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Lucca capitale della Tuscia nell'Alto Medioevo. Dal VI all'XI secolo
Lucca capitale della Tuscia nell'Alto Medioevo. Dal VI all'XI secolo
Lucca capitale della Tuscia nell'Alto Medioevo. Dal VI all'XI secolo
E-book987 pagine5 ore

Lucca capitale della Tuscia nell'Alto Medioevo. Dal VI all'XI secolo

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Un saggio che tratta le vicende storiche di Lucca nell'Alto Medioevo, per riscoprire la storia di una città, tra le più importanti d'Italia e d'Europa tra VI e XI secolo. Lucca fu capitale della Tuscia e punto di riferimento per viaggiatori, commercianti e religiosi.

Uno studio, documentato ed esauriente, su Lucca, sulla vita dei suoi abitanti, sulla società e sul suo governo laico ed ecclesiastico e adesso raccolto in un volume unico, adatto all'esperto, ma scorrevole anche per chi è curioso e interessato alla storia di una città sempre affascinante e piena di sorprendenti meraviglie ancora da scoprire.




 
LinguaItaliano
Data di uscita27 feb 2020
ISBN9788832281132
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    Anteprima del libro

    Lucca capitale della Tuscia nell'Alto Medioevo. Dal VI all'XI secolo - Francesco Mattei

    Francesco Mattei

    LUCCA CAPITALE DELLA TUSCIA NELL’ALTO MEDIOEVO

    DAL VI ALL’XI SECOLO

    Argot edizioni

    www.tralerighelibri.it

    Proprietà riservata.

    © Tralerighe libri

    © Andrea Giannasi editore

    ISBN 9788832281132

    Lucca, febbraio

    INTRODUZIONE LUCCA CAPITALE DELLA TUSCIA DAL VI ALL’XI SECOLO

    Questo volume rappresenta la prima parte della mia tesi di laurea in Conservazione dei beni Culturali, dal titolo Arte sacra e committenze a Lucca nell’Alto Medioevo. Nella tesi questa porzione rappresenta l’introduzione storica di una ben più lunga trattazione sull’arte altomedioevale della mia città.

    In questo libro espongo la storia lucchese durante un periodo poco trattato, cioè l’Alto Medioevo. Di quest’epoca si conoscono articoli e volumi, ma non un testo completo ed organico come questo, che può fornire un valido supporto e una più approfondita conoscenza di questo periodo della nostra storia.

    In esso analizzo le vicende che si sono succedute, in quei secoli, sul territorio lucchese nei vari ambiti della vita, sia laica che religiosa, studiati dal punto di vista storico-politico, storico-economico e sociale.

    Per la mia narrazione mi sono avvalso di una vasta bibliografia, soprattutto documentale, trovata nella Biblioteca Statale, nell’Archivio Statale e nell’Archivio Diocesano di Lucca, come diplomi imperiali, bolle, donazioni, livelli, testimonianze edite o inedite, relative al territorio lucchese e diocesano, o agli avvenimenti di più vasto respiro e di valore europeo. Alcune parti di questi atti sono state trascritte nel testo e nelle note ad esso allegate per una maggiore completezza di informazione.

    La narrazione di queste vicende comprende i grandi eventi della storia alto medievale europea, studiati nei manuali, ma analizzati in rapporto con la storia lucchese, come, ad esempio, i rapporti dell’Impero e del Papato con i vescovi, i duchi e i marchesi che si avvicendarono nel governo di Lucca.

    A mio giudizio, nel periodo alto-medievale, Lucca ha ricevuto una scarsa attenzione da parte degli studiosi, soprattutto in opere generali. Per esempio, riguardo all’epoca longobarda, gli autori si sono rivolti prevalentemente alla città di Pavia, capitale del Regno, o anche ai ducati di Spoleto e Benevento, piuttosto che alla città toscana, che in quel periodo era la capitale della Tuscia annonaria e una delle più importanti dell’Italia centrale in quanto residenza dei duchi longobardi.

    Poiché la mole di dati e le note sono tante, nel testo possiamo trovare informazioni e chiarimenti interessanti per i molti appassionati di storia alto-medievale, oltre che per i docenti e gli alunni delle varie scuole superiori, almeno lucchesi, i quali, in parallelo con la storia generale dell’Alto Medioevo, potrebbero approfondire e quindi conoscere gli avvenimenti lucchesi nel suddetto periodo.

