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La mia vita con Lenin: Il lungo cammino della rivoluzione sovietica raccontato attraverso le lotte vissute in prima persona dai suoi protagonisti
La mia vita con Lenin: Il lungo cammino della rivoluzione sovietica raccontato attraverso le lotte vissute in prima persona dai suoi protagonisti
La mia vita con Lenin: Il lungo cammino della rivoluzione sovietica raccontato attraverso le lotte vissute in prima persona dai suoi protagonisti
E-book422 pagine7 ore

La mia vita con Lenin: Il lungo cammino della rivoluzione sovietica raccontato attraverso le lotte vissute in prima persona dai suoi protagonisti

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Info su questo ebook

Correva l’anno 1894 quando, in quel di Pietroburgo, Nadežda Konstantinovna Krupskaja, giovane maestra di idee rivoluzionarie, incontrò Vladimir Lenin, arrivato da poco in città ma già noto per gli scritti con cui riusciva a trasmettere agli operai e agli intellettuali il vero «spirito vivente del marxismo».
Insieme, Vladimir Lenin e Nadežda Krupskaja ebbero il tempo di dare vita all’organizzazione “Unione di lotta per l’emancipazione della classe operaia” prima di essere intercettati dalla polizia zarista e condannati alla deportazione.
Sarà proprio in Siberia, in effetti, che i due militanti sceglieranno di sposarsi, condividendo, da quel momento in poi, una vita interamente votata alla causa del socialismo.
La dura repressione zarista, la faticosa propaganda clandestina, l’inesorabile lotta per la difesa dei principi bolscevichi ma, al culmine di incredibili sforzi e fughe in tutta Europa, anche gli eventi che condurranno alla Rivoluzione d’Ottobre, sono solo alcuni dei fili conduttori del libro.
Autentico classico del movimento operaio, “La mia vita con Lenin” è un documento di imprescindibile valore storico e letterario e, al tempo stesso, la testimonianza in prima persona di un’avventura umana e politica destinata a cambiare il mondo.
LinguaItaliano
Data di uscita22 gen 2024
ISBN9788867184118
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    Anteprima del libro

    La mia vita con Lenin - Nadežda K. Krupskaja

    LA MIA VITA CON LENIN: INTRODUZIONE ALLA LETTURA

    «La vita umana diventa più ricca, più interessante, più luminosa quando la causa comune viene considerata personale».

    «Il marxismo mi ha dato la felicità più grande che una persona possa sognare: sapere dove andare, la quieta fiducia nell’esito finale della causa a cui si è legata la propria vita».

    Nadežda Kostantinovna Krupskaja (1869-1939), nella prefazione alla seconda edizione russa di La mia vita con Lenin di cui è autrice, scrive: «Questi ricordi hanno lo scopo di dare un quadro delle condizioni in cui Vladimir Ilic visse e lavorò».

    Credo che la sua affermazione colpisca quelli di noi che leggono il suo libro a più di cento anni di distanza dagli eventi raccontati, per lo meno chi è cresciuto nel periodo della decadenza e della dissoluzione di gran parte dei primi paesi socialisti: fase iniziata con l’ascesa, nel 1956, dei revisionisti moderni al potere nel primo di essi, l’Unione Sovietica, la base rossa mondiale della rivoluzione proletaria per circa quarant’anni.

    In particolare, credo che quella della Krupskaja sia un’affermazione che colpisce noi, lettrici donne, cresciute nella fase dell’eliminazione o per lo meno dell’attacco alle conquiste di emancipazione strappate nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria (1917-1976) e della chiusura del movimento rivendicativo delle donne nell’orizzonte dei rapporti sociali capitalisti: una chiusura che caratterizza gli attuali movimenti femministi.

    La semplice frase dell’autrice di questo libro colpisce per il senso che racchiude e che assume ancora più valore oggi proprio perché rivolta a noi, immersi nella fase acuta e terminale della seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale (un’espressione sul cui senso rimando ai numeri 0, 5-6, 8 e 12-12 della rivista Rapporti Sociali e nella letteratura del (nuovo) Partito comunista italiano: www.nuovopci.it). Specificatamente, la frase della Krupskaja che continuiamo a citare, parla a quei lettori che ancora non hanno trovato risposta alla domanda su cosa fare qui ed ora e che si chiedono se è possibile qui e ora fare qualcosa per cambiare il corso catastrofico delle cose. Non è un caso, d’altra parte, se gli eventi di cui la Kupskaja scrive sono accaduti anch’essi nel corso di una crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale, la prima, iniziata negli ultimi decenni dell’Ottocento e conclusasi nel 1945 con la vittoria dell’Unione Sovietica e del movimento comunista sulla coalizione delle forze reazionarie promossa dai nazifascisti.

