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Economia e Società in Irpinia nella prima età moderna: I casi di Montefusco e di Bisaccia
Economia e Società in Irpinia nella prima età moderna: I casi di Montefusco e di Bisaccia
Economia e Società in Irpinia nella prima età moderna: I casi di Montefusco e di Bisaccia
E-book259 pagine3 ore

Economia e Società in Irpinia nella prima età moderna: I casi di Montefusco e di Bisaccia

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Info su questo ebook

Il volume affronta, sulla base di una ricca e interessante documentazione inedita, due temi diversi ma complementari. Il primo, infatti, è relativo al ruolo della donna a Montefusco nel XVI–XVII secolo, il secondo alla vita economico-sociale di Bisaccia nel ‘500 nei suoi riflessi con la famiglia del feudatario Giovan Battista Manso. I due argomenti, leggermente sfalsati cronologicamente e diversi per ambiti territoriali, sono comunque uniti per un verso dalla fonte – che è per entrambi quella dei protocolli notarili –, e per l’altro da un approccio storiografico particolarmente attento alle grandi tematiche e metodologie della storia sociale.
Alla ricostruzione della vita economico-sociale di Bisaccia nel XVI secolo l’attenta ricerca di Martina Riccio apporta un notevole contributo. Il saggio viene a risolvere una questione che venne assai vivacemente dibattuta: la veridicità o meno della presenza a Bisaccia nell’autunno del 1588 di Torquato Tasso, ospite di Giovan Battista Manso. Grazie a tutta una serie di importanti e significativi documenti che confermano la presenza della famiglia Manso a Bisaccia.

L’autrice:

Martina Riccio, nata a Roma nel 1991, è dottoressa magistrale in Filologia Moderna, laureata con lode presso l'Università degli Studi di Salerno. Studiosa presso l'Archivio di Stato di Avellino, si interessa in particolar modo della storia moderna del Mezzogiorno e degli aspetti socio-economici dell'Irpinia del XVI e XVII secolo.
LinguaItaliano
Data di uscita24 ago 2017
ISBN9788822815644
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    Economia e Società in Irpinia nella prima età moderna - Martina Riccio

    terebinto.edizioni@gmail.com

    PREFAZIONE

    La giovane ma promettente studiosa Martina Riccio affronta, sulla base di una ricca e interessante documentazione inedita, due temi diversi ma complementari. Il primo, infatti, è relativo al ruolo della donna a Montefusco nel XVI–XVII secolo, il secondo alla vita economico-sociale di Bisaccia nel ‘500 nei suoi riflessi con la famiglia del feudatario Giovan Battista Manso. I due argomenti, leggermente sfalsati cronologicamente e diversi per ambiti territoriali, sono comunque uniti per un verso dalla fonte – che è per entrambi quella dei protocolli notarili –, e per l’altro da un approccio storiografico particolarmente attento alle grandi tematiche e metodologie della storia sociale.

    Noto è l’interesse, per gli studiosi, che riveste la storia di Montefusco nell’età moderna. La «Montagna di Montefusco» era infatti una tipica città di casali (ben 24), caratterizzata cioè non già da una struttura urbanistica e demografica accentrata, ma bensì polimorfa e decentrata. L’articolazione rispondeva evidentemente ad esigenze e motivazioni diverse, ma era soprattutto speculare alle vocazioni ambientali e morfologiche del territorio collinare, fortemente antropizzato ma dalle modeste risorse agricole, e quindi caratterizzato da numerosissimi insediamenti sparsi, i casali. Ognuno di questi aveva una sua precisa tipizzazione produttiva, e spesso si trattava di villaggi di lignaggi, abitati cioè da poche famiglie che discendevano da uno stesso ceppo originario e comune. Il termine di «Montagna di Montefusco» esplicitava quindi non tanto una generica connotazione geografica quanto una precisa e pregnante entità giuridico-amministrativa, che esprimeva altresì una straordinaria quanto pragmatica capacità di autogoverno decentrato.

