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MEANINGFUL METADESIGN: Sentimento, Senso e Scopo nell’era del design delle esperienze
MEANINGFUL METADESIGN: Sentimento, Senso e Scopo nell’era del design delle esperienze
MEANINGFUL METADESIGN: Sentimento, Senso e Scopo nell’era del design delle esperienze
E-book262 pagine3 ore

MEANINGFUL METADESIGN: Sentimento, Senso e Scopo nell’era del design delle esperienze

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Info su questo ebook

La riflessione si costruisce sul contrasto fra il design come abilitatore di soluzioni funzionali, basato su processi deterministici e quantitativi, e il design come ricerca di esperienze significative, basato su processi interpretativi e qualitativi.
Lo scopo di questo saggio consiste nel condividere un’esplorazione del significato del progetto, e il senso più profondo del testo consiste nell’evidenziare come questa dimensione risulti indissolubilmente legata ai processi non-deterministici del vissuto emotivo umano, il quale è sempre caratterizzato da una lettura del mondo di tipo soggettivo e qualitativo.
Emerge su tutto il desiderio di mettere in evidenza quanto sia riduttivo progettare artefatti tecnologici in grado di stimolare determinate emozioni se non si considera l’esperienza umana in quanto processo olistico e integrato.

Andrea Fesce. Classe 1994, nasce e cresce nella periferia nordest di Milano. Fin da piccolo dimostra una spiccata predisposizione per le scienze e la logica, ma giunto al liceo decide inaspettatamente di frequentare l’artistico per ampliare le proprie prospettive, e pratica per diversi anni arti marziali a livello agonistico. L’incontro con il mondo accademico inizialmente non lo soddisfa, e dopo un periodo alla facoltà di ingegneria decide di integrare nel suo percorso lo studio dei processi mentali, i quali lo affascinano da sempre. Otterrà prima la laurea triennale in communication design e poi la magistrale in interaction design, portando avanti in maniera individuale lo studio della psicologia e delle neuroscienze cognitive. Oggi opera nel campo del design spaziando da progetti di comunicazione fino allo sviluppo di interfacce interattive, mentre prosegue la sua formazione accademica nel campo delle scienze psicologiche applicate con il desiderio di poter dedicare sempre più tempo alla scrittura.
 
LinguaItaliano
Data di uscita13 nov 2023
ISBN9788830688544
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    MEANINGFUL METADESIGN - Andrea Fesce

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    Andrea Fesce

    MEANINGFUL METADESIGN

    Sentimento, Senso e Scopo

    nell’era del Design delle Esperienze

    © 2023 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-8208-5

    I edizione settembre 2023

    Finito di stampare nel mese di settembre 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    MEANINGFUL METADESIGN

    Sentimento, Senso e Scopo

    nell’era del Design delle Esperienze

    Nuove Voci – Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Prefazione poetica di Francesco Schianchi

    A volte si costruiscono

    catene di parole, avviluppate

    da fili invisibili, resistentissimi

    come quelli della tela di un ragno:

    creano un tessuto narrativo

    che diventa la stoffa narrativa

    dei nostri pensieri.

    Primo anello: senso

    Senso è una parola polisemica,

    che contiene in sé

    varie declinazioni:

    senso come direzione,

    da intraprendere, da raggiungere:

    anche nei cartelli costrittivi

    di senso unico

    nelle nostre strade.

    Dove?

    Senso come significato,

    come contenuto

    espresso e connotativo

    di un artefatto,

    di un gesto

    di una parola

    di una architettura,

    di una scelta,

    fino al senso di un

    non senso carrolliano.

    In che senso?

    Senso come sensazione,

    come esperienza

    tattile, visiva, olfattiva, gustativa, sonora

    filtrata, vissuta, giudicata

    in termini antagonisti

    di piacevole, gradevole e dei suoi contrari:

    dietro c’è sempre il nostro bisogno/desiderio

    del bello e del buono,

    al quale aggiungere

    l’utile e l’inutile.

