Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Ghibli: Amedeo Cappella
Ghibli: Amedeo Cappella
Ghibli: Amedeo Cappella
E-book187 pagine2 ore

Ghibli: Amedeo Cappella

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

2015. Alcuni uomini in armi, mimetizzati tra i radi cespugli del deserto, attendono. Ghibli rivive le ore precedenti, l'incontro e le storie dei suoi compagni. Fa parte di una squadra di contractors che da Roma si è trasportata in Libia. Hanno il compito di recuperare un politico europeo malato e ricoverato in un ospedale di Tripoli. La città del dopo Gheddafi è in mano a bande di uomini del Daesh e di fuoriusciti del vecchio regime, tuttavia in operazioni del genere gli imprevisti sono dietro l'angolo, e mentre Ghibli abbandona quei ricordi, due camionette di inseguitori si avvicinano e non resta che prepararsi all'ultimo scontro.

Amedeo Cappella, abruzzese, è laureato in giurisprudenza e svolge la professione di avvocato. Padre di tre figli, spende la sua vita tra gli impegni familiari, quelli del lavoro e l'associazionismo. Da qualche anno scrive e ha vinto e si è classificato tra i primi in molti concorsi letterari nazionali. Ha pubblicato una silloge di racconti. “Ghibli” è il suo esordio nel romanzo.
LinguaItaliano
Data di uscita15 gen 2024
ISBN9791222496290
Ghibli: Amedeo Cappella

Correlato a Ghibli

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Ghibli

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Ghibli - Amedeo Cappella

    Amedeo Cappella

    Ghibli

    UUID: 3fd0a420-336f-4293-9619-07fa0dcec644

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Indice dei contenuti

    COLLANA

    Amedeo Cappella

    GHIBLI

    MONTAG

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    Montag

    COLLANA

    Le Fenici

    Amedeo Cappella

    GHIBLI

    MONTAG

    Edizioni Montag

    Prima edizione gennaio 2024

    Ghibli

    © 2024 di Montag

    Collana Le Fenici

    ISBN: 9788868927516

    Copertina: J. Owens, Unsplash.com

    Quest’opera è esclusivamente frutto della fantasia dell’autore. Ogni riferimento a persone esistite, esistenti o a fatti accaduti è

    puramente casuale.

    A Lelio, il guerriero:

    onore, dignità, misericordia

    I

    «Abbassa la testa, Jack», quello stronzo di americano, prima o poi, ci farà ammazzare.

    Ogni volta che siamo in missione, quando cerchiamo di scomparire tra le rocce, i sassi, gli arbusti e i ciuffi secchi delle sterpaglie, questo John Wayne da strapazzo ci mette in pericolo con la sua smania di raggiungere l’obiettivo o di quadrare il target, come usa dire in uno slang italo-americano intuitivo più nella sostanza che nella forma.

    Jack pare il prototipo del marine da film: alto un metro e novanta, grosso tanto da superare il quintale, due spalle da scaricatore (forse lo è stato in una vita precedente), occhi di ghiaccio celeste, fessure quasi, su un viso con mascelle squadrate e capelli scuri tagliati cortissimi. Ai suoi tratti somatici immediatamente identificativi della provenienza geografica, si aggiunge un’appariscente cicatrice che collega l’orecchio sinistro al sottogola quasi per intero. Non me ne ha mai voluto parlare. Anche se ci conosciamo da poco tempo, abbiamo trovato subito una nostra sintonia, ci siamo sentiti immediatamente legati da un vincolo che va oltre il cameratismo, mi sembra quasi il fratello maggiore che non ho mai avuto. Tante volte si è confidato con me, mi ha raccontato le sue cose più intime, le sue delusioni, la disperazione che lo attanagliava prima di iniziare questo lavoro ma ogni qualvolta si rende conto che il discorso porta verso quel ricamo carnoso, stoppa subito l’argomento oppure si allontana, mentre immediatamente i suoi occhi diventano lame sottilissime, le labbra bianche per la tensione.

