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Forme di dipendenza rurale nel Medioevo: Servi, coltivatori liberi e vassalli contadini nei secoli IX-XIV
Forme di dipendenza rurale nel Medioevo: Servi, coltivatori liberi e vassalli contadini nei secoli IX-XIV
Forme di dipendenza rurale nel Medioevo: Servi, coltivatori liberi e vassalli contadini nei secoli IX-XIV
E-book353 pagine5 ore

Forme di dipendenza rurale nel Medioevo: Servi, coltivatori liberi e vassalli contadini nei secoli IX-XIV

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Una costante di lungo periodo, dal secolo IX al XIV, che emerge non solo dalla documentazione italiana, ma anche da quella degli altri paesi dell’Europa occidentale è costituita da tre forme principali di dipendenza rurale: a: la servitù altomedievale e il nuovo servaggio dei secoli XII-XIII; b: il servizio delle masnade armate, libere e non libere, la subordinazione che si veniva a creare con i giuramenti di fedeltà ligia da parte di uomini liberi e i rapporti di vassallaggio contadino; c: la libera dipendenza contadina che in tutta l’Europa occidentale coinvolse dall’età carolingia in poi la maggior parte delle persone dedite ai lavori agricoli.
LinguaItaliano
EditoreCLUEB
Data di uscita15 feb 2023
ISBN9788849140958
Forme di dipendenza rurale nel Medioevo: Servi, coltivatori liberi e vassalli contadini nei secoli IX-XIV

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    Forme di dipendenza rurale nel Medioevo - Francesco Panero

    Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento in Italia alcuni tra gli esponenti di spicco della corrente storiografica di orientamento economico-giuridico, nella scia tracciata da illustri storici del diritto come Antonio Pertile e Pier Silverio Leicht, ritennero verosimile un graduale livellamento dei contadini dipendenti, durante i secoli X e XI, nella direzione del servaggio. Per contro, fra gli storici delle istituzioni e della società medievale, studiosi quali Gian Piero Bognetti o Cinzio Violante insistevano sulle distinzioni giuridiche esistenti fra i dipendenti (liberi e servi) della signoria rurale per tutto il Medioevo.

    Una costante di lungo periodo, dal secolo IX al XIV, che emerge non solo dalla documentazione italiana, ma anche da quella degli altri paesi dell’Europa occidentale – considerando a parte i rapporti vassallatico-beneficiari tra re, alti funzionari, signori laici ed ecclesiastici e milites –, è costituita da tre forme principali di dipendenza rurale, a loro volta articolate al loro interno a seconda dell’epoca considerata: a) la servitù altomedievale e il nuovo servaggio dei secoli  XII-XIII; b) il servizio delle masnade armate, libere e non libere, la subordinazione che si veniva a creare con i giuramenti di fedeltà ligia da parte di uomini liberi e i rapporti di vassallaggio contadino; c) la libera dipendenza contadina, che in tutta l’Europa occidentale coinvolse dall’età carolingia in poi la maggior parte delle persone (con poche eccezioni subregionali e locali) dedite ai lavori agricoli e che registrava un’osmosi continua tra i gruppi dei piccoli proprietari e degli enfiteuti, i piccoli e i medi livellari, e quel vasto raggruppamento di massari liberi che regolavano i loro rapporti di lavoro sulla base della consuetudine locale e di patti agrari a lungo e a breve termine.

    Francesco Panero insegna Storia medievale e Metodologia della ricerca storica presso il Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere e Culture Moderne dell’Università di Torino ed è presidente del Centro Internazionale di Studi sugli Insediamenti Medievali. Tra le sue pubblicazioni, si ricordano i volumi Due borghi franchi padani (Vercelli 1979); Terre in concessione e mobilità contadina (Bologna 1984); Comuni e borghi franchi nel Piemonte medievale (Bologna 1988); Servi e rustici (Vercelli 1990); Strutture del mondo contadino (Cavallermaggiore 1994); Schiavi, servi e villani nell’Italia medievale (Torino 1999); Villenove medievali nell’Italia nord-occidentale (Torino 2004); Una signoria vescovile nel cuore dell’Impero (Vercelli 2004); Grandi proprietà ecclesiastiche nell’Italia nord-occidentale (Bologna 2009).

