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Dagli occhi di Alice
Dagli occhi di Alice
Dagli occhi di Alice
E-book163 pagine2 ore

Dagli occhi di Alice

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Info su questo ebook

Rispondere al dolore con la vita: è questa la sfida per tutte le anime in cerca di pace

Alice ha diciassette anni, capelli rossi come il fuoco e un enorme, pesantissimo carico di fragilità emotiva con cui fare i conti ogni maledetto giorno.

Il suo passato nasconde a fatica un grande vuoto, lasciato dalla fuga del padre quando lei era solo una bambina. Perché andarsene così, di punto in bianco, senza dare spiegazioni?

I pensieri e le domande non le danno tregua, si ostinano a toccare ferite ancora aperte, e presto Alice si ritrova a cercare rifugio nella droga e nell’apatia delle serate passate al centro sociale.

Per fortuna c’è Fede, che ha occhi e cuore solo per lei, ed è l’unico davvero capace di regalarle momenti di pace assoluta.

Ma la vita sembra voler mettere Alice di nuovo alla prova, e questa volta non ci sarà più nessuno a portarla in salvo. Basteranno le sue sole forze a farla rinascere?
Sopravvivere al caos non si prospetta così facile.
LinguaItaliano
Data di uscita14 giu 2021
ISBN9788868672409
Dagli occhi di Alice

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    Anteprima del libro

    Dagli occhi di Alice - Alessia Moneta

    Szymborska

    1.

    Dicembre 2012

    Buio. Vedo solo Fede allontanarsi nel buio.

    Lo chiamo, ma non risponde, non si gira.

    «Fede… dove stai andando? Fede, dove vai?» strillo. Niente, sembra che non mi senta.

    Vedo i suoi ricci ondeggiare, e attorno solo nero, non capisco dove sono e perché mi ignori.

    Di colpo sparisce, l’oscurità lo porta via con sé.

    Inizio a correre, la testa che mi sbatte senza controllo da ogni parte. Lancio un urlo, il più potente che riesco a tirare fuori dal mio corpo, urlo fino a crollare a terra.

    Mi sveglio grazie alle mani di mio fratello che mi scuotono.

    Luca mi abbraccia.

    Era solo un sogno.

    Ma la realtà è senza dubbio peggiore.

    2

    Maggio 2011

    Alice è una ragazza come tante altre.

    Alice ha diciassette anni e i capelli rossi, gli occhi di ghiaccio e una marea di lentiggini.

    Alice sono io.

    Mi chiedo cosa sia reale e cosa sia solo frutto della mia mente.

    Percezioni impalpabili, costruzioni mentali che portano alla sola incapacità di agire, che ti rendono inerme, immobile di fronte a ciò che invece dovrebbe spingerti a combattere.

    Mi convinco che se istintivamente non combatto è perché non voglio davvero farlo. Ma quando vivo e basta, senza produrre e riprodurre a rotazione ragionamenti inutili che portano solo a false convinzioni, mi rendo conto che ciò che dentro sento e mi muove le interiora esiste veramente.

    È un desiderio vivo, ardente, che manca però di coraggio.

    Dicono che sia normale farsi fermare dalla paura alle volte, che col tempo verrà superata. Come può essere considerata lecita una cosa simile? È normale che paura e mancanza di coraggio privino di innumerevoli possibilità la vita?

    No, nulla di tutto questo è lecito.

    Bisogna seguire la via dei sogni e i sentimenti, ma una sorta di pessimismo cosmico mi spinge a rinunciare e a rimanere qui, immobile, seduta nel buio di camera mia a fumare una sigaretta con i Nirvana in sottofondo. Riesco a distinguere chiaramente solo la brace rossa della mia sigaretta e la soffice luce blu dello stereo, la luna mi offre solamente una sfocata visione delle ombre di ciò che mi circonda.

    Vorrei stendermi sul letto, dormire e poter spegnere il cervello.

    Non voglio sognare, non voglio rischiare né di crearmi aspettative irrealizzabili, né di svegliarmi nel bel mezzo della notte in preda a un fottuto incubo.