    La vittoria nello scontro promosso dai nazifascisti è l’apice raggiunto da un’ondata rivoluzionaria mondiale alla testa della quale emergono alcuni grandi dirigenti rivoluzionari, in primo luogo Lenin. Orbene Nadežda Krupskaja ci racconta fatti e aneddoti che dimostrano una verità fondamentale: i comunisti, i grandi dirigenti rivoluzionari, finanche il più grande e il più amato tra di essi, Lenin, era un uomo in carne e ossa! La propaganda borghese ha provato e prova in ogni modo a denigrare figure come Lenin oppure a mitizzarle per farne feticci buoni da vendere sulle bancarelle dei cimeli d’epoca, come eroi di fumetti frutto della fantasia di bambini cresciuti.

    Al contrario, il racconto della compagna Nadežda restituisce umanità al massimo dirigente dell’impresa più grande e gloriosa compiuta finora dagli uomini. Ci mostra in qualche modo che anche ciascuno di noi, uomini e donne in carne e ossa, può contribuire a fare la storia e contribuisce di fatto a fare la storia tutti i giorni, con le proprie scelte e le proprie azioni.

    Il compagno Lenin e la compagna Krupskaja non sono alieni né degli unti dal signore. Sono prodotti del loro tempo, sono il risultato, da un lato, della lotta di classe e del movimento comunista della loro epoca e, dall’altro, sono il frutto delle scelte che ciascuno di loro ha compiuto nella sua vita e delle battaglie che ha condotto per consentire alla lotta di classe di avanzare.

    Il racconto di Nadežda ci mostra che non esistono grandi uomini puri con doti speciali e irripetibili, ma uomini e donne che combattono e scelgono di combattere ogni giorno, che dedicano la loro vita a imprese collettive e che per la causa sono disposti a mettersi in discussione e a cambiare se stessi per poter assolvere ai compiti loro posti dalla lotta. I comunisti sono soggetto della trasformazione politica, economica e sociale, ma sono anche oggetto di questa trasformazione. Questa legge universale non era ancora stata scoperta dai comunisti dell’epoca di Nadežda. Questa legge è stata formulata più tardi, è uno dei maggiori apporti del maoismo al patrimonio scientifico del movimento comunista. Ma leggere alla luce delle scoperte scientifiche di oggi le vicende degli uomini di cui Nadežda scrive, è prezioso e istruttivo in particolare per chi ha fatto suo l’obiettivo di fare la rivoluzione socialista in un paese imperialista. Fare la rivoluzione socialista in un paese imperialista è un’impresa inedita, così come fare la rivoluzione socialista per la prima volta nella storia è stata un’impresa inedita per Vladimir e Nadežda. La loro storia è la nostra, ci insegna, ci conforta, ci istruisce, ci rasserena, ci sprona!

    La loro storia ci mostra che esiste una scienza per fare le cose, una scienza che è frutto dell’esperienza e dell’elaborazione dell’esperienza, una scienza che viene affinata esperimento dopo esperimento e che dunque porta la pratica a livelli sempre più avanzati.

    Nadežda Krupskaja ha dedicato la sua vita alla rivoluzione, è stata dirigente di partito e un’insegnante appassionata dalla formazione per la classe operaia e per le masse popolari. L’istruzione è stata la professione con cui è iniziato il suo impegno rivoluzionario e in un certo senso quella in cui è terminata la sua vita: quando morì nel 1939 era da dieci anni responsabile dell’Istruzione Pubblica nel governo sovietico.

    La Krupskaja non è stata la moglie di Lenin, ma una compagna comunista che ha condiviso la vita con Lenin e ce ne rende partecipi attraverso il suo racconto, scritto perchè utile ad alimentare la passione per quella causa che aveva servito e da cui aveva attinto forza per l’emancipazione, sua e di altri milioni di persone.

    Leggendo la biografia di Nadežda, si resta quindi sorpresi dalle tante imprese, dai tanti compiti, dalle tante battaglie affrontate, perchè ci si aspetta di trovare una donna fedele compagna e guardiana del focolare dell’uomo, massimo rivoluzionario del Novecento. La propaganda borghese, attraverso film e racconti, ce la presenta così, come la moglie di Lenin, perchè non può essere altrimenti nella concezione del mondo dei borghesi o in quella dei preti loro sodali.

