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CORSO FULL IMMERSION - Concorso 10 Procuratori dello Stato
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E-book360 pagine5 ore

CORSO FULL IMMERSION - Concorso 10 Procuratori dello Stato

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Le prove scritte del concorso a 10 posti di Procuratore dello Stato richiedono una preparazione approfondita.

In effetti, si tratta di ben tre “one-shots” da preparare in modo accurato.

Cosa fare qualora si voglia recuperare il tempo perso?

E’ necessario approfondire gli istituti principali di diritto penale, processuale penale, amministrativo (sia sostanziale che processuale) e di diritto civile, unitamente alla procedura civile, utilizzando anche questo corso full immersion che in modo sintetico e puntuale riporta un vasto numero di temi (ben 30!) e che quindi è utilissimo per la preparazione delle prove scritte.

In effetti, esse si incentrano sulle tre materie di cui si è detto e quindi, oltre ai riferimenti al diritto sostanziale, notevole attenzione va riservata all’approfondimento delle tematiche di diritto processuale, vero e proprio "core" del lavoro che si andrà a fare una volta assunti e che la Commissione di sicuro vuol valutare.

Il corso full immersion riporta una selezione delle questioni di maggior interesse ed è aggiornatissimo, ciò per consentire di ottenere una preparazione up to date.

Le tracce riportate quindi andranno lette, rilette e metabolizzate, così garantendo di migliorare le proprie chance di superare le prove scritte del concorso.
LinguaItaliano
Data di uscita29 nov 2016
ISBN9788822871947
CORSO FULL IMMERSION - Concorso 10 Procuratori dello Stato

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    CORSO FULL IMMERSION - Concorso 10 Procuratori dello Stato - Autori Vari

    149

    PREMESSA

    Le prove scritte del concorso a 10 posti di Procuratore presso l’Avvocatura dello Stato richiedono una preparazione approfondita.

    In effetti, si tratta di ben tre one-shots da preparare in modo accurato.

    Cosa fare qualora si voglia recuperare il tempo perso?

    E’ necessario approfondire gli istituti principali di diritto penale, processuale penale, amministrativo (sia sostanziale che processuale) e di diritto civile, unitamente alla procedura civile, utilizzando anche questo corso full immersion che in modo sintetico e puntuale riporta le tracce più recenti e che quindi è utilissimo per la preparazione delle prove scritte.

    In effetti, esse si incentrano sulle tre materie di cui si è detto e quindi, oltre ai riferimenti al diritto sostanziale, notevole attenzione va riservata all’approfondimento delle tematiche di diritto processuale, vero e proprio "core" del lavoro che si andrà a fare una volta assunti e che la Commissione di sicuro vuol valutare.

    Il candidato che voglia riuscire ad avere una chance di vincere il concorso, dovrà necessariamente dotarsi di un solido bagaglio di nozioni, maturato grazie all'approfondimento delle tematiche relative alle prove scritte, senza dimenticare imprescindibili riferimenti a varie questioni oggetto di dibattito dottrinale e giurisprudenziale.

    Ciò in quanto se è vero che non sempre i concorsi si basano sulla sentenza dell'ultimo minuto, comunque intercettano linee di tendenza che vanno sempre tenute in considerazione e che hanno maggiore probabilità di essere oggetto delle prove.

    Pertanto, all'uso di eventuali altri testi (possibilmente universitari, purchè aggiornati) con i quali si ha migliore dimestichezza, il candidato dovrà necessariamente aggiungere la lettura e l’approfondimento full immersion del presente volume.

    Lo stesso riporta una selezione delle questioni di maggior interesse ed è aggiornatissimo, ciò per consentire di ottenere una preparazione up to date.

    Le tracce riportate quindi andranno lette, rilette e metabolizzate, così garantendo di migliorare le proprie chance di superare le prove scritte del concorso.

