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Storie al limite
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E-book138 pagine1 ora

Storie al limite

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Info su questo ebook

Brevi, essenziali, illuminanti, questi dieci racconti affrontano il tema del superamento dei limiti, psicologici o fisici, che si frappongono alla piena espressione della nostra individualità. Nel flusso di pensiero dei protagonisti delle "Storie al limite" potremo ritrovare una parte di noi stessi, delle nostre fragilità e contraddizioni, della nostra complessità come singoli e come parti in causa di una fitta rete di relazioni umane.
LinguaItaliano
Data di uscita7 giu 2022
ISBN9791221402087
Storie al limite

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    Anteprima del libro

    Storie al limite - Daniela Petrassi

    STORIA di ALICE

    Un giorno mi perdonerò

    Del male che mi sono fatta

    Del male che mi sono fatta fare

    E mi stringerò così forte da non lasciarmi più

    Per un gioco bizzarro o un oscuro disegno sincronico, il libro si apre su questi versi. Ho la sensazione che Emily Dickinson mi voglia trasmettere un messaggio attraverso il tempo.

    E’ vero. Molto di ciò che ho vissuto, è accaduto grazie alla mia diretta collaborazione.

    E’ una consapevolezza che è cresciuta gradatamente in me. Per molto tempo ho attribuito ad altri, alle circostanze, al destino, la causa della mia sofferenza. Non è forse questa la strada più semplice, quella praticata dalla maggior parte delle persone?

    Ora, dopo aver ripensato centinaia di volte alla mia vita, mi rendo conto che ogni avvenimento o situazione sono stati frutto di una mia scelta o non scelta e più semplicemente del mio modo di essere.

    Sono stata io a permettere a Giulio di farmi del male, sono stata io a non opporre resistenza.

    Era lui quello sbagliato? Ha senso farmi ancora questa domanda?

    Una cosa è certa: non voglio vivere di sensi di colpa e per questo mi devo perdonare; lui, non so, non è questo che mi preoccupa, ora.

    La nostra storia era già iniziata con un pregiudizio di fondo: la mia idea dell’amore, un po’ romantica e un po’ letteraria, rinforzata dall’isolamento a cui la vita in un paesino alle pendici delle Dolomiti e il carattere schivo mi avevano indotto.

    Senza rendermene conto stavo scivolando dritta dritta in quella che si sarebbe rivelata una trappola fatale per la mia evoluzione personale.

    Dopo la maturità ero andata a studiare all’Accademia di Belle Arti di Venezia, corso di scenografia, lasciandomi alle spalle l’atmosfera asfittica della provincia, con i suoi rituali sempre uguali: la passeggiata il sabato pomeriggio, lo spritz prima di pranzo con gli amici al bar della piazza, il pranzo della domenica con i parenti.

    Nessun rimpianto, solo qualche momento di nostalgia, soprattutto per Noemi, l’amica con la quale avevo condiviso tanti anni tra i banchi di scuola, ma erano parentesi di breve durata spazzate via dal ritmo incalzante degli impegni quotidiani.

    A Venezia avevo bruciato i tempi, laureandomi col massimo dei voti e ottenendo subito un’offerta di collaborazione con l’Università.

    Anche se la retribuzione era poco più che simbolica, ero contenta di quell’incarico, che mi permetteva di mantenere il mio alloggio bohémien nascosto tra i tetti e di frequentare tanta gente interessante. Per il mio lavoro ogni angolo della città lagunare era una sorprendente fonte di ispirazione e la mia creatività veniva sollecitata costantemente. Tutto quello che desideravo sembrava trovarsi lì, magicamente, a portata di mano.

    Fu in quel periodo che conobbi Giulio.

    Un incontro casuale ad una festa alla quale avevo partecipato controvoglia.

