Dumbass Drain
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Dumbass Drain è un saggio che, partendo dalla vicenda personale dell’autore, descrive le motivazioni che portano ogni anno centinaia di giovani a lasciare l’Italia per cercare lavoro all’estero. Quasi come fosse un cortometraggio filosofico, l’autore affronta le principali contraddizioni legate alla condizione di ricercatore emigrato negli Stati Uniti.
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Anteprima del libro
Dumbass Drain - Roberto Ponciroli
Prefazione
"Probably the most dangerous thing about college education, at least in my own case, is that it enables my tendency to over-intellectualize stuff, to get lost in abstract arguments inside my head instead of simply paying attention to what's going on right in front of me. Paying attention to what's going on inside me."
(David F. Wallace, This Is Water)¹
"[…] Prosit!". Sabato mattina, sono in laboratorio a fare esperimenti e durante i momenti di pausa finisco di leggere Dumbass Drain. Chiudo il libro, annoto qualche appunto, rimetto in ordine i fogli. Mentre riecheggio le parole appena lette, quasi come fosse un continuum del discorso appena concluso, sento alle mie spalle: So, would you do it again?
Mi volto e mi accorgo che questa domanda proviene dal ragazzino che sistema i software del laboratorio nei fine-settimana. Ricordo di aver scambiato con lui qualche parola circa il mio lavoro prima di iniziare a leggere, ma solo adesso mi rendo conto del fatto che sia stato lì per tutto il tempo ad aspettare che concludessi la lettura. What do you study?
gli chiedo. Philosophy
risponde. Quella matricola di poco più di vent’anni, agli albori del suo percorso universitario, mi stava chiedendo se ne fosse valsa la pena
, se aver inseguito le mie ambizioni scientifiche fino a lasciare il mio Paese e la mia famiglia fosse stata la scelta migliore, quasi avessi potuto cambiare il suo futuro (o il mio passato) se avessi in ultimo concluso che non ne fosse valsa la pena.
Quest’episodio, accadutomi poche settimane fa, riassume il percorso maieutico che aspetta il lettore di Dumbass Drain. Il saggio racconta l’avventura intellettuale dell’autore nel trasferirsi da Boffalora Sopra Ticino (paese in provincia di Milano) a Chicago per proseguire il suo percorso di ricerca in Ingegneria Nucleare. Quasi fosse un cortometraggio filosofico, in poco più di sessanta pagine, l’autore riporta le domande esistenziali che hanno accompagnato il suo viaggio e descrive la sua condizione di ricercatore italiano emigrato negli Stati Uniti. Dalla frustrazione post-dottorato causata dalla carenza di prospettive professionali, agli entusiasmi della partenza e alla sensazione di spaesamento e adattamento nostalgico che il vivere lontano da casa comporta.
Nel 2016 si sono registrati più Italiani residenti all’estero che stranieri residenti in Italia. Buona parte di questo flusso migratorio è rappresentata da giovani ricercatori che, come me, si trasferiscono oltreoceano per poter continuare i propri studi. Nel raccontare la sua esperienza personale, l’autore allarga e stringe continuamente l’obbiettivo della camera, spostando l’attenzione dalla sua vicenda alla condizione generale del ricercatore e a quella dell’emigrato. Un paesaggio nostalgico in cui vengono dipinte le emozioni e i ripensamenti che caratterizzano il dover lasciare la famiglia e le amicizie per inseguire le proprie ambizioni. In questo viaggio, l’autore interroga filosofi, scrittori, personaggi cinematografici a lui mentori, scomodando Severino Boezio, Kierkegaard, Nietzsche, Sartre e perfino l’Agente Smith. Scrivere rappresenta per l’autore uno strumento per meglio comprendere le proprie emozioni, sviscerandole in pensieri scritti, logici, strutturati e quindi analizzabili. Ed è proprio grazie alla scrittura, attraverso il dialogo che virtualmente instaura con filosofi e intellettuali del passato, che l’autore snocciola i propri dilemmi e trova le sue risposte. A questo proposito, il filo conduttore di Dumbass Drain è il tentativo di dare una risposta alla domanda se sia valsa la pena
lasciare il proprio Paese per inseguire la carriera da ricercatore. Condizione di estrema attualità, alla luce della recente espansione del fenomeno dell’emigrazione-immigrazione, da e verso l’Italia, e nel mondo in generale. La tensione morale che caratterizza il ricercatore emigrato è la stessa condivisa dall’immigrato Rumeno, Albanese, Marocchino, Messicano, Indiano, Cinese etc. In ciascuna tappa l’autore, affronta le domande che caratterizzano il proprio vissuto durante il viaggio e riporta le conclusioni che ha tratto, trascrivendo le considerazioni e i pensieri che lo hanno accompagnato, creando così un senso di realtà mentale che viaggia sullo stesso binario dei fatti descritti. Dumbass Drain permette al lettore di vivere a doppia facciata l’esperienza dell’emigrazione-immigrazione. Non potrà non riecheggiare la stessa espressione di perplessità che l’autore esprime per le abitudini di socializzazione degli Americani (per cui "le facce amiche nella vita si susseguono come fattorini in un albergo, in fin dei conti equivalenti e comunque intercambiabili") negli occhi dell’extra-comunitario nostrano che si incontra tutti i giorni sull’autobus e che non ha ancora avuto modo di comprendere appieno il significato del pranzo domenicale per le famiglie italiane².