    Mi fa senso?

    Secondo anello: simbolo

    Da συμβάλλω «mettere insieme, far coincidere»

    il simbolo è un oggetto congiuntivo,

    la sua connotazione è

    il riconoscimento tra le parti,

    tra le persone, tra le amicizie,

    grazie ad una ciotola spezzata,

    conservata, esibita per

    essere un segno di un’amicizia,

    di una convergenza,

    di un accostamento convergente

    capace di ricomporre una relazione.

    Il simbolo è un oggetto evocativo

    concretizzato in un segno,

    in un oggetto, in un animale,

    in una persona,

    capace di suscitare

    altro significato da sé,

    una trasfigurazione

    del significante,

    l’elemento-ponte che

    collega, due dimensioni di realtà,

    quella visibile e quella invisibile.

    Il simbolo è un oggetto relativo

    ha la capacità di mettere in relazione

    una forma particolare

    con un contenuto particolare,

    che trova una convergenza interpretativa

    accettata, condivisa.

    Il simbolo è un oggetto sovramentale

    fatto di similitudini banali,

    di luoghi comuni,

    di istanze desiderative,

    di attribuzioni gratuite:

    ogni simbolo è

    una costellazione di significati e

    diventa un sistema di connessioni

    ad alta complessità.

    Il simbolo comunica una realtà parallela

    alla quale gli umani hanno deciso

    di credere, anche per inventare

    il linguaggio, il calcolo e la religione.

    Terzo anello: scopo

    Una parola dal verbo skopeo,

    osservare attentamente

    avere visto anticipatamente qualcosa,

    prevedere:

    i verbi della progettazione,

    il tratto distintivo del design.

    Scopos è una parola greca,

    un Giano concettuale che indica

    sia il comportamento di una persona

    che osserva e sorveglia

    sia l’oggetto su cui si posano gli occhi,

    la meta, il bersaglio di uno sguardo.

    Scopo, prima di definirlo

    fine, meta, obiettivo,

    indica la qualità di uno sguardo

    sulla realtà,

    che diventa interpretazione,

    che si nutre del polisemico senso.

    Educare allo sguardo,

    educare alla entelechia,

    la ragion d’essere aristotelica,

    significa creare le condizioni

    affinché ciascuno trovi uno scopo

    all’esistenza,

    alle cose,

    alle esperienze,

    ai silenzi,

    negli orizzonti,

    nei progetti.

    Bisogna cercare un fine,

    per tutto, non una fine.

    Milano, 21.6.2023

    per P.

    PROLOGO

    Abstract

    Questo saggio si sviluppa come una riflessione aperta riguardante i fenomeni coinvolti nel rendere l’atto progettuale capace di sviluppare soluzioni che diano significato alle esperienze di interazione. La parola metadesign sottolinea come l’attenzione non sia focalizzata sulla definizione di strumenti operativi per generare soluzioni pratiche, ma piuttosto sulla definizione di un framework concettuale integrato che possa stimolare ulteriori indagini. Il concetto di significato viene qui scomposto in tre distinte aree di ricerca che rappresentano diverse denotazioni della parola: significato come sentimento, in riferimento alla valenza soggettiva ed emotiva delle esperienze; significato come senso, in riferimento al contenuto semantico e simbolico delle interazioni; e significato come scopo, in riferimento alle aspettative che guidano le interazioni delle persone. L’intera riflessione si costruisce sul contrasto fra il design che abilita soluzioni funzionali, basato su processi deterministici e quantitativi, e il design che ricerca esperienze significative, basato su processi interpretativi e qualitativi. La parte prima si focalizza sulle differenze fra la natura lineare delle emozioni viscerali misurabili e quella complessa dei vissuti emotivi mentali, analizzando come questi fenomeni vengano declinati all’interno della disciplina dell’interaction design. La parte seconda discute la relazione che intercorre fra le dimensioni formali e funzionali del progetto da una parte, e l’intrinseca essenza narrativa del design dall’altra. La parte terza analizza il concetto di scopo e affronta la riflessione sul ruolo dei fini e dei mezzi in relazione all’etica dell’innovazione tecnologica e della progettazione. Data l’estensione e la complessità del tema, le risorse bibliografiche attingono da un ampio spettro di discipline con lo scopo di unificare differenti prospettive in un’unica riflessione integrata. Per questa ragione, i riferimenti spaziano da neuroscienze, psicologia e filosofia fino alla cultura del design.

