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Anime agitate. Violenze e vendette in un intrico di amori malati
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E-book210 pagine2 ore

Anime agitate. Violenze e vendette in un intrico di amori malati

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Info su questo ebook

Nandu lascia la Sardegna per emigrare nel “continente” quando è ancora fanciullo e vi fa ritorno diciotto anni dopo. Il suo arrivo a Nuracau lo porterà a fare i conti con una Sardegna dove un codice d’onore non scritto, che si perde nella notte dei tempi, ha legittimato il perpetuarsi di faide, delitti, omicidi, rapine e sequestri di persona. Nandu Figus diventa “su sannori Figus”, si sposa, ha dei figli, e raggiunge quel benessere economico e quello status sociale che suo padre aveva desiderato per lui. Ma all’improvviso tutto precipita e Nandu scompare nel nulla. Purtroppo, le circostanze in cui avviene la sua scomparsa fanno presagire una tragica fine. Con inaspettati colpi di scena, il lettore si troverà immerso nella vita e nelle vicende degli abitanti di questo piccolo centro, una comunità in cui il disonore non è ammesso e innesca la “sanzione sociale”, un luogo in cui leggende, riti e usanze, anche scaramantiche, si intrecciano con le pratiche religiose.

Carlo Floris nasce a Collinas (CA), Sardegna, il 25 gennaio del 1945. Impiegato presso diversi uffici della Pubblica Amministrazione, ha affiancato al lavoro un impegno costante nel sociale e, sin dalla sua istituzione, nell’ANSPI locale, ricoprendone per più di un decennio la carica di presidente. Ha ideato e scritto in lingua sarda l’opera della rappresentazione storica della Passione di Cristo, che si realizza ogni anno la Domenica delle Palme per le vie del centro storico del paese, con la partecipazione di un centinaio di figuranti. Ne è stato regista e coreografo per nove anni, passando poi il testimone all’Amministrazione Comunale. Da oltre cinquant’anni lavora alla realizzazione del monumentale presepio storico della parrocchia, costruito a grande grotta, su una superficie di circa cento metri quadrati. È visitabile attraverso un lungo camminamento, dove oltre alla parte più tradizionale, vengono rappresentate, attraverso diorami, varie scene a sfondo biblico o sociale.
LinguaItaliano
Data di uscita31 dic 2022
ISBN9788830676619
Anime agitate. Violenze e vendette in un intrico di amori malati

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    Anteprima del libro

    Anime agitate. Violenze e vendette in un intrico di amori malati - Carlo Floris

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    A mia moglie Gilberta

    ai miei figli Samuele e Alessia.

    Giungeremo a poco a poco

    alla conclusione che i delitti non esistono affatto,

    e di tutto ha colpa l’ambiente

    come un dovere,

    come una nobile protesta contro l’ambiente…

    insomma…

    Ci sono nella vita degli uomini dei momenti storici,

    in cui una scelleratezza evidente,

    sfacciata, volgarissima

    può venir considerata nient’altro che grandezza d’animo,

    nient’altro che nobile coraggio dell’umanità

    che si libera dalle catene.

    Pietà quanta se ne vuole, ma non lodate le cattive azioni:

    date loro il nome di male.

    (Dostoevskij inedito. Quaderni e taccuini 1860-1881)

    PROLOGO

    Quanti avranno modo di prendere in mano questo libro, si chiederanno che cosa io abbia voluto raccontare parlando del passato della nostra amata Isola e di quanti l’hanno popolata.

    Coloro che, come quelli della mia generazione, hanno in qualche modo vissuto, conosciuto o avuto modo di ascoltarne fatti o avvenimenti, spesso romanzati e in alcuni casi nati da menti di persone capaci di poetare, non si meraviglieranno, perché già conosciuti.

    Le generazioni dopo la mia troveranno in queste pagine tanta frivolezza, ma se si soffermassero ad analizzare certi eventi, si accorgerebbero che ancora oggi persistono e non destano poi tanto stupore.

    Ciò che in modo molto semplice ho cercato di mettere insieme, sono storie di vita di un popolo che, nella sua quasi unicità, è passato alla ribalta attirando l’attenzione e, in alcuni casi, creando sgomento e allarmismo oltre mare.

    Se tutto può essere nato da uno stato di povertà e miseria, in cui è stata costretta a vivere la gente di Sardegna, nello stesso tempo sentendosi abbandonata dallo Stato perché non sufficientemente protetta e sostenuta, ciò ha fatto sì che si legittimasse un codice d’onore non scritto e ci si facesse giustizia per contro proprio; allora si potrebbero comprendere, ma non certo suffragare, il susseguirsi di fatti degenerati in faide, delitti, omicidi, rapine e sequestri di persone.

    Ogni comunità, anche la più piccola che esiste, ha una sua storia, che riprende, e spesso continua a trasmettere alle generazioni future leggende, avvenimenti e fatti che hanno contribuito a identificare, nel bene e nel male, l’anima di quelle genti.