    BIBLIOTECA  DI  STORIA  AGRARIA  MEDIEVALE

    diretta  da

    Alfio Cortonesi,  Massimo Montanari

    38

    Biblioteca di Storia Agraria Medievale (BSAM)

    A. Cortonesi, M. Montanari

    Andreolli Bruno, Montanari Massimo, L’azienda curtense in Italia. Proprietà della terra e lavoro contadino nei secoli VIII-XI.

    Andreolli Bruno, Fumagalli Vito, Montanari Massimo (a cura di), Le campagne italiane prima e dopo il Mille. Una società in trasformazione.

    A.A.V.V. Le prestazioni d’opera nelle campagne italiane del Medioevo.

    Andreolli Bruno, Montanari Massimo (a cura di), Il bosco nel Medioevo.

    Cortonesi Alfio, Il lavoro del contadino. Uomini, tecniche, colture nella Tuscia tardomedioevale.

    Pini Antonio Ivan, Vite e vino nel Medioevo.

    Debbia Monica, Il bosco di Nonantola. Storia medievale e moderna di una comunità della bassa modenese.

    Lagazzi Luciano, Segni sulla terra. Determinazione dei confini e percezione dello spazio nell’alto Medioevo.

    Gaulin Jean-Louis, Grieco Allen J. (a cura di), Dalla vite al vino. Fonti e problemi della vitivinicoltura italiana medievale.

    Galetti Paola, Una campagna e la sua città. Piacenza e territorio nei secoli VIII-X.

    Lanconelli Angela, La terra buona. Produzione, tecniche e rapporti di lavoro nell’agro viterbese fra Due e Trecento.

    Montanari Massimo, Contadini di Romagna nel Medioevo.

    Roversi Monaco Francesca, La corte di Guastalla nell’alto Medioevo.

    Pasquali Gianfranco, Contadini e signori della bassa. Insediamenti e «deserta» del ravennate e del ferrarese nel Medioevo.

    Anti Elisa, Santi e animali nell’Italia Padana (Secoli IV-XII).

    Andreolli Bruno, Contadini su terre di signori. Studi sulla contrattualistica agraria dell’Italia medievale.

    Montanari Massimo, Vasina Augusto (a cura di), Per Vito Fumagalli. Terra, uomini, istituzioni medievali.

    Cortonesi Alfio, Montanari Massimo (a cura di), Medievistica italiana e storia agraria.

    Bonacini Pierpaolo, Terre d’Emilia. Distretti pubblici, comunità locali e poteri signorili nell’esperienza di una regione italiana (secoli VIII-XII).

    Montanari Massimo, Mantovani Giorgio, Fronzoni Silvio (a cura di), Fra tutti i gusti il più soave... Per una storia dello zucchero e del miele in Italia.

    Galetti Paola, Racine Pierre (a cura di), I mulini nell’Europa medievale.

    Benatti Cinzia (a cura di), Gli estimi di S. Maria in Porto di Ravenna degli anni 1288-91 e 1319.

    Campanini Antonella, Il villaggio scomparso. Rivalta di Reggio nei secoli IX-XIV.

    Coser Enrica, Giansante Massimo (a cura di), Libro di conti della famiglia Guastavillani (1289-1304).

    Galetti Paola (a cura di), Civiltà del legno. Il legno come materia per costruire dall’antichità ad oggi.

    Sansa Renato, L’oro verde. I boschi nello Stato pontificio tra XVIII e XIX secolo.

    Poni Carlo, Fronzoni Silvio (a cura di), Una fibra versatile. La canapa in Italia dal Medioevo al Novecento.

    Rinaldi Rossella, Dalla via Emilia al Po. Il disegno del territorio e i segni del popolamento (secc. VIII-XIV).

    Brugnoli Andrea, Varanini Gian Maria (a cura di), Olivi e olio nel medioevo italiano.

    Cortonesi Alfio, Montanari Massimo, Nelli Antonella (a cura di), Contratti agrari e rapporti di lavoro nell’Europa medievale.

    Canova Franco, Nosari Galeazzo (a cura di), Registro delle concessioni di terre e beni del monastero di San Benedetto in Polirone.

