Qualcosa è cambiato
Di Enrico Croce
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Questa è la frase su cui si articola la storia di Anna. Una storia contornata da soprusi, inganni e violenze, fatte proprio da chi le aveva promesso amore incondizionato. Tutto ciò prima di incontrare David, sarà lui a ridonare ciò che la vita le ha negato...
È una storia nella storia, una realtà parallela a quella vissuta, sperata, sognata.
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Qualcosa è cambiato - Enrico Croce
Enrico Croce
QUALCOSA È CAMBIATO
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73051 Novoli (LE)
ISBN 9788867521838
Qualcosa è cambiato in me, un cambiamento lento e inesorabile come il corso di un fiume che negli anni devia il proprio letto verso sponde frastagliate e cascate vertiginose. E non parlo di un cambiamento di poco peso ma di fondamento che regge una struttura, un pilone portante che nel corso degli anni si è frantumato causando un crollo inevitabile.
Se avessi potuto scegliere dove nascere avrei detto Miami, in realtà non ci sono mai stato ma, da quello che mi hanno detto deve essere una figata, clima fantastico belle ragazze e soldi, tanti soldi, tutto ciò che un maschio adulto può desiderare dalla vita. Il caso invece ha voluto che nascessi al quinto piano di un quartiere degradato, in un casermone
soprannominato la barca
per via della sua forma vagamente ovale.
Erano una serie infinita di squallidi palazzi popolari costruiti per dare alloggio agli sfollati e ai profughi della seconda guerra mondiale, anche se l’obbiettivo reale della loro realizzazione era innanzitutto politica, poi economica e solo per una minima parte sociale.
All’interno di quell’ammasso informe di cemento ci vivevano più di mille famiglie, la maggior parte delle quali con al seguito una schiera di figli da far invidia alla processione della santa vergine immacolata
, c’erano vecchi che fumavano tutto il giorno il sigaro vestiti completamente di lana nonostante il caldo asfissiante, bambini sporchi che camminavano scalzi e donne scarnite che portavano sulla testa grosse ceste di panni da lavare. Tutto intorno… Solo desolazione e terra bruciata dal sole.
Nascere alla barca
in quel periodo significava macchiarsi di una grave colpa ancora prima di cominciare a parlare, l’emarginazione e i pregiudizi erano le pene da espiare e quelli che provavano a ribellarsi come premio ricevevano una vacanza all inclusive
tra i muri delle patrie galere.
Non era propriamente un luogo dove regnavano dolcezza ed armonia, la violenza molto spesso rappresentava l’unico mezzo per farsi rispettare o regolari i conti.
In quel posto dimenticato da dio e dagli uomini non potevi far altro che sognare, ma molto spesso i sogni si sgretolavano come dei castelli di sabbia di fronte ad una mareggiata, la realtà si contrapponeva alla speranza che solo i più tenaci e temerari riuscivano a mantenere ancora viva nel loro cuore.
Ricordo di aver sempre vissuto in una cella di vergogna e di speranze frustrate, ma era normale vivere così tant’è che non mi sono mai accorto delle sbarre, quando mi chiedevano dove abitavo provavo la stessa sensazione di quando si viene presi con le mani nel sacco e si cerca una scusa qualunque per giustificare il maltolto, subito dopo farfugliavo sempre qualcosa d’incomprensibile con la speranza di non essere capito.
Capii solo in seguito che quel quartiere non faceva meno schifo di qualsiasi altra fottuta parte della città.
Quasi tutti i residenti erano uniti da un unico comune denominatore: Riuscire a mettere insieme il pranzo con la cena. Era un pensiero fisso che li accompagnava dalla mattina appena svegli, alla sera prima di dormire.
Quella ragione pesava più di qualunque ideologia fino a diventare quasi un’ossessione.
La maggior parte di loro sopravviva grazie ad attività illecite come la vendita di sigarette di contrabbando, piccoli furtarelli e qualsiasi altra cosa fosse utile a quella nobile causa.
Erano tutte persone senza nessun principio e nessun valore, gente falsa opportunista pigra e sporca che se ne infischiava altamente di tutto quello che gli accadeva intorno, ma rappresentavano alla perfezione la società in cui vivevamo, per cui passavano quasi inosservati.
Poi c’era chi non si accontentava di sopravvivere, ma puntava a dare una svolta decisiva alla propria esistenza. Si facevano chiamare, i boss del quartiere
. Erano uomini forti, decisi freddi e senza scrupoli, con sguardo truce la mandibola prominente e i capelli impomatati, vestivano alla moda guidavano scintillanti macchine sportive, ed erano sempre accompagnati da donne molto provocanti.
Non credevano alla reincarnazione né a nessun altro tipo di religione, vivevano senza rimorsi senza paure senza limiti e con i sensi affinati al massimo. La vita per loro non era altro che un’enorme banchetto dove soddisfare gli appetiti senza curarsi minimamente della forma.