    Il popolo sardo ha origini lontane, e molto è rimasto ancora da scoprire della storia di questa gente, avvolta di mistero; quello che si conosce appartiene ad un periodo relativamente più recente, dove ci sono state dominazioni di popoli venuti da lontano che ci hanno poi lasciato, eppure ancora oggi ne conserviamo tradizioni, usi e costumi.

    È in questo contesto che si sono sviluppate fantastiche leggende, riti e usanze anche scaramantiche, che si sono conservate fino al secolo scorso e alle quali ancora oggi qualcuno fa ricorso.

    Il sardo è stato sempre un popolo superstizioso e nello stesso tempo religioso; nella sua religiosità non è raro trovare tracce di un passato in cui è rimasto radicato un fondo di paganesimo che la chiesa ha cercato in tutti i modi di sradicare.

    E di questo si trovano molti riscontri nei Sinodi Sardi, nei quali i Vescovi hanno evidenziato quanto fosse radicato nel popolo l’uso continuo e, in segreto, di queste usanze.

    È pur vero che dalla memoria del nostro popolo emergono ancora, in certe zone dell’Isola e nelle persone anziane, usi e riti anche sciamanici e altre consuetudini che vengono praticate, come is Brebus, is Nudeus e S’ogu Liàu tramandati da mamma a figlia fino ai nostri giorni.

    Convivere con le anime dei morti ed avere dei contatti con gli spiriti attraverso la sovrapposizione del piede, o in calazonis mediante rapimenti estatici, rigurgiti di uno sciamanesimo antico, era ancora credenza e pratica nei secoli scorsi, come riportato nel Sinodo di Ales Terralba del 1696, tit. XIV: …y ay otras personas, qui siendo enfermas en algun accidente, que padecen de la infermitade, fingen, que hàn siudo arrebatadas al Cielo, o llevadas al Inferno, ò Purgatorio, refieren, que hàn visto varios sujetos, tanto de los defuntos, como de los que viven, con muchos enderos ridiculos sobre de esto, y llaman vulgarmente estar in calazonis… (Vedi C. Corrain – P. Zampini. Documenti Sinodi Diocesani).

    Non c’era da meravigliarsi se nelle serate afose dell’estate, quando si riuniva il vicinato, si raccontavano storie di Cogas, di spiriti che rapivano le persone trasportandole in volo in luoghi lontani e di come le stesse, dopo tempo, si ritrovavano a casa loro senza ricordare nulla.

    La leggenda de Sa Pedra Mendalza era, per gli abitanti di Giave, la porta d’ingresso dell’aldilà, dove si raccoglievano le anime dei defunti e dove si recavano a pregare coloro che volevano avere rivelazioni dagli spiriti (Cit. D.Turchi – Lo sciamanesimo in Sardegna).

    Lo stesso sacerdote P. M. Cossu, nel suo libro Folklore Sardo, racconta del Divinu di Siddi e dei suoi poteri, che lo rendevano capace di prevedere il futuro e di congiungersi con le persone morte, sovrapponendo sul suo piede quello della persona che lo richiedeva.

    E ne riporta molte altre di queste credenze, raccolte da testimonianze di anziani, consolidate in ogni parte della Sardegna.

    In questo libro si rivivono, in un unico villaggio, avvenimenti accaduti in diverse località dell’isola, anche in periodi molto remoti, dove vengono a trovarsi coinvolti personaggi e intere famiglie con le loro tristi e dolorose storie, un po’ romanzate, come ce le raccontavano i nostri anziani.

    Luoghi, personaggi e nomi son pura fantasia dell’autore.

    PARTE PRIMA

    CAPITOLO 1 – Ingresso a Nuracau

    Diciotto anni dopo

    La nave all’arrivo nel porto era stata trascinata da un grosso rimorchiatore; l’uomo osservava i portuali che si davano da fare agganciando alla banchina le grosse funi che erano state lanciate dalla parte alta della nave. Una marea di gente, uomini, donne e bambini di tutte le età, si accalcava davanti ai portelloni di uscita, ancora chiusi, rumoreggiando in attesa di scendere a terra. Lui, in quel continuo e rumoroso parlottare, cercava di afferrare il senso di quella lingua che non comprendeva. Si chiedeva perché il dialetto che aveva continuato a parlare con suo padre in tutti quegli anni passati lontani dalla Sardegna, fosse così diverso da quello con il quale questa gente conversava. Anche i vestiti non assomigliavano a quelli usati nel Continente e gli tornarono alla mente quelle figure viste nei libri scolastici dove gli abitanti di continenti lontani venivano sfruttati e vivevano come schiavi, in estrema miseria. La gente della sua terra, la Sardegna, non poteva assomigliare a quelle di quegli altri mondi, perché suo padre gli aveva assicurato che la loro terra era cambiata rispetto ai tempi nei quali vi avevano vissuto loro.

