone di bellezza o dal dentista. Hai un problema. E io devo cercare di risolverlo’ rispondeva stizzito e puntuale a chi gli faceva notare la poca cura della sala d’aspetto. Perché Bruno era un investigatore. Ma non era certo Philip Marlowe, né era la sua massima aspirazione diventarlo. Bruno voleva capire le persone, cercava di penetrare il loro animo, carpirne i segreti, le idee, i sogni, anche perché poi, le loro problematiche erano, alla fine, sempre le medesime. Infedeltà, frode assicurativa ed altre noiosissime e moralmente discutibili attività, con cui Bruno sbarcava il lunario. Aveva cominciato questa professione agli inizi del nuovo secolo, tra infinite difficoltà ed uno scetticismo che era tipico della sua personalità: dopo anni trascorsi a fare consulenze, ad elargire consigli utili alle aziende, peraltro anche grandi, era tempo di fare quel grande salto, di occuparsi di sicurezza tout-court. Riuscì a restaurare la fatiscente tabaccheria della povera defunta zia Clelia, ormai dismessa da anni, per creare il suo spazio e reinventarsi un futuro: diede fondo a tutti i suoi averi (che comunque non erano moltissimi) per la sua formazione, per le licenze e per le varie tasse che, come sempre, come ad ognuno di noi, gli tolsero sonno e parte della sua salute, procurandogli una fastidiosa, ma passeggera gastrite. ‘Fortuna che la fedeltà coniugale è merce preziosa e rara’ si ripeté Bruno, perché con le corna, ci campò diversi anni. E aspettava, sperava, anelava la grande occasione, come un inatteso colpo di scena in un film, quell’occasione che lo avrebbe reso immortale e che lo avrebbe salvato da quel pallidume, da quel brodo sciapo ed insapore, che era la sua esistenza; quell’attesa, ormai, era diventata decennale e, pian piano, si stava trasformando in una chimera, in un miraggio, come un asino che rincorreva la carota, appesa alla sua testa. E il desiderio di azione, per Bruno, era inafferrabile, proprio come quella dannata carota. L’attesa, la speranza non lo abbandonò mai del tutto. Ma, con gli anni, quell’attesa si stava inesorabilmente trasformando, in rassegnazione. Anche se Bruno aspettava e sperava ancora. Aprì il portone della sala d’attesa antistante al suo studio, accendendo il quadro generale elettrico, ben nascosto sulla destra da una stampa di discutibile gusto e si diresse in fondo verso la porta che apriva la sua postazione: l’ambiente era curato, molto pulito ed entrando nel suo studio, si aveva l’impressione che il mobilio fosse stato acquistato da poco, quasi del tutto intatto ed immacolato. Davanti la scrivania c’erano due comode poltrone di colore marrone, in pelle, che ricordavano più lo studio di uno psicanalista, che di un investigatore e si poggiavano su di un vecchio tappeto persiano, i cui colori e motivi erano indecifrabili, consumati dal tempo e dalla pulizia inadeguata. Sulle pareti, vi erano i diplomi e le licenze di Bruno: odiava mostrarle, non lo sopportava, davvero, ma ‘Alla fine purtroppo servono: mettono il cliente a suo agio, lo tranquillizzano, in qualche modo’. Ma la sua scrivania era davvero la nota dissonante, in quello studio: la superficie era ben curata (grazie alla Signora Sandra che si occupava delle pulizie il martedì ed il venerdì) a differenza di ciò che c’era poggiata su. Al centro, vi era una grande quantità di fogli bianchi, adagiati su di una grossa cartellina rossa, un po’ scarabocchiati, un po’ rovinati, una miriade di penne consumate, poste all’interno di quello che sembrava essere un bicchiere, il quale puntualmente si rovesciava. Sulla sinistra vi era un grosso computer, un modello vecchio, quasi quanto il proprietario. Bruno l’accendeva, per lo più, per fare la rassegna stampa. Sulla destra, c’era una pila di agende che, negli anni, avevano accompagnato la sua attività. Per di più gli servivano a rendere l’inconsistenza di quel periodo, meno amara. Erano di diversi colori, anche se, più o meno, delle stesse dimensioni. Alle spalle della scrivania, c’era una grossa libreria, con faldoni e cartelle enormi che ne occupavano la maggior parte dello spazio: sui vari ripiani, c’era dell’oggettistica non ben definita e accumulata, senza criterio. Ma era, per lo più, scena. ‘Posso mai mettere le foto dell’amante della Signora X all’interno di queste cartelle? Oppure che il Signor Y, in realtà, tradisce la moglie con un suo collega…’ scherzava Bruno. Ma egli si occupò di casi anche più delicati, nella sua carriera. Ma non ne parlava volentieri. Anzi, non ne parlava mai. Non perché non ne fosse fiero, ma perché, in realtà, rappresentavano un treno, dal quale era stato gettato via con forza e le ferite di quella caduta, non si erano mai davvero rimarginate. Meglio non pensare troppo a quel che è stato. «Non ci sono messaggi» riferì la cortese voce della segreteria telefonica. ‘Ok, controlliamo la mail’ si disse Bruno, rassegnato ed anche un po’ seccato. Nisba. ‘Forse dovrei decidermi a fare quella telefonata’ ammise Bruno. Si riferiva ad una mail che aveva ricevuto la settimana precedente di una piccola azienda, gestita per lo più da ragazzini nerd con la passione per il web, che si occupava di marketing, da quello che aveva capito, "spammando" le ricerche internet degli utenti. Il tutto ad un prezzo, tutto sommato, ragionevole. Ma Bruno, era decisamente scettico a riguardo, pensava che la professionalità, l’ingegno, non potesse essere messo su un volantino (seppur virtuale), come l’ultimo modello di cellulare o le offerte al supermercato. Ma erano settimane che il lavoro mancava e cominciava a spazientirsi. ‘Sentirò Vera. È ora del suo caffè’. Anzi, prese la sua giacca e decise di recarsi di persona.

