Manuale di traduzione di Roman Jakobson
Di Bruno Osimo
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Anteprima del libro
Manuale di traduzione di Roman Jakobson - Bruno Osimo
[¹]
Presentazione
Un sincero ringraziamento al professor Bruno Osimo per questo suo ultimo lavoro di ricerca e rielaborazione nel campo della semiotica, che ha voluto titolare Manuale di traduzione di Roman Jakobson . Contributo in continuità con una lunga e ricca esperienza di traduttore, teorico della traduzione, scrittore e docente, esperienza in cui pratica professionale, analisi critica della professione e ricerca teorica si intrecciano e arricchiscono vicendevolmente in modo particolarmente fecondo.
Con quest'opera Osimo offre a docenti, studiosi e traduttori la possibilità di conoscere il contributo di un linguista come Jakobson dal punto di vista del traduttore e del processo di traduzione dimostrando come il semiotico russo possa contribuire a riavvicinare la cultura professionale più radicata nell'Europa occidentale a quella a dimensione più internazionale.
Per dirla con l'autore, perché é ora che semiotica, linguistica e psicologia si parlino di più.
Devo confessare che solo da pochi anni, da quando sono presidente di Fondazione Milano, che gestisce la Scuola di Alta Formazione per Traduttori e Interpreti Altiero Spinelli, ho avuto modo di interrogarmi seriamente sulla professione del traduttore. Ascoltando la presentazione di alcune tesi di Laurea e la relativa discussione o la lectio magistralis in apertura degli anni accademici, leggendo testi dei docenti o degli stessi studenti, mi sono resa conto, pur da profana quale sono, della complessità del retroterra culturale e teorico che deve sorreggere un bravo traduttore; e delle ragioni di quel fastidio, quella lontananza che si prova quando ci si trova davanti, ad esempio, ad un romanzo mal tradotto; e infine dell'importanza di valutare la qualità della traduzione e di avere strumenti di validazione a cui tanto peso si dà nella formazione presso l'Altiero Spinelli.
Fondazione Milano è orgogliosa del fatto che le sue Scuole di Alta Formazione – insieme a quella per Traduttori e Interpreti ricordo le Scuole di Musica, Teatro e Cinema – si caratterizzino come scuole del fare
, che offrano da subito ai propri studenti la possibilità di misurarsi con esperienze professionali, che tanto spazio vi abbiano le attività laboratoriali. Ma questa impostazione poggia – e deve poggiare – su solide basi teoriche e culturali. In particolare per i Docenti questo approccio comporta una preparazione ancora maggiore, un continuo aggiornamento. Questo non vale solo certo per la formazione del traduttore o dell'interprete. Tutte le professioni nel campo della musica o del teatro o del cinema, pur attraverso media, codici e simbologie diverse, si servono di linguaggi e comunicazione intenzionale, come ci aiuta a capire Osimo attraverso l'interpretazione del pensiero di Jakobson sulla traduzione intersemiotica, anche se intervengono più sull'emozionale che sul concettuale, come peraltro fa la poesia, che pure si serve della parola.
Milano, 17 settembre 2016
Marilena Adamo
Presidente della Fondazione Milano - Scuole Civiche di Milano
Premessa
Roman Jakobson ha avuto un destino strano. Tutti conoscono il suo nome e sono disposti a riconoscerlo come personaggio importante della scena culturale mondiale. Pochi però hanno letto ciò che ha scritto al di là di quelle quattro o cinque citazioni famose. Citazioni che, estrapolate dal contesto, rischiano di non essere comprensibili in modo completo e corretto. Le opere scelte di Jakobson sono in otto ponderosi volumi. Tenendo conto che ha scritto su vari altri argomenti, dalla letteratura russa, alla filologia slava, alla fonologia, alla neurologia, le pagine dedicate a temi che hanno attinenza con la semiotica della traduzione sono solo
un migliaio. È evidente che Jakobson ha tante cose da dirci sulla traduzione e che noi finora siamo stati abbastanza restii ad ascoltarlo.