    Quando scese dalla nave, si mosse nel porto alla ricerca di un posto dove rifocillarsi e alla ricerca di un cavallo, forte e robusto, che lo avrebbe condotto attraverso l’Isola in un mondo a lui sconosciuto. Non fu difficile scegliere l’animale adatto e non venne meno l’aiuto e il consiglio da parte del venditore che gli propose un anglo arabo sardo.

    Fu lungo il suo cammino attraverso quella terra aspra e poco accogliente: non c’erano le pianure verdi e i fiumi che scorrevano tumultuosi che aveva conosciuto dall’altra parte del mare, dove era cresciuto.

    L’uomo a cavallo, arrivato ad un crocevia, si era fermato davanti ad un cartello crivellato da pallettoni che era tenuto con del fil di ferro e che pendeva da un lato, mosso da un asmatico e afoso vento di scirocco.

    Si guardò attorno osservando il territorio circostante. In lontananza vide un uomo sul dorso di un asino che si muoveva lentamente attraverso terreni incolti, a tratti tappezzati da macchie di lentischio e qualche albero di perastro. Attorno colline desertiche e sullo sfondo montagne scure.

    Si trovava di nuovo nella sua terra, che suo padre Arrocu aveva lasciato dopo la morte della moglie. Abbandonato quel poco che possedeva, aveva portato con sé il suo unico figlio ancora bambino, oltre mare nel Continente, alla ricerca di un lavoro più dignitoso di quello che aveva svolto fino ad allora: voleva dargli, a tutti i costi, un futuro migliore. Era stanco, aveva detto, di spezzarsi la schiena nel duro lavoro nei campi, in cambio di un tozzo di pane da dividere in famiglia.

    Quando era arrivato a Percina, un paesotto situato nel centro della penisola consigliatogli da una lontana parente, aveva trovato subito lavoro in ferrovia come fuochista; usciva la mattina presto per rincasare a tarda notte. La domenica, libero dal servizio, doveva riempire il tempo e continuò a mantenere quell’abitudine di recarsi in chiesa per ascoltare la messa, portando con sé il piccolo Nandu.

    Una domenica, all’uscita dalla chiesa, fermatosi sul sagrato per sistemare il vestitino del bambino, si era avvicinata una distinta signora e aveva accarezzato il bambino che piagnucolava. Il paese era piccolo e l’arrivo di un forestiero, solo con un bambino, non era passato inosservato.

    La donna, incuriosita, chiese da quale terra provenivano, e udito che erano arrivati dalla Sardegna sentì una stretta al cuore e rispose che anche lei era di origini sarde. Incominciò così quello che sarebbe diventato un grande rapporto di lunga e sincera amicizia. I loro incontri, oltre a quelli domenicali, dopo la messa, continuarono nei momenti liberi dal lavoro, con visite a casa della nobildonna Reparada, così si chiamava, e inviti a pranzo, dove Arrocu e Nandu fecero conoscenza con la figlia di lei e con il genero che era il comandante della stazione dei carabinieri di Percina. Arrocu venne così a conoscere il vissuto di quella donna, vedova Castangia, che lasciò il suo paese natio, Nuracau, quando la figlia seguì il marito, dopo il suo trasferimento da Nuracau a Percina. Era una donna di origini nobili e al suo paese possedeva grandi tenimenti, numerose tanche e una grande casa padronale che, nei tempi lontani – come asseriva lei – era appartenuta ad una nobile castellana, Donna Violante de Centelles.

    La donna gli aveva raccontato: «La nobildonna Violante alternava la sua residenza tra il castello di San Michele di Cagliari e quello di Nuracau, dove i suoi servitori gestivano la struttura, chiamata Domu Rosada, e le tenute. Si recava spesso a Nuracau, con la sua carrozza chiusa e trainata da quattro cavalli bianchi e sempre accompagnata da numeroso seguito di guardie, che le facevano da scorta. Considerata dai sudditi potente regina, nel suo marchesato era temuta per la sua crudeltà. Per motivi sconosciuti, compì un atto delittuoso facendo impiccare, ad una finestra del suo palazzo di Nuracau, un prete di un paese vicino. Il Vescovo di quella diocesi la scomunicò, e il luogotenente del Re di Spagna la fece arrestare ed imprigionare sequestrandole tutti i beni. Umiliatasi e pentita, chiese perdono ottenendo l’assoluzione dal re e dal vescovo. Il Re le restituì i beni e così lei, prima di ritirarsi a fare penitenza in un convento di Cagliari, elargì al Vescovo di quella diocesi un’ingente somma per il restauro della cattedrale. Una leggenda narra che, prima di lasciare Domu Rosada, avesse nascosto al suo interno un tesoro».

    Donna Reparada aveva sorriso nel raccontare questi fatti ad Arrocu, e aggiunse che la Sardegna conservava ancora queste credenze, accendendo la curiosità dei piccoli e le illusioni dei grandi. Quando Arrocu raccontò la sua vita di sofferenze e di povertà, che lo avevano costretto a lasciare la sua terra portandosi dietro il suo bambino

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