    Con la consueta cura, chiuse la porta d’ingresso dello studio, visto che il bar era appena di fronte. ‘Non credo scoppino casi, in un quarto d’ora. Neanche le pubblicità o i Testimoni di Geova mi hanno cercato nelle ultime settimane’. Il bar, dove quasi quotidianamente si recava Bruno, era aperto da appena cinque anni, eclettico e funzionale, riscuoteva un discreto successo. Soprattutto i proprietari, Gino ed appunto Vera, erano persone affabili e simpatiche, il tipo di persona adatte e congeniali al lavoro che svolgevano. Bruno li conosceva bene entrambi; aveva avuto a che fare con Gino, perché gli aveva chiesto una (sgradevole) consulenza su Vera, prima di chiederne la mano. Gino era un tipo godereccio, una persona nel pieno della maturità, che ha sempre lavorato in fabbrica la cui puzza dei macchinari e dell’alcol non l’aveva mai davvero abbandonato. A differenza della sua prima moglie. Lei scappò dopo diversi anni di matrimonio, stanca della sua pessima autostima, della mancanza di ambizione e dei pochi soldi che Gino portava a casa, quando non se li scolava. Contrariamente a quello che si poteva credere, la separazione ed il divorzio poi, aveva solo giovato a Gino, il quale capì che era giunto il momento di cambiare direzione: si dimise dalla sua azienda e con la liquidazione rilevò un bar fatiscente di un anziano signore. Durante le trattative per l’acquisizione del bar, Gino frequentò spesso la casa di questo signore (il cui nome, continuava a sfuggire alla memoria di Bruno): lì conobbe Vera. La moglie del vecchio proprietario era stata colpita da un male tremendo e necessitava di assistenza continua. Vera aveva lasciato, di recente, la Bulgaria; era di una gentilezza superiore, aveva un portamento fiero ed un aspetto assolutamente piacevole, nonostante la sua età, non più esuberante. Un fisico snello e slanciato, capelli lisci, neri che scivolavano su un viso sul quale si affacciavano, prepotentemente, i solchi del tempo. Ma i suoi occhi. I suoi occhi erano di un colore indefinibile: azzurri, grigi, grandi e penetranti. Se incrociavi il suo sguardo, ne eri totalmente rapito. Era come se i battiti del cuore rallentassero improvvisamente, come se riuscisse a penetrare l’antro del tuo inconscio, l’anticamera della tua anima. Una sensazione che provò anche Bruno, quando la conobbe. Vera, ad ogni modo, era sempre affianco alla signora, anche quando questa era in preda ad attacchi violenti o a crisi di panico, per colpa di quella terribile malattia. Solo lei riusciva a calmarla, carezzandole la fronte e sussurrandole all’orecchio una canzone, un motivetto che sua nonna utilizzava, per farla addormentare. Quella canzone ipnotizzò anche Gino, che oltre al bar, portò via all’anziano signore, anche Vera. ‘Che stupido’ pensò Bruno. Ricordava tra sé e sé, in che circostanza avesse conosciuto Gino e come gli fu chiesta la consulenza. Qualche giorno dopo l’apertura del nuovo bar, Bruno si fermò a consumare un toast; dopo diverse chiacchierate di circostanza sulle rispettive professioni, Gino chiese un incontro un po’ più formale, verso l’orario di chiusura. Bruno rimase un po’ interdetto, ma accettò. Verso le 20.30 di quello stesso giorno, si recò al bar, dove Gino era intento nelle attività di pulizia del locale e tirò giù la saracinesca, facendo accomodare al bancone Bruno e gli disse, versandogli un dito di scotch (di pessima marca peraltro): «Amo Vera, mi piace proprio. Vorrei sposarla. Anche se ci conosciamo da pochi mesi. Lei non è come quella strega che ho incontrato vent’anni fa. Non mi giudica, né mi comanda, sa in anticipo di cosa ho bisogno e mi è sempre vicino» disse Gino, fissando il vuoto con un’espressione piuttosto tonta ed assente. «Beh credo si definisca amore. Ma qual è il problema?» rispose Bruno che desiderava solo tornare a casa. «Io so perfettamente cosa fa. Dove va e chi frequenta. Ma, ogni giovedì, sparisce per circa tre ore e quando le chiedo dove va, glissa o comunque, stento a crederle. Io ho una certa età. E non voglio fare altri errori».

