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Tekno Free Doom: Musica, rave, intrallazzi e illuminazioni mistiche
Tekno Free Doom: Musica, rave, intrallazzi e illuminazioni mistiche
Tekno Free Doom: Musica, rave, intrallazzi e illuminazioni mistiche
E-book716 pagine8 ore

Tekno Free Doom: Musica, rave, intrallazzi e illuminazioni mistiche

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Info su questo ebook

Tekno Free Doom è un viaggio all’interno del mondo delle feste illegali di fine millennio, scritto da chi ha fatto parte del movimento ravers fin dalla sua nascita. Tekno Free Doom racconta il decennio che ha cambiato le certezze, le tendenze e la musica dell’intera Europa attraverso le( dis)avventure ben oltre la legalità di Marco e Stefano, due ragazzi quasi normali che hanno fatto dei rave parties una ragione e uno stile di vita. Un romanzo che intreccia contorte storie di droga, musica e traffici internazionali, il desiderio di due sconclusionati e confusi ventenni italiani di vivere semplicemente liberi.
LinguaItaliano
EditoreNobook
Data di uscita1 set 2015
ISBN9788898591145
Tekno Free Doom: Musica, rave, intrallazzi e illuminazioni mistiche

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    Anteprima del libro

    Tekno Free Doom - Syd B

    Ringraziamenti

    Tekno free doom

    Syd B

    Tekno free doom

    Musica, rave, intrallazzi e illuminazioni mistiche

    Titolo: Tekno free doom

    Collana Black pop

    Prima edizione: settembre 2015

    ISBN 9788898591145

    PROPRIETÀ ARTISTICA E LETTERARIA RISERVATA

    ©2015 Nobook

    Email: info@nobook.it

    Indirizzo internet: www.nobook.it

    Immagine di copertina: Valentina Morandi

    Progetto grafico: Nobook Study

    Correzione bozze: Sonia Messere

    Tutti i diritti riservati

    Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale

    Note dell'autore

    La sequenza di numerazione dei capitoli non è un errore, c´é un preciso motivo per cui ho deciso di invertirla. Se si preferisce, si può iniziare a leggere seguendo la numerazione normale, iniziando dal capitolo 0.

    A Voi la scelta.

    Consulenza per il dialetto barese: Carlo Ranieri.

    Consuleze per il dialetto foggiano: Luigi U Sanzvres.

    Cosulenze per il dialetto leccese: Citronix Duma.

    Cosulenze per il dialetto siciliano: Claudio Sardisco.

    Consulenza per lo spagnolo: Manolo Lasagna e Caterina Latella.

    Consulenza per l´inglese: me stesso. Le frasi in inglese sono nella maggior parte dei casi (volutamente) storpiate, é inglese da strada, nessuno di quelli che ho conosciuto durante gli anni parla un inglese corretto, compresi gli stessi madrelingua.

    Indice

    Premessa

    Cap. 3 Divieti di sosta e le strade senza uscita

    Cap. 4 La Piscina Okkupata

    Cap. 5 Il TT Barese e le scimmie indiane

    Cap. Mancante

    Cap. 7 Corri Marco corri

    Cap. 8 Il barone e suo il miele

    Cap. 9 Cani da guardia e cani sciolti

    Cap. 0 La droga assoluta

    Cap. 1 L´angelo biondo

    Cap. 2 Piccioni, polli e porci

    Cap. 10 Mustafa

    Cap. 11 Collassi ravvicinati del terzo tipo

    Cap. 12 L’angelo dalle ali di pizzo nero

    Cap. 13 L’elfo biondo e i suoi funghetti blu

    Cap. 14 We live in hell, but we live well!

    Cap. 15 La Venere ceca e le stagnole

    Cap. 16 Nonnetti in vacanza per campà

    Cap. 17 Illuminazione

    Cap. 18 L’agenda

    Cap. 19 Iskander e l’immortalità dell’anima umana

    Cap. 20 Seigon e il mercato dei fiori

    Cap. 21 La cocaina, le puttane, la villa e la Ferrari

    Cap. 22 Miliardi di universi possibili

    Cap. Ventitre R(av)e-OrDeR

    Cap. 24 Il Laboratorio dello scienziato pazzo

    Cap. 25 La rosa spezzata

    Cap. 26 Incubo

    Cap. 27 Il pastorello sardo

    Cap. 28 Legge criminale

    Cap. 29 Zingari, pippotti e pistole

    Cap. 30 Il piano

    Cap. 31 La resa dei conti

    Cap. 32 Guerrieri della luce a anime nere

    Cap. 32 e 1/2 La fine del tunnel

    Cap. 33 Fate, folletti e demoni

    Epilogo

    Dedica

    Dedicato a Simone, Franca, Skandal, Eva, Fabrizio e a Iris... che con la loro intelligenza e creativitá, hanno dato luce, forza ed energia, ad un movimento che ha cambiato radicalemte le menti

    e gli spiriti di una intera generazione.

    E se pure le loro storie si perderanno nelle pieghe del tempo... almeno i loro nomi meritano di essere ricordati.

    E a tutti quelli che come loro sono bruciati troppo in fretta, piccole stelle cadenti... hanno rischiarato per noi il cielo notturno per poi svanire nel buio.

    Syd B.

    Premessa

    Questa non é la mia storia. Questo libro raccoglie le storie di tanti come me. Tanti che insieme a me hanno avuto la fortuna di nascere a cavallo tra i rivoluzionari e violenti anni Settanta e i frivoli e spensierati anni Ottanta per poi trovarsi, disorientati e incuriositi, nei disillusi e caotici anni Novanta. Una storia come altre, forse. Parte del ricordo collettivo di tanti.

    Questo é un viaggio, una visione ironica di un decennio che ha cambiato le certezze e gli stili di vita dell’intera Europa: il Grande Passaggio. La consapevolezza di essere alla fine di un millennio, l’ingenua certezza che il nuovo alle porte avrebbe rivoluzionato tutto e tutti.

    La nostra visione del futuro, la nostra utopia, era una rivoluzione rumorosa e colorata. Era un’armata che si muoveva su camion e furgoni invece che carri armati e aerei. Che al posto dei mitra AK-47 e delle bombe portavano Sound System e Technics MK1200. Moderni profeti che teorizzavano un popolo monade senza confini, senza padroni né servi, un mondo in movimento, un mondo dentro il mondo senza leggi scritte. Un regno in cui l’unico Dio é la musica. L’unico idolo da venerare il Sound System. L’unica preghiera della domenica, il ballo.

    Un periodo magico, iniziato in una fredda isola del nord dell’Europa alla fine degli anni Ottanta da un gruppo di ragazzini, inconsapevoli di ciò che avrebbero creato cioè un movimento giovanile che si sarebbe diffuso nel mondo rapido e caotico come olio in un piatto pieno d’acqua. Il nome che danno al loro malessere é Spiral Tribe. Hanno usato la musica tekno al posto delle parole per urlare al mondo il proprio messaggio di giovani, inconsapevoli, rivoluzionari.