    Il primo problema sarà comunque riuscire a dormire, è una di quelle notti in cui il troppo rumore dei pensieri spiana la strada all’insonnia, che s’impossessa della mia mente come un dio cattivo che prende il posto del dolce Morfeo e trascina la mia anima nel buio, trasformandola in una voragine senza fine in cui io sprofondo metro dopo metro.

    Mi aspetta una notte senza parole, assalita da voci che si accavallano nella mia testa: riuscirò a metterle tutte definitivamente d’accordo entro le prime luci dell’alba? Meno male che di sabato la scuola non c’è.

    La notte è stata improduttiva, ma mi sveglio di umore decisamente migliore. Per evitare di pensare, poco dopo aver aperto gli occhi decido di alzarmi. Mi lavo la faccia ed esco sul balcone di camera mia a fumare una sigaretta.

    Sento l’annebbiamento mentale e i brividi di quando si ha dormito troppo poco, ma decido comunque di prepararmi e uscire subito di casa.

    Per quanto io ami mio fratello, voglio evitare in tutti i modi di fargli capire che qualcosa non va, non è la giornata giusta per sentire discorsi sul fatto che devo cogliere le occasioni al volo, senza sprecare tempo…

    Lo so anche io che è così, lo so che ha ragione, ma io ho bisogno del mio tempo per elaborare le cose, belle o brutte che siano, e non posso fare niente se questo mondo viaggia al doppio della mia velocità. Perciò mi vesto dei primi due stracci che trovo nell’armadio ed esco dalla stanza. Scendo le scale e incontro mia madre, che con uno dei suoi gran sorrisi mi chiede dove sto andando.

    «In città.» Mi squadra cercando di non farmelo pesare. Gil è bellissima e troppo giovane, è dolce, ma così superficiale. Non riesco a sopportare il fatto che vorrebbe diventassi come lei, sempre elegante, perfetta in ogni occasione… Mi va bene tutto di lei, o quasi: che sia per il lavoro o il fidanzato, non c’è quasi mai, e ha questa fissa dell’aspetto esteriore che proprio non mi va giù.

    «E non mangi a casa?»

    «Non credo, sono le undici ormai. Mangerò qualcosa in giro, non ti preoccupare.»

    Esco di casa nell’ancora abbastanza fresca arietta di maggio, e mi siedo sulla sella della mia Vespa, immobile per un attimo, pensando alla meta.

    Andrò a fare colazione in via Indipendenza, un po’ di confusione mi farà bene, e poi… poi non lo so. Che m’importa.

    Lontano dalle mura di casa. Anche se lasciare i colli che vi stanno intorno mi dà sempre una certa nostalgia…

    Prendo un cappuccino, una brioche e un Estathé in piazza Maggiore. Il sole splende sulla piazza, e l’aria fresca mi mette così in pace che mi viene da piangere per la serenità che sento dentro.

    Vorrei non aver mai paura di niente.

    Mi sento per la maggior parte del tempo estranea alla paura, ma, in un angolo, in agguato, risiede in me un timore capace di rendere freddo, buio e minaccioso ogni aspetto dei miei giorni: essere amata.

    Non ho paura di amare, quello ti viene facile quando hai il cuore buono, e accade ogni giorno. E per amare non intendo quella malsana ossessione che si crea spesso stando insieme a qualcuno. Con amare intendo avere a cuore, tenere a mente, emozionarsi di fronte a qualcosa, a qualcuno.

    Si pensa che ognuno abbia bisogno di essere amato, ma quando ricevi amore nel modo più dolce che ci sia e poi ti viene improvvisamente tolto, allora capita di rifuggerlo, l’amore, quasi fosse un demone.

    Dalla nascita fino ai sei anni ho ricevuto l’affetto più puro che un padre possa donare alla sua bambina, e da un giorno all’altro papà non l’ho rivisto più.

    Ci viziava di storie, sorrisi, abbracci… ma qualcosa è andato storto.

    Magari fosse morto, almeno mi metterei l’anima in pace: sai perché non c’è più, te ne fai una ragione. Invece in questo modo sai solo che non c’è, ma non sai e nemmeno mai ti verrà detto il perché.

    La mamma l’ha cacciato, non conosco le ragioni, e non so nemmeno se mai vorrò conoscerle. Ricordo che spesso veniva a trovarci, ma Gil gli urlava contro e lui scappava: è stata lei a imporre la condizione che quell’uomo fosse un capitolo chiuso per tutti.