    «Hai provato semplicemente a parlarle?» seguitò candidamente Bruno. «Certo. Mi dà spiegazioni, ma io voglio vederci chiaro». «Ho capito» disse Bruno, quasi infastidito «vuoi che la segua, per capire cosa fa». Gino fece un cenno con la testa, imbarazzato come fosse stato sorpreso a rubare. Non ci volle molto lavoro per Bruno per capire che Vera, prendeva il bus verso le 16, di ogni giovedì, per andare in un appartamento, nella vicina città a trovare una giovane e bellissima ragazza. Nessun tradimento, nessun movimento losco. Una volta consegnato il rapporto a Gino, Bruno gli consigliò di parlarle, di affrontare il discorso e magari di omettere il non piccolo e trascurabile dettaglio, di aver ingaggiato un investigatore. Qualche tempo dopo, mentre Bruno sorseggiava il consueto caffè, Gino gli disse, non senza imbarazzo: «Quella ragazza è sua nipote: la mamma, la sorella di Vera, morì di overdose. E si prostituiva. Vera cerca di farle sentire l’affetto che è mancato per tutta una vita a quella ragazza. L’ho conosciuta al nostro matrimonio, sai? Studia architettura e, ogni tanto, viene da noi anche a dare una mano». Bruno sorrise maliziosamente e si prese una licenza che, ogni tanto, rievoca volentieri e gli disse:«Lo sai che sei un idiota?». I due risero e nacque un buon rapporto, da quel momento. Anche con Vera.

    «Buongiorno. Mi fai un caffè per favore?» chiese Bruno, alzando lo sguardo per un paio di secondi. «Bruno! Ciao, arriva subito. Sempre felice, mi raccomando. Tutto ok?» osservò con ironia Gino, già stanco. «Ciao Bruno» esclamò, salutando con un sorriso Vera, che era alla cassa. «Ciao Vera, tutto bene, tutto uguale. Aspetto sempre il momento di chiudere tutto e trasferirmi sul delta del Mekong per fare il pescatore su una lancia» disse sorridendo, verso entrambi. «E come faresti senza il nostro caffè?» dibatté Gino a cui, ultimamente, la battuta non mancava. «Ora hai capito perché non mollo tutto e parto» rispose, stando al gioco. Ed in effetti, il caffè di Gino era davvero sublime. Anche perché, per una persona semplice come Bruno, rappresentava un momento d’intimità e di piacere altissimo; il caffè era pronto, lì sul bancone ed il profumo inebriava i sensi di chi, come Bruno, lo amava così intensamente da non riuscire a non chiudere gli occhi, anche solo per pochi istanti. Ogni movimento, ogni gesto, ogni istante erano come un rito, per Bruno; impiegava, per bere un caffè, circa un minuto ma era come se quell’intervallo di tempo, si dilatasse all’infinito ed ogni gesto, ogni smorfia, divenisse puro piacere per lui. Gino e Vera sapevano benissimo che, una volta che Bruno metteva le mani sulla tazzina, era impossibile per lui conversare; non gli parlavano, si limitavano ad osservarlo, ridacchiando bonariamente. In realtà, Gino si riempiva d’orgoglio, compiacendosi del fatto che, grazie alla sua arte, riusciva a regalare momenti di piacere e di distacco ai suoi clienti. In secondo luogo, conosceva abbastanza Bruno, per sapere che non era un amante di futili discorsi da bar, lui, che era costretto a sopportare chiacchiere, dall’alba fino al tramonto. Un altro motivo che accresceva stima nei suoi confronti. Si diresse alla cassa per poter pagare la sua consumazione, senza sdegnare di rispondere al sorriso di Vera. «Come sta tua nipote?» chiese; Vera, con la consueta grazia, rispose: «Sta bene. Al solito: in pensiero per gli esami da preparare ed il suo futuro». Nel pagare, Bruno, con rassicurazione, le disse: «Sono contento. Sono sicuro riuscirà a venirne a capo. Dille di rilassarsi, di non strapazzarsi troppo. E anche tu Gino, non starle troppo addosso». Gino si voltò, rispondendo: «Figurati. È troppo in gamba quella ragazza. Io mi assicuro che non molli la presa». «Ecco, appunto. Ci vediamo» salutò ironicamente l’investigatore. Sull’uscio del bar, Bruno si concesse quello che era per lui l’unico vero vizio. La sigaretta. Diede, prima di fare il primo tiro, un rapido sguardo a destra e a sinistra: lo faceva inconsciamente, senza un vero motivo, come se facesse qualcosa di losco, immorale e quindi doveva, in qualche modo, assicurarsi di non essere visto o spiato. Difficile spiegare le stranezze e le nevrosi di ognuno di noi. Poi, al solito, fumava la sua sigaretta, guardando in direzione fissa del suo studio, avviandosi poi, verso lo stesso: riaprì e rifece le solite operazioni, con una fissa, costante e vuota espressione stampata sul viso, come quelle che si vedevano nel teatro classico giapponese.