    CAPITOLO 1 STORIA DI LUCCA DAL VI ALL’XI SECOLO

    1.1 LUCCA E LE DOMINAZIONI BARBARICHE

    1.1.1 I GOTI

    Poco o niente sappiamo delle condizioni di Lucca nell’ultimo secolo dell’Impero; ma se essa fu immune dalle invasioni barbariche, di cui soffrì invece Firenze, è da ritenere che anche nel suo territorio si accentuasse il disgregamento politico ed economico del resto della Toscana: condizioni malsicure della proprietà fondiaria, riduzione della produzione agricola, discredito delle amministrazioni statali e locali¹.

    La coltivazione dei campi non era più remunerativa per il piccolo proprietario a causa della pressione operata dai prezzi dei prodotti delle popolazioni provinciali che erano culturalmente inferiori, meno esigenti e con mano d’opera più a buon mercato; i contadini, decimati e rovinati economicamente dalla politica di Roma, diventavano proletari nelle grandi città e finivano a carico dello stato; vendevano le terre ai commercianti e ai capitalisti, e così l’impresa individuale decadeva, mentre crescevano le grandi proprietà. Sempre più il terreno coltivato a cereali veniva degradato a pascolo, che richiedeva minore mano d’opera e rendeva di più.

    Certamente la coltura estensiva non ha mai prevalso nell’Italia settentrionale e in Toscana, però le imprese contadine che ancora sussistevano non avevano potuto conservare la loro proprietà, ma si erano trasformate in piccoli affittuari o coloni su terreni altrui, e lo sviluppo dell’economia, con l’andare del tempo, aveva limitato sempre di più la loro libertà. I latifondi erano grandi proprietà terriere senza adeguata impresa aziendale. Il centro dell’azienda era la villa, residenza estiva del proprietario e abitazione dell’amministratore, actor, o villicus, o del grande affittuario, conductor² a cui era stato affidato il fondo. Questa forma di affitto sembra sia stata addirittura la regola. Nella villa abitava la familia³, il personale domestico non libero.

    Oltre al terreno a conto diretto, dipendevano dalla villa i terreni affittati ai coloni; le due parti costituivano una inscindibile unità economica. Come ai coloni era indispensabile il mulino e tutta l’attività artigianale della villa, nonché l’uso dei pascoli, così il conto diretto poteva essere esercitato solo con le forze lavorative dei coloni obbligati ai servizi, e la servitù della villa, che coltivava soltanto poco grano, poteva essere nutrita solo con le loro contribuzioni in natura⁴.

    Le città erano legate alla campagna in una unità inseparabile. Come i coloni avevano bisogno della villa, così l’intera popolazione rurale, nonostante i piccoli periodici mercati locali, necessitava del mercato principale delle città e dei prodotti degli artigiani. I possessores, i medi proprietari, cui apparteneva gran parte del territorio, abitavano preferibilmente in città e ne costituivano la classe sociale prevalente, con la quale si completava la curia: Roma aveva usato la propria influenza sulle amministrazioni cittadine allo scopo di creare dovunque un sistema aristocratico di governo, dal quale erano esclusi i negotiatores e gli artigiani. Si trattava prevalentemente di amministrazioni degli illustres, cioè delle stirpi senatorie, che costituivano l’alta nobiltà, avevano possedimenti nelle più diverse regioni, e vivevano a corte o nei centri culturali; essi godevano di alcuni privilegi che sottraevano quasi completamente i loro beni all’amministrazione cittadina e ne facevano dei distretti autonomi con ordinamento uguale a quello delle proprietà demaniali⁵. Sappiamo del declino delle curie, che andava di pari passo con il ristagno dell’economia; non era più un buon affare appartenere alla classe dirigente, poiché lo stato riteneva responsabili i curiali per le somme non riscosse delle entrate fiscali, e nello stesso tempo sminuiva l’autorità della curia con la nomina di ispettori che finivano per assumere la direzione dell’amministrazione. Anche i curiali venivano vincolati ereditariamente come gli operai e i liberi coltivatori e di conseguenza la rovina dell’economia portava alla distruzione di ogni vita sociale⁶.

    Con la dominazione di Odoacre (476-489) non si aggravarono sensibilmente nemmeno le condizioni della Tuscia, se non in quanto la confisca di parte delle terre a beneficio dei conquistatori acuì la crisi della piccola proprietà superstite ai danni già subiti negli ultimi secoli dell’Impero. I beni collettivi dello Stato o delle città divennero proprietà regia, e, quelli che erano già cospicui della Chiesa, subirono la decurtazione dei latifondi. Si venne così a costituire il primo nucleo di una proprietà barbarica⁷.