    Premessa

    Lo scopo di questa tesi non consiste nel determinare certezze, nel formulare risposte, o nell’appuntare bandierine sulla mappa concettuale del mondo della progettazione. Questa tesi ha il fine di condividere quella che è stata la mia personale esplorazione dello sconfinato oceano del significato, con la speran­za che le riflessioni contenute in questo elaborato possano operare come una bus­sola concettuale in grado di aiutare altre persone ad orientarsi nell’ambito di una progettazione significativa, indipendente­mente da quale sia la disciplina in cui operano i propri atti creativi.

    Il senso di questa tesi, ridotto alla sua forma essenziale, consiste nel prendere atto di come la dimensione del significato del progetto risulti indissolubil­mente legata ai processi interpretativi del pensiero umano, il quale è caratte­rizzato da una lettura del mondo di tipo soggettivo e qualitativo. Per questa ragione il design del significato non può essere concepito come il risultato de­rivante dall’applicazione di formule e schemi di tipo deterministico, abilitate dalla ragione tecnica, ma solo come un atto che iscrive la forma e la funzione del progetto all’interno di un contesto narrativo significativo.

    Il sentimento che anima questa tesi, frutto del mio personale vissuto emotivo, è il risultato diretto della mia esperienza e nasce dal desiderio di mettere in evidenza quanto sia riduttivo progettare artefat­ti in grado di stimolare determinate emozioni senza considerare l’esperienza umana in quanto processo olistico e integrato. Di conseguenza, ritengo che il significato delle esperienze non possa essere ridotto alla somma delle emo­zioni evocate attraverso l’interazione con gli artefatti, poiché esso è frutto del vissuto emotivo che, nel lungo termine, consegue dalla relazione col progetto.

    Introduzione

    Attraverso il titolo Meaningful Metadesign, questo elaborato esprime il de­siderio di porsi delle domande circa quale sia il miglior modo, o quantome­no il modo più sensato, di progettare i processi di progettazione affinché possano perseguire scopi emotivamente significativi per l’intera umanità, provando a migliorarne di conseguenza la qualità della vita. Questo elabo­rato non si occupa di fornire dimostrazioni o risposte di tipo deterministico in grado di identificare soluzioni metaprogettuali univocamente definite, teoricamente oggettive; e di conseguenza esso non si occupa di definire strumenti direttamente applicabili nella pratica progettuale.

    Questo elabo­rato si occupa di condividere delle ipotesi concettuali relative al processo di creazione e percezione del significato, trattato come fenomeno emergente e complesso, con la speranza che le riflessioni contenute al suo interno pos­sano risultare strumenti utili ad abilitare ulteriori riflessioni di tipo metapro­gettuale e, allo stesso tempo, soluzioni progettuali più significative.