    Avevo già pianificato una serata tranquilla a casa per rilassarmi dopo una giornata di lavoro intenso e qualche contrattempo di troppo, quando Camilla, una mia collega nonché ex compagna di corso, mi aveva telefonato:

    Scusa Alice se non ti ho avvertita prima, ma abbiamo organizzato tutto questo pomeriggio, vogliamo fare una sorpresa ad un’amica. Cosa vuoi che sia se sei già in pigiama? Hai tutto il tempo per prepararti, ti passo a prendere alle dieci.

    Giungemmo alla festa in ritardo e non per causa mia. Camilla aveva imbastito una lunga storia su un vestito che si era scucito e una serie di altri imprevisti che ho dimenticato.

    Ci venne ad aprire una ragazza che conoscevo di vista, Gabrielle, che ci introdusse in quella che definì la sua umile dimora, in realtà un palazzo signorile su tre piani in perfetto stato di conservazione, con tanto di affreschi alle pareti e profusione di stucchi e intagli dorati tipici dell’arte decorativa del Settecento veneziano.

    In mezzo ad un gruppo di sconosciuti riconobbi alcuni compagni di università e tra essi Giulio, che mi venne presentato come infiltrato d’onore in quanto cugino di Gabrielle.

    In realtà l’avevo già notato per l’abbigliamento formale che contrastava con quello degli altri invitati. Il suo coordinato blu, camicia bianca e cravatta, non passava inosservato in mezzo al casual predominante indossato dagli altri ospiti.

    Ciò che mi colpì maggiormente furono però altre sue caratteristiche a cui ero particolarmente sensibile.

    Il viso, dai tratti marcati, era illuminato da un sorriso scanzonato mentre scherzava con i suoi interlocutori. Aveva l’aria di chi segua realmente il flusso cangiante del dialogo attendendo l’occasione giusta per dire la sua in tono leggero senza la pretesa di voler imporre il proprio parere.

    Anche l’atteggiamento del corpo, appena appoggiato ad uno scrittoio, era quello rilassato e disinvolto di chi non deve dimostrare niente a nessuno. Sembrava insomma uno che fosse passato di là casualmente, ancora in abiti da lavoro e che, trovandosi nel bel mezzo dei festeggiamenti, si fosse fermato per fare quattro chiacchiere con gli amici.

    Durante la serata ebbi poche occasioni per rivolgergli la parola, perciò mi sorpresi nel ritrovarmelo accanto al momento di congedarmi dalla padrona di casa.

    Scendo con voi ragazze e vi accompagno disse con decisione rivolgendosi a me e Camilla.

    Mi bastò un’occhiata fugace alla mia amica per capire che anche lei, come me, era compiaciuta da quella proposta.

    Ci scambiammo un po’ di informazioni. Giulio tenne a precisare di non fare caso al suo abbigliamento formale: era di ritorno da un colloquio di lavoro sul quale puntava molto, ma per scaramanzia non poteva dirci di più se non che, se fosse andato bene, la sua vita avrebbe di sicuro avuto una svolta dopo tanti anni di gavetta.

    Ci vedemmo ancora qualche volta prima che Giulio si dichiarasse. Lo fece nel modo più prevedibile e romantico: durante una cena a lume di candela in un ristorantino affacciato sul Canal Grande.

    Lo guardavo tra il compiaciuto e l’incuriosito mentre elencava le ragioni di quella che diceva essere la prima volta che sento di essere veramente innamorato dopo tanto tempo: lo avevo incuriosito subito per il mio sguardo nel quale aveva letto determinazione e dolcezza, aveva notato che quando parlavo il tono della voce, più alto all’inizio, si affievoliva fino ad un sussurro, indice di riservatezza e pacatezza, e, lo doveva ammettere, era rimasto colpito dalla mia bellezza:

    La donna perfetta aveva sentenziato prendendomi le mani tra le sue.

    Nonostante fossi consapevole delle mie doti di attrazione sul genere maschile, era la prima volta che mi veniva fatta una dichiarazione in modo così formale e circostanziato. Certamente era un ragazzo all’antica e di buone maniere, pensai.