    Odoacre e i Goti avevano cercato con i mezzi inadeguati dei precedenti governi di conservare le condizioni del periodo tardo Antico per impedire ulteriori decadimenti. Attraverso l’amministrazione condivisa con i Romani, il nuovo popolo dominante era entrato nel cerchio degli interessi dei possessores come padrone di un terzo della proprietà fondiaria⁸, mentre nell’amministrazione delle città non si ebbero mutamenti, data la rigorosa separazione tra civili e militari.

    Poiché Teodorico aveva insediato il suo popolo prevalentemente nell’Italia settentrionale, la divisione in provincia annonaria e suburbicaria aveva per la Toscana grande importanza. I distretti suburbicari, le cui contribuzioni fiscali servivano per l’approvvigionamento di pane e specialmente di carne alla capitale, rimanevano esentati dagli oneri dell’acquartieramento, anche nel caso che qualche notabile goto vi avesse acquistato possessi.

    Dalla storia delle guerre greco-gotiche del 552-553 sappiamo quali furono le città, abitate da Goti, che resistettero a Narsete: Luni, Lucca, Firenze, Pisa, Volterra. Ad eccezione di quest’ultima, erano situate nella Toscana del Nord, la Tuscia annonaria, che venne acquistando importanza nell’ultimo periodo delle guerre gotiche. Lucca, sulla strada per l’Italia settentrionale, era diventata fondamentale dopo che Pavia era stata eletta a capitale dei Goti. Possiamo affermare che quello gotico fu il primo insediamento germanico su vasta scala in Toscana, e la presenza di questo popolo lasciò intatta la suburbicaria⁹.

    Lo storico bizantino Agazia chiama i Goti di queste città genericamente Pisani, Lucchesi¹⁰, Volterrani. All’assedio di Lucca, che egli descrive minutamente e che era così importante per i Goti, non vi è menzione di Romani nella città; i suoi abitanti, i Lucchesi, sembrano identificarsi con la guarnigione gota. Si deve ritenere che in queste zone di insediamento gotico i proprietari romani furono allontanati e realmente decimati, come afferma il cronista, nelle guerre fino a Totila.

    Un’altra fonte¹¹ afferma che questi Goti, che secondo Agazia¹² si erano sottomessi venendo a patti, furono scacciati, non sappiamo per dove. Reparti dell’esercito fatti prigionieri furono inquadrati dai Bizantini nella loro armata, o in parte trasferiti in Oriente; questo però non era attuabile con grandi quantità di famiglie gotiche, e sembra perciò fondata l’opinione generale che il resto dei Goti rimanesse in Italia come suddito dei Bizantini. Questo vale specialmente per la Toscana settentrionale con epicentro a Lucca.

    In quali condizioni di vita questi Goti rimanessero in Italia potrà essere determinato considerando la loro primitiva posizione. Poiché essi avevano ottenuto un terzo delle abitazioni cittadine, dei beni, degli schiavi e dei coloni dei possessores, non erano diventati contadini, ed erano rimasti nelle città; spesso, invece della divisione materiale, si era avuto il pagamento introdotto sotto Odoacre della tertia, un’imposta fondiaria del 33% della rendita netta¹³.

    I Goti vivevano nelle città con le loro famiglie, appunto, in qualità di guerrieri, di truppe d’occupazione, e allorché reparti del loro esercito venivano inquadrati nell’armata imperiale, le guarnigioni gotiche dovevano necessariamente essere diventate, o meglio ridiventate, guarnigioni bizantine. Per questo le fonti tacciono quasi completamente degli ultimi Goti; la loro sottomissione, che invece viene riferita¹⁴ è l’unica novità che si era verificata; dopo che, con l’accettazione della capitolazione, era stato loro concesso il perdono per l’insurrezione, erano diventati come prima dei federati dell’imperatore, ed avevano il compito di proteggere militarmente l’Italia.

    I Goti, se si eccettuano alcuni usi particolari nel campo del diritto privato, sottostavano anche sotto Teodorico al diritto territoriale e le leggi dei loro re, che valevano ugualmente per loro e per i Romani, li avvicinavano sempre più ai principi del diritto romano.¹⁵ É significativo perciò che la pragmatica sanctio di Giustiniano apportasse così poche innovazioni nei loro confronti, le sue aggiunte al più antico diritto imperiale non erano del resto penetrate subito neanche nelle province meno goticizzate¹⁶.