    La nuova corrente musical-culturale viene spinta nel Sud Europa dalle repressive leggi inglesi contro i rave parties e verso l’Est dall’inaspettato vento della Perestrojka. Valori e frontiere nell’autunno del 1989 erano crollati insieme al muro di Berlino lasciandoci senza guerre da combattere, senza nemici da temere. La paranoia della bomba si era dissolta come neve al sole. Film come The day after che hanno affollato i miei incubi di bambino farebbero solo ridere se visti ora…

    Il cambiamento improvviso aveva lasciato confusa e spiazzata la vecchia classe politica e i potenti in genere. Sono stati anni in cui quelli che erano nemici il giorno prima si erano trasformati in amici nel giro di una notte. Anni in cui anche il potere era disorientato, anni in cui noi siamo stati liberi di muoverci ed esprimerci. In quei tempi lontani, frenetici e confusi, si stava formando una generazione nuova, diversa dalle precedenti. Parole come politica, religione e famiglia, capisaldi del passato, prendevano un significato diverso. Quello che una volta era stato il simbolo della forza e della tradizione, come le statue di Lenin o i gabbiotti delle guardie di confine tra le Due Germanie, diventano improvvisamente vecchi e ridicoli. Non incutono più né rispetto, né timore, men che meno sicurezze. Nascevano giovani nuovi. Giovani liberi, liberi e curiosi. Senza frontiere. Con la voglia di conoscere il mondo al di fuori del loro microcosmo. Troppe frontiere da attraversare, troppi muri da scavalcare, porte a cui bussare, passaporti, polizia, frontiere…

    Ora era tutto lì: nessun carro armato Sovietico ti aspettava dietro i fili spinati che delimitavano i confini della Cecoslovacchia, per impedirti di entrare/uscire dall’enorme Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Anche perché la Cecoslovacchia si era trasformata in Repubblica Ceca e Slovacchia e la parola C.C.C.P. era sinonimo solo di un gruppo punk italiano.

    Immaginate di vivere in un mondo nel quale per più di cinquanta anni c’è stato un interminabile altissimo muro, una sola piccola porta ben chiusa e guardata a vista. Dalla quale ti è sempre stato detto di stare lontano, di aver paura di quello che si trovava dall’altra parte, senza che mai davvero ti è stato spiegato cosa ci fosse di così tremendo al di là il del muro. Oltre il muro c’è il male, la morte. Era il messaggio che ti ripetevano di continuo.

    Poi, una fredda anonima mattina d’autunno, improvvisamente il muro sparisce…

    Quelli che il muro lo controllavano, lo proteggevano, lo costruivano, da un momento all’altro si trovano senza uno scopo nella vita, confusi e spaventati.

    Mentre tu sei libero di muoverti, libero di fare, libero di sperimentare. Il mondo aveva cose più serie a cui pensare.

    Quattro ragazzini dai capelli colorati che vanno in giro su furgoni ammaccati a sparare rumori inascoltabili che chiamano musica, dalle loro casse malconce, in fabbriche abbandonate e piene di rifiuti tossici, di cui non frega a nessuno. Si stancheranno presto... si ammazzeranno da soli! Questo pensava il Sistema mentre ci guardava. Mentre tu, giorno dopo giorno, viaggio dopo viaggio, party dopo party, ti rendevi conto che quelli dall’altro lato del muro sono persone come te e diverse da te. Da cui imparare, a cui insegnare.

    È stato un decennio di interminabile festa, di musica, di sperimentazioni, di incredibili scoperte... Tutto ci sembrava possibile. Il Potere ha poi capito quanto si sbagliava ed é iniziata la repressione. Voglio raccontarvi di quel tempo in cui l’essere umano é nel fiore dei suoi anni, quando la parola impossibile non ha nessun significato, quando si dice per sempre con convinzione, senza che la voce tremi, senza che i dolori e i limiti sempre più pesanti che il tempo impone al tuo corpo mettano l’incertezza nella tua voce, quei piccoli segni della vita che passa... quando pensi al domani, quando ti rendi conto che i giorni che ti restano da vivere sono matematicamente meno di quelli che hai già vissuto.

    Questa non é una storia triste su un uomo di mezza età pieno di ma e forse.

    Questa é la storia di quando si pensa solo al qui e ora, anzi, di quando non si pensa, di quando si crede davvero di essere immortali, capaci di tutto e pronti a tutto. Quel tempo in cui tuo corpo é forte, la tua mente lucida, quegli anni in cui le tue energie, la tua voglia di sapere, la tua voglia di provare, sembrano non dover mai finire. Voglio fermare in parole e frasi le immagini nella mia mente, li voglio raccontare prima che i ricordi diventino troppo confusi... voglio fermare in parole e frasi le immagini nella mia mente.

    CAPITOLO 3

    Divieti di sosta e le strade senza uscita

    Galleggia… caldo… pace… calore… suoni lontani e soffusi, ricordi dal passato in un luogo in cui la parola passato e il concetto di futuro non hanno significato. Un tempo fuori dal tempo, un luogo non-luogo, sospeso, senza sogni, senza coscienza, non perso nel non-spazio, quell’immensa impercettibile distanza che separa un universo dall’altro…

    Prima del limbo, prima dell’Eden…

    Una scossa

    Un tremito improvviso

    Una energia chiamata gravità in questo livello di esistenza, ti attrae a sé.

    Dal buio una luce appare.

    Qualcosa che un giorno si imparerà a chiamare mani, ti afferra, ti trasporta con violenza in questo nuovo livello di percezione.

    Amore e rabbia... malattia e morte.

    Tanto buio e poca luce, ma nonostante tutto, un meraviglioso viaggio.

    Ti voglio bene piccolo mio… da oggi ti chiamerai Marco… dice una voce di donna.

    Marco si sveglia di scatto.

    Ansima, é sudato. Cosa diceva la voce? Ricorda vagamente. Mi stava dicendo una cosa importante… boh… Una sensazione di vuoto lo assale.

    Si guarda intorno per capire.

    Poster alle pareti, Duran Duran, Samantha Fox con costume argento inguinale, Spandau Ballet...

    «Ma dove cazzo sono? Negli anni Ottanta?»

    Fissa un vecchio calendario di quelli a rilievo con un gatto siamese rosso. Cazzo, vero... Foggia! Il ricordo del viaggio cancella in fretta il residuo del sogno. Che viaggio di merda! Pensa ancora steso nel letto, passandosi la mano destra tra i capelli.

    Un viaggio infinito.

    La pioggia, il traffico, i coglioni che sorpassano a destra, un tipico viaggio in autostrada in Italia… Ma ne é valsa la pena.

    Sorride soddisfatto e si gira guardando verso la finestra da dove filtra una luce a strisce.

    Assapora il momento in cui smonterà il filtro dell’olio della sua auto, o meglio, mentre lo fará il suo amico, Lo Zozzoso, meccanico per hobby, spacciatore per professione.

    Lui si immagina comodamente seduto su una morbida poltrona e avrà, in sequenza:

    una canna in mano.

    una birra ghiacciata davanti.

    un bel mucchio di soldi da contare.

    La sveglia sul comodino ticchetta allegramente. È una di quelle vecchie sveglie anni Settanta dove sul quadrante é rappresentata un’allegra famigliola di ovini, sullo sfondo una fattoria e la chioccia che becca il grano al ritmo dei secondi.

    Sono già le undici, forse dovrei tirarmi su, ma anche no. Dormo un altro po’...

    Sta già sprofondando in se stesso, quando sente Luca chiamarlo dall’altra stanza.

    «Oh Marcuzz... dó la si miss la macckn!?!?!»

    «Ma che palle cazzo é qui sotto... proprio qui sotto non la vedi Cristo? Fammi dormire un po’... le chiavi sono sul tavolo…»

    E si copre la faccia col cuscino.

    Luca entra aprendo con violenza la porta, tira su la tapparella e toglie il cuscino dalla faccia di Marco.

    «Fors n s capt!!! Ncstec la makkn sí cpt???»

    «Ma che cazzo di lingua parli? Turco? – urla Marco esasperato e semi-addormentato – Mi lasci dormire o no?»