    Dall’essere fino al 1806 capoluogo della provincia di Principato Ultra e sede della R. Udienza derivava inoltre a Montefusco la notevole mobilità e diversificazione delle figure socio-professionali, spesso di assai diversa provenienza geografica, che animarono la vita della cittadina. Ci si riferisce, in particolare, a quella abbastanza massiccia presenza di ceto civile (magistrati, funzionari, scrivani, avvocati ecc.) che caratterizzò e diede un tono tipicamente cittadino, sia pure a livello provinciale, a Montefusco, differenziandolo, quindi, dalla maggioranza dei centri, essenzialmente rurali, che costituivano la provincia. In questo contesto, lo studio del ruolo femminile, sia sul versante giuridico che patrimoniale, attraverso la ricostruzione dei capitoli matrimoniali assume un’importanza anche antropologica. Infatti la donna, nella società montefuscana, appare saldamente incardinata e strutturata in una realtà tipicamente di antico regime, ancora fortemente condizionata da istituti giuridici di origine medievale.

    Ma riesce soprattutto interessante e suggestivo entrare nel vissuto della famiglia montefuscana attraverso i corredi nuziali (a volte assai ricchi), che consentono la ricostruzione dei generi di vita e degli oggetti della quotidianità.

    * * *

    Con Bisaccia, all’epoca città vescovile, ci si trasferisce in tutt’altro ambiente, quello dell’Alta Irpinia. Quell’area, è stata caratterizzata, dal medioevo alla fine dell’età moderna, dal netto dominio del pascolo e del bosco. Sino ai primi dell’800, infatti, l’intera area sub-appenninica visse sostanzialmente in funzione del Tavoliere, sia in relazione alla pastorizia che all’agricoltura. Essa costituiva infatti l’indispensabile retroterra, umano ed ambientale, dell’arido, desolato e spopolato Tavoliere, regno incontrastato delle greggi e della cerealicoltura estensiva, a cui forniva il legname dei suoi boschi e le braccia dei suoi uomini, oltre che i pascoli estivi per le sue greggi.

    Ferrante d’Aragona, effettuò un intervento decisivo con l’istituzione delle Regie Razze per l’allevamento selezionato dei cavalli per la corte e per l’esercito. L’istituzione, alle dipendenze del Cavallerizzo Maggiore, i cui ufficiali locali risiedevano ad Ascoli Satriano e a Bisaccia, ripeteva in sostanza la stessa formula adottata da Alfonso d’Aragona per la Dogana di Foggia, con lo stabilimento del perpetuo vincolo statale su vastissime aree boscose e pascolative, che andavano dalle difese di Cervellino e di Crepacore in territorio tra Orsara, Greci e Faeto a quelle della «Mezzana delle Perazze» e della «Mezzanella» a Vallata a quelle di Oscata e del Formicoso di Bisaccia. In maniera sbrigativa, il suffeudo rustico di Oscata fu sottratto da Ferrante al vescovo di Bisaccia, che non poté mai ritornarne in possesso, ottenendo però un compenso annuo di 200 ducati. Il sistema si basava sull’alternanza tra i pascoli estivi del Formicoso con quelli invernali delle valli dell’Ofanto, dell’Ufita e del Cervaro.

    Il sistema delle Regie Razze, col suo regime vincolistico, se imponeva dei limiti rigidi allo sfruttamento agricolo e agli stessi usi civici degli abitanti, era però funzionale al mantenimento dell’assetto idro-geologico del territorio e allo sviluppo di un’economia silvo-pastorale.

    Svolta epocale fu perciò rappresentata dalla decisione dello Stato, nel 1689, di dismettere le R. Razze, a cui seguì nel 1693 l’alienazione del Formicoso, di oltre tremila ettari, e delle altre difese. Il conseguente modello produttivo si basò sull’espansione indiscriminata della cerealicoltura estensiva, a tutto danno del pascolo e del bosco. A partire soprattutto dalla grande carestia del 1764, si verificò l’indiscriminata granificazione del territorio e il conseguente arretramento del bosco e del pascolo, che sino allora avevano costituito la caratteristica saliente del paesaggio agrario altirpino.

    * * *

    Alla ricostruzione della vita economico-sociale di Bisaccia nel XVI secolo l’attenta ricerca di Martina Riccio apporta un notevole contributo, che apre la strada ad ampliamenti e approfondimenti successivi. Si sottolinea, comunque, che il saggio viene a risolvere una questione che venne assai vivacemente dibattuta tra gli studiosi del secondo Ottocento e del primo Novecento: la veridicità o meno della presenza a Bisaccia nell’autunno del 1588 di Torquato Tasso, ospite di Giovan Battista Manso. Carmine Modestino, infatti, si espresse negativamente in merito nel 1861, asserendo pure che Manso non era mai stato signore del feudo altirpino, seguito dal Borzelli ma venendo confutato dal Manfredi, dal Bergamino e dall’Orlando Cafazzo[1]. Orbene, la giovane studiosa pubblica tutta una serie di importanti e significativi documenti, anche di committenza artistica, che confermano, a cominciare dallo stesso testamento di Vittoria Pugliese, madre del primo biografo di Tasso, la presenza della famiglia Manso a Bisaccia.