    Jack, l’Americano, questo il suo nome di battaglia, ma anche appellativo che sottolinea il suo modo di essere, coraggioso, semplice, spaccone, ma anche sincero e leale, un vero texano.

    Le azioni e i luoghi che ci hanno visto insieme hanno temprato la nostra strana amicizia.

    Un texano e un abruzzese, mondi lontani ma, forse, talmente diversi da divenire complementarietà e afflato: io mangio pasta, tu bistecche, io bevo acqua, tu whisky, io parlo, tu meni, ma, comunque e sempre, io copro le spalle a te e tu a me.

    Il cowboy aveva lasciato il ranch di famiglia non per necessità, ma per spirito d’avventura ed esigenza di ricerca, senza la benedizione del padre, tra le lacrime della madre e gli improperi dei tre fratelli più grandi.

    La sua voglia di cambiare, di uscire dall’asfissiante routine della grande farm di famiglia, allevamento di bovini, piantagioni di cotone, un matrimonio programmato con la bionda Raquel, figlia del vicino ed erede di una fortuna in mucche e latte, lo aveva portato a superare il limitare del bosco, come usava dire, e a inoltrarsi nelle oscure selve dell’animo umano alla ricerca del vero Jack, di quello che veramente voleva essere, aggrappato alla sua coscienza, alla sua anima, senza filtri e senza paramenti familiari o di convenienza.

    Così l’estrema indagine su se stesso lo aveva condotto nelle più recondite plaghe dell’animo umano, nelle più corrotte città del mondo, nelle più invisibili avventure di guerra, nascosto a tutti, percepibile solo alla sua anima e alla sua moralità.

    Il suo senso dell’onore lo aveva portato, spesso, a fare scelte giuste ma con una sofferenza evidente e lancinante per ogni volta che il dubbio, lo scrupolo, il rimorso avevano preso il sopravvento sulla certezza e sulla sicurezza.

    A un certo punto della sua vita, qualche anno fa, aveva anche deciso di finirla, di tornare a essere un uomo normale. Non sarebbe tornato a casa, le domande sarebbero state tante, difficili da esaudire, qualsiasi cosa avrebbe detto o raccontato sarebbe stata di difficile, se non impossibile, comprensione per la sua famiglia. Avrebbe continuato a soffrire e, probabilmente, avrebbe rimpianto il pericolo e i silenzi dei suoi commilitoni.

    In quel periodo aveva scelto di fermarsi in Estremo Oriente, in Vietnam, nella Città di Ho Chi Minh, ma che lui si ostinava a chiamare con il suo vecchio nome, Saigon.

    Ci si trovava bene. Il clima, per tanti pernicioso tra caldo soffocante, umidità e pioggia torrenziale, non lo disturbava. Nel suo continuo peregrinare tra le miserie del mondo, era arrostito nei deserti africani, aveva pregato nelle steppe gelate sperando in un raggio di sole, aveva urlato il dolore per il commilitone morto sulle montagne dell’Afghanistan, si era perso nel labirinto liquido della giungla nicaraguegna cercando di sfuggire a belve senza pietà.

    Ormai voleva fermarsi, respirare, dormire senza la pistola sotto il guanciale, con l’anima tranquilla e le palpebre rilassate, il respiro disteso. Forse avrebbe, persino, trovato una donna. Una che non avrebbe posto tante domande, una cui avrebbe potuto dare poche risposte.

    I marines al cancello dell’ambasciata statunitense lo guardavano in modo strano. Il sergente lo squadrava e cercava di ricordare dove lo avesse già incontrato.

    Anche per Jack quegli uomini in divisa avevano un qualcosa di familiare, visi noti, movimenti e sguardi di chi è abituato a pensare che dietro ogni faccia possa esserci un nemico, dentro ogni giacca un detonatore, sotto ogni rigonfiamento una carica di dinamite.

    Sapeva che i mitra avevano la sicura disinserita, ormai era abitudine presso gli uffici di rappresentanza dello Zio Sam all’estero, specialmente in terre lontane.