    «Marco - dice Luca, ma stavolta con tono serio e in italiano perfetto - la macchina non c’é di sotto! Ma dove cazzo l’hai parcheggiata?»

    Marco spalanca gli occhi, le parole di Luca gli fanno l’effetto di una linea di speed, il cuore comincia a galoppare, i muscoli scattano. Si fionda alla finestra, si affaccia: si abitua a fatica alla luce dell’estate foggiana, é troppo forte per lui che fino a due secondi prima era ancora al buio, ma riesce a mette a fuoco... la macchina non c’è.

    Panico. Marco resta immobile, pietrificato dalla scoperta mentre nella testa gli esplode un uragano di pensieri.

    «Nooo! Cazzo dov’è? Cazzo mi hanno rubato la macchina con dentro TUTTO! Le pasticche... i soldi... cazzo i soldi, come le pago? Ok tranquillo... il conto in Svizzera… cazzo devo chiamare mio cugino... ma chi lo ruba quello scascione di macchina... non é un furto... cazzo... cazzo... sbirri!»

    Si blocca. Per un attimo i pensieri si fermano, il respiro anche. Una goccia di sudore freddo gli scende sul viso. Un tremore ghiacciato gli attraversa il corpo, come se all’improvviso dalla calda Foggia fosse stato trasportato al polo nord.

    «Sbirri!» ripete Luca con tono tranquillo «E se l’hanno presa gli sbirri?»

    Marco si sente come se gli avessero dato un pugno nello stomaco, gli viene da vomitare, si butta sul letto.

    «Mi hanno seguito... ora entrano e mi arrestano. Ora» dice Marco ad alta voce.

    «Nono… trmó! Nn s cpt nú cazz!» ribatte Luca che nel frattempo guarda fuori dalla finestra.

    «Cos’hai detto? Cosa? Sarà mica uno scherzo? La macchina é ancora lì? L’hai spostata per farmi uno scherzo? Luca nn m fa ncazzá!»

    Marco salta alla finestra, sposta Luca guarda in basso, giù in strada.

    «Mi vuoi tirare scemo? Non c’è un cazzo lì sotto! La mia macchina non c’è!»

    Tachicardia.

    «No aspetta! - urla Luca - Cazzo Marco stai calmo... hai mica parcheggiato vicino al cancello verde?»

    «SI SI SI cazzo! Era lì! era lì ti dico!»

    Luca ride e ride, si piega a terra da quanto ride.

    Marco non capisce.

    «Ecco... sei impazzito del tutto»

    Luca cercando di smettere di ridere, riesce a dirgli «Tu… – prende fiato e aggiunge – sei un C-O-G-L-I-O-N-E! Ma mica piccolo... proprio un cazzone grosso!»

    Marco continua a guardarlo, pugni stretti, muscoli tesi, sguardo assassino.

    «Se non ti spieghi meglio ti spacco la testa contro il muro!» digrigna i denti.

    Luca continua a ridacchiare, si alza, gli poggia le mani sulle spalle tenendole distese, lo fissa, lo fa girare verso la finestra e gli indica lo spazio vuoto dove fino a poche ore prima c’era la macchina.

    «Ma lo sai che lì é divieto di parcheggio no? Perché l’hai messa lì?»

    «Beh, era tardi... non trovav nu cazz d parchegg... di solito la lascia anche tu là e...»

    «Sì, d’inverno – lo interrompe Luca – d’estate la portano via i vigili! – e gli molla una sberla dietro la testa. – Vestiti va’ che andiamo a recuperare la macchina dai vigili... cazzone!»

    Dopo la telefonata viene fuori che la macchina l’hanno davvero presa loro.

    «Sì, ci dispiace...ma tu u sap...nn s pó parcheggiá a dó...stac lu pazz chá chiam li vigl...pass a lu deposit! »

    Marco ride.

    Si son proprio un cazzone, pensa.

    «Prima di uscire fa ‘na canna che devo calmarmi un attimo».

    Tutto bene quel che finisce bene.

    In un’ora é tutto risolto, si dice Marco,

    Si passa in banca

    Si prelevano i soldi per la multa

    Si paga

    Si ritira la macchina si smonta

    Si conta

    Si parte in vacanza

    «Quindi lei é il signor Marco Pronto? Proprietario della Alfa 33 rossa targata?» chiede l’addetto del deposito.

    «Sì, sono io. Ho qui i soldi per l’eventuale multa e se possibile vorrei riavere la macchina ora...» Marco sfoggia uno dei suoi sorrisi migliori, vuole solo riavere l’auto e andare via di lì il più velocemente possibile.

    Vuole solo riavere le sue 10.000 pasticche e non lasciarle in quel luogo circondate da uomini in divisa.

    «Toní... va pighiá st kiav va recupr sta makkn... port l dokumint... lu libbrett!» urla il vigile verso la stanza dietro di lui.

    «Comunque giovane non si può parcheggiare lì sotto... é divieto!» dice il vigile in forte accento foggiano.

    «Si lo so, mi scusi ero stanco ieri sera... non mi sono reso conto non...»

    Blablabla...

    Blabla…

    Bla…

    Marco parla a raffica cercando di confondere le idee al vigile. Cerca di non pensare a quello che é nascosto nel motore della vecchia Alfa.

    «Gigio qui c’é un problema! Puoi venire un attimo?»

    La voce arriva da un punto indefinito alle spalle del vigile che nel frattempo stava compilando i moduli di restituzione dell’auto, un suono metallico e stridente, risuona nelle orecchie di Marco come le unghie di un gigante strisciate su una mastodontica lavagna. Un brivido gli attraversa la schiena.

    Gigio il vigile posa la penna a metà del nome Marco...

    Gigio si gira.

    «Arrivo!»

    Gigio si avvia verso il fondo del magazzino, Marco resta a fissare la penna poggiata sul foglio e scritto sopra Mar cercando di ascoltare quello che si dicono i due.

    Sente solo un leggero brusio, poi silenzio e rumore di passi che si avvicinano.

    I passi nella mente di Marco vanno al rallentatore come rintocchi di una campana a morte, come bombe che esplodono.

    Il resto del mondo si muove alla moviola.

    Ogni passo é un pensiero diverso.

    Scappo... avranno trovato le pasticche! No no calma, non é possibile… ci dovevano essere gli sbirri allora, non i vigili! Sisi scappo, le hanno trovate ora e i vigili só mezzi sbirri! Calma… calma… calmaaa!

    I cinque secondi più lunghi della sua vita fino al momento in cui i due (mezzi) sbirri arrivano e buttano sul tavolo davanti a Marco i documenti della sua macchina.

    «Senti giovane, qui c’é un problema: la revisione é scaduta. La macchina non si può muovere se prima non la controlliamo. E siete fortunato! Anche noi qui nell’officina facciamo questi lavori…

    Porco dio infame! pensa Marco

    «E cosa vuol dire? Cosa dovete fare?»

    Cerca di dire con calma.

    E il vigile elenca «Controllo freni, cambio filtri… blablabla...»

    Marco non sente nemmeno il resto, vede le labbra muoversi, annuisce, ma nella sua testa é già chiaro quello che succederà nelle prossime ventiquattro ore.

    Il filtro verrà smontato.

    Il meccanico chiamerà la polizia.

    Verrà accertato a chi appartiene l’auto.

    Scatterà il mandato d’arresto.

    Sarò fottuto senza vaselina da un mare di cazzi.