    Ho odiato mia madre, e l’assenza di lui ha pesato dentro di me per tutto il corso della mia infanzia, finché ho deciso di mettermela via, perché se un padre vuole davvero raggiungere i suoi figli, in qualche modo riesce a farlo, ed evidentemente lui non ci ha provato abbastanza. Ricordo poco di lui… ricordo che era bello e sempre allegro, ricordo che ogni sera a tavola ci insegnava qualcosa, ma cerco di non pensarci. Anche se da quando se n’è andato, non passa giorno senza la speranza di vederlo rientrare da quella fottuta porta.

    Penso sia stato questo ad aver inciso dentro di me una sorta di paura dell’abbandono, e di conseguenza ad aver innalzato un apparente muro tra me e gli altri, un muro che pochi riescono a oltrepassare.

    Per questo ho paura di Fede. Non si sa mai che sia una legge del mondo, che se un uomo si innamora di me, poi mi lascerà sola…

    Amici per finta: può capitare tante volte nella vita, ma per me era la prima, e sono fuggita. Non è stato il primo ragazzo, ma era il primo che sentivo che provava qualcosa di vero per me. Non mi baciava, non mi toccava… mi parlava, mi guardava negli occhi.

    Fa paura chi riesce a trapassarti.

    Che non vedo Fede, saranno due mesi.

    E ora eccolo davanti a me nel bel mezzo di piazza Maggiore, mentre parla con sua madre. Ogni cosa mi crolla addosso, rimango a fissarlo incredula. Perché è così stronza la vita?

    Ho appena superato una notte così scomoda, e ora la causa di tutto questo piomba qui davanti ai miei occhi?

    I due avanzano verso il bar dove sono seduta, e io metto la testa tra le mani indecisa se scappare o meno. Ma no, perché dovrei, proprio ora che c’è la possibilità che almeno qualcosa si sblocchi, anche solo per un attimo?

    Mi concentro sul libro che ho posato sul tavolino un quarto d’ora fa – Donne di Bukowski –, riprendendo da dove l’avevo lasciato la scorsa notte.

    Sento il cuore battere male, e concentrarmi sulle parole che leggo è veramente un’impresa ardua. Bevo nervosamente il tè, e con la coda dell’occhio lo vedo mentre si siede due tavolini più in là del mio. Cerco di respirare normalmente, maledicendomi per le condizioni in cui mi riduco ogni volta che mi agito. Lo vedo di nuovo alzarsi per andare a ordinare e seguendo la sua ombra con lo sguardo punto gli occhi sulla porta, aspettando il suo ritorno con il mento appoggiato sulle dita di entrambe le mani e i gomiti sul tavolo. Ce ne sono di bar a Bologna, fin troppi, proprio qui dovevano decidere di venire… Sembra fatto apposta però: nelle mattine di primavera, verso una certa ora, piazza Maggiore ha un’atmosfera davvero unica.

    Fede esce dalla porta guardandosi intorno con aria distratta, e poco prima di raggiungere la sedia si gira verso di me, mentre ancora lo sto fissando. Sorrido con naturalezza, senza far l’inutile e patetica figura della svampita.

    «Ciao Ali» dice sgranando un po’ gli occhi e avanzando verso il mio tavolo.

    Mi alzo per dargli due baci sulla guancia e cerco di essere il più disinvolta possibile. Anche Laura, sua madre, mi saluta con un gesto della mano e un sorriso bellissimo.

    «Come stai?» chiede Fede.

    «Non c’è male, grazie.» No, a parte il fatto che son stata sveglia tutta notte a domandarmi se raggiungerti o no, a parte il fatto che è un po’ di tempo che mi pare di diventare scema a causa tua, va tutto bene. «Tu invece?»

    «Sto bene anche io.» Mi mette una mano sulla spalla. «Beh, vieni a sederti con noi, se non hai impegni particolari. Mamma si deve vedere a pranzo con papà, che è in giro per lavoro. Dopo magari possiamo fare qualcosa insieme. »

    Il mio cervello va un attimo in tilt, ma si riprende dopo pochissimo, fortunatamente.

    «Certo, va bene.» Sorrido di nuovo. «Se non è un disturbo.»

    Prendo il mio tè

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