    Pasquali Gianfranco, Sistemi di produzione agraria e aziende curtensi nell’Italia altomedievale.

    Mancassola Nicola, L’azienda curtense tra Langobardia e Romania. Rapporto di lavoro e patti colonici dall’età carolingia al Mille.

    Galetti Paola, Andreolli Bruno (a cura di), Mulini, canali e comunità della pianura bolognese tra Medioevo e Ottocento.

    Panero Francesco, Grandi proprietà ecclesiastiche nell’Italia nord-occidentale. Tra sviluppo e crisi (secoli X-XIV).

    D’Alessandro Vincenzo, Città e campagne nella Sicilia medievale.

    GolinelliPaolo (a cura di), Agiografia e culture popolari - Hagiography and popular cultures. In ricordo di Pietro Boglioni.

    Ricerche parzialmente finanziate con un contributo dell’Università degli Studi di Torino (anno 2015).

    Grafica e impaginazione epub: StudioNegativo.com

    © 2018, Clueb, Casa editrice, Bologna

    www.clueb.com

    ISBN EPUB 9788849140958

    Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

    Francesco Panero

    Forme di dipendenza rurale nel Medioevo

    Servi, coltivatori liberi e vassalli contadini nei secoli IX-XIV

    Clueb-Logo-SuFondoBianco.png

    Alla memoria di Bruno Andreolli

    stimato e compianto studioso

    del ius libellarium

    e della contrattualistica

    agraria medievale

    Introduzione

    Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento in Italia alcuni tra gli esponenti di spicco della corrente storiografica di orientamento economico-giuridico, nella scia tracciata da illustri storici del diritto come Antonio Pertile e Pier Silverio Leicht¹, ritennero verosimile un graduale livellamento dei contadini dipendenti, durante i secoli X e XI, nella direzione del servaggio. Per esempio, Gino Luzzatto, in un importante saggio sui servi (servi et ancillae) nelle grandi proprietà ecclesiastiche italiane, riteneva che gli accasamenti servili e le manumissioni condizionate, accentuando i legami reali dei dipendenti – vincoli rappresentati dalla terra data loro in concessione a tempo indeterminato – avvicinassero questi ultimi alle condizioni di vita dei contadini subordinati liberi². Anche Pietro Vaccari, pur polemizzando con Luzzatto sulla dinamica del rapporto tra legami reali e personali dei lavoratori della terra ai signori, giungeva alle medesime conclusioni sul livellamento dei dipendenti in età precomunale e comunale, supponendo che il giuramento di fedeltà richiesto da grandi e medi proprietari finisse per eliminare le differenze giuridiche tra i contadini esistenti nell’alto medioevo e accomunasse ormai ex servi (schiavi, secondo Vaccari), massari, livellari, manenti e rustici, creando legami personali che avrebbero accentuato i vincoli perpetui alla terra coltivata per tutti questi dipendenti, che egli non esitava a definire servi della gleba³.

    In verità sia alcuni storici del diritto – per esempio, Francesco Schupfer⁴ – sia alcuni storici delle istituzioni e della società medievale, come Gian Piero Bognetti o Cinzio Violante, insistevano sulle distinzioni giuridiche esistenti fra i dipendenti della signoria rurale per tutto il Medioevo. In particolare, Bognetti precisava che i rustici lombardi soggetti alla signoria di banno continuavano a distinguersi dai servi; infatti, "dato il valore del termine districtus nei documenti lombardi dei secoli XI-XII, la loro è pura sudditanza di diritto pubblico, non servitù o servitù della gleba"⁵.

    Anche per Marc Bloch – con il quale Violante non riteneva di poter concordare in quanto, egli scriveva, "non si può af­fermare per l’Italia, con il Bloch, che si venga creando un’unica nuova classe di servi comprendenti servi casati, affrancati con obsequium, coloni, livellari poiché è di tutte le classi la tendenza verso la progressiva ascesa"⁶ –, in realtà, la creazione di un ampio gruppo di servi (serfs) in alcune regioni francesi dopo il Mille non avrebbe assolutamente pregiudicato l’esistenza di comunità di contadini liberi⁷.