    Soluzioni possibili:

    Prima. Farsi arrestare, inventare una storia, dire che non ne sa nulla… e siccome nessuno ci crede e visto che probabilmente ci sono anche le impronte sul pacco, sono tra i cinque e sette anni dentro. Magari meno per buona condotta... Impensabile. Scartata. La prima regola dal manuale del pusher è mai lasciare le proprie impronte sugli involucri delle droghe vendute/spedite/imboscate. Per ovvi motivi, nel caso in cui vengano sequestrate, risalirebbero subito a voi.

    Seconda.

    Infamare Lo Zozzoso? Non se ne parla. Meglio sopravvivere. Non resterebbe vivo un mese dopo aver infamato uno a quel livello.

    Seconda regola dal manuale del pusher mai mandare in galera gli amici per i propri sbagli.

    Terza: scappare, emigrare all’estero, per ora Europa, e appena si calmano un po’ le acque nascondersi in Sudamerica... tanto soldi da parte ne ha, e amici che gli devono favori anche, dalla Terza e Quarta regola dal manuale del pusher sempre avere soldi da parte per eventuale fuga. Sempre avere amici fidati a cui potersi rivolgere.

    La regole ZERO resta comunque un’altra, la più importante, la fondamentale. La certezza che sta alla base di questo mestiere, di questo tipo di vita: quando si paga, si paga da soli.

    Che i propri errori non ricadano mai sugli altri, mai... fa male al Karma.

    Bisogna guadagnare tempo, servono almeno due o tre giorni…Intanto il vigile elenca i lavori da fare.

    La mente umana riesce a muoversi molto velocemente quando si trova in situazione di pericolo, una dote che ha permesso agli uomini di diventare la razza dominante del pianeta, a parte forse topi, scarafaggi e virus.

    Marco sorride, un’illuminazione.

    C’è sempre un’altra ipotesi! La rottamo così non la smontano. Cazzo, sì!

    «Beh, va bene... allora facciamo così – dice ai due vigili che ancora elencano. – Io ora m’informo un attimo e ci penso. La macchina é un cesso, se non mi conviene la faccio rottamare, capite no?»

    Guarda i due sorridendo in segno di approvazione.

    I due squotono la testa, fanno segno di NO seri.

    «Ohi giovane ci hai pres pé no sfasciacarrozz? Qui prima noi facciamo i lavori… poi co st makkn c fí lu cazz ch vú!» lo aggredisce il semi-sbirro.

    «Mica ti possiamo dare la macchina così? – ribadisce il meccanico. – Qui ci sono lavori da fare altrimenti non può circolare».

    Sti bastardi ci vogliono guadagnare sopra… non me la danno senza prima farci i lavori!

    «D’accordo. Datemi due giorni, tre e vi faccio sapere, ok? Intanto preparatemi un preventivo dei lavori e mi organizzo per trovare i soldi»

    Porge la mano al vigile che la stringe forte.

    «Certo non c’é problema, lasciateci tutti i dati e aspettiamo vostre notizie al più presto. Arrivederci»

    Marco e Luca passano il resto della giornata a discutere seduti sugli scaloni dell’ippodromo fumando canne e valutando ogni possibilità di fuga. Hanno solo poche ore per pianificare una nuova vita per Marco.

    Tra le varie opzioni c’è la visita all’amico figlio di mafiosi per procurarsi documenti falsi. Ma la cosa non regge. Servono soldi contanti, tanti, che non ha in quel momento e non vuole essere in debito con certa gente. Inoltre un documento falso forse è peggio, lo sgamerebbero subito se cerca di uscire dall’Europa. Scartata.

    Partire con il suo documento e sperare che fuori dall’Italia nessuno gli faccia problemi... da folli! Scartata.

    Passaporto del cugino, cittadino svizzero-italiano quindi con doppio passaporto. Marco può prendere quello italiano, tanto il cugino è, più o meno, un onesto lavoratore, ma comunque uno che sa come va la vita, che si droga abbondantemente e quando é il caso, due soldi con i business li fa anche lui, ma che sopratutto non dirà mai di no al suo cuginetto in difficoltà.

    In più…li hanno sempre confusi fin da bambini, due anni e qualche centimetro d’altezza di differenza, stesso colore degli occhi, stessi capelli, se li confondevano dal vivo… in foto nessuno li avrebbe distinti! Approvata.

    «Beh, sì Marco... credo che sia l’unica cosa da fare!» dice Luca.

    «E Lo Zozzoso?»

    «Lo Zozzoso?!» urla Marco e prende Luca per il collo e lo sbatte contro il muro.

    «Lo Zozzoso se ne vada a cagare… e che cazzo! Dica grazie che non é in galera, lo devo pure andare a salutare prima di partire? Così perdo altri due giorni a spiegare sta storia… magari mi sgozza e mi butta in un fosso, sto mafioso di merda e il coglione che sono io che gli ho detto di sì… cazzocazzooooo" è cosí fuori di sè che quasi lo mena.

    «Calmo, Marco, calmo… ora lo chiamo io… gli dico di venire qui ora, ok? Calmo…ci parlo prima io!»

    Marco si calma, lo lascia.

    «Sì scusa…» dice guardando verso terra.

    «Lo so che non é colpa tua, ma se solo penso a quel coglione, lo sgozzerei! Lui e i suoi cazzo di boss dei miei coglioni… lo sapevo – dà un pugno ad albero. – Eh, devono dire grazie che non li ho infamati… grazie mi devono dire, cazzo… altro che spararmi… gli sparo io! ‘sti coglioni!»

    Telefonata fatta.

    Lo Zozzoso si precipita all’ippodromo.

    Lo Zozzoso é grosso. Non nel senso di grasso, è una specie di montagna 1.90 per 100 chili di muscoli.

    Mani che sembrano due pale. Quasi sempre vestito con abiti da lavoro, sporco di grasso, mani nere... appunto per questo lo chiamano Lo Zozzoso, il che alla fine dei conti é parecchio ridicolo, visto nell’officina non ripara una macchina da dieci anni. Più che altro la usa per riciclare soldi e smontare auto imbottite di droghe di vario tipo.

    Mentre apre la portiera Luca dice «Fai parlare me, ok?»

    Marco annuisce.

    Lo Zozzoso scende dalla sua Porsche, sguardo cupo, si avvicina teso, dà la mano a Luca.

    Marco resta a braccia conserte a fissarlo serio.

    «Ohi Lú...tutapast?» chiede Lo Zozzoso.

    «Tutto a posto sto cazzo.... Sto CAZZO!» esordisce Marco.

    Cazzo lo sapevo... sembra pensare Luca con lo sguardo al cielo.

    Ne segue una concitata discussione; per almeno tre volte Luca si deve mettere in mezzo per tranquillizzare i due.

    Con Lo Zozzoso da una parte, che é incazzato perché Marco non ha messo la macchina in un parcheggio a pagamento, non é andato subito da lui e Marco dall’altra perché si era trovato immischiato in un traffico che non voleva fare, con mille rassicurazioni che lui non avrebbe avuto problemi, ma ora c’é la sua testa sul piatto, anzi, le sue impronte.

    «Ma te l’ho chiesto io di fare sto cazzo di viaggio? Ma tu meccanico dei miei coglioni… lo vuoi controllare il libretto prima di farmi fare un viaggio del genere?»

    Alla fine dopo un’interminabile discussione Lo Zozzoso é d’accordo con Marco.

    «Hai ragione compá… scapp… vattn…a l sold… ci penso io… Mo m facc ascí na storia… tranquill a te nessun te vé cercá! »

    Si abbracciano.

    «Marco scusa…non volevo assolutamente che finisse così».

