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Oltre la storia Percorso nell’opera di Elsa Morante
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Oltre la storia Percorso nell’opera di Elsa Morante
E-book198 pagine3 ore

Oltre la storia Percorso nell’opera di Elsa Morante

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Info su questo ebook

Un’importante analisi della produzione letteraria di Elsa Morante, scrittrice, poetessa e saggista italiana, e del modo in cui le sue opere si inseriscono all’interno del flusso della Storia. Personaggi e narrazioni che della Storia sono parte integrante, pure sono fuori da essa, vincitori e vinti di piccole e grandi battaglie, personaggi che superano la brutalità e la banalità del vivere quotidiano e assurgono a mito. 

Nata a Civitella del Tronto, Teramo, il 21.01.1945, l’autrice è laureata in Lettere Classiche presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Ha insegnato letteratura italiana e latina in un Liceo Scientifico di Padova. Ha coltivato interessi letterari e filosofici, dall’età greca a quella contemporanea. Ha scritto saggi su Riviste nazionali, come “Punto di vista” e “Lo Scorpione letterario”. Presenta libri presso l’Associazione Abruzzese-Veneta con sede a Padova. Ha scritto saggi su Giovanni Giudici, Giorgio Caproni, Paolo Volponi e testi narrativi, non ancora pubblicati. Ha pubblicato due saggi di critica letteraria presso l’Editrice Albatros: La celestialità della terra nell’opera di Anna Maria Ortese, nel 2019; La dimensione notturna in Antonio Tabucchi, nel 2021; Con la festa nel cuore, 2022, è stato segnalato al premio letterario Il giovane Holden.
LinguaItaliano
Data di uscita18 ago 2022
ISBN9788830670105
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    Oltre la storia Percorso nell’opera di Elsa Morante - Elisa Lizzi

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    Elisa Lizzi

    Oltre la storia

    Percorso nell’opera di Elsa Morante

    © 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-6227-8

    I edizione agosto 2022

    Finito di stampare nel mese di agosto 2022

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Oltre la storia

    Percorso nell’opera di Elsa Morante

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Oltre la storia

    Un romanzo di Sebastiano Vassalli ha un titolo, Archeologia del presente, di difficile interpretazione, in quanto non si concepisce un presente che sia contemporaneamente passato, anzi che affondi in un passato lontano; si può entrare nelle logica dell’autore solo se si pensa alla velocità del tempo, che precipita nel passato prima ancora di assestarsi nella sua attuazione; qui non si tratta di recuperare la meditazione dei filosofi classici, anch’essi sensibili al celere percorso del tempo, ma di pensare allo scialo della storia contemporanea, che riflette proprio quell’assurdità implicata dal titolo del libro di Vassalli. La storia è diventata solo quella del presente ed è talmente affollata e ridondante che crea ingorghi, interferenze, sovrapposizione, e non può essere colta senza che una gran parte subito invecchi entrando nel reparto obsoleto dell’archeologia.

    Integrarsi nel proprio tempo, comprenderne le istanze, fare propri i doveri e i bisogni della propria comunità potrebbe sembrare sufficiente per esaurire l’insieme delle attese, ma gli interrogativi per un uomo pensante non si arrestano, perché la storia supera il presente, è la somma di un fluire continuo che avanza da un oscuro passato verso un oscuro indefinito futuro. Il lungo percorso verso l’infinito passato e l’infinito futuro resta oggi solo un’enunciazione poetica suggestiva, riservata agli intellettuali ed interdetta alle persone comuni; eppure questa navigazione nel tempo, più di quella orizzontale e spaziale del nostro odierno costume, potrebbe soddisfare l’impegno e l’area più profonda delle aspettative. La conoscenza sempre più dilatata delle epoche storiche, infatti, non risponde solo ad un generico desiderio intellettuale, ma ad un senso etico e metafisico, facendoci cogliere la nostra collocazione nel mondo, fissata nell’insistente chiedersi dove, da dove, perché. Il grande fiume della storia ci pone interrogativi sulla nostra esistenza, che non è solo ancorata al presente, ma sconfina nell’illimitato, e non sono solo i poeti e i pensatori a percepirlo, anche se essi si sentono in dovere di diffondere i loro richiami. Se si vuole sfuggire alla ristrettezza delle coordinate dei sensi, se si vuole superare il meccanicismo delle leggi fisiche, un bisogno tipicamente umano che Kant nella sua filosofia si è impegnato a scoprire ed annunciare, è necessario adire altre vie più feconde e spirituali.