    Eppure, probabilmente, ciò che sorprenderà di più la lettrice che aspira all’emancipazione è la caratura intellettuale e morale di questa compagna, dirigente del movimento comunista, che non si preoccupa di essere etichettata come la moglie di e, anzi, scrive un libro dal titolo La mia vita con Lenin! Non se ne preoccupa perchè ai fini che si poneva, questi rischi erano del tutto secondari e trascurabili: al centro di tutto il suo racconto, lei non pone se stessa e nemmeno Lenin, al centro pone la lotta di classe e quanto necessario a farla avanzare. Questo è un insegnamento che va oltre le apparenze ed è concreto esercizio del principio secondo cui l’emancipazione delle donne avviene nella lotta di classe e dipende dall’esito della lotta di classe. Nadežda, col suo esempio, dimostra che è così e, al contempo, fa piazza pulita di pregiudizi e forme di certo femminismo, che rigetta il movimento comunista e si attarda a sperare ancora in una rivoluzione borghese compiuta per ottenere pari diritti (in un’ottica interclassista dunque), dimenticando che non è un caso se il primo stato socialista della storia è stato il pioniere a livello mondiale del riconoscimento, prima, e della pratica, poi, dei diritti delle donne e che i paesi capitalisti sono stati costretti a rincorrerlo anche su questo terreno, proprio per evitare impietosi paragoni e rivolte che potessero finire male (cioè alimentare in casa propria il movimento comunista). Oggi, in Italia come in altri paesi imperialisti, esiste una mobilitazione contro la violenza di genere, in difesa delle conquiste del passato e per l’affermazione di nuovi diritti, ma è depotenziata dalla debolezza non ancora superata della prospettiva rivoluzionaria, dalla debolezza del progetto di una società che vada oltre l’orizzonte dei rapporti sociali borghesi fondati sul modo di produzione capitalista, quindi di una società in cui quei diritti civili possano effettivamente e praticamente essere esercitati (prospettiva che nel nostro paese non può prescindere dall’eliminazione del Vaticano!).

    Andando avanti, la terza cosa che non potrà lasciare indifferenti i lettori è la serenità che traspare dalle parole con cui Nadežda ripercorre un’intera vita, la soddisfazione e la gioia nonostante le sofferenze e i sacrifici che indubbiamente la vita che ha vissuto ha significato e richiesto. Nadežda è felice perché ha vissuto un’esistenza piena di impegno e proiettata verso il futuro. La sua non è la felicità del borghese che può permettersi di non lavorare perchè vive sulle spalle delle masse popolari. Non è la libertà che offrono le brillanti pubblicità passate in TV o su internet. Non consiste nella possibilità di evadere dalla realtà con droghe e alcool. Non è smettere di pensare.

    Nadežda ci mostra che facendo ciò che era necessario fare, ha trovato il senso della sua vita e la gioia che solo essere parte di un tutto può dare. Vivere in armonia con gli altri, muoversi con gli altri verso la medesima direzione costruttrice di un mondo migliore, è la felicità e al contempo l’antidoto ai mali del nostro tempo di seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale.

    Anche per questo vale la pena leggere questo racconto, anche per questo è necessario far rinascere e rafforzare il movimento comunista.

    FABIOLA D’ALIESIO

    Napoli, 20 novembre 2018

    PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE RUSSA

    Questi ricordi hanno lo scopo di dare un quadro delle condizioni in cui Vladimir Il’ič visse e lavorò.

    La prima parte riguarda il periodo che va dal 1894, cioè dal momento del mio primo incontro con Vladimir Il’ič, fino al 1894, cioè al tempo della seconda emigrazione. Vi sono compresi i ricordi sul lavoro a Pietroburgo, sul periodo della deportazione, sugli anni trascorsi a Monaco e Londra al tempo della nostra prima emigrazione, sul periodo prima e dopo il II Congresso del partito e sul II Congresso 1 stesso, fino al 1905; vengono poi i ricordi sul 1905 all’estero, sul 1905 a Pietroburgo e infine quelli riguardanti gli anni 1906 -1907.

    Per la maggior parte questi ricordi sono già apparsi sulla Pravda. 2 In seguito alcuni di essi sono stati pubblicati in una raccolta curata dalla Pravda e poi in un altro volume pubblicato dalle Edizioni di Stato (1926). Ora i ricordi sono stati ampliati e riveduti.

    La seconda parte dei ricordi riguarda la seconda emigrazione (dal 1908 al 1914), l’epoca della guerra imperialista e il periodo successivo al ritorno dall’emigrazione, avvenuto nell’aprile 1917.

    N.KRUPSKAJA

    PARTE PRIMA

    1893-1894

    Vladimir Il’ič venne a Pietroburgo nell’autunno del 1893, ma io non lo conobbi subito. Sentii parlare i compagni dell’arrivo dal Volga di un marxista estremamente colto: più tardi ricevetti un quaderno molto usato dal titolo A proposito della cosiddetta questione dei mercati . 3 Il quaderno conteneva, da una parte, le opinioni del nostro marxista di Pietroburgo, il tecnologo Herman Krasin, dall’altra le opinioni del forestiero. Era piegato nel senso della lunghezza, sull’una delle metà Krasin aveva scritto, con una calligrafia disordinata e con molte cancellature e aggiunte, i suoi pensieri; a fronte, il nuovo arrivato aveva annotato le sue osservazioni e obiezioni con calligrafia accurata e senza alcuna cancellatura.

