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Anin
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E-book141 pagine2 ore

Anin

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Nello scenario della grande guerra, un manipolo di donne risolve l’urgente problema dei rifornimenti al fronte, quel fronte carnico, appeso su balze rocciose irraggiungibili anche per i muli, dove i due eserciti contrapposti si massacrano. Abituate da secoli per l’estrema povertà ad indossare la gerla, ora se la mettono sulle spalle al servizio del paese in guerra. Con qualsiasi tempo il Padreterno mandi, in mezzo ai colpi nemici, ogni giorno, per ventisei lunghi mesi. Tra la dura quotidianità e l’impegno per la patria, le donne riscoprono anche una nuova ‘sorellanza’ in cui spartire fatica e pena e la consapevolezza della propria coraggiosa forza. Timau, il piccolo paese a sei chilometri dal confine con l’Austria, si fa palcoscenico dove l’intera comunità mette in scena solidarietà, amore, amicizia e su tutto le domande universali dell’uomo di fronte all’orrore della guerra.

Angela Torri  nasce a Roma. Animo nomade, ha girato il mondo per lavoro e per piacere. Attratta dalla natura in ogni suo aspetto, ama la montagna e la vive attraverso molteplici approcci, traendone energia e ispirazione. Vive in Umbria dove coltiva olivi e scrive perché la rende felice. Il suo esordio nel 2020 con Ricciaspersa, una raccolta di racconti edita da Letteratura Alternativa Edizioni (‘menzione speciale’ nella XV edizione della Festa del Libro in Mediterraneo 2021). Anin è il suo primo romanzo.
LinguaItaliano
Data di uscita30 ago 2021
ISBN9788830648425
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    Anin - Angela Torri

    cover01.jpg

    Angela Torri

    Anin

    © 2021 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-4214-0

    I edizione luglio 2021

    Finito di stampare nel mese di luglio 2021

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Anin

    Alle portatrici carniche

    "Il professore Johnston diceva

    spesso che se non sapevi la storia,

    non sapevi nulla. Eri una foglia che

    non sapeva di essere parte di un albero"

    Michael Crichton

    Prefazione di Linda Cottino

    L’altra vita delle donne

    L’immagine che mi viene incontro dal grande schermo è quella di quattro giovani donne che, zaino in spalla, camminano fiere verso le alte pareti di El Salto, in Messico. Sono tutte top climber, e Fernanda, la protagonista, dopo alcuni anni dedicati ad avviare una palestra di arrampicata, ha ripreso a scalare sul duro: ora è impegnata su Andrada’s Project (5.14a/8b+), una via di notevole difficoltà, la più impegnativa della sua vita. Fernanda porterà a termine il progetto, anche grazie al supporto solidale delle amiche, e vivrà la soddisfazione della sfida riuscita, del superamento del limite. La dimostrazione della sua forza fisica e mentale, la piena espressione di sé.

    Ma perché mai accostare questa vicenda sportiva contemporanea, raccontata in un film appena uscito, a un libro che narra di donne nella Prima Guerra mondiale? Semplicemente perché il contrasto e il confronto sono strabilianti e racchiudono tutto il senso della lunga, accidentata e sempre rinfocolata battaglia che le donne hanno intrapreso nell’ultimo secolo, dagli inizi del Novecento agli albori del terzo millennio, per veder riconosciuto il proprio diritto a fare, a pensare e a decidere con la propria testa, senza dover chiedere permessi, libere da un’odiosa tutela millenaria. Il che, leggendo il bel racconto di Angela Torri, dovrebbe essere assioma scontato. Ma sappiamo che così non è.

    Le portatrici carniche di cui vengono narrate le imprese nel libro formano un insolito, silenzioso esercito tutto femminile che segue il proprio atavico istinto, preservare la vita. Quella stessa vita che gli uomini vanno a giocarsi in trincea, su quella linea che corre in alto, lungo il filo di cresta delle montagne di Carnia. Le donne di Anin non sono le giovani spensierate che si lanciano nella sfida dell’inutile scalando pareti; sono le giovani (e non più giovani) che salgono a portare rifornimenti e conforto, «a ricordare che fuori dalle trincee c’è l’altra vita; brevi attimi di ritorno a un’umanità negata», che esce dalle gerle con i pacchi e con la posta. Il loro è un compito sovrumano, nel senso che travalica l’impegno concreto del trasporto di cose, della fatica di risalire i sentieri e le mulattiere con 40 chili sulle spalle, per farsi servizio alla vita sacrificando tutto di sé.