    A cominciare dalla modernità e dalle sue rivoluzioni, non solo gli interessi materiali hanno preso il sopravvento, ma il presente, sempre più dilatato a livello globale e la densità degli eventi non sempre degni di questo nome, ma resi tali dal fervore delle tecnologie, hanno occupato la coscienza dell’uomo, cancellando ogni altro interrogativo esistenziale. Eppure la collocazione dell’uomo nel mondo, già di per sé, costituisce un problema inestricabile, un intreccio di componenti che si richiamano a vicenda come cerchi concentrici in una conclusiva mise en abîme. Il dibattito storiografico e letterario sul significato della storia ha occupato gli ultimi secoli con risultati ed opinioni in entrambi i campi e in quello del pensiero in generale. L’uomo si trova scisso tra una dimensione di terrena cosmicità, che presuppone un pregiudiziale patto con la morte alla pari delle altre creature immesse nel circuito di produzione-distruzione, a cui filosofi come Leopardi ed Heidegger lo riportano, e una dimensione prettamente umana, di chi consapevolmente costruisce la sua storia entro la storia, passaggio enfatizzato dalla Scienza vichiana. Lo statuto radicale e metafisico della condizione umana è quello che più rimane latente, anche se da esso non si può prescindere e ad esso rinviano tutte le fasi della vita come presupposizione di Provvidenza, Divinità, Destino, Natura, Istinto di Morte, nomi indicativi di Motore del tutto. Questa conoscenza delle forze di base, innata in noi, influenza ed interagisce con il mondo operativo, ma rimane latente, per permettere all’uomo di costruire la storia come frutto di creatività, intelligenza, speranza, e quindi tensione verso il progresso, ovvero una sempre più perfetta realizzazione di sé.

    Tante sono le storie in cui l’uomo ha teso ad inserirsi, personale, collettiva, privata, pubblica, in un processo di espansione che accoglie nella storia non solo la figura umana, ma i manufatti e gli oggetti ad essa connessi; la microstoria del nostro tempo tende alla frammentazione del grande fiume della storia nei numerosi ed infiniti rivoli, corrispondenti agli infiniti aspetti dell’agire umano in un paesaggio sempre in divenire. Questo allargamento della storia senza limiti ed esclusioni costituisce un processo rivoluzionario, non solo nel senso etico di Manzoni, che, partendo dalla torre d’avorio del passato, costruisce un nuovo destino per quelle moltitudini immense che passavano sulla terra senza lasciare traccia (A. Manzoni: Discorso su alcuni punti della storia longobardica in Italia), ma anche nel senso sociale di Hannah Arendt, che vede l’apertura alla storia anche di quella porzione di vita, la vita laborans, chiusa nelle pareti domestiche e inerente alla sopravvivenza corporea (H: Arendt: Vita activa). Se questo lato sommerso nell’antichità viene esposto alla considerazione e alla dignità, è chiaro il riscontro nel campo operativo sempre più assistenziale della storia.

    La storia ha vissuto il travaglio di una sua definizione e una sua collocazione ancora in fieri tra scienze sperimentali e scienze umane, oscillando, nella sua espansione, tra la frammentazione nella microstoria, che dà dignità a tutti gli aspetti dell’agire umano, e una visione onnivora e totalizzante, che aspira all’unità sotto il segno di qualche idealità metafisica. Il romanzo storico si è immesso in questo dibattito, accogliendo nel suo ambito i numerosi significati che la storia veniva assumendo, accogliendo volentieri il sottosuolo della psicologia e della metafisica. Infatti esso, come genere letterario succeduto all’epica, è portato non solo ad osservare la storia, ma anche a porsi gli interrogativi esistenziali dell’Oltre. Perfino gli scrittori più realistici, i cosiddetti naturalisti francesi, lasciano trasparire, al di là dei documenti, un fondo di profondità simbolica e mitologica. Zola porta nel romanzo recuperi metafisici di matrice epica e tragica. Secondo G. Deleuze (G. Deleuze: Zola e l’incrinatura, in Logica del senso, Feltrinelli, pp. 281-291) si intravvede a guidare le azioni umane un’incrinatura che, come un epico Fato, si insinua negli istinti umani, incanalandoli verso la morte. Anche l’autore più fedele alla scientificità della storia incontra un’Idea di base, esente da documentazione e verifica, identificandola in una necessità fatale, la cosiddetta Ananke.

    Elsa Morante, che della storia ha fatto il suo oggetto di studio, sperimenta nei suoi romanzi le linee del dibattito sia storico che letterario; in primo luogo, come scrittrice di romanzi storici, non poteva omettere l’applicazione della poetica manzoniana nel riconoscere il precipuo ruolo dello scrittore nell’assolvere un compito più profondo e completo rispetto allo storico. Classi nuove, come la borghesia, prendono posto nei suoi romanzi, anzi una formazione nuova, la piccola borghesia, approdata allora agli orizzonti della storia con il suo carico di fragilità ed ambiguità. Di questa classe così insicura va indagando i pensieri e le insoddisfazioni, per fornirne un’atmosfera generale e un esaustivo compendio. La Morante è convinta che tutti i moventi interiori, le passioni e i sentimenti invisibili costituiscono il sottosuolo della storia, un groviglio di umori, destinati a rivelarsi, prima o poi, in concrezioni reali ed eventi. I personaggi di questa classe medio-popolare risultano interessanti anche se poco visibili nei quadri ufficiali, perché, subendo la storia nelle categorie passive e represse, finiscono per costruire quella base passionale e sentimentale destinata ad esplodere. Queste passioni e sofferenze dei singoli, sempre più velocemente nella modernità, contribuiscono ai passaggi delle generazioni e dei costumi. Le sue riflessioni vengono esplicitate soprattutto in Menzogna e sortilegio e La Storia, che fissa il suo obiettivo sperimentale fin nel titolo. Il romanzo si pone come un prototipo di novità storica, approfondendo la psicologia dei personaggi singoli in seno agli orizzonti della piccola borghesia, isolando date ed eventi ufficiali come monconi sterili e separati dalla narrazione.