    Nei circoli marxisti di Pietroburgo cominciava in quel tempo a svilupparsi una nuova corrente. I suoi rappresentanti concepivano il processo dello sviluppo sociale come qualcosa di meccanico e di schematico. La funzione delle masse, il compito del proletariato, scomparivano completamente in questa concezione dello sviluppo sociale. La dialettica rivoluzionaria del marxismo veniva spazzata via e di essa rimanevano sole le fasi di sviluppo, schematiche e senza vita. Oggi certamente ogni marxista sarebbe in grado di confutare una simile concezione meccanicistica, ma allora veniva discussa vivacemente nei nostri circoli marxisti pietroburghesi. In realtà non eravamo ancora sufficientemente preparati per affrontare un simile dibattito: molti di noi, per esempio, non conoscevano, oltre al primo volume del Capitale, null’altro di Marx, neppure il Manifesto del Partito comunista. Tuttavia intuivamo che la concezione meccanicistica contrastava apertamente con lo spirito vivente del marxismo. La questione dei mercati era strettamente legata al problema generale della concezione del marxismo ed era vista, di solito, in modo del tutto astratto dai partigiani del meccanicismo.

    Da allora sono passati più di trent’anni. Il quaderno in questione è purtroppo andato perduto. Posso solo raccontare che effetto produsse su noi. Il nuovo venuto poneva la questione in modo del tutto concreto; la collegava con gli interessi delle masse e tutto il suo modo di argomentare rivelava il vero marxista, il quale concepisce ogni fenomeno in un dato ambiente concreto e nel suo sviluppo.

    Tutti desideravamo conoscere il nuovo arrivato e le sue opinioni. Io vidi Vladimir Il’ič per la prima volta a carnevale. Era stato deciso di organizzare a Ockta, presso l’ingegner Klasson, un autorevole compagno col cui avevo lavorato due anni prima in un circolo marxista, un incontro di alcuni marxisti di Pietroburgo col forestiero. Per mascherare il carattere della riunione si era preparato un pranzo di carnevale a base di frittelle. A questa riunione parteciparono, oltre a Vladimir Il’ič, Klasson, Y. P. Korobko, Serebrovsky, S. I. Radchenko e altri. Anche Potresov e Struve erano attesi; ma, credo, non vennero. Un episodio mi è rimasto impresso. Si parlava della via che bisognava prendere. Uno dei presenti – credo Shevlyagin uscì a dire che giudicava decisivo il lavoro nell’Unione per l’istruzione elementare. Il’ič si mise a ridere e la sua risata suonò secca e cattiva. Non lo sentii più, in seguito, ridere in quella maniera.

    «Ebbene, perché no? Se qualcuno vuole salvare la patria attraverso l’Unione per l’istruzione elementare, lo faccia pure, noi non lo impediremo».

    Non bisogna dimenticare che la nostra generazione nella sua gioventù era stata già testimone dell’urto dei populisti contro lo zarismo e aveva visto come la società liberale, che prima non perdeva occasione per dimostrare la sua grande simpatia ai populisti, dopo la distruzione del Narodnaja Volja, 4 si era ritirata vigliaccamente, temendo ogni movimento e sostenendo la necessità del lavoro spicciolo. L’osservazione piuttosto aspra di Il’ič era perciò comprensibile. Era venuto per concludere accordi sul come condurre la lotta in comune e gli si rispondeva di diffondere gli opuscoli dell’Unione per l’istruzione elementare!

    Più tardi, quando già ci conoscevamo meglio, Il’ič mi parlò del contegno della «buona società» in occasione dell’arresto del fratello maggiore. 5 Tutti i conoscenti avevano allora cessato di frequentare la famiglia Ulianov. Persino il vecchio maestro, che veniva tutte le sere a giocare a scacchi, aveva troncato le sue visite. Allora non c’era ancora una linea ferroviaria fino a Simbirsk e la madre di Il’ič dovette viaggiare in carrozza fino a Sisranj per raggiungere Pietroburgo, dove suo figlio era in prigione. Il’ič cercò una persona che l’accompagnasse nel viaggio ma non trovò nessuno disposto a viaggiare con la madre di un detenuto. Questa vigliaccheria generale aveva prodotto su Il’ič, come mi raccontò, una profonda impressione. E l’esperienza giovanile aveva senza dubbio fortemente influenzato la considerazione che Il’ič aveva della buona società, dei liberali, di cui aveva imparato presto a valutare le chiacchiere nel modo giusto.