    Marco lo allontana, lo fissa serio «Lo sai cosa diceva mio nonno? Chi é causa dei suoi mali pianga se stesso… se parcheggiavo dove dovevo ora era tutto a posto e grazie per non mettermi in mezzo… lo so che quella gente, a uno come me, mi faceva mangiare dai cani!»

    «Marcuzz… grazie a te ch nn m sí nfmet… mo er già mort s tu parlav c l sbrrr!»

    Blablabla…

    Altri dieci minuti e dirsi quanto l’uno è grato all’altro.

    Si separano tranquilli.

    «Marcú? – dice serio Lo Zozzoso – Sempre presente a te stesso!» gli stringe la mano, gli fa l’occhiolino.

    Marco annuisce. Ricambia il sorriso.

    È sera tardi ormai. Marco e Luca tornano tranquilli a casa, consapevoli di due cose.

    Prima di tre giorni nessuno verrà a cercarli

    I prossimi giorni saranno frenetici

    Quindi meglio riposare almeno una notte.

    Scappano diretti in camera dopo un veloce saluto ai genitori di Luca.

    Mangiano i due panini che la madre gli porta ha preparato.

    Si mettono al letto, naturalmente dopo aver fumato almeno sette canne...senza quasi parlare, ognuno perso nei propri pensieri.

    Luca chiude gli occhi esausto, poi d’improvviso gli balena in testa un pensiero, che gli toglie il fiato come un marinaio che, dopo essersi salvato da un naufragio, arriva su un isola popolata da cannibali.

    «La macchina era sotto casa mia, io l’ho portato dai vigili, verranno anche da me!»

    È preso dal panico, si drizza sul letto, scatta su come una tagliola.

    «Marco cazzo! Verranno da me! Io non ce la faccio, io… io non posso partire cosí! L’università, mia madre, Maria... cosa dico a Maria? Quelli mi ammazzano! Io non sono come te… Lo Zozzoso... m’accid… »

    Luca si ferma si gira verso Marco, respira affannosamente, aspetta un segno, una voce, una via d’uscita.

    Marco neanche si gira, sospira, resta con gli occhi chiusi.

    «Digli che non ne sapevi nulla – dice con voce calma e tranquilla – Non dovevi per forza saperne qualcosa. Casa a Bologna é pulita, e tu credo hai messo abbastanza soldi da parte negli ultimi anni, no? Se ti serve un avvocato te ne puoi trovare uno buono»

    «Sisi non sono i soldi il problema... Ma se loro...»

    «Ma se… forse... può darsi. Dei se e dei dopo sono pieni i mari – lo interrompe Marco – stai tranquillo e dormi che non sei di certo tu quello che deve preoccuparsi, anzi, pensiamo alle cose serie: il numero di Geranio per i biglietti lo hai?»

    «Sì, ma ti sembra il caso di prendere il biglietto da lui?»

    Marco spalanca gli occhi infastidito dalla stupidità dell’amico.

    «Orco dio non capisci proprio una mazza? – dice Marco con tono infastidito a denti stretti – Pensi che vada in agenzia a dare i miei dati? Documenti? Magari porto direttamente il numero di mio cugino agli sbirri? Così mi rintracciano prima, no? Dormi va che é meglio... sennò mi fai passare il sonno! Buonanotte»

    Luca non é del tutto convinto, ricambia e spegne la luce.

    Marco a male pena dorme e nei pochi momenti di abbandono fa sogni contorti, un intreccio di polizia che lo insegue, botte, celle, detenuti violenti, gole tagliate…

    Luca non dorme affatto. Continua ininterrottamente a immaginare e il momento in cui gli sbirri avrebbero suonato alla sua porta chiedendogli spiegazioni su quell’auto trovata sotto casa sua.

    CAPITOLO 4

    La Piscina Okkupata

    «Ohi cugí... che dici... sisi io tutta post, tu? Mm... mm... hehehe... davvero? Sì, sì, li conosco... va beh dai tanto mi racconti tutto di persona che domani ci vediamo. Sì, sto passando a trovarti... no, nooo. Ti ho detto no! É tutto a posto... sì. Dai... ti chiamo domani appena arrivo... siì… ciáciá!»

    Luca lo fissa per tutto il tempo della telefonata, poggiato su un albero, fuori dalla cabina. È nervoso... e chi non lo sarebbe? Si guarda intorno continuamente, si muove come un annaffiatoio da giardino, gira su se stesso e muove la testa sui lati con scatti veloci e fuma, fuma una sigaretta dopo l’altra, in fin dei conti la macchina é stata trovata sotto casa sua... per non dire che Marco é suo ospite.

    Se Marco cade, io ne pagherò le conseguenze, pensa.

    Marco aggancia. Esce dalla cabina.

    «Beh, che dice?»

    «Eh che cazzo deve dire? » urla Marco sbattendo la porta della cabina.

    Se Luca é teso, Marco é una corda di violino, che tiene sospesi due elefanti, che stanno sospesi su una fossa piena di topolini... una bella situazione di merda!

    «Dice che mi aspetta. Dice che cosa hai combinato? Come mai vieni a trovarmi in sto periodo? S fatt nu casin? Questo dice!»

    Luca lo guarda con gli occhi sbarrati.

    «Che fai ora?» dice nervosamente.

    «Cazzo Luca! Cazzo... non mi stai proprio a sentire? – urla Marco scuotendo le braccia –Vado alla Piscina a beccare Geranio… te l’avevo già detto!»

    Casa di Geranio, se casa si può definire una vecchia piscina, é La Piscina Okkupata, uno storico squat di Foggia, ex piscina, ora appunto occupata.

    Marco decide di andare lì da solo.

    «Meglio se non ci facciamo vedere troppo insieme!»

    Luca annuisce nervoso scuotendo tutto il corpo. Non lascerebbe mai Marco solo in un momento del genere, ma se é lui a chiederlo non ha problemi ad assecondarlo.

    Luca corre a casa; prima di sera avrà già preparato la valigia per essere in viaggio verso Bologna prima dell’alba, dando come scusa ai genitori un fantomatico corso. Con la voglia solo di scappare lontano da Foggia, da Marco, dal pensiero degli sbirri alla sua porta…

    Nel frattempo il nostro anti eroe ha raggiunto la sua meta.

    La Piscina Okkupata é un gran bel posto… Marco si é fatto un sacco di serate lì dentro, concerti, rave... o semplicemente nottate a vagare in trip nei labirintici sotterranei.

    Ma non é quello il giorno, non é il momento di pensare ai bei ricordi.

    Futuro, sopravvivenza, libertà, sono gli unici pensieri nella sua testa.

    Attraversa rapido il parcheggio.

    «Moooo Marcuzz... vi qua a fmma stu cirrummm!»

    La voce arriva da un furgone posteggiato sotto un albero, nel parcheggio della piscina, seduti fuori al sole ci sono due punkabbestia baresi. Sergio Lo Straccio, e Stefano Molotov. Scalzi, piedi di colore tendente al nero catrame, jeans tagliati alle caviglie uno, pantaloni di pelle l’altro. A petto nudo, una serie di tatuaggi sparsi dalle gambe fino alla testa, una cresta di dread verdi uno, cresta corta e rossa l’altro. Piercing e dilatazioni conficcate qua e là, tra lobi, capezzoli e genitali, abbastanza da far saltare un metaldetector in aeroporto.

    Seduti su due sedie da mare con tanto di tavolo e ombrellone abbinato, rigorosamente rubato, come fanno intuire le scritte sui lati, allo stabilimento Calimero di San Salvo Marina. Il contrasto degli ombrelloni e delle sedie a strisce rosse e bianche coi due punkabbestia seduti sopra dà alla scena un che di film post-atomico stile Mad Max.