    Elsa Morante allarga il domino della storia, anzi va al di là della storia ponendosi alla ricerca dei sensi, delle leggi, delle forze di base che la determinano, in modo razionale ed irrazionale. Ne L’isola di Arturo la dinamica del romanzo è, al contempo, progressiva e regressiva, perché conduce in avanti quando segue la crescita del protagonista, all’indietro quando segue lo stimolo della memoria. Conclusa la lettura, pare di doverla ripetere nell’ottica generatrice della memoria che continua ad affidarci la sua recherche. La scrittrice sembra voler spiegare questa coazione alla regressione, con il pensiero di Freud, come istinto di Morte, istinto conservativo che fa desiderare un ritorno allo stato iniziale e prenatale, nonostante l’apparente movimento evolutivo. (S. Freud: Al di là del principio del piacere, Mondadori, pp. 92-93). La grotta, in cui Arturo passa l’ultima notte prima della partenza dall’isola, richiama l’idea di rifugio, di protettivo grembo materno, dopo l’assaporamento della sofferenza, come avvisaglia del futuro che lo aspetta. Anche in Aracoeli la scrittrice trova in Manuel il suo alter ego che scopre il destino della vita e, come un eroe tragico, si proietta nella prospettiva della morte-ritorno alla madre; la feconda attività onirica e il dialogo interiore, in cui Manuel è costantemente impegnato, fanno emergere un senso pessimistico della storia, e il simbolismo di una storiella lo esprime chiaramente non solo all’attenzione di un esperto psicologo, ma perfino a quella di un uomo comune. Questa favola, in cui Manuel s’immedesima per giustificare il suo destino, parla di un sarto immortale che "di notte va in giro per le camere di certi mortali ai quali cuce addosso, nel sonno, una camicia invisibile, tessuta coi fili del loro destino […] Se il sarto poi, nelle sue scelte, segua un criterio personale, o una regola istituita, oppure si affidi alla ventura o al capriccio, la favola non lo spiega […] Tra le sorti indelebili della mia trama futura, ormai cucite dentro la mia carne, la prima diceva:

    mai più tu sarai / un oggetto d’amore / mai per nessuno mai

    " (Aracoeli, pp. 52-54).

    Nell’epica dei Poemi (Il mondo salvato dai ragazzini) Elsa Morante va oltre la sperimentazione del romanzo, percorrendo la storia in tutta la sua portata infinita e metafisica; aprendo una finestra sull’inconoscibile, proietta il suo uomo oltre i limiti del tempo, come uomo di tutti i tempi, nelle sue nascite e rinascite; egli vive tutte le condizioni storiche, per alludere ad una condizione di base e ad un eterno ritorno. Ad esplicitare questa filosofia è soprattutto la figura di Edipo, rivisitata in una forma di sincretismo religioso: egli non è soltanto il Re tebano, ma l’uomo universale che ha conosciuto una prima condizione felice in comunione con gli dei e a questa condizione anela a ritornare, esaurito il compito assegnatogli nella storia. Elsa Morante, nel pensiero poetico delle sue Canzoni, sembra voler provocare con l’utilizzo di vari linguaggi, dall’epico al comico, la ristretta sensibilità dell’uomo contemporaneo ancorato ad un presente senza luce, e lo fa alla maniera foscoliana, assegnando le sue lapidi a pochi eroi felici, anche se misconosciuti dalla storia ufficiale. In tutta l’opera narrativa della Morante si sente l’insoddisfazione per la storia che è aridità e violenza e il bisogno di trasferire eventi e personaggi in un’altra dimensione più completa, che ridoni all’uomo un possibile contatto con il divino, traccia sepolta nel suo inconscio eppur operante nella sua vita cosciente. Questo sfondo mitico, dotato di luce etica e religiosa, se ancora da una lontananza incolmabile torna ad emergere, indica, secondo Gianni Carchia (Gianni Carchia: La nascita del romanzo, Rivista di Estetica), l’incapacità di vivere in un mondo senza dei […] la sostanzialità mitica può tornare a manifestarsi soltanto parodicamente all’interno di una quotidianità svuotata di senso. Nella nostra scrittrice questo ritorno ossimorico del mito, che riemerge e si nega nella banalità della narrazione, si sente anche nella presentazione dei personaggi, contornati da un alone di regalità e di beatitudine, che subito stona con una matrice tutta terrestre e con i costumi meschini che crollano addosso alla loro figura di cartapesta, con stupore e scandalo. Perché il mito regga, bisogna recuperare la via dell’epica ed è questo il percorso della Morante, che soprattutto nella tragedia recupera lo spirito antico e una magnificenza per un’umanità degna della relazione divina, fuori dalla avvilente

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