    L’eccesso interpretativo di Violante nei confronti dell’opera di Marc Bloch è riscontrabile anche in altri due autorevoli studiosi della servitù medievale, che si richiamano costantemente ai lavori di Bloch: Pierre Bonnassie e Dominique Barthélemy. Per il primo, convinto fautore della mutation féodale, nella Francia meridionale sarebbero stati di condizione servile non soltanto gli homines proprii e gli homines de corpore, ma tutti coloro che prestavano servizi pesanti e umili, non dissimili da quelli sostenuti in Catalogna dagli homines solidi e de redimentia⁸. Per il secondo, antimutazionista, le tante forme di dipendenza, nel quadro delle signorie territoriali e di banno non sarebbero sfuggite a legami propriamente servili o sarebbero comunque state caratterizzate da nuances riconducibili al servaggio, al quale si sarebbero sottratti soltanto milites e nobili⁹.

    L’articolazione della dipendenza rurale è tuttavia ben evidente in diverse analisi locali e subregionali. Se, per esempio, in Italia Andrea Castagnetti rileva un aggravamento della condizione dei servi di Limonta alla fine del secolo X, osserva nondimeno un costante cammino verso la libertà dei servi della Valpolicella, assimilati progressivamente, nei loro impegni, ai dipendenti liberi, con i quali si fusero completamente alla fine del secolo XII¹⁰. In Piemonte, i pochi servi et ancillae ancora attestati nei secoli XI e XII non si confondevano con i rustici liberi di inurbarsi e di emigrare nelle centinaia di villenove e borghi franchi fondati in età precomunale e comunale¹¹.

    Volgendo lo sguardo soprattutto agli studi francesi, Elisabeth Magnou-Nortier, a proposito delle riflessioni di quegli storici che caldeggiano l’ipotesi di un avvicinamento delle condizioni dei liberi e dei servi nella direzione di un livellamento di tipo servile dopo il Mille, si è chiesta "Mais pourquoi, dans ces conditions, au IXe comme au XIIIe siècle, fait-on toujours la distinction entre les servi et les autres dépendants, même et surtout si leur fonction à l’intérieur du domaine ou seigneurie est devenue identique?" e ha invitato a proseguire le ricerche su un tema che si rivela centrale per gli studi sulla dipendenza libera e servile¹².

    Ma se si guarda attentamente ai risultati della ricerca, anche le indagini francesi degli ultimi trent’anni consentono di individuare nelle varie regioni percorsi differenti per l’evoluzione della servitù medievale in rapporto alla libera dipendenza.

    A seconda dell’area considerata, in Francia si registrano infatti dal secolo XI in avanti almeno tre linee evolutive della servitù di origine, per così dire, carolingia: in alcune regioni le trasformazioni della servitù portano praticamente alla cancellazione dei rapporti servili, come avviene nella maggior parte della Piccardia¹³, in Bretagna¹⁴, nella Charente¹⁵ oppure, con più evidenza, nella Normandia, studiata da Mathieu Arnoux¹⁶, a partire dalla metà del secolo XI; in altre, come la Champagne, il Verdunois, il Laonnois, il Beauvaisis, il Namurois e il Vendômois, la persistenza della servitù di origine altomedievale (che però talvolta si confonde con il nuovo servaggio reale e personale del secolo XII) è invece più tenace e duratura¹⁷; in altre ancora – come in alcuni settori del Bacino di Parigi – vi sono castellanie regie in cui vi sono numerosi servi nel secolo XII, che gradualmente nel basso Medioevo vengono manumessi, previo pagamento di un riscatto, parallelamente alla concessione onerosa di franchigie, da parte della monarchia, a rustici già liberi¹⁸. Nella Franca Contea e in Borgogna, di fronte all’esaurirsi dei rapporti servili di origine altomedievale, come avviene anche in altre regioni europee, a partire dal secolo XIII si sviluppano nuove forme di servaggio reale e personale per i mainmortables, che rappresentano comunque soltanto una parte del mondo contadino¹⁹.