    Ma, nella sua segreteria, c’era un messaggio. Quanto bastò per accendere la sua giornata. ‘Se è la solita pubblicità, giuro che le farò fare un volo di non ritorno, verso la strada’. Bruno si accomodò sulla sua poltrona, premette il tasto "play ed ascoltò il messaggio. Un tono di voce freddo, metallico, pronunciò queste precise parole; «Buongiorno, sono Giorgio Guidetti. La prego di ricontattarmi al più presto, su questo numero. A presto». All’improvviso, quella luce pallida e grigia che illuminava l’espressione di Bruno, sembrò svanire velocemente, come nebbia ad aprile. Una nuova luce, una nuova energia aveva preso possesso dell’investigatore, eccitato come un bambino in procinto di scartare un regalo inatteso: almeno, per pochi secondi, questo fuoco gli pervase l’anima, prima che, però, il suo consueto scetticismo, avesse preso, di nuovo, il sopravvento. Sorridendo, pensò cinicamente ‘anche questo mese, saremo ancora in piedi e potrò pagare bollette e debiti’. Prese il suo taccuino e segnò il numero: volle aspettare qualche minuto, prima di precipitarsi al telefono. Bruno portò la sua mano destra sulle sue labbra, arcuando le sopracciglia e pensò ‘Giorgio Guidetti. Proprio lui, quel vecchio bastardo.’ Era impossibile non conoscere il Commendator Guidetti; anziano imprenditore, con svariate attività, un patrimonio importante e una famiglia numerosa. In città, lo conoscevano davvero tutti, di fama, ovviamente. E anche le sensazioni ed i sentimenti nei suoi confronti, erano molteplici e contrastanti: ammirazione, invidia, fino ai sospetti circa l’immenso patrimonio legato al suo nome ed alla sua famiglia. Un mare complicato quello in cui navigava, dove le poderose onde della fama e la ricchezza, lo poneva ora in comodi lidi di stima, ora in secche da codice penale. Bruno, tuttavia, dava poco peso a questi strascichi popolari, pur tenendone conto e per lo più, per cercare di inquadrare e dipingere il personaggio. Non lo aveva mai visto, ne aveva solo sentito parlare. Tutto ciò che sapeva riguardava la sua età, ovvero abbastanza anziano, anche se neanche più di tanto e che fosse smodatamente ricco. ‘Sarà un vecchio insopportabile, avaro e maleducato. Come se i suoi soldi, potessero comprare anche i buoni modi o l’educazione o il tempo delle persone’. Infatti, il tono del messaggio, aveva indispettito Bruno che poco sopportava il dispotismo degli imprenditori, i quali, dall’alto dei loro risultati delle loro impossibili aspirazioni, lo riversavano addosso a chi lavorava o collaborava con loro. Aveva quasi il tono di un ordine, d’urgenza, d’immediatezza. E Bruno non aveva mai sopportato questo tipo di comportamento, ai limiti del militaresco. Un mondo, quello militare, dal quale fuggì per necessità e per un’indole ribelle ed autonoma, che gli rendeva complicato il rispondere a degli ordini. Anche se, alla fine, quest’ultima affermazione, era per lo più una bugia che si raccontava, per dare alla sua realtà un sapore meno amaro. Ma, il mettersi in proprio, comportò anche un cambio radicale del suo modo di essere. Il cliente, l’attenzione per lo stesso, era primario. ‘L’approccio ad un cliente è fondamentale: è di primaria importanza cercare di capire che tipo di persona si ha di fronte, facendo particolare attenzione alle sue parole ed al tono delle stesse. Credo poco nell’interpretazione della gestualità. È abbastanza complicato già concentrarsi sulle parole, figuriamoci sui gesti. Semplicità. Era il metodo di Bruno. O meglio ancora, era Bruno. In questo caso, data l’importanza e la notorietà del potenziale cliente, decise di adottare uno stile neutro: dopotutto, non poteva sapere se Guidetti era preoccupato per qualcosa di serio o meno. Si alzò dalla poltrona e si diresse verso la finestra: ne aprì un’anta e si accese una sigaretta. Avvertì, stavolta, una sensazione piacevole; sentiva come un brivido velato lungo le braccia, una nuova eccitazione che quasi riusciva fisicamente a percepire, permettendo al suo cervello di riavviarsi, aggiornato come fosse un computer. Con calma, si avvicinò al telefono, assaporando quelle sensazioni e compose il numero, lasciato da Guidetti. «Pronto? Parlo con il Sig. Guidetti?» disse con tono deciso «ho appena ascoltato il suo messaggio in segreteria, sono Bruno P.»; a dir la verità, il sig. Guidetti attese qualche secondo prima di rendersi conto di chi fosse, tipico di chi usa spesso il telefono (o per la sua spocchia da imprenditore, pensò in seguito Bruno). «Ah, buongiorno, Bruno; sì, l’ho contattata per invitarla quanto prima per discutere di una situazione che, ultimamente, mi preoccupa molto. Le chiedo solo delle piccole cortesie, delle accortezze: come lei saprà, sono una persona conosciuta, in questa città. E non gradirei farmi vedere in compagnia di un investigatore, in un qualsiasi locale o presso il suo ufficio. Potrebbe insospettire e sfiduciare i miei soci o gli investitori». A questo punto, fu Bruno ad alzare gli occhi al cielo; un