    La forza, la tenacia, la conoscenza della montagna delle donne carniche erano note già agli alpinisti dei primordi, che a metà Ottocento le utilizzavano come portatrici nelle loro ascensioni; e in C’è una donna che sappia la strada? lo ha ben documentato Daniela Durissini. L’asprezza della vita lassù temprava a tal punto che, se gli uomini emigravano o andavano alla guerra, le donne potevano assolvere a tutti i compiti legati alla vita quotidiana, aggiungendovene un di più di straordinari. Come durante il primo conflitto mondiale, quando diventarono anelli strategici nella catena dell’approvvigionamento – materiale sì, ma anche morale e spirituale – per chi combatteva in prima linea. Furono frangenti terribili, in cui esse dimostrarono coraggio, abnegazione, determinazione e persino, in quel contesto di morte, gioia di vivere, dando luogo talvolta, come si racconta nel libro, a siparietti che ci lasciano ammirati e increduli: in salita e col carico in spalla, come se nulla fosse, alcune di loro riuscivano contemporaneamente a sferruzzare. Magari pure cantando.

    Ma nonostante le doti eccezionali messe in campo, dopo la guerra le donne erano destinate a rientrare nei ranghi e a essere del tutto ignorate dalla cultura dominante, nella sua struttura ancora saldamente patriarcale. Una volta conclusa questa epica lotta di sopravvivenza, infatti, quello stesso esercito silenzioso dovette tornare al recinto domestico senza che gli venisse riconosciuto altro diritto se non quello di continuare a fare figli e badare alla famiglia; essendogli preclusa ogni possibilità di esprimere la propria soggettività nel lavoro, di assumere ruoli di prestigio nella società civile o godere di visibilità politica. Ci vorrà un secolo perché diventi (quasi) normale veder ritratte in un film delle donne camminare libere, a testa alta, allegre e vigorose, per raggiungere un obiettivo inutile, da coltivare tutto per sé.

    Non diversamente andò per le partigiane che combatterono contro il nazifascismo nell’ultimo scorcio della Seconda Guerra mondiale: dopo le gesta eroiche dei venti mesi di Resistenza, all’indomani del 25 aprile 1945 tutto rischiò di tornare come prima. Nel suo lavoro storico, La casa in montagna, l’inglese Caroline Moorehead ricostruisce proprio quel che accadde a quattro partigiane piemontesi (una era Ada Marchesini Gobetti, la vedova di Piero), il cui ruolo fu strategico, ma che rischiarono persino di essere escluse dalla sfilata nel corteo di liberazione della città di Torino. Fu solo con il diritto di voto, nel 1946, che si ebbe la prima vera svolta.

    I tempi della storia, si sa, non coincidono con quelli brevi delle generazioni. Ecco perché è essenziale raccogliere testimonianze, documentare, raccontare, ridare vita alle esperienze. E quando un lavoro come questo di Angela Torri va ad aggiungersi al grande sforzo collettivo di tenere memoria, non possiamo che esserne rincuorati. Anin esprime grande energia, che è sì quella della vita, ma è anche quella della poesia, dove l’azione si potenzia nella narrazione: nel crogiuolo della famiglia protagonista e della sua cerchia, tutto sommato ristretta, si concentra infatti una forza smisurata, che l’autrice sa tradurre in immagini evocative. Dove insieme agli esseri umani, nelle loro fragilità e bellezze, prendono vita le montagne, i boschi, nei loro silenzi arcani che parlano «ai sensi con la voce dei secoli e della storia».

    Raccogliamone il testimone, allora; riaccendiamo la scintilla delle donne carniche e facciamo nostra la loro esortazione – Anin, andiamo!