    Nell’autunno dello stesso anno, Il’ič scrisse nel suo articolo Il contenuto economico del populismo e la sua critica nel libro del signor Struve: 6 «La borghesia domina sia nella vita che nella società. A quanto sembra si dovrebbero voltare le spalle alla società e andare verso gli antipodi della borghesia». E più oltre: «Voi (populisti)… attribuite il desiderio di difendere i borghesi a chi esige che gli ideologi della classe lavoratrice rompano completamente con questi elementi e servano esclusivamente chi si è differenziato dalla vita della società borghese».

    È generalmente nota l’opinione di Il’ič sui liberali, la sua diffidenza verso di loro. Ho citato qui solo poche frasi dagli scritti di Lenin del periodo in cui si tenne la riunione nella casa di Klasson.

    Nel pranzo di carnevale non si concluse naturalmente nulla. Il’ič parlò poco e osservò molto i singoli intervenuti. Sotto gli sguardi scrutatori di Il’ič, i nostri marxisti si sentirono a disagio.

    Ricordo di aver inteso Il’ič parlare di suo fratello per la prima volta una sera mentre tornavamo a casa lungo la Neva.

    Il’ič era molto attaccato a suo fratello. Avevano molte inclinazioni comuni; ambedue sentivano la necessità di essere spesso soli per potersi concentrare. Abitarono quasi sempre insieme e, per qualche tempo, in un’ala separata della casa. Quando qualcuno dei loro numerosi coetanei, dei molti nipoti e cugini, veniva a trovarli, i ragazzi lo accoglievano volentieri con l’espressione: «Ameremmo la vostra assenza». Ambedue i fratelli sapevano lavorare con costanza e con spirito rivoluzionario. Ma probabilmente la differenza d’età influì sul loro rapporto. Alexandr Il’ič, infatti, non parlava di tutto con Vladimir Il’ič.

    Il’ič mi raccontò anche il seguente episodio. Il fratello era studente in scienze naturali. Quando venne a casa, l’ultima estate, preparò una tesi sui vermi e passò quasi tutto il tempo al microscopio. Per approfittare il più possibile della luce del giorno, si alzava all’alba e cominciava subito a lavorare. «Mio fratello non diventerà mai un rivoluzionario, pensavo io allora, - mi raccontò Il’ič - non è possibile che un rivoluzionario dedichi tanto tempo allo studio dei vermi!».

    Presto si accorse di essersi sbagliato.

    Il destino tragico del fratello produsse senza dubbio una profonda impressione su Il’ič. Una grande importanza ha il fatto che Il’ič pensava già da allora in modo indipendente su molte cose e aveva una propria autonomia di giudizio sui problemi della lotta rivoluzionaria. Se non fosse stato cosi, la sorte di suo fratello non avrebbe provocato in lui che un profondo dolore o, nella migliore delle ipotesi, la decisione di prendere la stessa via del fratello. Ma in quelle circostanze, il destino del fratello sviluppò in lui un’insolita padronanza di sé e la capacità di guardare in faccia la realtà, di non lasciarsi trasportare neanche un momento da frasi e illusioni e di affrontare con il massimo rigore lo studio di tutte le questioni.

    1894-1898

    Nell’autunno del 1894, Il’ič lesse nel nostro circolo il suo scritto Che cosa sono gli amici del popolo e come lottano contro i socialdemocratici? 7 Ricordo ancora la grande impressione che ci fece. Erano indicati con una chiarezza insolita gli scopi della lotta. Gli amici del popolo circolò in seguito, moltiplicato con il ciclostile, nella serie Quaderni gialli , da mano a mano. L’autore non era indicato. Ebbe una diffusione abbastanza larga e fece senza dubbio un’impressione profonda sulla gioventù marxista di quel periodo. Nel 1896, trovandomi a Poltava, Rumyantsiev, allora attivo socialdemocratico, appena rilasciato dal carcere definì Gli amici del popolo come la critica migliore, più ampia e più precisa del populismo dal punto di vista della socialdemocrazia rivoluzionaria.

    Nell’inverno del 1894 -95 ebbi modo di conoscere meglio Il’ič. Svolgeva la sua attività nei circoli operai al di là della Porta Nevskij e io ero già al quarto anno d’insegnamento nella scuola serale domenicale di Smolensk e conoscevo bene la vita di tutto il rione. Un buon numero di operai del circolo di Il’ič erano miei allievi in quella scuola: Babuškin, 8 Borovkov, Gribakin, i fratelli Bodrov (Arseny e Filip), Zhukov e altri. La scuola domenicale offriva allora ottime possibilità per studiare esaurientemente la vita, le condizioni di lavoro e lo stato d’animo delle masse operaie. La scuola di Smolensk era frequentata da circa seicento allievi, senza contare i corsi serali tecnici, l’annessa scuola femminile e la scuola di Obukhov.