    Nei giorni precedenti avevo preso informazioni sul suo conto e ne avevo ricavato il ritratto di un ragazzo proveniente da una famiglia umile, a differenza di quella della cugina, che si era sempre dato molto da fare per ottenere una buona posizione nel lavoro. Dal punto di vista sentimentale non c’era molto da segnalare, se non qualche rapporto di breve durata.

    L’uomo perfetto insomma, pensai di rimando, al quale con voce tremante finii per confessare di lì a poco il mio coinvolgimento.

    Ci fidanzammo con una bella festa nella casa di Gabrielle e in capo ad un anno eravamo sposati.

    La mia vita completamente stravolta.

    Al colloquio di lavoro che aveva sostenuto il giorno del nostro primo incontro ne erano seguiti diversi altri, fino a quello definitivo che sembrava aprirgli le migliori prospettive.

    Dovendo curare il rapporto con i clienti di un’azienda commerciale, Giulio, il dipendente più giovane, venne subito scelto per lunghe trasferte, cui fecero ben presto seguito proposte di incarichi stabili all’estero.

    Fu così che, per non sacrificare la sua carriera appena avviata, si pose il problema di cosa fare della mia.

    Avevo opposto resistenza all’inizio. Avrei potuto rimanere a Venezia, andandolo a trovare nei week end qualora lui non avesse potuto raggiungermi.

    Giulio aveva escluso una simile ipotesi. Se ci eravamo sposati era per stare insieme, lui ci teneva moltissimo ad avermi sempre vicino e poi se tutto fosse andato secondo le previsioni, avrebbe guadagnato bene ed io avrei potuto occuparmi della casa e dei miei interessi, in attesa di mettere su famiglia.

    Mi era sembrato ragionevole.

    Così avevo salutato i miei colleghi dell’Università e detto addio ai miei sogni artistici e lo avevo seguito prima a Belgrado, poi a Varsavia e a Bruxelles.

    Come sono cambiate le aspettative delle donne, mi viene da pensare. Una proposta come quella che è stata fatta a me trent’anni fa, sarebbe inverosimile al giorno d’oggi.

    Emma, mia figlia, ha più o meno gli stessi anni che io avevo allora, eppure non si sognerebbe mai di rinunciare ai propri progetti per seguire il suo attuale compagno.

    Come hai potuto fare una cosa del genere? Abbandonare il tuo lavoro e mettere la tua vita nelle mani di un’altra persona continua a rimproverarmi ogniqualvolta affrontiamo l’argomento.

    Era l’uomo che amavo vorrei risponderle, ma prevedendo la sua obiezione ad una affermazione del genere, mi trattengo.

    Cerco di argomentare:

    Non puoi capire Emma, erano altri tempi. Eravamo, non solo io e tuo padre, ma la maggior parte dei giovani d’allora, una sorta di pionieri, pionieri del nostro amore al quale non chiedevamo sicurezza economica e certezze. Anzi, per un certo verso ad attrarci era proprio quell’alone di avventura e di incognite che avvolgeva il futuro. Non ci chiedevamo cosa l’altro ci potesse offrire, ma scommettevamo sulle sue potenzialità e sulla nostra capacità di costruire una vita insieme. Il mondo allora sembrava soggetto ad una espansione illimitata, nessuno metteva in dubbio di poter migliorare nel tempo la propria condizione, né di riuscire a comprarsi una macchina, una casa o di mantenere dei figli. Avevamo una tale fiducia in noi stessi, nella vita, nelle sue promesse!

    Per me eravate degli illusi e degli irresponsabili. Vi sposavate giovanissimi, senza sapere non solo come si sarebbe evoluta la vostra vita, ma nemmeno cosa sareste diventati voi come persone e facevate due o tre figli uno di seguito all’altro senza porvi tanti problemi.

    "E’

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