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La rivoluzione del Rojava: Come e perché la resistenza curda in Medio Oriente sta cambiando lo stato di cose presente
La rivoluzione del Rojava: Come e perché la resistenza curda in Medio Oriente sta cambiando lo stato di cose presente
La rivoluzione del Rojava: Come e perché la resistenza curda in Medio Oriente sta cambiando lo stato di cose presente
E-book198 pagine3 ore

La rivoluzione del Rojava: Come e perché la resistenza curda in Medio Oriente sta cambiando lo stato di cose presente

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Info su questo ebook

Mentre l'Europa e gli Stati Uniti raccoglievano, attraverso lo scoppio degli attentati attribuiti alla regia dell'Isis, il frutto di una dissennata politica estera, in Medio Oriente, a contendere ogni metro di terra all'avanzata delle bandiere nere del sedicente Stato Islamico, resta un'unica speranza, giorno dopo giorno sempre più forte. Questa speranza si chiama Rojava, soltanto un punto sulla carta di una regione tormentata prima di essere "scoperta" in qualità di baluardo invalicabile per le truppe del Califfato, regione di resistenza ma anche laboratorio di democrazia dal basso e, come osserva la giornalista Arzu Demir in questo libro, terra madre di un'autentica rivoluzione: luogo in cui, sui fucili di chi combatte, sventolano bandiere che parlano di uguaglianza di genere e giustizia sociale. Scritto basandosi sull'osservazione diretta degli avvenimenti in corso, "La rivoluzione del Rojava" documenta gli esiti di un'esperienza straordinaria: un cambiamento radicale rispetto al quale non sarà più possibile - e non solo nei territori curdi - pensare di tornare indietro.
LinguaItaliano
Data di uscita5 lug 2017
ISBN9788867181773
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    Anteprima del libro

    La rivoluzione del Rojava - Arzu Demir

    UNALTRASTORIA

    19

    La rivoluzione del Rojava

    In diretta dai cantoni di Jazira e Kobane:

    come e perché la resistenza curda in Medio Oriente

    sta cambiando lo stato di cose presente

    di Arzu Demir

    © 2016 Red Star Press

    © Arzu Demir e Ceylan Yayınları

    Pubblicato in accordo con Ceylan Yayınları

    Titolo originale: Devrimin Rojava hali

    Tradotto dal turco da Francesco Marilungo

    Prima edizione in «Unaltrastoria»: aprile 2016

    Design Dario Morgante

    Red Star Press

    Società cooperativa

    Via Lorenzo Bonincontri, 41 – 00147 Roma

    www.facebook.com/libriredstar

    redstarpress@email.com | www.redstarpress.it

    Arzu Demir

    LA RIVOLUZIONE

    DEL ROJAVA

    In diretta dai cantoni di Jazira e Kobane:

    come e perché la resistenza curda inMedio Oriente

    sta cambiando lo stato di cose presente

    Traduzione di Francesco Marilungo

    REDSTARPRESS

    NOTA DI TRADUZIONE

    Editore e traduttore hanno concordato di traslitterare i nomi curdi e turchi presenti nel libro, rispettando la pronuncia originale.

    La C curda e turca, che corrisponde al suono affricato della J nell’inglese «Jack» o della G nell’italiano «Giro», è stata traslitterata con J.

    La Ş curda e turca, che corrisponde al suono fricativo Sh dell’inglese «shame» o al suono Sci dell’italiano «sciopero», è stata traslitterata con SH.

    La Ç curda e turca, che corrisponde al suono affricato dell’inglese «cheap» o dell’italiano «cielo» è stata traslitterata con C.

    Le vocali turche Ö, Ü, I, ö, ü, ı e le vocali curde Ê, Î, Û, ê, î, û sono state normalizzate con le vocali italiane O, U, I, E, o, U, i, e.