    Gli operai avevano fiducia illimitata nelle maestre. L’arcigno guardiano del deposito di legname di Gromov annunciava alla maestra con faccia radiosa la nascita di un bimbo. Un operaio tessile tubercolotico le augurava, per avergli insegnato a leggere e a scrivere, un bel fidanzato. Un operaio, che apparteneva a una setta religiosa ed era vissuto nella continua ricerca di Dio, le scriveva molto soddisfatto di aver saputo, solo nella settimana di Passione, da Rudakov, un operaio anch’egli allievo della scuola serale, che non si può immaginare nulla di peggio che l’essere schiavi di Dio. A lui non si può sfuggire. È preferibile essere schiavi degli uomini: gli uomini si possono almeno combattere. Un operaio dei tabacchi, che si ubriacava tutte le domeniche fino a perdere la conoscenza ed era così impregnato di puzzo di tabacco che faceva venire il capogiro quando mi chinavo sopra il suo quaderno, scriveva con calligrafia incerta e tralasciando la maggior parte delle vocali di aver trovato per strada una bimba di tre anni e di averla portata a casa sua; veramente avrebbe dovuto portarla dalla polizia, ma gli aveva fatto troppa pena. Un ex soldato con la gamba di legno raccontò un giorno che un certo Mikhail, che un anno prima aveva partecipato ai corsi, era morto a causa di un accidente sopravvenutogli alzando un peso: «Si è ricordato di lei anche morendo, le manda tanti saluti e le augura una lunga vita». Un operaio tessile, fedele corpo e anima allo zar e ai pope, ci mise in guardia da «un tipo bruno che gironzola continuamente nella Gorokhovaia». 9

    Un operaio anziano mi fece sapere che non poteva dimettersi dalla carica di «decano della chiesa» perché i pope ingannano in modo vergognoso il popolo e bisogna vigilare sul loro operato.

    Gli operai già organizzati frequentavano la scuola per osservare le singole persone e per vedere quali potevano essere attratte nei circoli o reclutate nell’organizzazione. Per loro le maestre non erano però tutte uguali perché sapevano ben distinguere le idee politiche di ciascuna. Appena riconoscevano una dei loro, cercavano subito di farsi notare con qualche osservazione. Così, per esempio, nel trattare la questione dell’industria a domicilio, osservavano: «L’artigiano non è in grado di resistere alla concorrenza della grande industria». O ponevano la domanda: «Che differenza c’è fra la vita di un operaio di Pietroburgo e quella di un contadino di Arcangelo?».

    Quando incontravano la maestra, la salutavano in modo speciale, e nel loro saluto e nei loro occhi si leggeva: «Ti abbiamo riconosciuta. Sei dei nostri».

    Gli operai parlavano di tutto ciò che avveniva nel loro rione; sapevano che la maestra avrebbe poi trasmesso le notizie all’organizzazione.

    Esisteva, insomma, un muto accordo. A scuola si poteva parlare di tutto, benché fossero rare le classi senza spie. Naturalmente bisognava evitare certe parole, come zar, sciopero e simili. A parte questo si potevano toccare le questioni fondamentali. Ufficialmente c’era il divieto di parlare di cose estranee al programma d’istruzione. Una volta venne chiuso un cosiddetto corso di ripetizione perché l’ispettore, piombato improvvisamente, aveva costatato che si insegnavano le frazioni decimali, mentre il programma non permetteva che la ripetizione delle quattro operazioni.

    Io abitavo allora nel Vecchio Nevskij, in una casa con cortile. Il’ič veniva abitualmente a trovarmi la domenica, dopo l’insegnamento nel circolo, e discutevamo a lungo. Io ero allora attaccata anima e corpo al mio lavoro nella scuola serale e avrei rinunciato ai pasti pur di poter parlare della scuola, degli allievi e delle fabbriche del nostro rione: Semiannikov, Thornton, Maxwell e altre. Il’ič s’interessava di ogni piccolo particolare e del modo di vivere degli operai. Cercava di farsi, in base ai dettagli più minuti, un quadro d’insieme della vita degli operai per scoprire la via migliore attraverso la quale poteva giungere fino a loro la propaganda rivoluzionaria. Allora la maggioranza degli intellettuali conosceva ben poco gli operai. Gli intellettuali visitavano ogni tanto i circoli e tenevano agli operai una specie di conferenza. Durante un lungo periodo fu commentata nei circoli L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato di Engels in traduzione manoscritta. Il’ič leggeva agli operai e spiegava Il Capitale di Marx. La seconda parte dell’insegnamento consisteva in domande agli operai sul loro lavoro e sulle loro condizioni. Lenin chiariva agli operai i rapporti esistenti tra il tenore della loro vita e la struttura della società, spiegando come si poteva cambiare l’ordine sociale esistente. Collegare la teoria con la pratica, questa era la caratteristica del lavoro di Il’ič nei circoli. A poco a poco anche gli altri membri del nostro circolo cominciarono ad applicare questo metodo. Quando un anno dopo usci l’opuscolo di Vilnius, Sull’agitazione, 10 il terreno era già ben preparato: bisognava solo passare ai fatti. Il metodo di legare l’agitazione ai bisogni quotidiani degli operai aveva messo radici profonde nel nostro lavoro di partito. Io non ho capito tanto l’utilità di questo metodo come quando, emigrata in Francia, potei osservare che il Partito socialista francese, durante un grande sciopero degli impiegati postali, si teneva completamente in disparte, e non s’interessava alle lotte rivendicative. Secondo loro si trattava di una questione che riguardava i sindacati. Il partito doveva occuparsi solo della lotta politica. La necessità di collegare la lotta economica alla lotta politica era una cosa assolutamente incomprensibile per i compagni francesi.