    Texas rivedeva in quell’attenzione e in quell’evidente diffidenza i suoi stessi timori durante i controlli in zona di operazioni.

    Se vuoi tornare a casa, devi sospettare di tutto e di tutti; donne, bambini, vecchi, storpi, gravide, chiunque è un potenziale nemico, un famelico attentatore, un feroce e spietato guerriero.

    La paura, il terrore dell’inaspettato e sorprendente attacco l’ha accompagnato per mesi, per anni, e solo un acuto sesto senso, un’incredibile capacità di carpire nell’aria i sintomi dell’agguato l’ha salvato dai continui pericoli della sua vita vagabonda e violenta.

    I documenti in regola e soprattutto la comunanza degli sguardi hanno permesso il facile transito del check point.

    La necessità, ora, era raggiungere l’ufficio preposto al rilascio dei documenti per risiedere in Vietnam.

    La scalinata percorsa da decine di funzionari, militari, questuanti, indicava la strada da seguire. Sopra, al primo piano di quella stupenda villa coloniale che era sede dell’ambasciata, c’erano gli uffici dove si affollavano in tanti.

    Non sarebbe stata cosa di pochi minuti.

    «Jack, Jack, toro texano che ci fai qui?»

    La voce stentorea di Ronald Pickertey lo richiamò alla sua terra lontana.

    L’abbraccio fu sincero, anche il suo; Ronald di Houston, petrolio e allevamenti, uno Stetson sempre in testa, giusto per rammentare da dove venisse, logorrea e bicchieroni di whisky con soda ghiacciata, gli ricordava tanto papà Robert, di cui era amico fraterno.

    Mentre lo abbracciava, sentì la stessa colonia dolciastra amata da suo padre. Un ricordo, ormai lontano, sensazioni passate, carezze negate, parole non dette, aria di casa, verdi distese e pascoli abbondanti, fragranze dimenticate, un padre e una famiglia messa da parte per convinzione e per scelta, tutte ferite mai accettate e sofferte. Quel profumo insinuò tutto questo nel suo animo.

    La risata larga, troppo, di Ronald lo riportò all’oggi, in quella villa.

    In pochi minuti raccontò una vita, sfrondata dalle parti più atroci e indegne, ma non ebbe il coraggio di chiedere del padre, della madre, dei fratelli.

    «Torna a casa, Jack. Ti aspettano sempre, anche Rob. Non è più arrabbiato con te. E, poi, lo sai come è fatto tuo padre: è burbero, fa il duro, ma muore per la sua famiglia».

    Jack era consapevole che l’unico vero problema per il ritorno era Jack. Sapeva che, seppur al confine del ribrezzo della sua vita, non sarebbe stato mai capace di tornare alla normalità di una vita normale.

    Gli orrori, le brutalità, i soprusi, il sangue, gli spari, le urla, la disperazione non lo avrebbero mai lasciato e non sarebbe riuscito a sopportare il loro brutale ricordo in una vita normale, vicino agli occhi dolci della madre, all’affetto dei suoi cari. Questi lo avrebbero spinto alla disperazione più nera, senza respiro, senza speranza, senza riscatto.

    Il contrasto tra le atrocità che aveva visto e la tranquillità di un’esistenza a casa sua l’avrebbe dilaniato e trascinato oltre il punto di non ritorno.

    La sua vita, ormai, era quella che ora aveva deciso di lasciare, ma non avrebbe potuto mai dimenticarla e i suoi incubi sarebbero tornati ogni notte, a ogni urlo, a ogni sospiro. Non puoi togliere con un colpo solo la droga al tossicodipendente; devi percorrere una strada lunga, miscelare ora dopo ora la mostruosità alla serenità, l’efferatezza alla bellezza fino a travasare nel tuo cuore tutta la meraviglia del mondo e farne tracimare la bruttura. Ci vogliono anni. Forse neppure una vita è sufficiente.