Nel dialogo con se stesso, l’autore si concede tutte le libertà linguistiche e narrative tipiche del flusso di coscienza. Il saggio rappresenta, infatti, un esperimento, un ibrido letterario caratterizzato dal totale arbitrio espressivo. Innanzitutto, l’uso di un registro volgar-intellettuale³. Quasi un ossimoro stilistico. Una scrittura costantemente ineguale che si sofferma ora sul senso, ora sulla polemica, ora sul tentativo di fornire una spiegazione. Una scrittura che scorre incalzante, veloce o come viene viene curandosi solo della resa immediata, con un repertorio che talvolta arriva quasi al folklore. In questo troviamo rispecchiate sia la storia, sia la personalità dell’autore, che sebbene abbia raggiunto una posizione scientifica prestigiosa, mantiene talvolta una dialettica colorita, tipica del paesello in provincia
. È un’altalena espressiva che oscilla tra la ricerca di un significato e il te-lo-spiego-in-parole-povere. L’autore trascrive i propri pensieri utilizzando un registro esageratamente personale, spesso per esaltare la natura riflessiva delle considerazioni fatte. Grazie a questo si stabilisce un’immediatezza di comunicazione tra lo scrittore e il suo lettore, un ideale faccia a faccia che consente di accostarsi al pensato di chi scrive. Questa libertà espressiva si estende però anche ai contenuti, ritmici, ironici e creativamente connessi. Come il paragone fra l’effetto suscitato dalle canzoni di Max Pezzali e la madeleine di Proust, capaci di far riaffiorare alla mente quelle nostalgiche, provinciali, e quasi imbarazzanti memorie che la maggior parte degli Italiani cresciuti negli anni Novanta condivide.
Considerando lo stile letterario richiesto alle pubblicazioni scientifiche, possiamo affermare che uno scienziato si scosta molto dall’essere uno scrittore. Sebbene il pubblicare sia un ingranaggio fondamentale della macchina scientifica, in nome della riproducibilità dei dati e della chiarezza dei risultati, lo stile scientifico di pubblicazione deve essere stentoreo, ma povero di speculazioni riflessive. Abstract, Introduzione, Metodo, Analisi, Risultati e Discussione dei risultati. Articolo respinto. Abstract, Introduzione, Metodo, Analisi, Risultati e Discussione dei risultati. Fino a quando l’articolo non sarà accettato in qualche giornale scientifico e potremo finalmente allungare il nostro curriculum di un paio di righe. Ecco riassunto, in modo stringato, il percorso letterario di uno scienziato. In quest’ottica, la scienza al giorno d’oggi manca di una riflessione antropologica sulla persona che la produce. Lo scienziato moderno è spesso troppo indaffarato a scrivere il prossimo grant, a far pubblicare l’ultimo articolo e finalmente raggiungere l’ambito sogno della tenure position (o posizione da professore ordinario, ovvero un contratto a tempo indeterminato), per scrivere e condividere le riflessioni sulla validità della propria scelta. Se da un lato Dumbass Drain rappresenta il prodotto di un incrocio improbabile tra uno scienziato e un intellettuale, dall’altro porta alla luce alcune problematiche importanti che caratterizzano la vita del cervello errante
(volutamente non definito in fuga