    Ah, dimenticavo i cinque cani seduti ai loro piedi:

    1)Krosta: dogo argentino incrociato con mastino napoletano peso 65 chili, colore bianco (sporco di macchie di grasso da meccanico) femmina. Aggressività: medio-bassa.

    2)Sprizza: pitbull incrociato con doberman nero con una piccola macchia bianca in petto, varie cicatrici cosparse sul corpo per i numerosi combattimenti atti a difendere le femmine del suo branco da eventuali corteggiatori. Peso 35/40 chili maschio. Aggressività alta.

    3)Keta e Mina: due pastori abruzzesi incrociati con lupi (almeno così dice Molotov) donatigli da un pastore sulle montagne della Marsica. Peso tra i 50 e 60 chili, colore: vedi Krosta. Cani difficili da definire, unica certezza: mai avvicinarsi al furgone di Molotov senza essere sicuri che lui sia lì. Ci sono almeno tre casi accertati di ricoveri in ospedale per morsi di cane. Femmine.

    Aggressività psicotica imprevedibile da cane pastore.

    4)Gnugna: volpino incrociato con pincher colore indefinito, macchie di vario tipo con sfumature dal nero al grigio passando per il marrone e rosso. Peso inferiore ai dieci chili. Caratteristica principale: riesce ad abbaiare ininterrottamente al sound per l’intera notte quando é a un rave, per interrompersi all’istante ai primi raggi di sole oltre a mordere la media di 5/10 persone a settimana. Femmina. Aggressività fuori controllo.

    Tutta la scena, agli occhi di Marco, ha un tocco di surreale, gli ricorda un quadro di Mateo.

    «Mo va vitt a fum’ sto lotto!»

    «No no ragá ora non ho tempo… ripasso dopo... »

    Marco sorride saluta con una mano e continua verso l’ingresso.

    Vorrebbe fermarsi, passare tutta la cazzo di giornata a bere birra della Lidl e fumare charas nepalese, ma per parecchio tempo di cilum alla Piscina non se ne parlerà proprio.

    Entra nello squat, dribbla un pitbull che abbaia a un sasso, si addentra nei corridoi, sale scale, attraversa porte aperte, chiuse, murate, spaccate… il pavimento è ricoperto di ogni tipo di oggetti, mucchi di casse, mucchi di lattine, punkabbestia che dormono su poltrone scassate... musica punk, tekno, hardcore... odori misti di fumo, acqua di rose, monnezza, cibo e merda.

    Fino ad arrivare alla stanza di Geranio.

    A rispetto del suo nome, dalla sua stanza proviene profumo di fiori, un misto tra incenso e papaveri.

    A dispetto dei colori scuri e delle scritte stile "punk not dead" e "no future 4 us!" delle pareti della piscina, la sua porta ha disegnate sopra una serie di spirali colorate stile arcobaleno, che partono dal centro e si allargano fin sui muri, con una rappresentazione di Ganesh nel mezzo.

    Bassi densi di musica ambient traspirano dalle fessure della porta.

    Marco bussa, aspetta, bussa di nuovo, aspetta ancora.Apre la porta lentamente...

    «Geranio? Ci sei? Geranio?»

    La stanza é poco illuminata. La luce filtra da spesse tende colorate che coprono le grosse vetrate che si affacciano su quella che una volta era la vasca di una piscina ora usata per i concerti.

    Al contrario del resto dello squat la camera è ordinata e pulita. Sulla destra vicino alla porta un grosso armadio marrone in legno antico intarsiato, boccette di varie forme e colore sopra ad una cassettiera di quercia grossi cuscini stile goano su cui dorme un gatto, spesse tende colorate autoprodotte in India coprono la finestra. Non manca la scrivania in legno e un soppalco con sotto tende e cuscini, un tavolo basso al centro...insomma, quasi tutto quello presente nella stanza é stato acquistato in India. Autoprodotto, naturalmente!

    Poggiate sul tavolo due scatolette, una verde e una nera, un cilum... un bong... un coltello sporco di nerofumo... un fornelletto ad alcol da campeggio.

    Ora capisco… serata di festa! pensa Marco e sorride... poi a voce alta «Fatto festa ieri sera?»

    «Mooo...ci é addó?»

    Si sente una voce arrivare da un punto indefinito del soppalco.

    Le coperte cominciano a muoversi e come una farfalla che esce dal bozzolo si vede spuntare dal groviglio di stoffe colorate una chioma di lunghi capelli bianchi. Ai capelli seguono due piccoli occhi da talpa, nasone a patata, una folta, lunga, barba bianca. Spuntano poi le due mani, che scoprono il resto del corpo avvolto da un pigiama, anch’esso bianco come le nuvole.

    Sbuca Geranio.

    Marco sorride di nuovo... Maledetto frikkettone, pensa.

    Geranio scosta le coperte fino ai piedi, si raddrizza, gambe stese, schiena dritta a 90°, braccia tese in alto, si tocca la punta dei piedi, resta fermo in quella posizione.

    Recita qualcosa a bassa voce.

    Marco lo guarda in silenzio… osserva i suoi movimenti rituali.

    Maledetti frikkettoni e le loro fisse sciamaniche. Sorride.

    Lo conosce da anni, da quando lui era un ragazzino.

    Aveva vissuto a lungo in uno squat che si trovava nella città in cui Marco era cresciuto.

    Lui, Geranio, già allora era il vecchio saggio, esempio e stimolo per tutti i giovani ragazzini con spirito ribelle.

    Marco ha passato giornate e nottate intere a parlare con lui di viaggi, filosofia, donne, religione, droghe, e su ogni cosa aveva un’esperienza da raccontare e un consiglio da dare. La cosa bella é che non lo faceva con arroganza, con saccenza. Era un’anima tormentata che aveva trovato la pace dopo essersi perso per anni nel mondo.

    Cercava solo di donare parte della sue esperienze a chi gli stava vicino.

    Mentre Marco si perde nei ricordi Geranio continua a fare strane contorsioni sul soppalco.

    Marco resta fermo sulla porta, sa che non va mai disturbato la mattina durante i suoi esercizi. Il pericolo reale non é di certo lui, non farebbe del male ad una mosca, ma il suo enorme pastore del Caucaso, che nascosto sotto il tavolo dorme. Mai entrare nella stanza di Geranio senza prima essere stati invitati da lui: si rischia di venire atterrati da Buddha, che a dispetto del suo nome, sa essere tremendamente aggressivo quando vuole, con i suoi sessanta chili ti piomba addosso, ti stende e comincia a ringhiarti a due centimetri dalla faccia.

    Marco aveva assistito ad una scena del genere.

    Era andato da Geranio con un amico il quale era entrato in stanza senza bussare. Momenti di vero terrore!

    Geranio finalmente si gira verso di lui.

    «Mooo, Marcuzz, beh? E ke c fí qui a cues’or? Intr Intr...» Geranio allunga il braccio verso di lui muovendo la mano avanti e indietro.

    Nello stesso momento che il braccio si alza Buddha esce scodinzolando da sotto il divano, si avvicina a Marco, si alza in piedi sulle zampe di dietro, gli poggia le zampe davanti sulle spalle e comincia a leccarlo.

    Nonostante Marco sia una persona atletica, fatica a non cadere a terra.

    «Dai Buddha... giù! Sì, sì… sei bravo... sei bello... MA BASTA!»

    Lo poggia di lato, gli da due botte sulla schiena, il cane scodinzola e sembra sorridere, lingua penzoloni, occhi aperti a palla.