L’approccio di Jakobson alla traduzione è di tipo semiotico. Qualcuno potrebbe domandarsi che rapporto ci sia tra la semiotica e la traduzione. Che importa a un traduttore la teoria del segno di Saussure o di Peirce, dal momento che deve affrontare testi pratici, non teorie? A questo rispondo con due punti:
1) tutti i traduttori, anche i più refrattari alla teoria, seguono dei princìpi. Il motivo per cui è poco sensato «non essere interessati alla teoria» se si traduce è che tutti i traduttori, magari a loro insaputa, hanno una teoria. Abbiamo una teoria su come si sbuccia una mela o su come si infilano i pantaloni senza che nessuno ce l’abbia insegnata. Tutti abbiamo una mente con un funzionamento analizzabile, eppure ci sono persone che «non si interessano» di psicologia. La traduzione è un’attività che inevitabilmente costringe chi la pratica a pensare al proprio destinatario, e a formulare un messaggio che tiene conto del destinatario, quindi a elaborare una strategia comunicativa. E ogni traduttore legge l’originale, lo elabora mentalmente usando il linguaggio interno nonverbale, e formula il testo tradotto proiettando quel provvisorio contenuto volatile mentale sulla cultura ricevente. La differenza quindi è tra chi la teoria la usa consapevolmente, e chi la usa in modo inconsapevole.
2) Qualsiasi concezione della traduzione è come un’applicazione basata su un sistema operativo, e in questo caso il sistema operativo è la teoria del segno. In altre parole, se si pensa che tra la parola «cane» e l’animale in questione vi sia un rapporto di equivalenza, si ottiene una certa teoria della traduzione; se invece si ritiene che tra la parola «cane» e l’animale in questione ci sia una serie di collegamenti di tipo creativo e non biunivoco, si ottiene una teoria della traduzione completamente diversa.
E ora qualche parola sulla genesi di questo volume.
Questo libro si basa sul principio che sia possibile creare un testo dalle opere di un autore, concentrandosi su un argomento che non era necessariamente stato considerato centrale o fondamentale dall’autore originario. Roman Jakobson ha scritto molti articoli e libri, che solo in parte affrontavano il problema della traduzione. La mia intenzione qui è di sintetizzare il suo pensiero sulla traduzione raccogliendo alcune citazioni da diversi articoli e saggi di periodi diversi, originariamente scritti in varie lingue, e di riorganizzarli secondo criteri miei funzionali a un discorso sulla traduzione.
Il risultato è una serie di paragrafi e capitoli la cui identità deriva dall’assemblaggio di testi eterogenei che, tuttavia, considerano un determinato argomento da prospettive diverse.
I primi paragrafi si concentrano sul linguaggio interno come codice nonverbale e sulle conseguenze del passaggio continuo dal verbale al nonverbale e viceversa che si verifica durante il discorso, la scrittura – codifica –, l’ascolto, la lettura – decodifica – e di conseguenza che si verifica all’interno del processo traduttivo stesso. Il concetto di «traduzione intersemiotica» è considerato da una prospettiva nuova.
Nel capitolo centrale il metodo dei tratti distintivi di Jakobson viene applicato alla traduzione. Utilizzando le variabili somiglianza/contiguità e attribuita/fattuale, tratte dagli scritti di Peirce [²] , Jakobson si rende conto che nella trattazione di Peirce manca una delle quattro attualizzazioni. Del resto, Peirce subiva una fascinazione quasi mistica per le triadi; Jakobson, d’altro canto, aveva la costante propensione a scomporre tutto in elementi binari sì/no perché fosse analizzabile e descrivibile in termini scientifici. La traduzione, che, secondo Jakobson, non è equivalenza ma evoluzione del senso, potrebbe essere somiglianza attribuita, l’attualizzazione mancante delle variabili di