    Gli occhi di Jack dissero tutto ciò. Ronald capì. Il suo largo sorriso si restrinse «Se ti serve qualche cosa, l’ambasciatore è un mio caro amico. Non ti preoccupare».

    L’ambasciatore fu disponibilissimo. I documenti furono pronti in un’oretta. L’abbraccio tra i texani fu lungo, sincero.

    «Stai attento Jack, vivi la tua vita serenamente, figlio mio. Addio».

    Quella sera Jack non distingueva le sue emozioni, era felice di iniziare un’altra volta, era dispiaciuto per il dolore che avrebbe, ancora, regalato ai suoi cari, ma aveva scelto ed era importante. Sorrideva e piangeva, sperava e disperava, era euforico e triste, soddisfatto e scontento al contempo.

    Il barman del Corallo rosso, ormai, lo conosceva. Quasi ogni sera era lì, tra moijto approssimativi ma piacevoli, whisky australiano dolce e rotondo, incontri occasionali con donne gentili e competenti, risate e panini dolci al riso.

    Entrò rincorrendo i suoi pensieri, le emozioni di quel giorno avevano occupato il posto del sospetto e della diffidenza.

    Perso nei suoi turbamenti, trasalì al rumore di bicchieri infranti. Girò la testa di lato e si accorse che la sua sbadataggine aveva speronato una ragazza divellendole letteralmente la coppa di cristallo ripiena di gelato che, fino a qualche secondo prima, teneva in mano.

    La crema, frammista a una miriade di pezzetti di vetro, era sparsa sul bel pavimento di ceramica italiana. Gli steli in altorilievo di pietra scura e i tralci in terracotta brunita avevano, ormai, un aspetto primaverile, tanti piccoli fiori chiari di vaniglia erano sbocciati improvvisamente, il profumo della vaniglia si sparse per il locale.

    Il cowboy alzò gli occhi e una risata argentina, bellissima, accolse il suo sguardo mortificato.

    «Dai, ridi, non è successo niente. Quan, prendi uno straccio e un po’ d’acqua, puliamo il pavimento prima che qualcuno scivoli. Questo grosso bufalo americano ha lasciato le tracce del suo passaggio». Una nuova, stupenda risata accompagnò queste parole che non lo offesero, anzi, lo fecero sentire importante, quasi felice e non ne capiva il perché.

    Non l’aveva mai vista nel bar, ma, a quanto pareva, era solita frequentarlo. Conosceva tutti e tutti la salutavano, sorridendo e inchinandosi impercettibilmente, sembrava quasi un gesto ideale più che fisico, accennato, ma pieno di sussiego, forse di ammirazione, sicuramente di voluttà, da parte degli avventori maschi, d’invidia da parte delle donne e di qualche... travestito. E sì era proprio bella quella ragazza.

    Il viso. Il viso della ragazza era stupendo, i capelli finissimi, lisci e castani dalle mille sfumature accese dagli ultimi raggi del sole che entravano dalle vetrate del bar correvano intorno a un ovale perfetto, delicato. Gli occhi, ambrati come il sole al tramonto sul Mekong, erano leggermente allungati e all’in su. Il naso, una virgola sporgente su labbra intense, appena appena turgide che occhieggiavano con i piccoli e candidi denti. Il collo gentile, spontaneo piedistallo per quel volto d’angelo, era il degno completamento di un corpo mingherlino, flessuoso ma, al tempo stesso, vigoroso. Evidente segno di una giovane vita che sbocciava e già avvinghiava l’amore di chi le passava vicino.

    «Chiudi quella bocca, avvicinati. Io sono Su e questo locale con il suo bel pavimento italiano, che hai rovinato, è del mio fidanzato Danai».

    Quelle ultime tre parole erano state quasi sospirate, ma una risata argentina, ancora, le fece sparire tra la gentilezza dei denti.

    Jack si perse in quegli occhi di mare.

    Si sedettero a un tavolino a ridosso della vetrata. Il sole morente trasferiva il suo calore, le sue

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1