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ASSORBITO DA TE ALL'80% (Storia di un incontro con un Principe Azzurro Narciso)
ASSORBITO DA TE ALL'80% (Storia di un incontro con un Principe Azzurro Narciso)
ASSORBITO DA TE ALL'80% (Storia di un incontro con un Principe Azzurro Narciso)
E-book106 pagine1 ora

ASSORBITO DA TE ALL'80% (Storia di un incontro con un Principe Azzurro Narciso)

Di Rita

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Info su questo ebook

Ogni tanto capita di vivere quell'amore che ti sembra da favola, in cui ti senti una Cenerentola 2.0. Eccolo lì. Un Principe Azzurro che non sai dove sia stato fino ad un determinato momento della tua vita, ma arriva. E ti travolge. E ti assorbe. Poi ti bacia, tu ti svegli ma non si vive tutti felici e contenti. No, perché in una sola mattina Lui non è più Lui. E non lo trovi più. Nemmeno tu ti trovi più ma rimani sempre la stessa. Con le canzoni in testa, le Converse ai piedi e un'amore che poi sa di vuoto e di sprecato. Ma ti resta incastrato negli occhi e nel cuore. Questa non è altro che la nostra storia da favola, di cui ora rimane solo il "C'era una volta"
LinguaItaliano
Data di uscita5 feb 2020
ISBN9788831650793
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    ASSORBITO DA TE ALL'80% (Storia di un incontro con un Principe Azzurro Narciso) - Rita

    Bu­ko­w­ski

    FEBBRAIO

    I so­cial. Quei dan­na­ti so­cial. Con fo­to ca­ri­ca­te, mo­men­ti fis­sa­ti e fra­si ru­ba­te a gran­di poe­ti, can­tan­ti o fi­lo­so­fi, rie­sco sem­pre a sen­tir­mi nel mo­men­to in cui ho fer­ma­to un istan­te. Co­me se un'al­tra me, mi stes­se di­cen­do Ehi...tu eri que­sto.

    A Feb­bra­io era­no pas­sa­ti due an­ni e mez­zo da quan­do la Scim­miet­ta se ne era an­da­ta di ca­sa. Non l'ave­vo nem­me­no an­co­ra su­pe­ra­ta. La stes­sa sca­la do­ve ho fis­sa­to su In­sta­gram la mia om­bra e quel­la del Pic­co­lo Pe­rù, era quel­la in cui lo im­plo­ra­vo di par­lar­mi, di fer­mar­si, di non ol­tre­pas­sa­re la so­glia di ca­sa. Sa­pe­vo do­ve an­da­va, ave­vo ca­pi­to da chi sta­va an­dan­do. La stes­sa per cui vo­le­va la­scia­re me, suo fi­glio, i no­stri die­ci an­ni in­sie­me. La stes­sa per cui non riu­sci­va più a dor­mi­re nel mio stes­so let­to; sta­vo sul di­va­no io, spe­ran­do scen­des­se a pren­der­mi, ma non ar­ri­va­va mai. E mi ad­dor­men­ta­vo in un si­len­zio che rim­bom­ba­va nel­le mie orec­chie. Quel­la se­ra, su quel­la sca­la, l'ho vi­sto an­dar­se­ne con la sua mi­glio­re ca­mi­cia, il suo pro­fu­mo più co­sto­so e il suo mi­glio­re sor­ri­so spa­val­do. Lo chia­mo, lui si vol­ta.

    Si dai, do­ma­ni par­lia­mo.

    Ma non ne ab­bia­mo mai par­la­to. Se n'è an­da­to co­sì, fug­gen­do. Si­cu­ro di sé cor­re­va in­con­tro al suo nuo­vo amo­re la­scian­do me al­le spal­le. Por­tan­do­si via ogni co­sa. Il tem­po, i ri­cor­di, l'amo­re in­con­di­zio­na­to da me ri­ce­vu­to. È sem­pre sta­to co­sì lui. In­con­sa­pe­vol­men­te fau­to­re del­la sua ro­vi­na.

    Sem­pre bel­lis­si­mo, sem­pre di­spe­ra­to, pe­ren­ne­men­te in lot­ta per usci­re dal­la sua stes­sa in­con­si­sten­za. E men­tre lo guar­da­vo an­dar­se­ne, cre­de­vo che non avrei mai ama­to co­sì.

    For­se, non l'ho fat­to nean­che ades­so.