borioso, saccente ricco imprenditore che rispondeva ai soliti odiosi cliché. Con buona prontezza di riflessi, offrì una singolare soluzione all’imprenditore, cercando, con tutte le sue forze, di non far trasparire alcuna sfumatura di disappunto e disse: «Ho capito Sig. Guidetti. Nessun problema. Potremmo ovviare così: le propongo di incontrarci in un terreno di mia proprietà, attualmente sul mercato. Ecco, sì, lei potrebbe sembrare un acquirente. Potremmo parlare tranquillamente, laggiù. Nessuno si sentirà sfiduciato o insospettito» aggiunse con un pizzico di ironia. Guidetti, non riuscì a nascondere un certo sollievo alla soluzione proposta da Bruno e infatti rispose: «Mi sembra un’ottima soluzione. In effetti, tutti sanno che sono alla ricerca di un nuovo terreno per costruire una nuova villa. Dopotutto, andrò in pensione anche io e ho una famiglia alla quale pensare. Comunque, se per lei va bene e mi dà l’indirizzo, possiamo vederci anche domattina, verso le dieci e mezza. Le chiedo scusa e la ringrazio per la comprensione che ha mostrato». «Allora siamo d’accordo Sig. Guidetti: il terreno è al sesto chilometro, sulla provinciale, a nord. Sarà davvero semplice trovarlo, perché sulla destra c’è una cascina dismessa all’imbocco della strada in ghiaia, dove vi è un cartello piuttosto grande, con la scritta Vendesi». Guidetti, entusiasta e rinfrancato, diede conferma e si congedò anche piuttosto in fretta. Bruno, più che altro incuriosito per la situazione, pensò ‘Questa mi è nuova: incontrare un cliente sul vecchio terreno dei nonni, che nessuno mai acquisterà’, cominciandosi a prepararsi per l’incontro. Uno degli aspetti più odiosi della professione che Bruno aveva scelto, era il primo incontro"; doveva essere più venditore che investigatore, attività che proprio non gli era congeniale, soprattutto perché il suo sarcasmo, la sua manifesta mimica facciale per le situazioni che poco gli piacevano, molto spesso, gli compromettevano incarichi. Erano caratteristiche, peculiarità della sua personalità che, con fatica, riusciva a nascondere. ‘Se non altro, non si lamenterà della puzza di fumo, in studio’. Ecco, a proposito di umorismo cinico. Con una certa soddisfazione, Bruno cominciò ad organizzarsi, per fare in modo che l’incontro avesse un risvolto positivo. Aveva un disperato bisogno di azione e di soldi. ‘Nel pomeriggio, farò un giro al terreno. Dovrebbe essere tutto più o meno in ordine. D’altronde, sono quasi cinquanta anni che è così’. Metodicamente consultò le previsioni del tempo del giorno successivo, sperando che Giove pluvio non facesse scherzi: in effetti, il tempo previsto era piuttosto sereno con temperature miti e gradevoli. Poi, si abbandonò sulla sua comoda poltrona, abbastanza compiaciuto, ignaro dei compiti che lo avrebbero aspettato, ma fiducioso al solito e contento del fatto che, probabilmente, a caso risolto, avrebbe potuto comprare nuove attrezzature che gli avrebbero fatto molto comodo. La sua professione era così: un’altalena, un ottovolante di impegni, dei periodi che si alternavano e si districavano tra poche ore di sonno, digiuni prolungati o pasti ignobili, venti ore di intense attività e giorni vuoti ed inutili, dove solo le lancette dell’orologio o i giorni del calendario riuscivano ad apportare loro modifiche o novità interessanti. Era ora di tornare a casa per poter recuperare l’auto e recarsi al vecchio villino dei nonni di Bruno, a quel terreno, che il giorno seguente, avrebbe visto un singolare incontro di lavoro. Piuttosto di buon umore, eccitato quasi, chiuse il suo studio verso l’ora di pranzo, in tempo per poter consumare un veloce pasto e si avviò verso casa: anche il sole, forte e vigoroso dopo mezzogiorno, aveva finito di fare capolino tra quelle deboli nuvole di fine estate ed il vento stesso, discreto e scostante, accompagnava Bruno lungo quel viale alberato, consumando più velocemente del previsto, la sua sigaretta. Si affrettò ad aprire il portone di casa e preparando un pasto frugale, organizzava velocemente, in maniera schematica, il pomeriggio ed il giorno seguente: nonostante l’antipatia classista, l’allergia agli imprenditori, Guidetti era un potenziale cliente e come tale, Bruno sapeva di dover fare ogni cosa possibile, per metterlo a suo agio. Cominciando, soprattutto, a ripetersi di tenere a bada il suo sarcasmo. Qualche ora dopo, Bruno scese in garage e tirò fuori l’auto; un’utilitaria anonima di color grigio metallizzato, un modello abbastanza comune, ma ben tenuto. Sicuramente Bruno non poteva essere annoverato tra quei maniaci dell’auto, i quali trascorrono più tempo con loro, che con i propri cari; provava una pena immensa, una tristezza infinita quando, di domenica, andando a fare un giro, incontrava agli autolavaggi, un’immensa fila di auto pronte ad essere pulite e tirate a lucido; ‘Quei disgraziati sono più soli di me’, era solito pensare, dando un rapido e sempre incredulo sguardo allo specchietto retrovisore.