    LE TRACCE SVOLTE

    TRACCE E QUESTIONI DI DIRITTO PENALE E PROCESSUALE PENALE

    TRACCIA SVOLTA N. 1

    Premessi brevi cenni sulle aggravanti, tratti il candidato della natura della circostanza aggravante dell’aver agito con crudeltà, di cui all’art. 61, primo comma, n. 4, cod. pen., e della sua eventuale compatibilità con il dolo d’impeto.

    Nella struttura del reato ci sono elementi essenziali (che non possono mai mancare) ed accidentali (o accessori) che incidono sulla gravità del reato e determinano delle variazioni qualitative e quantitativa della pena.

    Abbiamo circostanze comuni (di cui agli articoli 61-62 bis, 112 e 114 c.p.) e speciali (a seconda che siano previste per tutti o solo per uno o più reati), aggravanti e attenuanti (a seconda che comportino un aumento o una diminuzione di pena per il reato semplice), oggettive (sulla natura, l’oggetto, la specie, i mezzi, il tempo, il luogo e il modo dell’azione, la gravità del danno o del pericolo, le condizioni o qualità personali dell’offeso) e soggettive (sull’intensità del dolo o il grado della colpa, le condizioni o qualità personali del colpevole, i rapporti tra colpevole e offeso), antecedenti (ad es. art.61 numero 3 c.p.), concomitanti (ad es.art.61 numero 4 c.p.) e susseguenti (ad es.art.62 numero 6 c.p.; a seconda che precedano, accompagnino o seguano la condotta dell’agente), intrinseche (sulla condotta illecita, ad es. le sevizie) e estrinseche (circa fatti successivi e capacità a delinquere, ad es.art.61 numero 8 c.p.), ad efficacia comune (con aumento o diminuzione della pena fino a 1/3 di quella per il reato-base, ad es. articoli 63-65 c.p.) e speciale (con pene di specie diversa o in misura indipendente dalla pena ordinaria, ad es. art.625 comma secondo c.p.), ad effetto speciale (con aumento o diminuzione di pena superiore ad 1/3); per l’art.61 c.p. sono circostanze aggravanti comuni: l’aver agito per motivi abietti (ossia turpi o ignobili) o futili (ossia sproporzionati), l’aver commesso il reato per eseguirne (connessione teleologica) o occultarne un altro o per conseguire o assicurare a sè o ad altri (connessione conseguenziale) il prodotto, il profitto o il prezzo o l’impunità di un altro reato, l’aver agito nonostante la previsione dell’evento nei delitti colposi (cosiddetta colpa cosciente), l’aver adoperato sevizie o crudeltà verso persone, l’aver profittato di circostanze di tempo, di luogo o personal ostacolanti la pubblica o privata difesa, l’aver commesso il reato durante il tempo della sottrazione volontaria all’esecuzione di un mandato o di un ordine d’arresto o di cattura o di carcerazione spedito per un precedente reato, l’aver cagionato all’offeso un danno patrimoniale rilevante nei delitti contro il patrimonio, l’aver (tentato di) aggravare le conseguenze del delitto (ad es. dopo aver ferito un uomo si impedisce il suo soccorso), l’aver commesso il fatto con l’abuso di poteri o la violazione di doveri inerenti ad una pubblica funzione o servizio o ministero di culto, l’aver commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o un ministro di culto o un agente diplomatico o consolare nell’atto o a causa dell’adempimento delle sue funzioni o servizi, l’aver commesso il fatto con l’abuso dell’autorità o delle relazioni domestiche o d’ufficio, d’opera, di coabitazione o di ospitalità.

    Per quanto attiene all’aggravante dell’aver agito con crudeltà, la stessa è caratterizzata da sofferenze che esulano dal normale processo di causazione, costituiscono un’aggiunta caratterizzata dalla gratuità e superfluità dei patimenti, dalla efferatezza, dalla assenza di pietà.

    L'eccedenza della condotta rispetto alia normalità causale e la efferatezza costituiscono, in sintesi estrema, il nucleo della fattispecie aggravante. Pure concorde è la giurisprudenza in ordine al carattere soggettivo della circostanza, alla necessaria volontà di infliggere sofferenze aggiuntive e, quindi, alla consapevolezza che la vittima sia viva.