    Francesco Barra


    [1] C. Modestino, Della dimora di Torquato Tasso in Napoli negli anni 1588, 1592, 1594. Discorso Primo, G. Barone, Napoli 1861; A. Borzelli, Giovan Battista Manso marchese di Villa, Federico & Ardia, Napoli 1916: M. Manfredi, Gio. Battista Manso nella vita e nelle opere, Jovene, Napoli 1919; A. Bergamino, La dimora di T. Tasso in Bisaccia, Jovene, Napoli 1919 (estr. dalla Rassegna Critica della Letteratura Italiana, a. XXIV); G. Orlando Cafazzo, Il Tasso in Bisaccia. Difesa di Giovambattista Manso contro critici vecchi e nuovi, Pergola, Avellino 1920.

    PARTE I - Montefusco nel XVI e XVII secolo La donna nello studio dei capitoli matrimoniali

    ​CAPITOLO I - Montefusco dalle origini ai giorni nostri

    La località

    Montefusco è un comune italiano della provincia di Avellino, in Campania. Il comune, situato tra la provincia di Avellino e quella di Benevento, sorge in prossimità del complesso montuoso denominato «Montagna di Montefusco», la cui altitudine è di 705 metri dal livello del mare ed ingloba le vette dei due comuni adiacenti a Montefusco, vale a dire Monte Gloria e Monte San Felice. Il predetto gruppo montuoso si estende tra la valle del fiume irpino Calore[1], ad est di Montemiletto, sino alla valle del fiume Sabato[2], al di sotto di Petruro irpino e di Chianche, per circa quattordici chilometri in linea d’aria. Sulla dorsale della Montagna di Montefusco sono situati i seguenti territori comunali: Torrioni, Petruro irpino, Chianche, Montefusco e Montemiletto. Alle falde della predetta montagna, sul lato meridionale, sono collocati Tufo e Santa Paolina; mentre sul versante nord-orientale sono ubicati i seguenti siti: Torre le Nocelle, Venticano, San Nazzaro, Calvi, San Giorgio del Sannio, San Martino Sannita, San Nicola Manfredi e Sant’Angelo a Cupolo.

    Le origini di Montefusco: dai sanniti ai romani

    L’esatta collocazione della fondazione di Montefusco, in un preciso momento storico, resta tuttora avvolta nel mistero. Riguardo il medesimo argomento, nel corso dei secoli, si sono sviluppati diversi studi che hanno dato origine a diverse ipotesi. Una delle tesi più diffuse consiste nell’identificazione di Montefusco con la città sannitica[3] Fulsulae[4], redatta dal celebre storico romano Tito Livio[5]. Da alcuni secoli a questa parte gli studiosi di topografia storica hanno fatto luce sulla predetta menzione di Tito Livio, il quale all’interno della propria opera, intitolata Ab Urbe Condita Libri CXLII, precisamente nei libri XXV e XVII riguardanti la seconda Guerra Punica[6], nominò Fulsulae insieme ad altri centri della regione sannitico-irpina, quali Cubulteria[7], Telesia[8] e Compsa[9], che in epoca successiva alla conquista romana furono espugnati e distrutti da Quinto Fabio Massimo[10]. La causa del cruento provvedimento romano risiede nella ribellione dei territori irpini al dominio romano, sfociando in una presa di posizione in favore dei Cartaginesi[11] in occasione della seconda Guerra Punica. Appare dunque molto probabile che la Fulsulae citata da Tito Livio sia l’odierna Montefusco, ma tale ipotesi è da ritenersi ambigua, innanzitutto perché l’autore latino, non essendo a conoscenza della geografia del Sannio, nominò tali siti attingendo da precedenti annalisti; inoltre bisogna considerare la possibilità che i trascrittori dei testi liviani abbiano potuto apportare delle modifiche basandosi su una propria identificazione.