    UN RUDERE DA ABBATTERE

    Il terreno, dove Bruno si stava recando, apparteneva ai suoi nonni paterni: neanche conosceva con esattezza la grandezza del terreno, dove di rigoglioso, cresceva solo farinaccio e romice e pensava a quanto fossero lontani i tempi in cui, suo nonno, con cura maniacale, coltivava i suoi ortaggi e alla fatica che riversava, per fertilizzarlo. Da casa, Bruno impiegava una mezz’ora per arrivare a destinazione: la sua era una guida decisa, non incosciente e quel povero motore, spesso tirato oltre il limite, ne soffriva e non poco. Non amava affatto l’aria condizionata; nelle stagioni calde il finestrino del conducente era puntualmente abbassato, mentre il finestrino del passeggero leggermente aperto, indipendentemente dalla stagione. Non era in grado di dare una spiegazione, una motivazione di quest’ulteriore stranezza, una delle tante, che stavolta coinvolgeva la sua vita in auto. Verso le quindici e trenta, era particolarmente piacevole, per una persona come Bruno, viaggiare in auto: era uno strano momento della giornata, in cui la frenesia, l’immotivata ed intima follia del mattino degli automobilisti, era solo un eco sull’asfalto della strada e la violenza immotivata del desiderio di ritorno a casa, ancora non si affacciava su quelle immense e sterminate lingue grigie che tagliavano le nostre città. Mancavano poche centinaia di metri, al terreno: Bruno voleva vedere come era messo e rendere presentabile e plausibile il palcoscenico, sul quale si sarebbe svolto, il giorno seguente, l’appuntamento con Guidetti. Accese la freccia destra e accostò, imboccando quella strada di ghiaia, tenendo praticamente fisso lo sguardo, su quella fatiscente catapecchia che, una volta, ospitava i suoi nonni: era ipnotizzato da quelle finestre, ormai rotte, da quel balconcino pericolante, posto nella facciata principale della struttura; Bruno rallentò parecchio, quasi a passo d’uomo e fermò l’auto circa cinque metri da quella struttura. Esitò un attimo prima di scendere, come se dovesse richiamare a sé parte delle sue forze; ma, dopo qualche attimo, aprì la portiera dell’auto e si fece coraggio: indossò i suoi occhiali scuri e si accese una sigaretta, continuando a mirare quella casa. Ma non si abbandonò a nessun ricordo in particolare: il suo lungo e particolare percorso di vita, gli aveva suggerito che, nelle situazioni di pericolo o particolarmente stressanti, abbandonarsi ai ricordi, immergersi in quel caldo tepore della memoria, era decisamente controproducente. ‘Il ricordo. Che sia di una persona cara, di una sensazione, di un profumo può diventare una coperta pungente ed insopportabile. Bisogna ripararsi solo per qualche momento. Altrimenti, il conforto diventa dolore’ era solito ripetersi, ogni qualvolta la sua memoria era stimolata. Cominciò a scrutare la proprietà, guardandosi intorno e facendo qualche passo, senza una direzione precisa: la casa era un rudere ormai da abbattere, pericolante e vetusta, carica di ricordi ed emozioni, ormai sepolti nella sua memoria, sapori e profumi di cui non riusciva più a ricordarne la fragranza. Ora, era abitata solo da una famiglia di topi e da impervi rovi. Il tetto era crollato quasi del tutto, mostrando le ceramiche, di un imprecisato colore, rovinato dal tempo e dal clima, del bagno della vecchia camera da letto dei suoi nonni. Le condizioni del piano terra, erano piuttosto precarie e Bruno non aveva nessuna intenzione di prendere perizia delle stesse. La vita bucolica, poco gli si confaceva. Preferiva la crudezza ed il nauseante odore dell’asfalto. Ma l’attenzione dell’investigatore, fu catturata da rumori decisi e sordi, provenienti dalla proprietà di fronte: voltandosi verso quella casa, distante una cinquantina di metri dalla sua, vide una signora procedere in modo deciso, nella sua direzione. Non riusciva a distinguere quello che la signora pronunciasse a tono deciso, ma capì che si riferisse proprio a lui e che doveva andarle incontro: questa signora, ancora piuttosto giovane, aveva lo sguardo fisso su Bruno e, pian piano, si avvicinava allo stesso, tenendo in mano qualcosa, che non riusciva a distinguere cosa fosse, preoccupandolo, non poco. Prendersi una schioppettata, non rientrava esattamente nei suoi piani. Bruno si fece avanti, andandole incontro e con tono amichevole disse: «Buongiorno signora» e, ad una distanza di circa tre metri, quella signora si fermò. Aveva un cellulare nella sua mano destra; con tono deciso ed inquisitorio, disse: «Sono in linea con mio marito: ho già dato la targa della sua auto ed una sua descrizione. Chi è lei? E cosa ci fa qui?». Bruno rimase perplesso, quasi incredulo e cercò di rassicurare la vicina. «Signora, sono Bruno P., proprietario del terreno qui. Era dei miei nonni, ci vengo di rado, purtroppo. Ma avendolo messo in vendita e avendo ricevuto un’offerta, volevo vedere in