). L’emigrazione, spesso concomitante con la volontà di proseguire il proprio percorso di ricerca, obbliga uno scienziato a fare determinate scelte di vita, con conseguenti ricadute psicologiche. Ed è proprio da questo vissuto di rabbia che l’autore attinge, utilizzando toni schietti e con una sincerità a tratti disarmante. Pagina dopo pagina, quasi avesse il fiatone per la corsa tesa a trovare una risposta che possa ristabilire la coerenza fra decisioni e motivazioni. Penso di non aver mai incontrato uno scienziato agli inizi della propria carriera che non abbia messo in discussione la scelta di aver fatto ricerca: dal cambiare Paese al vincere un Nobel, è come se la linfa che anima le ambizioni spesso trabocchi dal disagio e dal desiderio di cambiare il proprio presente. È come se essere ricercatore fosse una condizione provvisoria in cui procrastiniamo finché non troviamo un lavoro che ci riesca a dare uno stipendio dignitoso e una posizione stabile. Atteggiamento che sfuma quando (e se) raggiungiamo la famosa tenure position e tendiamo a non mettere più in discussione la carriera scelta o la decisione di fare il professore. Ma forse è solo un problema di età o rassegnazione verso l’impossibilità di cambiare il passato.
Dumbass Drain presenta riflessioni che vanno ben oltre la condizione del ricercatore, o l’esperienza circostanziale dell’autore il quale, senza peli sulla lingua, riprende il pensiero di filosofi, ne critica le scelte di vita, a volte li ridicolizza, ma ne completa il pensiero avanzandone riflessioni a posteriori. Ne è un esempio la conclusione fatta in merito alla metafora della morte di Dio. La perdita dei valori esistenti e dei punti di riferimento morali e sociali, è condizione necessaria affinché l'uomo possa stabilirne di nuovi. Tale condizione comporta al tempo stesso l’assunzione delle proprie responsabilità da parte dell’individuo, che non avendo più una guida è costretto a fondare su se stesso un nuovo senso morale. In una delle riflessioni più contemporanee di tutto il saggio, l’autore analizza il messaggio iniziale dell’Esistenzialismo, che spinge l’uomo a riappropriarsi del proprio futuro inneggiando alle possibilità dell’individuo, sottolineandone un possibile fraintendimento o addirittura un’occasione perduta. La crisi dei valori tradizionali avrebbe dovuto creare lo spazio sufficiente per la nascita di nuovi,
[…] ma così non è stato: invece di una società fatta di individui vitali che si riappropriano del proprio destino, ci siamo ritrovati un branco di piagnucolosi (me compreso, a quanto pare) che avvertono un forte senso di inadeguatezza quando si accorgono che nelle loro vite manca un significato di fondo.
Non può passare inosservata la lucida e rassegnata conclusione secondo la quale dell’Esistenzialismo originario forse non è rimasto altro che il Nichilismo passivo:
Invece, quello che la maggior parte di noi trova naturale fare è lasciarsi andare: dato che non c’è niente che possa giudicarci o tenerci in riga, perché impegnarci? È un aberrante libera-tutti
secondo il quale farsi il culo, porsi degli obbiettivi diventa privo di senso.
In questo ed in altri passaggi l’autore analizza e reifica alcuni fondamentali dilemmi filosofici legati al dubbio, inzuppandoli nella realtà contemporanea. In quest’ottica, Dumbass Drain rappresenta uno dei primi tentativi di espressione intellettuale, fatto da uno scienziato che riflette sulla propria condizione di emigrato, sul vissuto provato da chi si trova costretto a lasciare il paese di origine, sul mettere in discussione le scelte effettuate, ma soprattutto sul prezzo delle proprie ambizioni.
CAROLA SALVI
La sindrome del Joker
Discorso tenuto alla presentazione del libro Dumbass Drain
, presso l’Istituto Italiano di Cultura di Chicago (3 marzo 2017)
Buona sera,
prima di iniziare, vorrei ringraziare tutti voi che siete intervenuti, i responsabili del gruppo Italian Researchers in Chicago
che si sono prodigati per organizzare questa serata e, naturalmente, l’Istituto Italiano di Cultura