    Un’ulteriore tesi, riguardo l’etimologia di Montefusco, è stata sviluppata dalla studiosa Carla Marcato[12], la quale ricavò dal nome del sito irpino l’unione di due lemmi Mons e Fusculi, il cui legame e traduzione danno origine alla locuzione «Monte di Foscolo». Sulla base di tale studio, il toponimo Foscolo induce a supporre che si tratti di un personaggio tardoromano o longobardo che avrebbe scelto il sito irpino come centro dei propri processi fondiari. Sebbene si evincono perplessità sulla fondazione di Montefusco, è stato storicamente accertato lo stanziamento sannitico nel corso del VI secolo. La scelta dei Sanniti di prediligere l’antico centro si spiega con la consuetudine, dovuta al loro carattere bellicoso, di costruire i centri territoriali rurali, chiamati «Pagi»[13], al di fuori delle mura cittadine, privilegiando zone particolarmente elevate capaci di fronteggiare maggiormente la minaccia espansionistica degli altri popoli. L’Irpinia storica occupata dall’antica tribù sannitica comprendeva l’odierna provincia di Avellino, ad esclusione del Vallo di Lauro, del Baianese e della Valle Caudina; ed includeva anche l’attuale provincia di Benevento, ad eccezione della predetta Caudina e dei territori di Morcone e Sassinoro, nonché della valle Telesiana, pertinente ai Caudini. Lo stanziamento sannitico, nel paese irpino, scomparve con la conquista romana dal Sannio[14] determinata dalla battaglia di Aquilonia[15], avvenuta nell’anno 293 a.C. a conclusione delle lotte sannitico-romane, determinando la definitiva vittoria romana sulla lega sannitica ed il permanente abbandono del controllo sannitico su gran parte dell’Italia. I romani si sostituirono alle tribù sannitiche mediante la fondazione di centri più urbanizzati, denominati coloniae[16] e municipia[17], che andarono a soppiantare i precedenti pagi. L’insediamento romano è testimoniato dal ritrovamento di numerosi rinvenimenti archeologici attinenti alla medesima epoca, quali costruzione di tombe tipicamente romane, presso località Seggio in Montefusco; materiale tratto da antichi monumenti recuperato dalle colonne disposte nella navata della Chiesa montefuscana San Giovanni del Vaglio[18]; ed una vasca sepolcrale contenente acqua sorgiva, stanziata in località Canale[19] in Montefusco. Successivamente le invasioni barbariche determinarono un periodo storicamente definito «buio», precisamente nel periodo che intercorre tra l’anno 476 d.C., che segna la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e l’anno 568 d.C., che indica lo stanziamento dei longobardi[20] in Italia.

    I Longobardi e il Principato di Benevento

    Per questo lasso temporale si registra un’assenza di fonti certe riguardanti la storia di Montefusco; anche il celebre storico montefuscano Eliseo Danza, vissuto nel corso del XVII secolo, per la stesura della sua opera intitolata Cronologia di Montefusco non disponeva di notizie anteriori all’anno 1120. Di conseguenza, non sulla base di fonti scritte bensì sulla tradizione, i Goti sono stati indicati come i responsabili della distruzione della Montefusco romana[21]. Ciononostante, in linea di massima, la tradizione storica più attendibile considera i Longobardi gli artefici del primo insediamento a Montefusco e della fortificazione delle mura del sito, nel IX secolo. L’insediamento longobardo provocò il tracollo delle istituzioni romane favorendo un imbarbarimento delle leggi e dei costumi. I Longobardi non disponevano di un completo ordinamento feudale, pertanto la fortificazione consisteva nell’ergere un approssimativo castruum[22], di cui è di particolare importanza la tipologia di muratura e la posizione strategica, da loro preferita, che si estendeva dalle valli del fiume Calore a quelle del fiume Sabato, fino a comprendere vaste zone montuose e collinari. Rigorosi studi accertano che la Montefusco longobarda si estendeva tra la località Seggio e l’inizio dell’odierna via de Luca; e che il castello[23] era ubicato nei pressi della Chiesa di Santa Maria[24]. Determinante fu l’anno 849, durante il quale il Principato longobardo di Benevento[25], comprendente anche Montefusco, si scisse dal Principato di Salerno[26], in seguito ad una lunga battaglia che oppose i longobardi di Salerno a quelli di Benevento[27]. Montefusco – che sino ad allora insieme ad altri paesi della zona, quali Torre le Nocelle, Montemiletto, Montefalcione, Chiusano e Montemarano, costituiva la cerchia difensiva del Principato di Benevento – in seguito alla predetta scissione si assicurò un ruolo di elevata importanza, soprattutto in virtù della propria posizione strategica, garante di agevolazioni negli avvistamenti dei nemici, provenienti sia da sud che da est. Di conseguenza a partire dall’anno 849, il sito di Montefusco, appartenuto sino ad allora al gastaldato[28] di Avellino[29], fu assegnato a Benevento. Il Principato beneventano favorì la fortificazione dei centri ubicati lungo le valli del fiumi Calore e Sabato; ed ordinò il potenziamento delle difese in tutti i centri collocati sulla montagna di Montefusco, che già di per sé costituiva una barriera difensiva naturale contro i nemici salernitani. Da questo momento nacque la fortuna di Montefusco, di cui beneficiò nei secoli successivi.