    Nota d’autore

    ANIN nasce durante il primo lockdown, quando in crisi da confinamento cercavo dei luoghi in Carnia dove arrampicare, fare trekking e ferrate. Due anni prima ero rimasta affascinata dalle Alpi Giulie e volevo conoscere anche altre montagne del Friuli Venezia Giulia. Durante la navigazione mi imbattei in qualcosa che catturò immediatamente la mia attenzione: una storia, incastonata nel primo conflitto mondiale su quelle montagne al confine con l’Austria, le cui protagoniste erano delle donne eccezionali, le portatrici carniche. La passione per le terre alte mi ha consentito di immedesimarmi, so bene cosa voglia dire coprire molti metri di dislivello con lo zaino pesante, vestita con capi tecnici e munita dell’attrezzatura necessaria, ma coprirne fino a 1200 al giorno su sentieri impervi e sconnessi, dove neanche i muli riescono a salire, con 40 kg di materiali (munizioni, viveri, approvvigionamenti vari) sulle spalle, in una gerla con spallacci di legno di nocciolo e con gli scarpetz (calzature di pezza) in estate e gli zoccoli di legno in inverno, è ben altra cosa! Ogni giorno per ventisei lunghi mesi a consegnare munizioni e viveri al fronte, dove il nostro esercito combatteva strenuamente e da cui nessun soldato poteva essere sottratto. C’erano tutti gli elementi perché mi appassionassi febbrilmente all’argomento. Da qui il progetto di scriverne e contemporaneamente la ricerca di tutto il materiale reperibile su quella straordinaria storia di donne coraggiose, montagne e guerra, che culminò con un viaggio a Timau (il piccolo villaggio di frontiera da cui partivano le portatrici), per percorrere quegli stessi sentieri fin dentro le trincee e visitare lo straordinario Museo della Grande Guerra dove ho trovato documenti utilissimi per la mia ricerca.

    Così nasceva ANIN (ANDIAMO in friulano)

    Angela Torri

    1

    Si asciuga le mani, gonfie di lavoro e di acqua fredda, sul panno liso di cucina, mentre dalla finestra sbircia la strada da cui proviene un concitato vocio. Sta capitando qualcosa, negli ultimi tempi la gente si saluta con un cenno del capo, difficilmente c’è tempo per fermarsi a chiacchierare e oggi non è neanche domenica. Da mesi la preoccupazione della guerra ha sostituito gesti fugaci alle parole, come se ciascuno volesse tornare in tutta fretta alle proprie faccende per non pensarci. Si intravede una piccola parte della via principale e pare non esserci nessuno, le perviene però il chiacchiericcio ora più sommesso, probabilmente di qualcuno che sta parlando più su, sulla parte della strada che lei non riesce a scorgere da casa sua. La borgata Pauarn, dove vive, è l’ultima del paese per chi proviene da sud e la strada interna su cui si affacciano le case, strette l’una all’altra, l’attraversa per tutta la sua lunghezza. Non se ne cura più di tanto, si tratterà sicuramente di quel ricatto e lei deve ancora mondare le erbe per la zuppa e pelare le patate, a breve sua sorella rientrerà con i bambini e ci sarà trambusto. Meglio aver terminato per allora, ché lo spazio è quello che è. Anche il babbo, che sta mungendo nel retro, di lì a poco rincaserà. Suo padre, con gli anni e le tribolazioni, tutte scolpite nelle rughe che gli segnano il volto. Un fascio diagonale di luce del tardo pomeriggio irrompe nella cucina, il pulviscolo danza sospeso in una calda trasparenza che riempie lo spazio. Lucia ama quel momento della giornata in cui c’è quiete, in cui può lasciarsi andare alle fantasie di ragazza, a quella leggerezza che la guerra, appena oltre la parete rocciosa che stringe il paese nella stretta valle, si è portata via. Non che prima fosse facile, ma era pur sempre meglio. Poi alla malinconia di quell’attimo, subito si sostituisce un disagio, non le piace ciò che prova. Come dovrebbero sentirsi Elisabetta e tutte le donne maritate di Timau, Cleulis, Paluzza e, per quel che ne sa, di tutta la Carnia rimaste sole a tirare avanti con figli e vecchi? Da parte sua, aiuta come può, in casa, all’alpeggio, dove serve e come ha sempre fatto. Le giornate sono scandite dai doveri, la scuola è un lontano ricordo, ha potuto frequentare a malapena la terza elementare, poi servivano anche le sue braccia in casa. Ogni tanto ci ripensa, le piaceva la magia delle parole, aveva imparato facilmente a leggere e scrivere, con i numeri invece non andava troppo d’accordo. Ha conservato l’abbecedario, il sussidiario e un libricino di lettura, le cui storie conosce a memoria, lette e rilette

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