    Inoltre, non si richiede che la vittima del reato abbia effettivamente percepito la gratuita afflittività della condotta, essendo la circostanza essenzialmente imperniata sulla considerazione del comportamento dell'autore dell'illecito e sulla conseguente maggiore riprovevolezza di un modo d’agire connotato da particolare insensibilità, spietatezza, efferatezza.

    Proprio il carattere eminentemente soggettivo della circostanza giustifica l’affermazione che non occorre che la condotta crudele sia diretta contro la vittima. E' tuttavia necessario che la stessa vittima sia ancora in vita, in quanto l'aggravante è configurabile solo quando l'azione si diriga verso una persona e tale è l'uomo soltanto finché vive. Ne consegue che, una volta intervenuta la morte, gli atti di crudeltà compiuti contro le sue spoglie possono integrare all'occorrenza un reato diverso, ma non la circostanza in questione.

    L'aggravante è compatibile con il vizio parziale di mente, ma va esclusa quando la condotta sia espressione della patologia: va al riguardo compiuta un'indagine caso per caso.

    La circostanza di cui si discute costituisce tipica espressione dello stile della codificazione: la normazione ha un'impronta fortemente casistica, attuata attraverso la previsione di innumerevoli tratti accessori, circostanziali, delle fattispecie. Il fine è quello di dirigere e limitare la discrezionalità giudiziale nell'individuazione della gravità del reato e della risposta sanzionatoria.

    La disciplina dell'omicidio doloso costituisce un classico esempio di tale metodo: i motivi abietti o futili, la crudeltà, l'uso di sostanze venefiche o di mezzi insidiosi, l'azione nei confronti dei congiunti, la premeditazione ecc.

    L'aggravante di cui all’art, 61 n. 4 cod. pen., richiamato dagli artt. 576 e 577 cod. pen., attiene all'adoperare sevizie o all'agire con crudeltà verso le persone. La distinzione tra sevizie e crudeltà non è stata oggetto di speciali approfondimenti in dottrina. In giurisprudenza si riscontrano varie oscillazioni ma non si riscontrano articolate riflessioni: segno che la distinzione presenta scarsa utilità pratica.

    Le sevizie costituiscono azioni studiate, specificamente indirizzate finalisticamente ad infliggere alla vittima sofferenze fisiche aggiuntive, gratuite. Talvolta esse, pur afferendo senza dubbio al contesto illecito, non attengono propriamente all’azione esecutiva, tipica, e sono caratterizzate dall'adozione di specifici gesti volti proprio ad infliggere patimenti efferati. Dunque, la figura è caratterizzata dalla specificità della misura afflittiva studiata, sadicamente indirizzata direttamente alla vittima, nonché dall'intenzionalità dell'agire. Parafrasando le classiche categorie dei dolo d'evento, si può affermare che le sevizie richiedono dolo intenzionale: proprio la architettata, finalistica volontà di infliggere sofferenze perverse. Per contro, la condotta crudele è quella che, pur non mostrando una studiata predisposizione finalizzata a cagionare, per qualche verso, un male aggiuntivo, eccede rispetto alla normalità causale e mostra l'efferatezza che costituisce il nucleo della fattispecie aggravante.

    Proprio l'efferatezza che contrassegna tutte le manifestazioni dell'aggravante induce a condividere l'indirizzo giurisprudenziale che, alla luce dell'art. 70 cod. pen., considera soggettiva la circostanza.