Da piccoli si nascondevano sotto il letto, si rannicchiavano in un armadio, si appollaiavano in un albero e si fermavano a guardare le stelle in attesa che l’ira degli adulti svanisse, la sera pregavano dio a mani strette di poterli salvare dalla furia degli umani o di accoglierli anzitempo nel suo regno per evitargli altre inutili sofferenze.
Solo un forte senso di sopravvivenza li aveva mantenuti ancora integri e in buono stato di salute, ma in realtà erano come animali feriti che brancolano nel buio alla ricerca del loro carnefice.
Non riuscendo mai ad identificare un responsabile alle loro sofferenze adolescenziali si vendicavano di chiunque aveva la sfortuna di intralciare il loro cammino e in quel preciso momento davano sfogo a tutta la loro violenza.
Nel corso degli anni avevano tramutato la paura in rabbia cieca, la rabbia era comunque una sensazione migliore dell’impotenza o della paura su questo non c’era nessun dubbio. Adesso di fronte al sangue invece di inorridirsi provavano una forte eccitazione selvaggia che li faceva sentire invivibili.
Uccidevano su commissione, rapivano e rapinavano con una freddezza e una lucidità degna del più vorace predatore, non si pentivano mai e credevano in un unico e solo dio: Il denaro.
Vivevano in lussuosi appartamenti del centro, in bellissimi attici o in ville dotate di ogni comfort, ma una volta al mese puntualmente tornavano nel quartiere a far visita alla vecchia madre, l’unica persona in grado di fargli riemergere sentimenti racchiusi dentro una cassaforte a prova di bomba. Una volta lì regredivano allo stato preadolescenziale e bramavano una carezza o un bacio come se fossero il regalo più bello che la vita potesse donargli.
A vent’anni avevano già ucciso a ventuno era diventati padri per caso. In un raro momento di crisi di coscienza aveva provato a percorrere la retta via, ma poi gli eventi della vita, o la morte di una persona cara l’avevano catapultati di nuovo negli inferi da cui non erano più riusciti a tornare indietro.
Erano costantemente invasi da un delirio di onnipotenza che gli faceva credere di essere inviolabili, ma quasi sempre concludevano la loro brillante carriera rinchiusi in qualche squallida prigione o sotto tre buoni metri di terra.
Solo una piccolissima parte di tutta quella inutile marmaglia
aveva abbracciato la cultura del lavoro, erano apostrofati ironicamente gli umili servitori dello stato
.
Vivevano nel pieno rispetto della legge e delle istituzioni, non bestemmiavano mai e la domenica andavano a messa con tutta la famiglia. Lavoravano tutto il giorno rinchiusi in un cunicolo stretto e buio in cambio di una paga da fame e una seria infinita di umiliazioni, solo raramente deviavano dal percorso divino e si concedevano un po’ di ricreazione consolandosi tra le braccia di qualche prostituta, o ubriacandosi al bancone di un bar per poi tornare alla vita di sempre ancora più carichi e determinati di prima.
Avevano trascorso gran parte della loro esistenza in un esercizio d’equilibrismo su un filo sottile che li separava da un baratro buio e senza fine, ma erano sempre riusciti a resistere alla tentazione di mettere il piede in fallo. Scegliendo di non comportarsi da vittime ma di reagire per mantenere viva la propria speranza e la propria dignità che la loro condizione gli aveva sempre negato, si erano ridotti ad essere l’ombra di se stessi, ma malgrado tutto continuavano a credere nel futuro, se non nel loro in quello dei loro figli.
Erano convinti che la sopravvivenza fosse strettamente legata alla moderazione, non facevano sport pericolosi non avevano mai assunto nessun tipo di droga ed evitavano di esprimere con decisione il loro parere. Solo tra le mura di casa mettevano a nudo il loro vero carattere e quello che emergeva contrastava decisamente con quello che la gente si immaginava di loro.
Nonostante il forte senso di responsabilità e l’abnegazione che ne avevano fatto dei veri e propri paladini
della società, non godevano di molta popolarità all’interno del quartiere, erano costantemente emarginati dal resto della comunità quasi come fossero degli appestati dai cui era meglio stare alla larga per evitare di venire contagiati.
Si potevano riconoscere facilmente, avevano le mani segnate dalle cicatrici degli anni trascorsi in miniera, camminavano con la testa bassa e le spalle incurvate e ad ogni passo lasciavano dietro di se una lunga scia puzzolente di zolfo.
La sera si riunivano in piccoli gruppetti silenziosi, giocavano a carte sfumacchiando una sigaretta dietro l’altra, o rimanevano seduti sulle panchine che circondavano il comprensorio con la fronte corrucciata e lo sguardo perso nel nulla.
Tra questi strani e misteriosi personaggi emergeva la figura di mio padre, uomo tutto d’un pezzo e fedele portavoce dei principi di correttezza ed onestà ereditati dalla sua stirpe di generazione in