    Data l’elevata complessità che caratterizza la tematica affrontata all’interno di questo elaborato, si è reso necessario attingere conoscenze da un ampio bacino di campi culturali differenti, passando in rassegna un ricco corpus bibliografico che spazia dalle neuroscienze alla psicologia cognitiva, dalla semantica alla teoria dell’informazione, dalla cultura del progetto alla filo­sofia, conciliando queste diverse prospettive all’interno di un discorso integrato che miri a rappresentare una possibile essenza del design del significato. La natura dell’argomento trattato ha richiesto di sviluppare un approccio di ricerca di tipo interpretativo e non deterministico, un approccio non orientato all’i­dentificazione di risposte ottimali a problemi specifici, ma bensì orientato a stimolare domande più significative rispetto all’ambito di indagine conside­rato. Nel corso della trattazione si fa un uso abbondante di citazioni raccolte attraverso la bibliografia, in maniera tale da rendere il discorso tanto ogget­tivo e scientifico quanto possibile, nonostante la natura filosofica dell’argo­mento, cosicché rimanga aperta la possibilità di un disaccordo informato, in grado di abilitare un dialogo con coloro i quali dovessero ritenere le posi­zioni espresse non condivisibili. Il tema che accompagna l’intera discussione può essere identificato come la contrapposizione tra significato e soluzioni, e il discorso assume prospettive e focus differenti nelle tre parti del testo, all’interno delle quali le due entità si manifestano di volta in volta come rappresentazioni concet­tuali differenti.

    Il dualismo significato-soluzioni può essere inteso come la contrapposi­zione tra la tendenza a ricercare domande più profonde (o sensate) e la tendenza a ricercare risposte più adatte (o funzionali). Molti teorici del design esortano i progettisti a sviluppare un approccio critico rispetto ai problemi da risolvere, ma allo stesso tempo suggeriscono che essi seguano rigorosamente i metodi del design thinking, basati su un approccio più quantitativo che qua­litativo alla generazione di idee. Di conseguenza, molti designer finiscono per applicare in maniera precisa e rigorosa le formule senza preoccuparsi di comprendere le problematiche da un punto di vista olistico. Sono cosciente che data la dominanza che la cultura funzionalista e solution-oriented esercita nell’odierno mondo del design, la visione appena espressa può risultare difficile da accettare o, quantomeno, discutibile. In tal caso si rimanda a un interessante libro intitolato Overcrowded e scritto dal professor Roberto Verganti, dove l’autore argomenta in maniera approfondita i differenti approcci che guidano i processi di innovazione di significato e innovazione di soluzioni. Verganti affronta questa dicotomia dalla prospettiva della business innovation, e nel farlo prende in conside­razione l’influenza che il mercato esercita oggi su tutti quelli che sono definiti come processi creativi. D’altronde, siccome la manifesta predominanza degli approcci solution-oriented nell’ambito dello sviluppo tecnologico e della progettazione è una conseguenza diretta della dipendenza di questi ambiti dal presente sistema economico, ritengo sensato che prima di considerare la progettazione del significato nel contesto del business sia centrale ap­profondire la questione all’interno della cultura del progetto.

    Verganti sottolinea che i metodi del design thinking, tra cui i famosissimi double-diamond e design sprint, promuovono un tipo di progettualità a-cri­tica (non si criticano le idee altrui), orientata alla generazione quantitativa di risposte (con attività come il brainstorming e simili) e all’ottimizzazione dei processi (che presuppone un obbiettivo definito in anticipo), in generale un processo di design culturalmente neutro. All’approccio solution-oriented Verganti contrappone la necessità di un processo meaning-oriented, con polarità in­verse, basato su un approccio critico (di discussione argomentativa), orien­tato alla generazione qualitativa di risposte (che rispondono a domande più profonde) e al processo interpretativo (necessario a definire gli obbiettivi), in generale un processo di design orientato da una prospettiva personale forte. Verganti non sminuisce assolutamente l’utilità dei processi di progettazione solu­tion-oriented, ma egli evidenzia come negli ultimi decenni questo genere di strategie e processi progettuali si siano diffusi in maniera capillare, partendo da aziende come

    ideo

    , raggiungendo pressoché qualsiasi realtà che opera nel mondo del design. Oggi i progettisti sono completamente al­fabetizzati rispetto al valore dei processi solution-oriented, e non potrebbe essere altrimenti in un contesto sociale dominato dalla pervasività dell’apparato tecnologico, contesto che spinge perpetuamente l’essere umano a ricercare un incremento della performatività propria e del sistema attraverso un’accelerazione senza fine. La compo­nente meaning-oriented della progettazione è stata fortemente tralasciata in questo contesto: sia per ragioni economiche, poiché il sistema capitalista non è interessato alla definizione di ciò che è significativo a livello sociale, individuale ed etico fintanto che non in­fluisce sulla crescita economica; sia per ragioni tecnico-scientifiche, poiché la tecnologia attualmente può fare uso solamente di ciò che può essere rappresentato in numeri, e manca di una reale comprensione semantica del significato di ciò che computa.