    Si tratta in effetti di comportamenti che rilevano precipuamente nella sfera della colpevolezza, dell'atteggiamento interiore, caratterizzato da particolare riprovevolezza per via della sua perversità. E' ben vero che l'aggravante chiama in causa le particolari modalità dell'azione. Tuttavia tali peculiarità rilevano più che per la concreta afflittività della condotta tipica che conduce all'evento, per il contrassegno di spietatezza che conferiscono, nel complesso, alla volontà illecita manifestatasi nel delitto. Insomma, le eccedenti modalità dell'azione mostrano una riprovevolezza che giustifica l'aggravamento della pena. Coerente con tale lettura della norma è la costante, condivisa giurisprudenza che ritiene l'aggravante anche quando la crudeltà si manifesta nei confronti di una persona viva di cui non si sa se percepisca concretamente l'afflizione gratuita, trovandosi in stato d'incoscienza. Parimenti per ciò che riguarda l'esistenza della crudeltà quando essa è rivolta contro una persona diversa dalla vittima. Insomma, è la perversità dell'intento che, al fondo, contrassegna la figura di cui si parla. Tale atteggiamento di gratuita eccedenza, naturalmente, è intrinsecamente volontario. Esso può essere definito doloso, ma con la precisazione, già accennata ma da ribadire, che non si fa qui riferimento al dolo d'evento ma se ne recuperano le categorie, i tipi, per più immediata ed agevole esplicazione del pensiero e catalogazione dei moti interiori entro schemi noti al lessico giuridico.

    In breve, conclusivamente, è la stessa norma che configura l'aggravante come una circostanza soggettiva a colpevolezza dolosa.

    Tale colpevolezza circostanziale può ben manifestarsi nella forma del dolo eventuale: l'agente è consapevole che vi è concreta, significativa possibilità che dalla propria condotta derivi un pregiudizio eccedente e tuttavia si risolve ad agire accettando tale eventualità. E' il caso dell'autore che lascia la vittima agonizzante e senza scampo in un luogo remoto, accettando la concreta eventualità che la morte sopravvenga dopo strazianti patimenti a contatto con avverse forze della natura.

    Infine, l’aggravante può concretizzarsi anche nel caso in cui il dolo d'evento sia eventuale: si tiene una condotta virulenta accettando la possibilità che da essa discenda l'evento lesívo.

    Le considerazioni svolte rendono chiaro che la riprovevolezza aggiuntiva riguarda l'azione e non l'autore. Si infligge una pena più severa perché la condotta è efferata e non perché l'agente è una persona crudele. Il contrario avviso espresso da giurisprudenza minoritaria non può essere condiviso. L'attribuzione al diritto penale di un'impronta autoriale rischia di evocare scenari del passato estranei al moderno diritto penale costituzionale. Inoltre, il dato normativo è chiaro: il rimprovero riguarda la condotta posta in essere nel corso dell'esecuzione del reato. Si può essere compassionevoli per un'intera vita ed efferati in una speciale, magari drammatica contingenza esistenziale.

    Infine il sistema. Il codice non è alieno dal considerare l'autore: la recidiva, l'abitualità, la professionalità nel reato. Ma sempre lo fa considerando la storia personale e mai un singolo atto.

    Sulla base di tali premesse, è possibile affrontare le questioni controverse: la compatibilità tra dolo d'impeto e dolo di crudeltà.

    La Cassazione ha in numerose occasioni enunciato la compatibilità di cui si discute. Circa la tipologia di condotta caratterizzata dalla forsennata ripetizione degli atti lesivi, la giurisprudenza si è ripetutamente occupata di vicende del genere, caratterizzate dalla insistita ripetizione dei colpi inferti alla vittima; ed ha costantemente affermato che l'accanimento violento può costituire crudeltà quando gli atti non sono funzionali al delitto ma costituiscono «espressione autonoma di ferocia belluina» che trascende la mera volontà di arrecare la morte (da ultimo Sez. 1, n. 27163 del 28/05/2013). Il principio si riscontra in diverse altre pronunzie: in breve la speciale aggressività, la veemenza, il furore aggravano il reato solo quando non trovano giustificazione nella dinamica omicidiaria, non eccedono fa normalità causale ma costituiscono espressione della volontà di infliggere sofferenze eccentriche cioè non direttamente finalizzate a determinare l'evento morte". Tale indirizzo trova agevole spiegazione nella natura e nella conformazione della circostanza, di cui si è prima dato conto. La norma aggrava il reato quando si manifesta un atteggiamento di colpevole, riprovevole efferatezza documentata dalle modalità dell’azione, Nella maggior parte dei casi la crudeltà è espressa dall'azione nel modo più chiaro. Esistono tuttavia contesti che non designano con univoca immediatezza il tratto tipico dell'aggravante. E' il caso della reiterazione dei colpi: l'aggressività talvolta platealmente insistita può essere una contingente modalità omicidiaria oppure un modo per crudelmente infierire, per smembrare la vittima, per farne scempio. L'alternativa teorica impone al giudice di analizzare attentamente tutti i dettagli del contesto per sceverare l'un caso dall'altro: è ciò che accade normalmente nella prassi.