    LISTA DELLE SIGLE E DEI PARTITI

    Akp (Adalet ve kalkinma partisi): Partito per la giustizia e lo sviluppo

    Asayis: Forze di pubblica sicurezza dell’Amministrazione democratica del Rojava

    Bog (Birlesk özgürlük gücleri): Forze libertarie unite

    Enks (Encûmena nistimanî ya kurdî li Sûriyê): Consiglio nazionale dei curdi in Siria

    Ernk (Eniya rizgariya neivata Kurdistan): Fronte di liberazione nazionale del Kurdistan

    Fsa (Cesh ul Hur): Esercito libero siriano

    Hpc (Hêzên parastina cewherî): Forze di autodifesa del Rojava

    Hpg (Hêzên parastina gel): Forza di difesa popolare

    Isis (Islamic state of Iraq and Sham/Islamic state): Stato islamico

    Kdp (Partiya demokrat a Kurdistanê): Partito democratico del Kurdistan

    Kjb (Koma jinên bilind): Alto consiglio delle donne

    Kjk (Komalên jinên Kurdistan): Comunità curda delle donne

    Mlkp (Marksist-Leninist komünist partisi): Partito comunista marxista-leninista

    Pajk (Partiya azadiya jin a Kurdistan): Partito della liberazione delle donne del Kurdistan

    Pja (Partiya jina azad): Partito della liberazione delle donne

    Pjkk (Workers women party of Kurdistan): Partito delle lavoratrici donne del Kurdistan

    Pkk (Partîya karkerén Kurdîstan): Partito dei lavoratori del Kurdistan

    Puk (Yekêtiy nistîmaniy Kurdistan): Unità patriottica del Kurdistan

    Pyd (Partiya yekîtiya demokrat): Partito dell’unità democratica

    Tevdem (Tevgera civaka demokratîk): Movimento per la società democratica

    Tikko (Türkiye isci ve köylü kurtulus ordusu): Armata di liberazione turca degli operai e dei contadini

    Tkp/ml (Türkiye komünist partisi/marksist-leninist): Partito comunista turco/marxista-leninista

    Ybs (Yekîneyên berxwedana Sengalê): Unità della resistenza nel Sinjar

    Yekitiya Star: Unione delle donne

    Yja Star (Yekîtiya jinên azad star): Unità delle donne libere

    Ypg (Yekîneyên parastina gel): Unità di protezione del popolo

    Ypj (Yekîneyên parastina jinê): Unità di protezione delle donne, braccio armato del Pyd

    Yxg (Yekîneyên xweparastina gel): Unità di autodifesa del popolo

    A Jinda, Janda, Sarya, e Ivana...

    A chi dà la propria vita per gli altri...

    PREFAZIONE

    Nei giorni in cui questo libro si preparava per la pubblicazione, veniva scritta una nuova pagina nella storia della lotta dei popoli oppressi. Gire Spi (Til Abyad) che si trovava sotto occupazione da parte delle orde religiose fasciste dell’Isis, veniva liberata dai nostri e in questo modo venivano unificati i cantoni di Jazira e Kobane. Per coloro di noi che non guardano al proprio futuro come separato dal futuro del Rojava, questa era la notizia più bella dopo la vittoria di Kobane. Il momento di cui siamo stati testimoni attraverso le fotografie, nel quale i combattenti arrivano a piedi a Gire Spi dai cantoni di Jazira e Kobane, ha segnato per noi la fine di una tristezza durata un secolo.

    Nei giorni in cui Kobane veniva presa d’assedio dalle orde dell’Isis, mi veniva spesso in mente il detto dei comunisti nella battaglia di Stalingrado: «Non c’è terra per noi al di là del Volga». Questo detto era l’espressione di un’indomita determinazione contro il fascismo. Anche per i combattenti per la libertà di Kobane, al di là di Kobane non c’è più terra. Questa consapevolezza ha fatto sì che Kobane non fosse lasciata in mano ai barbari dell’Isis.