    Montefusco normanna

    Nei primi decenni dell’XI secolo, il Principato longobardo di Benevento declinò repentinamente. In questi stessi anni sopraggiunsero i Normanni[30] in Italia meridionale, che determinarono la fine della dominazione longobarda. Il condottiero normanno Roberto il Guiscardo[31], appartenente alla famiglia normanna d’Altavilla, conquistò Benevento nell’anno 1053, dichiarandone la sudditanza formale al papato. Di conseguenza Benevento fu ridotta ad una piccola città marginale, lasciando ormai solo alla memoria la grande potenza di cui disponeva quando costituiva un Principato capace di determinare gli orientamenti della politica nel Mezzogiorno. Con la dominazione normanna Montefusco subì uno sviluppo tale da indurre l’illustre storico Falcone Beneventano[32] alla citazione del sito irpino nella sua opera Chronicon Beneventanum[33], descrivendolo come un centro di notevole importanza sia militarmente che politicamente, nonché teatro di continue guerre tra i potenti feudatari che vi dominarono nei secoli successivi. La Montefusco normanna riscosse una notevole espansione rispetto all’epoca longobarda, ampliando la propria circoscrizione dall’inizio di via De Luca sino a Piazza San Nicola de Franchis. La conquista normanna colpì anche le contee di Ariano, Avellino[34] e Compsa[35]. Il 22 Marzo del 1114, Montefusco vide la nomina reale di un conestabile[36], vale a dire un magistrato dotato di poteri militari e civili che capeggiava una guarnigione[37], la quale deteneva il ruolo di amministrare la giustizia e di controllare le zone interne. Il predetto connestabile, chiamato Landolfo della Greca[38], nonostante l’appoggio del papa in carica Pasquale II, fu deposto dall’ufficio di connestabile di Benevento e si rifugiò presso Montefusco. L’esilio volontario del della Greca determinò la pace con i normanni, a lungo desiderata dalla fazione popolare beneventana, la quale era stanca delle numerose scorrerie normanne capeggiate da Roberto il Guiscardo per la conquista del Sannio. In seguito alla morte di Landolfo della Greca, avvenuta nel 1123 a Benevento, nel 1127 il conte Giordano[39] si impadronì di Montefusco, stipulando un patto con i feudatari montefuscani. La morte del predetto conte Giordano e di Guglielmo duca di Puglia, spianarono la strada alle mire espansionistiche del normanno conte di Sicilia Ruggiero II[40], il cui scopo consisteva nell’ottenimento del titolo di duca di Puglia, la cui legittimazione poteva avvenire solo mediante la volontà papale. Di conseguenza il predetto Ruggiero promise al papa in carica, Onorio, la cessione dei territori di Troia e di Montefusco in cambio del predetto titolo. Papa Onorio dapprima non prese in considerazione tale offerta, poiché preoccupato della nascita di un forte stato normanno che avrebbe potuto minacciare la tranquillità territoriale, ma in seguito concesse la carica a Ruggiero II senza però ricevere in cambio i territori da lui promessi.

    Nel 1130 il conte Ruggiero II, oltre a ricevere l’incoronazione di re di Sicilia dal papa, indusse anche il conte Ruggiero II di Ariano, mediante cruenti devastazioni, alla concessione spontanea dei castelli di Paduli e di Montefusco. Con questa cessione, Montefusco si allontanava definitivamente dall’orbita beneventana ed arianese. In seguito all’incoronazione regia di Ruggiero, il castello di Montefusco venne dichiarato proprietà del demanio regio[41], assumendo un ruolo importante e riservato alle fortezze più significative dal punto di vista strategico e militare. La guarnigione[42] pertinente al Castello regio di Montefusco, era formata da cavalieri locali proprietari di ridotti feudi della zona. Seppur turbolento dal punto di vista militare, il periodo normanno di Montefusco esibiva una società già vivace e stratificata con la

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