    Geranio scende dal soppalco, spegne la musica, guarda la sveglia poggiata sul tavolo.

    «Se sei qui alle 10 punto 23 di mattina... e tu sai quanto non mi piaccia essere svegliato presto, ci deve essere un buon motivo... – prende la scatolina verde dal tavolo – Rakkunt vhá!»

    Marco racconta tutta la storia partendo dall’inizio. Dove ha preso cosa, perché, per chi, dove era imboscata, dove la doveva portare. Gli racconta delle espressioni dei vigili, dei meccanici. Vuole che Geranio sappia ogni particolare.

    Chi altri se non lui può aiutarlo in un momento del genere?

    Geranio ascolta in silenzio, nel frattempo prepara in rapida successione: una canna di white widow, un tea che serve a Marco in una tazzina di metallo lavorate, (autoprodotta in India) e poi con tutta la tranquillitá richiesta per una tale attivitá, comincia a sbriciolare lentamente un pezzo di charas all’interno di mezzo cocco levigato.

    Impasta il tabacco.

    Gira il cilum sulla mista.

    Recita qualcosa a bassa voce.

    Lo carica con calma.

    Arrotola il saffi alla base.

    Lo passa a Marco.

    Accende un fiammifero, mai usare un accendino per accendere un cilum di charas con persone come Geranio, si rischia la morte!

    «Bum Shiva Bum, Bum Shankall, Bum Kalesssssss» urla Geranio.

    Marco accende il lotto.

    Fumano.

    Un cilum di charas dopo una canna, alle undici di mattina, senza aver mangiato, manda Marco in un mondo parallelo dove tutto ondeggia lentamente. Le voci arrivano con un leggero ritardo, i pensieri si rincorrono senza per forza seguire un filo logico, lasciandolo in uno stato di sospensione, pensieri sciolti, una sensazione molto vicina alla meditazione.

    Svuotare la mente per raggiungere il Nirvana.

    Marco resta perso in se stesso accarezzando svogliatamente Buddha.

    Osserva il fumo che danza tra i raggi di sole.

    Vede folletti, vede sorrisi, dimentica per un attimo il dove, il quando, il perché… per un attimo é fuori dal tempo e per un attimo sfiora l’infinito.

    Geranio svuota il cilum.

    Il rumore della pietra che cade nel posacenere riporta Marco alla realtà.

    Sente un risucchio… l’anima viene attratta a sé dal corpo, come la polvere di metallo dalla calamita. Marco ritorna. Si ricorda dove si trova, si ricorda il perché, la vita, il tempo che passa.

    Per un attimo i troppi pensieri lo affogano.

    Ansima.

    Il panico, effetto collaterale del THC, lo assale.

    Fissa Geranio, che con il saffi arrotolato su una bacchetta per cibo cinese, pulisce tranquillamente l’interno del cilum.

    Si ferma all’improvviso. Alza lo sguardo, fissa Marco, come se potesse percepire il momento di confusione dei suoi pensieri, dice «Ogni uomo ha il suo destino, l’unico imperativo é seguirlo, accettarlo, non fa differenza dove ci porta!»

    «Wow!» balbetta Marco restando a bocca aperta. I suoi pensieri si placano, il suo respiro torna regolare.

    Non aveva mai capito se sparava frasi a caso tanto per fare l’uscita a effetto o davvero era in grado di leggere i suoi pensieri... fatto sta che Geranio nel corso degli anni aveva spesso esordito con la frase giusta al momento giusto. Geranio sorride.

    «Ti s fccat in un bel casino, eh? – Marco annuisce guardando verso terra. – Ma non é tutto perduto. Fai bene a scappare. Se non ti trovano subito, dopo un po’ non ti cercano più. La cosa più importante é non tornare» guarda Marco che si passa la mano destra sulla testa continuando a guardare a terra.

    Non tornare? Non tornare più. Dio mio… girare il mondo... un moderno Ulisse senza poter rivedere mai Itaca!

    «Mho! – dice Geranio, vedendolo silenzioso e pensieroso, si allunga verso di lui e gli dà uno scappellotto sulla testa – Guaglió... sei giovane forte e pieno di energie, nessuno che ti trattiene qui... e da quello che mi hai detto hai un bel passaporto che ti aspetta. Non trovano i mafiosi in Sicilia che si nascondono per quarant’anni nelle loro case e secondo te riescono a trovarti?»

    «Beh, in effetti hai ragione» marco sorride, alza la testa.

    «Certo che ho ragione... Tu ora non devi pensare che scappi da qualcosa, ma che finalmente sei libero di andare via, senza più freni o scuse. Viaggia... conosci... impara – dice con il suo tono calmo caldo e ritmato – La vita é un viaggio, una ricerca, vivila! Cerca la tua illuminazione.»

    Continuano a parlare, mangiare, fumare per le successive due ore senza fretta.

    Marco invece fretta ne ha. Cerca di dirlo a Geranio.

    «Scusa ma io dovrei andare, ho poco tempo... e...»

    «Gaglió... la gatt frettolos á fatt l gattin cket – dice Geranio con tono severo – Hai ancora almeno due giorni da quello che mi hai detto. E se conosco i meccanici del deposito dei vigili foggiani... se prima non gli dai i trris cu lu cazz che si decidono a cominciare i lavori sulla macchina…» e ride di gusto.

    «Tu devi stare tranquillo... t-r-a-n-q-u-i-l-l-o... mo’ vai a fare il biglietto, torni, mangiamo ‘na bella cosa, ci rilassiamo... e domani mattina si parte!» lo guarda fisso.

    Marco non parla e resta titubante.

    «Guaglió! – continua Geranio con tono serio – Se vai di fretta ti arrestano. Devi pensare velocemente e agire con calma. Si viaggia sempre di giorno, di notte gli sbirri non hanno niente da fare e troppo tempo per fare domande. E mimetizzati... devi sembrare una persona normale... né troppo elegante né troppo a bestia... anonimo... s capt?»

    «Seee... ho capito!» dice Marco con tono scocciato ma allegro...

    «Hai ragione. Calma e sangue freddo... vado a fare ‘sti biglietti!»

    Marco sorride e annuisce. Esce dalla Piscina. Fuori ci sono ancora i due punkabbestia seduti al sole.

    Marco li guarda. I due sono di spalle, armeggiano con il motore del furgone.

    Resta qualche secondo fermo a pensare. Ma si, va’...e quando mi ricapita più?

    «Ué giovani...» urla verso i due che si girano e guardano con aria interrogativa.

    «’Sto cilum? Non lo avete ancora preparato?»

    «Móóooo Marcú... ví...»

    Marco resta poco, il tempo di fumare e correre verso la stazione centrale dove si appresta a mettere in pratica la prima delle operazioni che porteranno alla preparazione di biglietti ferroviari falsi:

    Fase 1

    Recarsi alla biglietteria davanti alla stazione centrale, dove ancora fanno a mano i biglietti internazionali.

    Fase 2

    Accertarsi con rapida sbirciata dalla vetrina, se allo sportello si trova Alice, assidua frequentatrice della Piscina, che non calca quando scrive...e ti fa un sorrisino complice quando ordini il Milano-Lugano.

    Fase 3

    Comprare: stuzzicadenti, cotton fioc, candeggina, matita rossa/blu punta media, taglierino.

    Fase 4

    Recuperare un vecchio biglietto del treno con partenza Foggia centrale.

    Fase 5

    Portare tutto a Geranio.