    Molti compagni di Pietroburgo, che videro gli effetti dell’agitazione, si entusiasmarono al punto di dimenticare che questo è uno ma non l’unico metodo di lavoro fra le masse, scivolando così nell’economicismo. 11

    Il’ič, invece, non perdeva mai d’occhio gli altri metodi di lavoro. Nel 1895 scrisse l’opuscolo Commento alla legge sulle multe inflitte agli operai nelle fabbriche e nelle officine. 12 Diede cosi un brillante esempio del modo in cui l’operaio medio di quei tempi poteva essere avvicinato e convinto della necessità della lotta politica, partendo dalla sua miseria. A molti intellettuali l’opuscolo sembrò noioso e prolisso. Ma gli operai lo lessero con entusiasmo: parlava il loro linguaggio ed era facilmente comprensibile. L’opuscolo fu stampato in una tipografia clandestina e diffuso tra gli operai.

    Il’ič studiava con attenzione i regolamenti interni di officina. Riteneva che spiegando quei regolamenti agli operai era più facile far comprendere il nesso che legava la loro situazione con l’ordinamento statale. Ci sono tracce di queste ricerche di Lenin in una serie di articoli e di opuscoli che scrisse allora per gli operai; ad esempio nell’opuscolo La nuova legge sulle fabbriche; 13 negli articoli Sugli scioperi, 14 Sui tribunali industriali, 15 ecc.

    I nostri rapporti con i circoli operai non passarono naturalmente inosservati. Presto fu organizzata una forte sorveglianza. Fra tutti i membri del nostro gruppo, Il’ič era il migliore anche per il lavoro cospirativo: conosceva tutti i cortili con due uscite e sapeva benissimo sviare le spie. C’insegnò il metodo di corrispondere per mezzo di punti e di segni, scritti con inchiostro simpatico fra le righe dei libri, e generalizzò l’uso degli pseudonimi. Si vedeva che aveva imparato alla scuola dei populisti. Parlava sempre con grande stima - e non a torto - del vecchio populista Michajlov, 16 chiamato il Guardiano proprio per le sue abitudini cospirative. La sorveglianza andò sempre aumentando e Il’ič chiese che si scegliesse un suo successore, non pedinato, al quale consegnare subito tutti i collegamenti. Poiché ero ritenuta la meno indiziata, venni scelta per quell’incarico. Il primo giorno di Pasqua partimmo in cinque o sei per le feste nel rione Carskoe Selo, dove un membro del nostro gruppo, Sil’vin, faceva l’istruttore. Durante il viaggio fingemmo di non conoscerci. Discutemmo tutto il giorno quali collegamenti dovevano essere mantenuti. Il’ič c’insegnò a cifrare. Ciframmo quasi la metà di un libro. Ma ahimè! più tardi non mi ricordavo più come decifrare. Però c’era da consolarsi: la maggior parte dei collegamenti erano saltati in aria e quindi divenuti inutilizzabili.

    Il’ič si occupava di coordinare con la massima cura i collegamenti e di trovare dappertutto della gente che potesse essere utile in qualsiasi modo al lavoro rivoluzionario. Mi ricordo di una riunione di rappresentanti del nostro gruppo (Il’ič e, se non sbaglio, Kržižanovskij) con un gruppo di maestre della scuola domenicale. Quasi tutte divennero in seguito socialdemocratiche. Fra loro si trovava anche Lidia Mikhailovna Knipovič, già membro della Narodnaja Volja , passata qualche tempo dopo ai socialdemocratici. I vecchi compagni la ricordano ancora. Era una donna dotata di grande fermezza rivoluzionaria, severa verso sé stessa e verso gli altri, ottima conoscitrice di uomini, molto socievole: circondava di affetto e di cure tutti quelli che collaboravano con lei. Lidia cominciò subito ad apprezzare Il’ič come rivoluzionario. Era in collegamento con la tipografia dei populisti: conduceva le trattative, consegnava i manoscritti, prendeva in consegna gli opuscoli stampati, trasportava la letteratura dai suoi conoscenti per mezzo di ceste e organizzava la distribuzione fra gli operai. Quando, denunciata da un compositore della tipografia, venne arrestata, furono sequestrate presso i vari suoi conoscenti dodici ceste di letteratura.