    Mi sie­do an­co­ra a Feb­bra­io sull'ul­ti­mo sca­li­no di quel­la sca­la. Chiu­do gli oc­chi e in un mo­men­to ri­ve­do e ri­sen­to tut­to. I pas­si fat­ti ve­lo­ci, la por­ta che si chiu­de, io che ca­do, l'amo­re del­la mia vi­ta che sva­ni­sce. E io lo la­scio an­da­re per­ché in­fon­do va be­ne co­sì. Io non fer­mo mai nes­su­no non vo­glia sta­re nel­la mia vi­ta. Ho la­scia­to la por­ta di ca­sa aper­ta per due an­ni, spe­ran­do rien­tras­se, spe­ran­do tor­nas­se. A vol­te, tor­na­va, ma so­lo per sin­ce­rar­si che io stes­si an­co­ra aspet­tan­do e che quel­la por­ta, ef­fet­ti­va­men­te fos­se sem­pre aper­ta. Ad un cer­to pun­to l'ho chiu­sa, per di­fen­der­mi dall'ester­no, per la­scia­re fuo­ri il suo ma­le, per­ché al­la fi­ne, co­me lo vo­le­vo io, lui non era mai.

    Mi rial­zo, è pas­sa­to trop­po tem­po or­mai.

    De­vo tor­na­re a cam­mi­na­re.

    I det­ta­gli, la me­mo­ria mi han­no sem­pre fot­tu­ta. Ri­cor­do tut­to e nei mi­ni­mi par­ti­co­la­ri.

    Ed è que­sta poi la mia con­dan­na. Per­ché gli stes­si det­ta­gli e la stes­sa me­mo­ria mi fan­no poi sen­ti­re le co­se am­pli­fi­ca­te. Ti­po che ascol­to una can­zo­ne e ri­cor­do tut­to, pro­fu­mi, sa­po­ri, vi­si, mo­men­ti.

    Sta­se­ra ad esem­pio i ri­cor­di si so­no som­ma­ti, han­no pre­so for­me e vi­si di­ver­si; il suo e quel­lo dell'ul­ti­mo gran­de di­sa­stro del­la mia vi­ta.

    Quin­di par­lo di Lui, dell'ul­ti­ma tra­ge­dia in or­di­ne cro­no­lo­gi­co con­tra­rio.

    MARZO

    A ini­zio Mar­zo ho la gran­dis­si­ma idea di av­ver­ti­re man­can­za di co­mu­ni­ca­zio­ne con il mon­do ester­no. Po­te­te im­ma­gi­na­re la mia vi­ta da mam­ma sin­gle: la­vo­ro, asi­lo, ca­sa e si­len­zio non ap­pe­na il Pic­co­lo Pe­rù si ad­dor­men­ta­va. Ho riem­pi­to il tem­po con se­rie Net­flix a non fi­ni­re, ac­qui­sen­do an­che una gran­de pas­sio­ne per gli ani­me giap­po­ne­si che ad­di­rit­tu­ra mi ha con­dot­ta a ta­tuar­mi Le­lou­ch Lam­pe­rou­ge, il ri­bel­le Ze­ro, sul brac­cio de­stro.

    Il si­len­zio era as­sor­dan­te e non lo sop­por­ta­vo più.

    Un po­me­rig­gio quin­di de­ci­do di scar­ta­bel­la­re sul web qual­che si­to di in­con­tri; nel­la bar­ra ri­cer­ca di Goo­gle ho scrit­to Si­ti se­ri per sto­rie se­rie. In­cap­po co­sì in Par­ship; non vo­le­vo co­se co­me Mee­tic o al­tro per­ché lì ba­sta ave­re un bel fac­ci­no e ti scri­vo­no in tre­mi­la. Ma io vo­le­vo di più, io cer­ca­vo qual­cu­no che po­tes­se ca­pi­re il mio di­la­nia­men­to in­te­rio­re.

    In­som­ma. Do­po due an­ni e mez­zo an­co­ra sen­ti­vo amo­re per la Scim­miet­ta e ciò non era più con­tem­pla­bi­le nel­la mia vi­ta. Quin­di con co­rag­gio im­met­to no­me, co­gno­me ed età nel­le in­for­ma­zio­ni ri­chie­ste.

    Mi pia­ce­va Par­ship; nes­su­no ini­zial­men­te po­te­va ve­de­re la tua fo­to se non con tuo con­sen­so e in più era an­che a pa­ga­men­to e già que­sto, mi esclu­de­va a prio­ri i ca­si

    so­cia­li sen­za una li­ra. Un buon pri­mo cri­te­rio di se­le­zio­ne. Ho di­men­ti­ca­to, pe­rò e pur­trop­po, di in­se­ri­re il fil­tro di­stan­za, op­pu­re non ho fat­to in tem­po, non es­sen­do pra­ti­ca di que­ste co­se e que­sto ha com­por­ta­to un gra­ve dan­no per la mia vi­ta.