    A questo punto Geranio, dopo aver bruciato la parte anteriore del biglietto, con precisione da amanuense medioevale, cancella con lo stuzzicadenti intinto nella candeggina le lettere scritte nella parte interna del biglietto e tampona con il cotton fioc per evitare che la candeggina lasci macchie sul biglietto.

    Magicamente il Milano-Lugano si trasforma in un biglietto vergine pronto a ricevere la sua nuova destinazione.

    Lo osserva un po’ in controluce tenendolo dai due angoli alti. Lo lascia ad asciugare. Ricalca col taglierino il timbro del vecchio biglietto sul nuovo per simulare il primo controllo del biglietto da parte del controllore.

    N.B. I biglietti del treno per viaggi internazionali sono composti da due fogli: il primo viene staccato al primo controllo e il biglietto viene timbrato, timbro con codice della città di partenza impresso sopra. Ecco il perché del lavoro appena descritto.

    Fase 7

    «Beh? – dice Geranio – Dove vuoi andare?»

    Marco alza la testa, guarda Geranio.

    «Cazzo vero... dove vado ora?»

    Dove può andare in Europa un italiano che parla inglese (male) e che ha bisogno di fare soldi in fretta? Dove può andare una persona che negli ultimi due anni ha venduto massicce quantità di erba, L.S.D. e fumo?

    Dove la polizia non sia troppo aggressiva

    Dove non faccia troppe domande

    Dove ci siano persone amiche che non facciano troppe domande, ma sopratutto…

    Dove si possano fare soldi in fretta e in maniera totalmente illegale.

    La risposta é scontata! Chiaramente, la Venezia del Nord.

    Ma Marco ha troppi pensieri nella testa e non riesce a pensare così in fretta...

    Dove cazzo posso andare? pensa.

    Guarda in basso verso il tavolo.

    Vede un cilum, le cartine.

    In mano ha il cocco con la mista.

    Nell’altra un accendino con un cane rappresentato sopra, un bulldog per essere precisi.

    Sorride...

    Direi che é un segno, pensa.

    «Beh, un bel Foggia-Amsterdam – fa l’occhiolino a Geranio – Andata e ritorno, come ai vecchi tempi!»

    Geranio scuote la testa e sorride.

    «Senti Gerá, sono un po’ stanco, mi riposo un attimo...»

    Geranio annuisce e continua a lavorare sul biglietto.

    Marco chiude gli occhi.

    Dopo cinque minuti già dorme, cullato dalla calda e avvolgente musica degli Orb.

    CAPITOLO 5

    Il TT barese e le scimmie Indiane

    Il resto della giornata passa veloce, almeno per Marco, visto che si è addormentato come un bambino.

    Dorme per più di quattro ore, stavolta fa sogni tranquilli.

    Sogna una festa.

    Sogna musica tekno.

    Sogna la ragazza dai capelli biondi conosciuta pochi giorni prima.

    Sogna un prato di soffioni.

    Sogna di essere sospeso nel nulla.

    Nella luce.

    Fluttua in un caldo denso limbo fuori dal tempo, é felice.

    Si sveglia attirato da un profumo lontano. Il suo naso lo richiama alla vita.

    Un caldo profumo di Zuppa.

    La cena é pronta.

    Mangiano.

    Parlano, ridono, amici, donne, ricordi felici.

    Parlano di tutto tranne che dell’auto nel deposito.

    «Beh, – dice Geranio prendendo la scatola nera dal tavolo – ora é il momento di rilassarci un po’…»

    «Ma Gerà, io veramente non dovrei… io… non so se…»

    balbetta Marco, ma l’altro non gli lascia neanche finire la frase.

    «Mo uaglió! C’t só ditt? T’ada ste calm, DEVI STARE CALMO! Sennò zakkete!» e si passa la mano sul collo tenendo il mento verso l’alto, come se si stesse tagliando il collo con un rasoio.

    «Beh, - dice Marco sorridendo - due scoltellate mi possono solo fare bene, sono ancora le nove, dormo e parto domani mattina presto rilassato e tranquillo!»

    «Mhó… vid? Mó si capit, scanthi uaglió!»

    Marco si stende sulla poltrona, si sfila le scarpe, poggia i piedi sul pouf davanti a lui, mani incrociate dietro la testa e come cuscino Buddha che dorme tranquillo. Puoi fargli qualunque cosa, tanto quel cane non reagisce a nulla. Lo ha visto giocare con tre bambini che gli tiravano la coda e le orecchie, gli saltavano sopra e lui tranquillo come una pecora e quando esageravano li scostava con una testata o scrollando le spalle. Nulla a che vedere con la volta che aveva morso un tipo alle palle!

    Un tossico era entrato in camera di Geranio senza il suo permesso, anzi ad esser precisi lui non c’era e il tossico, trovando la stanza aperta e nessuno dentro, aveva probabilmente pensato di fottergli qualcosa. Buddha gli era arrivato da dietro strisciando felino, gli ha strappato i pantaloni e parte dello scroto con un morso. Il tossico é cade a terra urlando come un pazzo mentre Buddha nel frattempo gli era salito sopra e ringhiava. Ci sono voluti Molotov e Sergio che, allertati dalle urla, erano corsi sopra per tirar via Buddha e portare via il tossico urlante. Solo loro che conoscevano bene il cane potevano avere il coraggio di prendere una bestia di sessanta chili che ringhia a denti aperti!

    Quando hanno raccontato la storia a Geranio, che era fuori a fare la spesa mentre tutto questo avveniva, lui ha sentenziato «Se entri in casa di estranei senza essere invitato, non puoi lamentarti dopo».

    Geranio apre la scatolina nera. La alza sopra testa con le due mani, abbassa la testa chiude gli occhi.

    Un intenso odore di papavero si spande nella stanza. Recita qualcosa a voce bassa, la poggia sul tavolo, mette l’alcol sul fornelletto, poggia il coltello sul fuoco, tira fuori una pallina nera dalla scatola e la poggia sul fondo giá nero e bruciato di un caffettiera girata. Prende il collo di una bottiglia di plastica tagliata, lunghezza circa dieci centimetri, pratica un leggero taglio di forma quadrata sul lato destro, prende il coltello dal fornello diventato incandescente, lo preme sulla pallina poggiata sulla caffettiera tenendoci sopra la bottiglia tagliata.

    Aspira con forza dal buco da cui solitamente si beve.

    Si lascia andare all’indietro.

    Trattiene.

    Espira lentamente.

    Marco lo guarda in silenzio.

    Segue i suoi movimenti per tutto il tempo, pregustando la sensazione di torpore che presto lo avvolgerà.

    Geranio si risolleva.

    «Fum Marcú, fum che ti rilassi un po’!» e gli porge il collo di bottiglia.

    Marco ripete la procedura.

    Sente il fumo caldo scendergli nei polmoni come una bomba che esplode.

    Trattiene la voglia di tossire.

    Sente una sensazione di calore partire da dietro il collo alla base della nuca.

    Il calore si espande come un’onda in tutto il corpo.

    I pensieri rallentano, i pensieri si sciolgono in un’ampolla…si perdono nella nebbia!

    I problemi sono gatti che camminano morbidi su un mare di ovatta.

    L’operazione viene ripetuta, bottiglia e coltello vanno dall’uno all’altro, due, tre, quattro, cinque volte.

    «Mó però avast – dice Geranio – sennò domani non ti svegli!»

    «Mmh…n’atr dai!»

    Geranio lo fissa serio.

    «E va be’, dai!» dice Marco, con tono di rassegnazione.

    É sempre difficile dire STOP nel mezzo di una bella fumata d’oppio, ma d’altronde non si arriva a vivere più di sessanta anni di vita, se non si sta attenti a non esagerare

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