che condizioni fosse». La signora fece un sospiro di sollievo, salutò affettuosamente il marito al telefono e riagganciando, disse: «Lei deve scusarmi; ma da tempo, in questo terreno, vengono persone di ogni tipo. Sa, coppiette, uomini con prostitute, drogati. E siamo stufi». Bruno sorrise e cercò di minimizzare, cercando di far capire alla signora che, dopotutto, i tempi non erano tanto cambiati. Infatti, lui stesso, ebbe un incontro piacevole con una ragazza proprio lì, in quel vialetto, alla fine, sotto quell’albero, che in estate, è forte e rigoglioso, un ottimo nascondiglio. Questo aneddoto creò un misto di disagio e ilarità nella signora che, imbarazzata, si portò una mano sul viso. I due si presentarono; la signora Maria, dirimpettaia, appariva come una donna che non era di quella terra, né l’apprezzava, ma come una vittima delle circostanze, subendola, come pegno d’amore, sposandola controvoglia, amandola per circostanza, non per sentimento. La signora Maria, pur avendo l’energia tipica della terra, aveva un fiero portamento ed un’attenzione particolare, circa la propria cura, elegante a modo suo, con le mani sicuramente più pulite e curate di Bruno. Una donna, non contadina, che la terra aveva ingurgitato e non l’aveva più lasciata. Era pur vero che certe divisioni si erano affievolite da tempo, ma l’atteggiamento deciso e coraggioso di Maria e la sua determinazione, lasciavano presupporre a Bruno che venisse da una città, o meglio da una grande città, dove i pericoli erano continui e molteplici. Tutti meccanismi e luoghi comuni, figli del tempo e dell’educazione che aveva ricevuto. I contadini non esistevano più da una vita, come l’immaginava o ricordava Bruno, ma nessuno lo avvisò di questo. Anche in questo, Bruno peccava; pensava che il luogo, il lavoro o l’attività svolta da una qualsiasi persona, lo identificasse, in qualche modo, come se il verbo fare od essere si sovrapponessero, fondendosi in un’unica grande armonia. Neanche su questo errore, fu avvisato. Una superficialità difficile da concepire, per un carattere come il suo. Avendo notato tutto questo e decisamente incuriosito, Bruno passò al contrattacco, domandando a Maria se le persone, di cui parlava prima, venissero spesso; Maria, un po’ esasperata, rispose: «È un continuo. E poi, ultimamente, siamo un po’ tutti in allerta. La scorsa settimana, una ragazza è stata aggredita, qui vicino. Ad appena un chilometro da qui. Conosciamo benissimo la famiglia. Brava gente. È stata molestata. È terribile quello che è successo». Quest’ultima notizia fece accigliare Bruno, il quale tra turbamento e la sua deformazione professionale, chiese: «Povera ragazza. Spero che quel bastardo sia stato preso. E la ragazza poi, come sta?». Maria, non senza imbarazzo, incrociò le braccia e rispose: «Da quello che so, venerdì pomeriggio, la ragazza tornava in pullman, dalla città. Nel breve tragitto che deve affrontare a piedi, dalla fermata a casa sua, è stata avvicinata da un auto. Poi quello che so, è che è stata molestata: anche se non so come dirlo, ma non in maniera completa, grazie a Dio. Quando poi la ragazza è tornata a casa, era in stato catatonico. Ma aveva diversi lividi sul viso e sul collo. I genitori, spaventati, l’hanno portata in pronto soccorso, ma la violenza sessuale non era avvenuta. Quel bastardo non aveva fatto in tempo. Non si sa chi possa essere stato. Spero lo prendano presto, quello schifoso. E la cosa tremenda è che la ragazza non reagisce più. È come se non fosse più su questa terra. Solo i dottori possano aiutarla». Bruno ascoltò con molta attenzione questa storia. Era colpito, come chiunque avesse ascoltato una simile brutale storia di violenza, abbassò lo sguardo e voltandosi alla sua sinistra, prima di incrociare lo sguardo di Maria, disse: «È terribile. Mi auguro che la ragazza si riprenda presto. Anche se non guarirà mai, davvero. Comunque, si è fatto tardi. Domani mattina, tornerò qui con un possibile acquirente per il terreno. Non si allarmi Maria se vedrà un po’ di traffico» osservò, sorridendo. I due si salutarono e Bruno montò in auto per tornare a casa. Facendo manovre per immettersi nella strada principale, pensava ‘Povera ragazza. Magari, con una buona terapia, può dare qualche informazione di più a chi se ne occupa. Forse è qualche bastardo depravato della sua famiglia. Di solito, le violenze cominciano sempre lì’. Ma, l’attenzione di Bruno, si concentrò quasi esclusivamente sul suo appuntamento del giorno seguente; era soddisfatto, sollevato per aver dato una copertura credibile a Giorgio Guidetti, anche grazie a Maria. Ogni tanto, la fortuna si ricordava anche di lui. Era tempo di tornare a casa e dedicare le restanti ore della giornata a rilassarsi come era solito fare, a perdere ore, a consumare sigarette e sperare nel domani. Tempo libero che, da lì a poco, avrebbe rimpianto e perso.