    Si. Per­ché tra l'in­ge­gne­re nu­clea­re, il mu­si­ci­sta rock e l'av­vo­ca­to mi spun­ta Lui: 44 an­ni, im­pie­ga­to nel com­mer­cio con due bam­bi­ni. Mi si pro­po­ne  e ve­do la sua pri­ma fo­to. Una cop­po­la scu­ra in te­sta, oc­chi sot­ti­li ma in­ten­si, sor­ri­so ti­ra­to, sguar­do un po' do­lo­ran­te.

    Mi scri­ve Ciao edu­ca­to­re pro­fes­sio­na­le (...Io fac­cio que­sto nel­la vi­ta...), che stra­no ap­proc­cia­re co­sì.

    Mi ren­de­rò con­to, col tem­po, che ap­proc­cia­re è un ter­mi­ne che odio.

    Non ri­spon­do a quel mes­sag­gio, a cui se­gui­va il la tua de­scri­zio­ne mi ha col­pi­to e mi è ve­nu­ta una gran­de vo­glia di co­no­scer­ti. Il clas­si­co­ne.

    Bi­so­gna­va pa­ga­re e non ave­vo car­ta di cre­di­to, co­sì ho chie­sto a mio fra­tel­lo di pre­star­mi la sua e in­ve­sti­re ot­tan­ta eu­ro per la fe­li­ci­tà del­la so­rel­li­na che si sta­va fi­nal­men­te apren­do al mon­do.

    Il gior­no do­po Lui mi ri­scri­ve di­cen­do­mi Qua­le pro­ble­ma hai?.

    Non ave­vo an­co­ra pa­ga­to e quel­lo era il mo­ti­vo del ri­tar­do del­la mia ri­spo­sta. Glie­lo di­co e gli sem­bra esi­la­ran­te. Mi chie­de se gli do il con­sen­so a ve­de­re le mie fo­to e ac­cet­to con la so­li­ta pau­ra che ve­den­do­mi sa­reb­be scap­pa­to. In­ve­ce ri­spon­de un Si, le ho vi­ste...ca­vo­lo.

    Mi­ca l'ho ca­pi­to su­bi­to che l'ave­vo col­pi­to tan­to, an­che per­ché già mi ave­va lan­cia­to lì che di­pin­ge­va e che avreb­be tan­to vo­lu­to far­mi un ri­trat­to. A me sta co­sa ini­zial­men­te pren­de ma­le...sa­rà mi­ca il clas­si­co ar­ti­sta fuo­ri di te­sta?

    La­scio raf­fred­da­re il pen­sie­ro del pit­to­re mat­to e co­min­cia­mo a scri­ver­ci; io mol­to pia­no, re­si­sten­te ed iro­ni­ca co­me so­no. Lui mi rac­con­ta di sé e dei suoi bam­bi­ni e al­la mia do­man­da Per­ché i bim­bi non so­no con te? mi ri­spon­de Ho ama­to mol­to la lo­ro mam­ma ma l'amo­re è fi­ni­to per­ché do­ve­va fi­ni­re. Gli di­co che se mi aves­se det­to che l'ave­va tra­di­ta, avrei in­ter­rot­to lì la con­ver­sa­zio­ne.

    Ar­ri­va­vo da un tra­di­men­to con un bam­bi­no la­scia­to dal pa­dre. Mai e di­co mai mi sa­rei la­scia­ta av­vi­ci­na­re da un al­tro uo­mo co­sì.

    Il fat­to che fos­se co­sì pre­sen­te per i fi­gli di cui mi ha rac­con­ta­to la stes­sa se­ra, mi pia­ce­va. Con­ver­san­do, e qui tor­na il ma­le­det­to fil­tro di­stan­za, sco­pro che vi­ve a Ge­no­va.

    Con­trol­lo su Goo­gle e caz­zo... so­no 200 km di di­stan­za!

    Ma a me non sem­bra mai nul­la trop­po lon­ta­no o po­co rag­giun­gi­bi­le  con­si­de­ran­do i km che mi spa­ro ogni gior­no la­vo­ran­do in co­mu­ni­tà. Per cui... pos­si­bi­le ber­ci un caf­fè co­me da sua pri­ma pro­po­sta? Ri­spon­do un sì, che ci si po­te­va pen­sa­re.

    Ci sco­pria­mo quin­di di­stan­ti ma è bra­vo a far­si sen­ti­re vi­ci­no e rac­con­tan­do­mi del pro­fu­mo del ma­re che

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