    I populisti stampavano allora una quantità enorme di opuscoli per gli operai: La giornata dell’operaio, Di che cosa si vive, l’opuscolo di Il’ič Sulle multe in denaro, Re fame, ecc.

    Due populisti che lavoravano in quel tempo nella tipografia Lakhta, Shapovalov e Ratanskaja, sono oggi nelle fila del Partito comunista.

    Lidia Mikhailovna non vive più. Passò gli ultimi anni della sua vita in Crimea e mori là nel 1920, quando la Crimea era nelle mani dei bianchi. Nel letto di morte chiamava nel delirio i suoi compagni comunisti. Morì col nome del Partito comunista, a lei tanto caro, sulle labbra. Fra le maestre che parteciparono alla riunione di cui ho parlato, erano presenti, credo, fra le altre, anche P. F. Kudeli e A. I. Meshcheryakov, entrambe oggi membri del partito.

    Dietro la Porta Nevskij, insegnava anche Alexandra Mikhailovna Kalmykova, un’ottima oratrice. Ricordo ancora la sua conferenza agli operai sul bilancio dello Stato. Alexandra possedeva una libreria sulla strada Liteini. Anche Il’ič conobbe bene allora Alexandra Kalmykova. Struve era tra i suoi allievi e Potresov, che era compagno di scuola di Struve, frequentò la sua casa. Più tardi, Alexandra Mikhailovna mantenne a sue spese la vecchia Iskra 17 fino al II Congresso. Quando Struve passò dalla parte dei liberali, lei non lo seguì, ma passò decisamente dalla parte dell’organizzazione dell’ Iskra. Fra di noi la chiamavamo la Zia. La Zia amava molto Il’ič. Neppure lei vive più. Gli ultimi due anni della sua vita li passò inchiodata al letto, nel sanatorio di Dietskoie Sielo, senza potersi alzare. Qualche volta i bambini di un vicino asilo andavano a trovarla e lei raccontava loro di Il’ič. Nella primavera del 1924, dopo la morte di Lenin, mi scrisse che si dovevano pubblicare in volume gli articoli di Il’ič del 1917, quegli articoli pieni di passione rivoluzionaria, quegli impetuosi appelli che avevano un effetto così profondo sulle masse. Nel 1922, Il’ič scrisse a Alexandra Mikhailovna alcune righe in tono affettuoso, come solo lui sapeva scrivere. Alexandra Mikhailovna era strettamente legata al gruppo dell’Emancipazione del lavoro. 18 Quando Vera Zasulič venne in Russia nel 1899, Alexandra Mikhailovna le trovò un alloggio clandestino e s’incontrò spesso con lei.

    Sotto l’influenza del crescente movimento operaio, degli articoli e dei libri del gruppo Emancipazione del lavoro e sotto l’influenza dei socialdemocratici di Pietroburgo, Potresov si orientò più a sinistra e, per un certo periodo, anche Struve. Dopo una serie di assemblee preparatorie, si cominciò a trovare la base per un lavoro comune. Si pensò alla pubblicazione collettiva di un’antologia intitolata Materiali per la definizione dell’attuale nostro sviluppo economico. Facevano parte della redazione, per il nostro gruppo: Il’ič, Starkov e S. I. Radchenko; per l’altro gruppo: Struve, Potresov e Klasson. È nota la sorte di quel volume. Venne bruciato dalla censura zarista. Durante la primavera del 1895, prima del suo viaggio all’estero, Il’ič si recò spesso da Potresov nella via Osiorni per finire in tempo il lavoro. Il’ič passò l’estate del 1895 all’estero. Si trattenne un po’ a Berlino, dove frequentò le assemblee operaie, un po’ in Svizzera, dove s’incontrò per la prima volta con Plekhanov, Axel’rod e Vera Zasulič. Tornò pieno di nuove impressioni e portò con sé dall’estero una valigia a doppio fondo nella quale era nascosta letteratura illegale.

    Subito si scatenò una caccia all’uomo contro Il’ič. Lo si teneva d’occhio e si osservava la sua valigia. Una mia cugina era impiegata allora all’ufficio dell’anagrafe. Qualche giorno dopo l’arrivo di Il’ič, mi comunicò che durante il suo servizio notturno un poliziotto era andato a sfogliare i classificatori (gli indirizzi erano raccolti in rubriche in ordine alfabetico),

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