    In ogni caso, è ben evidente che in tutte le regioni francesi dell’epoca considerata le comunità contadine registrano sempre la presenza contemporanea di dipendenti liberi accanto a servi e a colliberti. Per dirla con Michel Parisse – il quale ha condotto uno spoglio sistematico di circa cinquemila atti scritti fino al 1120 – l’evoluzione degli uomini fra IX e XII secolo è stata accompagnata da un lento cambiamento dei termini in uso (negli atti pubblici e privati) e quindi "il non-libero dell’età carolingia è diventato un serf, di cui si rilevano gli oneri di natura giuridica, poi un paysan, il quale non è altro che un dipendente soggetto a oneri di natura economica", fatte salve alcune persistenze locali della servitù altomedievale e le tante nuances esistenti sul piano economico/pratico fra una condizione e l’altra²⁰.

    Anche per l’Italia sono riscontrabili dopo il Mille sia trasformazioni simili della servitù di origine altomedievale – dissolta in un mondo di contadini liberi, allodieri e coltivatori dipendenti (a parte la persistenza di alcuni gruppi di servi nel Bolognese, nel Friuli, in Sardegna e in poche altre aree subregionali della Penisola)²¹ – sia l’affermarsi di nuove forme di servaggio reale e personale, in particolare in Emilia-Romagna e in alcune regioni dell’Italia centro-meridionale, a partire dal secondo decennio del secolo XII, con alcune, significative varianti regionali, che almeno in parte si possono spiegare con l’applicazione di norme legislative rispettivamente di tradizione romanistica e longobarda²².

    Del resto, la documentazione pubblica e privata dei secoli IX-XIV di tutte le regioni dell’Europa occidentale permette di differenziare con continuità lo status dei servi, ancillae, mancipia di origine altomedievale e dei non-liberi bassomedievali – homines proprii/alterius/de corpore, ascripticii, villani ecc. –, di condizione servile in quanto soggetti a una dipendenza ereditaria, da quello degli allodieri e dei rustici, homines (senza altra qualifica), liberi massarii, libellarii ecc., di condizione libera.

    Tutti quanti erano per la maggior parte coltivatori della terra – agricolae, agricultores, laboratores, come vengono di volta in volta definiti, con riferimento espresso alla funzione svolta, da Heyric d’Auxerre, Abbone di Fleury, Gerardo di Cambrai, Raterio di Verona e altri autori²³ – che soltanto in un caso, per quanto mi è noto, sono qualificati come servi. Infatti sembrerebbero equivalersi i vocaboli laboratores e servi solo per Adalberone di Laon, sull’opera del quale in altra sede²⁴ abbiamo avuto modo di riflettere: per Adalberone l’immagine di una società tripartita e caratterizzata dall’accentuata presenza servile tra i laboratores "potrebbe derivare dal duplice significato che ormai aveva assunto il termine servus, che nel secolo XI poteva, con una valenza giuridica, indicare tanto i discendenti degli antichi schiavi o i nuovi asserviti a una dipendenza ereditaria, quanto, con significato socio-economico, i servitori liberi²⁵. Ma nemmeno si deve trascurare la possibilità che a indurre Adalberone a identificare senz’altro i lavoratori della terra con i servi propriamente detti fosse il numero notevole di non-liberi soggetti ereditariamente alla Chiesa di Laon, come dimostrano studi recenti su questi stessi servi nel basso Medioevo: la tenacia nel mantenere la memoria e la condizione servile effettiva, attraverso una minuziosa registrazione dei servi ecclesiastici (di cui però è rimasta la documentazione solo dall’anno 1200 in poi, quando è attestata una ripresa delle autodedizioni in servitù), determinò una persistenza duratura della dipendenza servile. Molto più tardi – nel 1338 – questo numero elevato di non-liberi portò a una rivolta cruenta da parte dei servi residenti in sei villaggi del Laonnois (al termine della ribellione si contarono ancora 254 fra uomini e donne di condizione non-libera, fra cui 58 coppie sposate), che trova pochi altri riscontri nell’Europa occidentale anteriormente alle rivolte contadine della seconda metà del Trecento, che peraltro in Francia coinvolsero soprattutto uomini personalmente liberi"²⁶. Ma anche da questi ultimi dati è evidente che pure a Laon vivevano nel medesimo territorio, alla stessa epoca, servi e dipendenti liberi.