    La circostanza della crudeltà è a colpevolezza dolosa. Tale colpevolezza non sempre si manifesta nella forma di un deliberato, lucido e conclamato proposito, reso di immediata evidenza dalle modalità dell'aggressione. Nelle situazioni non evidenti s'impone un'accurata indagine sulle origini dell'azione, sulla vicenda e sul suo autore. A tale proposito è di particolare rilievo, anche per le implicazioni che se ne possono trarre, la copiosa ed uniforme giurisprudenza relativa a reati efferati commessi da persone in condizioni psicopatologiche. Di fronte a protagonisti di tale genere, si è affermato, occorre intendere se la peculiare aggressività sia frutto di un chiaro intento crudele o se, invece, costituisca espressione della patologia e sia quindi non colpevole, cioè non mossa dal proposito d'infliggere sofferenze superflue.

    Per esemplificare: da ultimo è stata esclusa l'aggravante in un caso di omicidio commesso attingendo la vittima con innumerevoli colpi di coltello. Si è posto in luce che si trattava di agente con tratti di tipo paranoideo e sfumati sintomi psicotici; che, di fronte a stimoli di tipo costrittivo-punitivo produceva reazioni spropositate sostenute da una forte componente di rabbia; che il numero elevato dei fendenti ha espresso l'esplosione di rabbia tipica del rilevato disturbo mentale e del connesso spunto paranoide, che impediva l'interruzione dell'azione dopo i primi colpi.

    Insomma, esiste un problema di colpevolezza dell'aggravante rispetto al quale può assumere rilievo la condizione alterata dell'agente, che in qualche caso muove in guisa parossistica l'azione, senza che ciò implichi la volontà di procurare sofferenze eccedenti.

    La fenomenologia di cui ci si occupa, con il suo frequente carico di incoercibile coazione a ripetere l'atto aggressivo, è spesso caratterizzata da azioni impulsive. Si è conseguentemente posto il problema della compatibilità del dolo d'impeto con l'aggravante della crudeltà.

    In proposito la Cassazione si è espressa ripetutamente con enunciazioni consonanti e recise: si è considerato che la finalità di arrecare inutili sofferenze non è un tratto essenziale dell'aggravante ed è sufficiente la volontarietà degli atti posti in essere, sicché la circostanza è compatibile sia con il dolo d'impeto che con quello eventuale. Si è pure argomentato che la norma non richiede che si tratti di reato premeditato o preordinato; e che l'uso di crudeltà o di sevizie non assume una diversa connotazione giuridica solo perché posto in essere a seguito di una determinazione volitiva coeva o immediatamente precedente rispetto alla condotta esecutiva del reato.

    In effetti non si scorge alcuna ragione logica, empirica o legale che consenta di escludere l'affermata compatibilità: è ben possibile che un delitto maturato improvvisamente si estrinsechi in forme che denotano efferatezza, brutalità; e l'art. 61 n.4 cod. pen. non caratterizza per nulla la circostanza in una guisa che postuli una protratta ponderazione in ordine alle modalità dell'aggressione.