    Sin da quando la rivoluzione del Rojava – espellendo le forze dello stato siriano da città e villaggi – ha intrapreso la costruzione di un nuovo stile di vita il 19 luglio 2012, è rimasta costantemente sotto assedio e sotto attacco. Il sangue di migliaia di persone, donne e uomini, giovani e anziani si è riversato su tutte le terre del Rojava, da Derik ad Afrin. Fra questi uno dei combattenti per la libertà che è caduto e si è reso immortale nei giorni in cui preparavo questo libro è Halil Aksakal (Mazlum Aktas). Avevo visto Mazlum nell’area del cantone di Jazira in cui conduceva i preparativi per il battaglione internazionale del Partito comunista marxista-leninista (Mlkp). Era il mese di gennaio del 2015. Avendo appreso che nella truppa c’era anche un arabo alevita, avevo chiesto di parlarci. Mi spiegò che la rivoluzione del Rojava rappresentava una speranza di liberazione anche per il popolo arabo. Più tardi, quando mi recai al fronte di Alya nella zona di Serekaniye venne ad accogliermi. In quei giorni i combattenti del Mlkp Ivana Hoffmann (Avashin Tekoshin Gunesh) e Sinan Sagir (Suphi Garzan) erano ancora in vita. Anche loro si trovavano sul posto. Mazlum parlò con voce decisa. Con la mano indicava le postazioni in cui si trovavano le bande dell’Isis; poi assieme a Ivana spiegò che nell’edificio situato nella spianata fra due postazioni erano state poste delle trappole esplosive e concluse con fervore: «Aspettiamo le orde». Come appresi in seguito, quelle bombe erano state fatte detonare con successo contro le orde islamiste.

    La scrittura di questo libro è stata intrapresa con la voglia di ripagare un debito di fedeltà verso tutti i combattenti, donne o uomini, giovani o anziani, che sono caduti per una rivoluzione di cui sono stata testimone, mentre mi avvicino al mezzo secolo di vita. Sono consapevole che questo mio sforzo non è neanche una goccia nel mare se paragonato al prezzo che loro hanno pagato. Tuttavia non è neanche vano. È l’espressione della voglia di dire: «In questa rivoluzione un granello di sale sia anche mio», nello sforzo di trasmettere con la scrittura alle generazioni future le pagine di storia che i combattenti hanno scritto con le loro vite e con la loro lotta.

    Questo libro è un voto di devozione ad amici e compagni, da parte di una donna e di una comunista che accoglieva i cadaveri dei propri amici alla frontiera.

    Questo libro certamente non spiega tutta la rivoluzione. Questa è un’impresa per cui a nessuno basterebbero le forze. Perché la rivoluzione è uno stato permanente.

    La rivoluzione del Rojava raccoglie le interviste, le indagini e le fotografie che ho realizzato durante le mie visite nei cantoni di Afrin e Jazira nel settembre 2013, agosto-settembre 2014 e gennaio 2015 per un tempo totale di due mesi. Per questa ragione nel libro non c’è un capitolo che si occupi direttamente della resistenza di Kobane.

    Questo libro è la testimonianza di una giornalista socialista mossa da decine di domande come: «Che succede in quelle terre? Che cos’è la rivoluzione del Rojava? Chi sono le donne che stanno facendo questa rivoluzione? Cosa sono Ypg e Ypj? Come può costruirsi un nuovo tipo di vita? Cosa sta alla base di quell’economia? La rivoluzione è entrata nelle cucine?».

    Questo libro rappresenta quanto della rivoluzione mi è rimasto dentro, pensieri uniti a sentimenti di una donna rivoluzionaria che ogni volta tornava dal Rojava pensando: «Se dovessi morire ormai non me ne dispiacerei».

    Il Rojava è il luogo dove ha preso vita tutta l’esperienza accumulata dal movimento di liberazione curdo in 40 anni di lotta.