    Dunque, nelle persistenti forme articolate di dipendenza rurale – come è ben chiaro già nel secolo IX²⁷ e come emerge in modo altrettanto netto ancora in età postcarolingia e bassomedievale – la prima discriminante della dipendenza era la condizione giuridica personale dell’individuo (determinante una subordinazione ereditaria solo per coloro che erano riconosciuti servi, ancillae, mancipia ecc., come si è detto)²⁸, che giudici e comunità tenevano ben presente in caso di liti, rivendicazione della libertà e di diritti comunitari.

    Un secondo elemento per valutare il livello di dipendenza, ossia la capacità di controllo signorile degli uomini e la speculare capacità di resistenza comunitaria all’ingerenza signorile, era il diritto dei contadini liberi di cedere a terzi le terre in concessione a tempo indeterminato e la presenza di terre di uso collettivo, che rappresentavano un forte collante per la comunità dal momento che costituivano per molti rustici (liberi) una fonte essenziale di integrazione dell’economia familiare. Anche in questo caso sono ravvisabili elementi di continuità fra IX e XIV secolo²⁹.

    Un altro fattore importante era ancora il coinvolgimento dei dipendenti nel servizio militare e nella difesa locale: ciò produceva indubbie differenze sul piano sociale tra individuo e individuo, indipendentemente dalla condizione giuridica personale. Così in età carolingia gli arimanni/allodieri potevano distinguersi nettamente dai dipendenti liberi (livellari, massari, liberi manentes), oltre che dai servi³⁰. In età postcarolingia l’impegno delle comunità rurali nella difesa locale consentì poi ad alcune di queste di differenziarsi socialmente da altre collettività della zona e di approdare a un’organizzazione politica pre-comunale e alla parallela identificazione di un territorio di pertinenza con riferimento alla matrice territoriale in cui era dislocato un massaricio curtense oppure coincidente con il territorio difeso dal castello alla cui manutenzione contribuiva la comunità, la stessa comunità che si preoccupava della manutenzione della pieve e delle cappelle locali, delle strade e dei corsi d’acqua.

    Intrecciati con questi profili di dipendenza si evidenziarono sempre di più a partire dal secolo X, come è ben noto³¹, rapporti vassallatico-feudali di subordinazione di natura pubblica (non solo nei confronti dei sovrani, ma anche di marchesi, conti, visconti, vescovi, abati, capitoli canonicali, signori bannali) con un carattere spiccatamente militare – comunque ben distinti dalle subordinazioni con funzioni parimenti militari delle masnade libere e servili di tanti signori rurali, pertinenti alla sfera privata³² – che dal secolo XII in avanti influenzarono nondimeno anche alcuni rapporti di dipendenza agraria, quando per esempio era necessario rimarcare la condizione libera del coltivatore dipendente, in particolare in quelle regioni in cui sulla manenza tradizionale si erano innestate – a partire dall’inizio del secolo XII, sotto l’influenza dello sviluppo del diritto post-irneriano³³ – forme di nuovo servaggio rurale³⁴.

    Note

    ¹ A. Pertile, Storia del diritto italiano, Torino 1894-1898, III, pp. 35 sgg., 171 sgg.; P.S. Leicht, Studi sulla proprietà fondiaria nel Medio Evo, Verona 1903, I, pp. 51-57, 92-103.

    ² G. Luzzatto, I servi nelle grandi proprietà ecclesiastiche italiane dei secoli IX e X, ora in Id., Dai servi della gleba agli albori del capitalismo, Bari 1966, pp. 108, 154-155.

    ³ P. Vaccari, L’affrancazione dei servi della gleba nell’Emilia e nella Toscana, Bologna 1926, pp. 46-48, 64 sg. Per una discussione sulle posizioni storiografiche di questi e altri storici fino agli anni ottanta del secolo scorso cfr. anche F. Panero, La cosiddetta servitù della gleba: un problema aperto, in Id., Terre in concessione e mobilità contadina. Le campagne fra Po, Sesia e Dora Baltea (secoli XII e XIII), Bologna 1984, pp. 207-276.

    ⁴ F. Schupfer, Il diritto privato dei popoli germanici con speciale riguardo all’Italia, Roma 1913, p. 106 sg.