    L’orientamento di cui si è detto, peraltro, è anche condiviso dalla recentissima sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 40516 del settembre 2016 che hanno affermato che la circostanza aggravante dell’aver agito con crudeltà, di cui all’art. 61, primo comma, n. 4, cod. pen., ha natura soggettiva ed è compatibile con il dolo d’impeto.

    TRACCIA SVOLTA N. 2

    Tratti il candidato della questione relativa alla possibilità dell'arresto in flagranza sulla base di informazioni della vittima o di terzi fornite nella immediatezza del fatto.

    L'art. 382 del codice di procedura penale condensa nel comma 1 le corrispondenti previsioni racchiuse nel secondo e nel terzo comma dell'art. 237 cod. proc. pen. 1930 (eccettuata la disposizione relativa alla flagranza del reato permanente - già contenuta nel secondo inciso del primo comma del previgente articolo - che attualmente trova collocazione nel comma 2 del detto art. 382).

    La partizione della materia nei due distinti commi operata dai previgente codice (analogamente alle precedenti codificazioni) e, soprattutto, l'incipit del terzo comma dell'art. 237 che recitava «Si considera pure in stato di flagranza chi [...]», hanno offerto solida base alla tradizionale distinzione dottrinaria tra la flagranza (in senso proprio) e la quasi flagranza, seconde la terminologia che è tuttora generalmente adottata pur dopo la codificazione del1988.

    Per vero, la formulazione letterale dell'art. 237, secondo comma, cod. proc. pen. 1930, è transitata affatto inalterata nell'art. 382, comma 1, cod. proc. pen.: «È in stato di flagranza chi viene colto nell'atto di commettere il reato»; tuttavia- in luogo del segno (immediatamente successivo) del punto finale della disposizione previgente - nella costruzione sintattica della norma attuale la congiunzione disgiuntiva «ovvero» salda nella medesima proposizione principale del detto comma 1 le previsioni di entrambi i casi della quasi flagranza contenuti nel terzo comma dell'art. 237 cod. proc. pen. 1930, enunciandoli (con qualche variazione meramente terminologica) mediante la ulteriore proposizione subordinata del periodo, introdotta analogamente dai pronome relativo e articolata nella ulteriore disgiunzione. Sicché non già si considera, bensì è in stato di flagranza anche «chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa, da altre persone ovvero è sorpreso con cose e tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima».

    Siffatte ulteriori due previsioni, pertanto, non devono più ritenersi meramente equiparate alla prima, in virtù della fictio legis, bensì integrano ,disgiuntamente e a pieno titolo - esattamente al pari della prima – lo stato di flagranza.

    Consegue che il sintagma quasi flagranza resta ormai privo di ogni valore giuridico-concettuale e assume nella accezione corrente la funzione di espressione puramente indicativa dei due casi di flagranza de quibus.

    Ci si chiede se lo specifico stato di flagranza sia costituito dall'inseguimento dell'autore del reato. Le variazioni letterali apportate al riguardo dall'art. 382, comma 1, cod. proc. pen. (rispetto alla formulazione della corrispondente previsione dell'art.237, terzo comma, cod. proc. pen. 1930) sono modeste e non assumono rilievo ai fini della soluzione del quesito.

    Subito è sinonimo di immediatamente ed è, per vero, assai dubbio che con la sostituzione dell'avverbio sia stato conseguito l'intento del legislatore delegato, espresso nella Relazione al Progetto preliminare del vigente codice di rito, di «restringe[re] la possibilità di interpretazioni estensive» alle quali poteva dar luogo la precedente formulazione «immediatamente dopo il reato» (così si esprime la Relazione al codice del 1988).

    Orbene, i temi di indagine attengono 1) alla nozione di inseguimento del reo; 2) alla relazione, temporale e logica, che lega l'inseguimento al reato.

    Per il prevalente e più rigoroso indirizzo della giurisprudenza, non sussiste la condizione di cosiddetta quasi flagranza qualora l'inseguimento dell'indagato da parte della polizia giudiziaria sia stato iniziato non già a seguito e a causa della diretta percezione dei fatti da parte della polizia giudiziaria, bensì per effetto e solo dopo l'acquisizione di informazioni da parte di terzi.