    Il Rojava è il luogo dove s’infrangono le vecchie convinzioni. Dove si mostra quanto la rivoluzione sia un fatto reale. È il luogo che dice al politico «non puoi più fare politica come prima», al combattente «non combatterai più come prima», al giornalista «non puoi più scrivere come prima». È il tempo di cambiare. Perché questi sono i giorni della rivoluzione.

    Il Rojava è il luogo dove il veterinario è il medico primario, dove la donna anziana con famiglia e figli è giudice nei tribunali popolari, dove una casalinga è comandante delle Ypj (Unità di protezione delle donne), dove una giovane donna diventa coordinatrice accademica, insomma il luogo dove «ognuno può essere ogni cosa». Il luogo in cui la persona è tale in ogni suo aspetto.

    Il Rojava è il luogo che rende eroi le persone qualunque e rende persone qualunque gli eroi. Il Rojava è il posto dove l’immaginazione è diventata realtà. È il potere dell’immaginazione.

    Il Rojava è l’eredità di tutti i Paramaz, delle Arin, dei Kader, dei Mazlum, Erkan, Oguz, delle Sarya Mahir, gli Emre, i Coskun, le Amara, i Bedrettin, Jyan, Xebat e Beritan che hanno camminato verso l’immortalità per il sogno di libertà comune a tutta l’umanità.

    Il Rojava appartiene a noi. E noi al Rojava.

    Nel Rojava la nuova vita viene costruita in condizioni in cui gran parte dello sforzo della gente e della produzione della società è sacrificata alla guerra; e dove la guerra come a Kobane causa enorme distruzione. Parlando del Rojava non perdete di vista questa realtà. E non vergognatevi di pensare: «Se nel Rojava non ci fosse stata un guerra così intensa, chissà quali altri ancora potrebbero essere i successi di questa rivoluzione...».

    Inoltre non dimenticate quello che è il più virtuoso degli stati umani; non dimenticate i combattenti che hanno dato la propria vita perché gli altri vivessero.

    RINGRAZIAMENTI

    In maniera coerente con lo spirito rivoluzionario, questo libro è il frutto di un lavoro collettivo. Se solo avessi potuto terminare le interviste rimaste a metà con le compagne Rakel e Shevin; se non ci fosse stato l’infinito sostegno degli amici Seyit, Sterk, Hevidar e Armanc e degli amici dalle agenzie Jinha, Anf, Anha e Ronahi Tv; se Muhammed, Fesih, Yasin, Yusuf e Dagistan non mi avessero aiutato con le loro traduzioni dal curdo; se gli amici di Etha non avessero lavorato al mio posto e gli amici di Anf in un periodo così intenso, non mi avessero detto «prenditi tre settimane di permesso per il Rojava»; se Semiha, Fuat e Oktay non avessero svolto la parte tecnica; se il compagno Hacer non mi avesse offerto un ambiente calmo e accogliente in cui lavorare a casa sua; se Sonnur e Sone non avessero risposto ai miei «non ce la farò mai» con i loro «tu questo lavoro lo terminerai in men che non si dica», questo libro davvero non avrei potuto scriverlo. Grazie a tutti! Per fortuna ci siete!

    PARTENZA PER IL ROJAVA

    La sconfinatezza dei confini

    La prima volta che ho messo piede nelle terre della rivoluzione era il mese di aprile del 2013. Facendo un calcolo approssimativo era il quattordicesimo mese della rivoluzione che partendo da Kobane il 19 Luglio 2012, si è via via diffusa a tutto il Rojava. I cantoni ancora non erano stati proclamati e la rivoluzione ancora non si era radicata così tanto.

    Sono rimasta ad Afrin due settimane.