    ⁵ G.P. Bognetti, Studi sulle origini del comune rurale, a cura di F. Sinatti d’Amico, C. Violante, Milano 1978, p. 140 sg.; C. Violante, La società milanese nell’età precomunale, Bari 1953, pp. 91 sg., 157 sg.; Id., La signoria rurale nel contesto storico dei secoli X-XII, in Strutture e trasformazioni della signoria rurale nei secoli X-XIII, a cura di G. Dilcher, C. Violante, Bologna 1996, pp. 30, 36.

    ⁶ Violante, La società milanese cit., p. 91 sg.

    ⁷ M. Bloch, Come e perché finì la schiavitù antica, in Id., La servitù nella società medievale, trad. it., Firenze 1975, nuova ediz. a cura di G. Cherubini, Firenze 1993, p. 27; Id., Libertà e servitù personali nel medioevo, in particolare in Francia. Contributo a uno studio delle classi, Ibid., pp. 82 sg., 109 sg., 124 sgg., 143 sgg.

    ⁸ P. Bonnassie, Les sociétés de l’an mil. Un monde entre deux âges, Bruxelles 2001, p. 35 sgg.

    ⁹ D. Barthélemy, La société dans le comté de Vendôme de l’an Mil au XIVe siècle, Paris 1993, pp. 474, 502. Cfr. anche Id., Qu’est-ce que le servage en France, au XIe siècle?, in Revue Historique, 582 (1992), pp. 233-284.

    ¹⁰ A. Castagnetti, La Valpolicella dall’alto medioevo all’età comunale, Verona 1984, p. 96 sgg.

    ¹¹ F. Panero, Servi e rustici. Ricerche per una storia della servitù, del servaggio e della libera dipendenza rurale nell’Italia medievale, Vercelli 1990, pp. 37-48. Va però precisato che grazie ai matrimoni misti e alle manumissioni (oltre che attraverso fughe e mancanza di controllo dei signori) molti servi pedemontani avevano conseguito lo status effettivo di liberi dipendenti prima del secolo XIII.

    ¹² E. Magnou-Nortier, Servus-servitium: une enquête à poursuivre, in Media in Francia … Récueil de mélanges offert à K.F. Werner, Paris 1989, pp. 269-284, a p. 271.

    ¹³ R. Fossier, La terre et les hommes en Picardie jusqu’à la fin du XIIIe siècle, Paris 1968, II, p. 557 sg.

    ¹⁴ P. Petot, L’évolution numerique de la classe servile en France du IXe au XVe siècle, in Le servage, Bruxelles 1959 (Recueils de la Société Jean Bodin, II), p. 161.

    ¹⁵ A. Debord, La société laïque dans les pays de la Charente (Xe-XIIe siècles), Paris 1984, pp. 273, 314 sg., 341, 351.

    ¹⁶ M. Arnoux, Rustici et homines liberi. Où sont passés les serfs normands?, in Les formes de la servitude: esclavages et servages de la fin de l’Antiquité au monde moderne. Actes de la table ronde de Nanterre (12-13 décembre 1997), in Mélanges de l’École française de Rome – Moyen Âge, 112 (2000), pp. 563-577.

    ¹⁷ Barthélemy, La société dans le comté de Vendôme cit., p. 474 sgg.; G. Brunel, Les hommes de corps du chapitre cathédral de Laon (1200-1460): continuité et crises de la servitude dans une seigneurie ecclésiastique, in Forms of Servitude in Northern and Central Europe. Decline, Resistance and Expansion, ed. by P. Freedman and M. Bourin, Tourhout 2005, pp. 131-177; L. Génicot, L’économie rurale namuroise au Bas Moyen Âge, III, Les hommes-Le commun, Bruxelles 1982, pp. 207-252; A. Girardot, Le droit et la terre: le Verdunois à la fin du Moyen Âge, Nancy 1992, pp. 367-390; A.-M. Patault, Hommes et femmes de corps en Champagne méridionale à la fin du Moyen-Âge, Nancy 1978, p. 23 sgg.; R. Fossier, L’infanzia dell’Europa. Economia e società dal X al XII secolo, trad. it., Bologna 1987, p. 491 sg.

    ¹⁸ Bloch, Rois et serfs cit., pp. 48 sgg., 60 sgg., 178 sg. Cfr. anche F. Panero, Manumissioni collettive di servi in Francia e in Italia nel secolo XIII: riflessioni per una comparazione storica, in Il ‘Liber Paradisus’ e le liberazioni collettive nel XIII secolo. Cento anni di studi (1906-2008), a cura di A. Antonelli, M. Giansante, Venezia 2008, pp. 351-368.