    UNA SPECIE DI SMORFIA INCOLORE

    Il mattino seguente, Bruno si svegliò stranamente riposato e di buon umore: aveva già, come al solito, pianificato minuziosamente quella che sarebbe stata un’interessante giornata di lavoro. Nell’infinito lasso di tempo che intercorreva tra l’accensione del fornello, fino all’uscita del caffè, Bruno aveva già deciso l’abbigliamento da utilizzare e il tipo di approccio da adottare nei confronti di un ancora potenziale cliente, come Giorgio Guidetti. La sera precedente, Bruno aveva fatto qualche piccola ricerca: Guidetti era sui giornali locali ed agli onori della cronaca, da decenni. Non era affatto difficile capire che si trattava di uno straordinario visionario, l’esempio della fortuna imprenditoriale, di chi ha avuto la capacità ed il coraggio di andare oltre, anche con forti sacrifici, creando orizzonti di mercato, laddove erano impensabili, fino ad allora. Storicamente, la famiglia Guidetti fu proprietaria terriera; poi, investirono in una piccola azienda di accessori per calzature, per lo più, lacci. Dal secondo dopoguerra, il padre di Giorgio, faticosamente, portò ottimi risultati, incrementandone il personale e dando lavoro a buona parte della generazione antecedente a quella di Bruno. Giorgio si era formato lì, stando a quanto riportava l’intervista che aveva concesso a quel piccolo quotidiano, ma verso la fine degli anni settanta, con risultati che cominciavano a deludere le aspettative, con la comparsa di altre realtà del settore, Giorgio Guidetti salì in cattedra e giocò un ruolo da assoluto protagonista: convinse il padre, ormai anziano e stanco, a liquidare quella storica ditta ed a investire l’intero patrimonio nella produzione di antenne radio e TV. Il padre, seppur decisamente scettico, volle fidarsi della grinta di suo figlio: ebbene, rilevò un piccolo laboratorio che si occupava di installazione di antenne che appartenevano ad un professore di un istituto tecnico, con questa passione. Dopo due anni di attività, il patrimonio Guidetti triplicò ed espanse il suo impero nella zona, ma il vecchio Guidetti morì prima di vederne i risultati. Gli anni novanta furono una vera e propria età dell’oro. Guidetti era proprietario di una rete televisiva, di diversi magazzini, socio di alcune società immobiliari e di imprese di costruzioni ed era persino in procinto di fondare una banca, anche se l’ultimo progetto fallì. Bruno, leggendo queste notizie, era rimasto comunque impressionato: nonostante la sua naturale antipatia, riconosceva a Guidetti grande merito e rispetto. Dopotutto, Bruno e Giorgio, nonostante la differenza di età e di classe sociale, si somigliavano più di quanto fosse visibile: entrambi visionari, entrambi affamati di lavoro e di legittimità, entrambi alla costante ricerca di risposte ed entrambi condannati all’infelicità eterna, poiché né le ricchezze di Giorgio, né l’anacoretismo di Bruno, poteva dar loro il significato che entrambi cercavano, lungo i rispettivi percorsi. Anche se Guidetti era mostruosamente ricco e Bruno no.

    Era piuttosto presto per l’appuntamento, ma si affrettò ad entrare in macchina per partire, quanto prima: arrivare in anticipo, lo ha sempre messo a suo agio, non che avesse dovuto fare chissà quale manovra, tanto più che il fortuito incontro del giorno prima con Maria gli aveva fornito un’ottima copertura, ma lo faceva sentire, per qualche assurda ed imprecisata ragione, meglio. Bruno non aveva nessun particolare pensiero in testa, si sentiva pronto per ascoltare Guidetti ed aiutarlo; aveva deciso di vestire casual, nonostante il calibro del suo appuntamento. Il traffico mattutino rallentò il passo abituale di Bruno che, più per abitudine che per necessità, guardava l’ora sul display della sua auto. Con circa venti minuti d’anticipo, arrivò a destinazione. Era una mattinata molto umida, con una temperatura ancora piuttosto elevata ed una luce ancora decisamente grigia ma che stava lentamente cambiando. Uno spettacolo della natura, che Bruno si era goduto, stando in piedi, appoggiato alla portiera della sua auto, fumando la consueta sigaretta. Di solito, cercava di resistere alla tentazione di fumare, soprattutto prima di un appuntamento; lo trovava fastidioso e irrispettoso nei confronti del cliente. Tuttavia, sentiva montare dentro di sé una strana sensazione di inquietudine, qualcosa che avvertiva, che sentiva, una sensazione particolare, ma che non riusciva a spiegarsi: si voltava continuamente verso la strada, per cercare di individuare l’auto di Guidetti che, tuttavia, ancora non si vedeva all’orizzonte. Bruno andò in allarme, perché quella strana sensazione di calore che saliva su dal basso ventre, l’aveva già provata in altre situazioni; pur pensando a tutte queste cose, il cinico umorismo di Bruno prese il sopravvento. ‘Sicuro che quello che ho mangiato ieri sera, l’ho davvero digerito?’ pensò, accennando un sorriso che somigliava più ad una specie di smorfia. Proprio in quel momento, notò una berlina blu scuro abbandonare la strada provinciale e svoltare sulla strada del terreno di Bruno. Incedeva a passo lento ed insicuro: Bruno si allontanò dalla portiera, dove era appoggiato e fece in modo di essere visibile, fissando anche l’auto che, pian piano, si avvicinava a lui. ‘Che spettacolo di macchina’ pensò, con un pizzico di neanche tanto velata invidia. I finestrini

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