    Le ragioni che sorreggono l'affermazione dei principio enunciato possono essere sinteticamente ricapitolate nei termini che seguono. La provvisoria privazione del diritto fondamentale della libertà personale, di iniziativa della polizia giudiziaria e in carenza di alcun provvedimento motivato della autorità giudiziaria, rappresenta, per vero, istituto di carattere affatto eccezionale e in tal senso è espressamente connotato dall'articolo 13, terzo comma, Cost.

    Le disposizioni della legge ordinaria e, segnatamente, del codice di rito, che disciplinano l'arresto sono, pertanto, di stretta interpretazione (articolo 14, primo comma, preleggi),Orbene, la dilatazione della nozione della quasi flagranza sino a prescindere dalla coessenziale correlazione tra la percezione diretta del fatto delittuoso(quantomeno attraverso le tracce rivelatrici della immediata consumazione, recate dal reo) e il successivo intervento di privazione della libertà dell'autore del reato, deborda dall'ambito della interpretazione estensiva dell'articolo 382,comma 1, cod. proc. pen.

    Attraverso progressivi slittamenti e assimilazioni tra l'ipotesi specifica dell'inseguimento (contemplata nella disposizione) e quelle (più generiche e, pertanto, differenti) delle ricerche ovvero delle investigazioni tempestive si finisce col contravvenire al tenore testuale della norma, Il lemma inseguire, denotante, con tutta la sua pregnanza, l'azione del «correre dietro chi fugge», e l'ulteriore requisito cronologico di immediatezza, «subito dopo il reato», richiesto dalla legge, postulano la necessità della correlazione funzionale tra la diretta percezione della azione delittuosa e la privazione della libertà del reo fuggitivo.

    La conclusione si rinsalda alla luce della considerazione della ratio legis.

    La eccezionale attribuzione alla polizia giudiziaria (o al privato) del potere di privare della libertà una persona trova concorrente giustificazione nella altissima probabilità (e, praticamente, nella certezza) della colpevolezza dell'arrestato, Ebbene, sono proprio la diretta percezione e constatazione della condotta delittuosa da parte degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria procedenti all'arresto, che possono suffragare, nel senso indicato, la sicura previsione dell'accertamento giudiziario della colpevolezza. Mentre, in difetto, apprezzamenti e valutazioni, fondati sul piano affatto differente degli elementi investigativi assunti dalla polizia giudiziaria, non offrono analoghe sicurezza e affidabilità di previsione.

    L'orientamento contrario - presente in modo significativo nella giurisprudenza più risalente nel tempo - ravvisa la ipotesi della flagranza anche qualora, subito dopo la commissione del reato, la polizia giudiziaria, prontamente intervenga, assuma le informazioni del caso dalla persona offesa o dai testimoni presenti al fatto, e immediatamente si ponga, sulla scorta delle stesse, all'inseguimento dell'autore del reato, Celermente pervenendo - senza alcuna interruzione dell’attività di investigazione e di ricerca, tempestivamente intrapresa – all'arresto dell'indagato. Secondo il principio conseguentemente affermato lo stato di quasi flagranza sussiste anche nei caso in cui l'inseguimento sia iniziato per le informazioni acquisite da terzi (inclusa la vittima), purché non sussista soluzione di continuità fra il fatto criminoso e la successiva reazione diretta ad arrestare il responsabile del reato.

    Alla base dell'indirizzo in parola risiede la convinzione che la giuridica essenza del concetto di flagranza o quasi flagranza consista nella relazione di «continuità» tra la commissione del delitto e la reazione diretta ad arrestarne l'autore.