    Afrin si trova nell’ovest del Kurdistan occidentale¹, o Rojava. È una regione composta dai sette distretti di Sherawa, Jindirese, Mabata, Rejo, Bilbile, Shiye, Shera e da 365 villaggi. In confronto alla regione di Jazira mostra una struttura demografica più omogenea. La quasi totalità della popolazione è curda. Nella città principale vive un numero limitato di arabi. Nel distretto di Mabata vivono curdi aleviti, mentre nei dintorni di Qestel Jindo e in alcuni villaggi vicini ad Azaz vivono curdi yazidi. Con le sue sconfinate coltivazioni di ulivi aveva un aspetto molto più verde rispetto a Jazira. Tuttavia come tutte le altre città del Rojava, era stata abbandonata alla povertà e alla miseria.

    Perché Afrin?

    Il coraggio e la determinazione mostrati dalle Ypj nel difendere la rivoluzione, non avevano ancora conquistato famose riviste di moda né erano entrate al palazzo dell’Eliseo. Tuttavia erano molte le evidenze che dimostravano come questa rivoluzione fosse una rivoluzione di donne. In ogni fotografia che giungeva dal Rojava vi erano donne. In più io sapevo che il primo battaglione femminile era stato costituito ad Afrin.

    La mia intenzione era in primo luogo quella di parlare con le combattenti del battaglione Ypj, e poi con le donne che prendevano parte alla rivoluzione in maniera diversa, per capire e raccontare la loro storia. Accanto a questo dovere professionale c’era la voglia di partecipare alla rivoluzione, di viverla ed esserne testimone.

    Afrin si trova di fronte a Kilis. In quei giorni il valico di frontiera di Oncupinar che è la porta della regione era nelle mani delle orde jihadiste di al-Nusra e il passaggio era chiuso da entrambe le direzioni.

    Data la situazione rimaneva un’unica via: un attraversamento illegale.

    La seconda ragione per cui ho scelto Afrin del resto è anche questa: avevo trovato in breve tempo i contatti necessari per oltrepassare il confine.

    Si è rivelato un attraversamento allo stesso tempo molto facile e molto difficile.

    Nella vita delle persone le prime volte hanno un sapore particolare e davvero non si scordano mai.

    Via via che la data del mio attraversamento si avvicinava, non erano poche le notti in cui non riuscivo a dormire. Perfino di giorno vagavo in una sorta di mondo immaginario a forza di meditare su ogni istante dell’attraversamento del confine e su tutto ciò che avrei voluto fare nelle terre della rivoluzione.

    Alla fine però ne valeva la pena. Sono tornata dalle terre della rivoluzione con le sensazioni di chi dice: «Ormai se dovessi morire, non me ne rattristerei».

    Quando il contrabbandiere mi ha indicato un punto con la mano, ho capito che il luogo in cui si era fermata la macchina era vicinissimo al confine vero e proprio. Onestamente mi sono stupita vedendo il filo che mi veniva indicato come confine.

    In seguito ho riflettuto su questo e la conclusione a cui sono giunta è che nella mia mente il valore simbolico del confine era grande; tuttavia a furia di passarci sopra i confini sono stati abbattuti e insieme anche il loro significato.

    Sono scesa dalla macchina e dopo aver camminato qualche metro ho visto più avanti un soldato di guardia che aspettava.

    «Se il soldato dovesse dire qualcosa, dirò che andiamo a cercare una ragazza per lui», disse il contrabbandiere. Questo «lui» si riferiva al mio amico giornalista che ci accompagnava.

    Sorpresa chiesi: «Ci crederanno?».

    «Andrà tutto bene», fu la risposta.

    Dapprima ho pensato che mi stesse prendendo in giro. Tuttavia sembrava serio. Quando mi venne in mente che molti uomini dalla Turchia sposavano come seconde o terze mogli giovani ragazze prese nel Rojava, mi fu chiaro che il trafficante poteva anche essere serio.

    Mentre mi interrogavo sulla sua onestà ci chiese: «Avete addosso qualcosa di illegale?».

    Entrambi rispondemmo: «Abbiamo le macchine

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