    ¹⁹ V. Corriol, Les serfs de Saint-Claude. Étude sur la condition servile au Moyen Âge, Rennes 2009. Cfr. anche Nouveaux servages et sociétés en Europe (XIIIe-XXe siècle), a cura di N. Carrier, Caen 2010.

    ²⁰ M. Parisse, Histoire et sémantique: de ‘servus’ à ‘homo’, in Forms of servitude in Northern and Central Europe cit., pp. 19-56; p. 46: "l’évolution des hommes s’est accompagnée d’un changement des mots en usage, mancipium, servus, homo (proprius), ce changement s’opérant lentement sans coupure ni mutation brusquele non libre carolingien est devenu un serf, dont on relève les charges juridiques, puis un paysan, qui n’est plus que dépendant supportant des charges à caractère économique. En tous cas il convient de nuancer ou de corriger les définitions abruptes données du serf de la pleine période féodale".

    ²¹ Cfr. cap. 1, note 46-47.

    ²² Cfr. cap. 1 e cap. 7.

    ²³ Gesta episcoporum Cameracensium, in MGH, Scriptorum, VII, p. 485, III, cap. 52; Ratherii, Praeloquia, III, c. 22, in J.-P. Migne, Patrologia Latina, 136, Parisiis 1853, col. 236b; Sancti Abbonis Floriacensis abbatis Apologeticus ad Hugonem et Rodbertum reges Francorum, in J.-P. Migne, Patrologia Latina, 139, Parisiis 1853, col. 464: et agricolae quidem insudant agriculturae et diversibus artibus in opere rustico, unde sustentatur totius ecclesiae multitudo. Cfr. B. Andreolli, M. Montanari, L’azienda curtense in Italia. Proprietà della terra e lavoro contadino nei secoli VIII-XI, Bologna 1983, p. 143 sg.; G. Duby, Lo specchio del feudalesimo. Sacerdoti, guerrieri e lavoratori, traduz. it., Roma-Bari 1980, pp. 13 sgg., 132 sgg.; D. Iogna-Prat, Le baptême du schema des trois ordres fonctionnels. L’apport de l’école d’Auxerre dans la seconde moitié du IXesiècle, in Annales ESC, 41 (1986), pp. 101-126 (nel sec. IX Hayman ed Heyric d’Auxerre chiamano i lavoratori dei campi agricolae); O. Niccoli, I sacerdoti, i guerrieri, i contadini. Storia di un’immagine della società, Torino 1979, pp. 9-13; W.J. Sedgefield, King Alfred’s old english version of Boethius De Consolatione Philosophiae, Oxford 1899, p. 40.

    ²⁴ Adalbéron de Laon, Poème au roi Robert, ed. critica e traduzione in francese a cura di C. Carozzi, Paris 1979: Carmen ad Rodbertum regem, vv. 277, 285-296.

    ²⁵ Per alcune attestazioni di servitori liberi, definiti servi, cfr. A. Chédeville, Chartres et ses campagnes (XIe-XIIIe siècle), Paris 1972, pp. 362 sgg., 383 sgg.; G. Duby, Una società francese nel Medioevo. La regione di Mâcon nei secoli XI e XII, trad. it., Bologna 1985, pp. 165, 290.

    ²⁶ F. Panero, Schiavi, servi e homines alterius nelle città e nelle campagne dell’Italia centro-settentrionale (secoli IX-XII), in Città e campagna nei secoli altomedievali, LVI Settimana del CISAM, Spoleto 2009, pp. 898-915, la citaz. a p. 911 sg. Anche Guiberto di Nogent all’inizio del secolo XII ricordava lo stato di servitù di alcuni abitanti di Laon soggetti al censo della capitatio (capite censi) ecclesiastica: Guibert de Nogent, Autobiographie, a cura di E.-R. Labande, Paris 1981, p. 320. Cfr. poi Brunel, Les hommes de corps du chapitre cathédral de Laon (1200-1460) cit., pp. 131-177. Sulle rivolte tardomedievali cfr.

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