    Ciò che conta è che la polizia giudiziaria si attivi immediatamente post delictum e inneschi una sequela ininterrotta di atti (della più varia tipologia: di natura investigativa, di materiale ricerca, di vero e proprio inseguimento) che, senza soluzione di continuità, culminino nell'arresto del reo. Il costrutto argomentativo che sorregge l'assunto si sviluppa nei termini che seguono. L'argomento letterale, piuttosto che l'indirizzo prevalente, suffraga, invece, la tesi contraria: in relazione alla previsione dell'inseguimento l'art. 382, comma 1, cod. proc. pen. non richiede, nella sua formulazione testuale, che «chi procede all'arresto abbia veduto l'agente mentre commetteva il fatto» e, neppure, «che abbia veduto il reo fuggire dal luogo dove ha commesso il fatto».

    La norma configura la ipotesi del reo, colto dalla polizia giudiziaria nell'atto di commettere il reato, e la ipotesi dell'inseguimento, subito dopo la commissione del delitto, come casi autonomi e alternativi dello stato di flagranza; mentre, se si reputi necessario che l'inseguitore debba aver avuto «una propria diretta percezione del fatto», quella dell'«inseguimento diventerebbe una ipotesi subordinata all'ipotesi precedente della percezione del reato».

    Il lemma inseguire comprende nel suo significato non solo l'azione di chi corre dietro a taluno che fugge, ma anche quella di chi procede in una determinata direzione, secondo più punti di riferimento, al fine di raggiungere qualcuno o qualcosa. Il concetto di inseguimento, pertanto, non può non dilatarsi alla confinante accezione di perseguimento così da estendersi ermeneuticamente nel concetto di esplicazione di indagine che sortisce immediatamente dalla notitia criminis e, senza soluzione di continuità, conduce in tempo oggettivamente breve ad arrestare l'autore del reato.

    Le Sezioni Unite della Cassazione hanno ribadito il prevalente indirizzo che negli anni più recenti si è andato progressivamente affermando nella giurisprudenza, mentre il contrario orientamento risponde alla esigenza pratica, variamente avvertita nella opinione pubblica, di assicurare la pronta reazione istituzionale nella repressione dei reati, di maggior gravità, dei quali la polizia giudiziaria (o, nei casi previsti, il privato abilitato all'arresto) ha contezza nel medesimo contesto storico-temporale della loro perpetrazione, tale esigenza trovava, peraltro, sul piano normativo, remoti addentellati nella più estesa nozione della flagranza del reato, contemplata nei codici di rito che precedettero quello del 1930.

    Già alla stregua dell'art. 237, primo comma, cod. proc. pen. 1930 (peraltro entrato in vigore nella stessa cornice costituzionale dei due precedenti codici di rito del Regno d'Italia) era venuta meno la base normativa che attribuiva alla polizia giudiziaria la potestà di procedere - solo in virtù delle informazioni tempestivamente assunte dalla persona offesa o da terzi - all'arresto dell'autore del reato che era «stato poco prima commesso». La citata disposizione, infatti, considerava flagrante esclusivamente «il reato che si commette attualmente», in quanto non aveva riprodotto la ulteriore previsione (estensiva della flagranza) recata dai corrispondenti articoli dei codici precedenti.

    In conclusione, anche in base all'art. 382, comma 1, cod. proc. pen., che non ha variato la enunciazione letterale dello stato di flagranza contenuta nell'art. 237, secondo comma, cod. proc. pen. 1930, il dato meramente cronologico, costituito dalla brevità del lasso di tempo trascorso dalla commissione del reato - pur nella sinergia della indagine della polizia giudiziaria, senza alcuna interruzione, rapidamente conclusa –non assume giuridica rilevanza, sulla base del diritto positivo (salvo i casi particolari dell'arresto ritardato previsti da speciali disposizioni), al fine di offrire fondamento di legittimità all'arresto del reo nella indicata prospettiva della soddisfazione della esigenza della pronta «reazione» istituzionale alla attività criminale.

    TRACCIA SVOLTA N. 3

    Premessi brevissimi cenni sul sequestro conservativo, tratti il candidato le questioni attinenti alla pignorabilità dei beni, se esse siano deducibili o meno con la richiesta di riesame e se debbano essere

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