    Per rendere più esplicita e chiara la terminologia che si utilizza all’interno dell’elaborato, può risultare utile considerare la parola significato attraverso la sua forma inglese meaning. Nonostante io sia convinto che le lingue latine abilitino una maggiore espressività poetica e dotino i discorsi di stupende sfumature, se la necessità è essere pragmatici gli idiomi anglosassoni possono effettivamente risultare più funziona­li. Considerando una generica entità, che può essere un oggetto, un evento o un’azione, si può utilizzare il verbo to mean (significare) con almeno tre diverse accezioni principali:

    (1) "It

    means

    something to me" (personal feeling /vissuto emotivo personale).

    (2) "It

    means

    that..." (symbolic sense /senso simbolico).

    (3) "I

    meant

    to do something" (practical purpose /scopo pratico).

    Verganti, nella sua riflessione sulla meaning innovation nell’ambito del bu­siness, si limita a considerare il meaning as purpose, in particolare du­rante l’esperienza d’acquisto. Il mio obbiettivo di ricerca è stato quello di provare ad unificare le tre dimensioni da cui emerge il processo di significazione all’interno di un discorso olisticamente integrato che si potesse declinare rispetto all’ambito della progettazione in generale, ed anche rispetto al design di interazioni ed esperienze in particolare.

    Nel punto (1) il termine meaning assume il significato di valore sogget­tivo e personale che una specifica entità o evento ricopre per un individuo, e fa quindi riferimento al concetto di feeling, che tecnicamente sarebbe meglio tradotto come vissuto emotivo, ma che per semplicità sarà spesso tradotto anche come sentimento, inteso nel senso più lato del termine, ossia non necessariamente come un sentimento verso qualcuno. Il primo capitolo si occuperà di chiarificare la sostanziale differenza tra i concetti di emozione e sentimento attraver­so riferimenti bibliografici che rimandano allo stato dell’arte in ambito di neuroscienze e psicobiologia. Questi due termini sono spesso considerati interscambiabili, anche all’interno di settori professionali e di ricerca nei quali sarebbe fondamentale prendere atto della differenza. Si andranno quindi ad evidenziare le implicazioni che conseguono da questa differenza significativa nel mondo del design.

    Nel secondo capitolo si analizzerà come il modello di design oggi prevalente, denominato User-Centered o Human-Centered, preveda un approccio che considera le emozioni stesse come progettabili, poiché considera l’es­sere umano in quanto utente che ha il ruolo di reagire agli stimo­li derivanti dal rapporto interattivo con il sistema/artefatto. Se si desidera realmente rimettere al centro del percorso progettuale l’essere umano in quanto persona, tenendo conto delle conseguenze culturali e a lungo termi­ne derivanti dall’interazione con gli artefatti tecnologici, penso sia neces­sario abbracciare l’approccio progettuale che nel corso della tesi è definito come design per i sentimenti, il quale rifiuta la visione deterministica alla base dei modelli proposti dal design thinking.

    Nel terzo capitolo si evidenzia la centralità della componente riflessi­va all’interno dell’interazione tra persona e artefatto, in quanto il sentimen­to può essere definito come l’elaborazione mentale (continuativa ed a lungo termine) della variazione nel tempo dei pattern di attivazione fisiologica (ossia le emozioni) che sono associati ad un determinato stimolo emoti­vamente significativo. Per migliorare la

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