    Fra l’occupazione di Odoacre (476) che, come abbiamo visto, aveva rispettato sostanzialmente l’ordinamento dell’Italia imperiale, e quella degli Ostrogoti vittoriosi con Teodorico, non vi fu per la Tuscia soluzione di continuità. In definitiva, il lungo regno di Teodorico, che durò dal 493 fino al 526, segnò un periodo di pace e di miglioramento della produzione agricola e dei traffici: benefici che devono aver compensato il danno di una nuova distribuzione di terre o di rendite fatte dal re ai suoi guerrieri¹⁷.

    Naturalmente i documenti non abbondano, ma anche per Lucca la vigile cura della vita economica è testimoniata da una lettera scritta da Cassiodoro a nome del re, con cui si ordinava di punire l’abuso di quei pescatori che sui nostri fiumi, e fra questi ricorda il Serchio (Ausere), per mezzo di steccaie prendevano il pesce dimenticando che si doveva pescare con le reti, e dando prova di una detestabilis aviditas che doveva omnibus modis amputari, e che era anche di impedimento alla libera navigazione dei fiumi, necessaria agli scambi¹⁸.

    Una lettera del 492 di papa Gelasio I a Elpidio, vescovo di Volterra, informa dell’importanza che Teodorico attribuiva alla cooperazione dei vescovi della Tuscia. I vescovi di Volterra, di Fiesole, di Lucca, di Pistoia erano stati convocati da Teodorico a Ravenna, e il Papa si doleva che il giovane vescovo di Volterra, a differenza degli altri, a lui superiori per età e officio, avesse omesso di informare il Pontefice come i sacri canoni esigevano¹⁹. Non si può dedurre dalla lettera pontificia, come si è fatto, che con l’occupazione gotica esistessero in alcune città della Tuscia due vescovi, uno ariano ed uno cattolico: ciò che, da un punto di vista generale, non è da escludere, dato lo spirito di grande libertà religiosa a cui in un primo tempo si era uniformato Teodorico, ma quale intento avesse il re ostrogoto col convegno di Ravenna non si può stabilire, e ad ogni modo i vescovi che vi parteciparono, ossequienti o meno che fossero, appaiono sempre soggetti alla disciplina romana²⁰.

    Anche Pelagio I nel 556 si lamentò gravemente con sette vescovi della Tuscia annonaria, uno dei quali, Laurentius, era con ogni probabilità lucchese, in quanto avevano tenuto in dispregio l’autorità della Chiesa Cattolica²¹; ma non c’è bisogno di supporre che si avessero di frequente – anche a Lucca – vescovi non ortodossi di fronte a quelli romani²².

    Quanto a Teodorico, che morì il 30 agosto del 526, è da ritenersi che egli trattasse ugualmente i vescovi dell’una e dell’altra chiesa, e quando egli dovette mandare una missione politica a Bisanzio, si valse come intermediario di Rustico, vescovo cattolico di Fiesole. Il suo contegno sarebbe stato diverso solo dopo il disinganno dell’Ambasceria a Giustino, affidata a Papa Giovanni I nell’autunno del 525, ma Giustino moriva pochi mesi prima del re nel maggio del 526²³.

    Quanto alle condizioni economiche generali sotto i re goti, due fatti interessano Lucca: la politica economica di Teodato e quella opposta di Totila. Ricco proprietario della Tuscia, Teodato mirò ad accrescere quel patrimonio della Corona che, passato poi ai Longobardi, costituirà durante il dominio longobardo, il fondamento dei beni ecclesiastici da un lato e dei futuri feudatari dall’altro.

    Ma la resistenza all’assorbimento della piccola proprietà gotica, che era stata ristorata con la distribuzione delle terre fatta da Teodorico e che rappresentava un sano elemento economico, pare fosse notevole, se Totila, nel suo tenace ed eroico sforzo di resistere ai Bizantini, protettori della grande proprietà e dell’alto clero, cercò il suo più valido appoggio nella massa dei piccoli proprietari e dei coloni, proteggendo gli uni dal fisco e liberando gli altri dalla servitù padronale²⁴.

    1.1.2 I BIZANTINI

    La guerra fra gli Ostrogoti e i Bizantini fu lunga e difficile, durò dal 535 al 553. La notizia pertanto che Procopio²⁵ ci dà, che la Tuscia accogliesse come liberatore il capo bizantino Costantino, trova spiegazione più che nella ragione religiosa della ortodossia dell’Impero, nel malcontento suscitato dal governo di Teodato e dalla morte violenta di Amalasunta, della quale Giustiniano appariva vendicatore. Ma quando i Bizantini furono costretti per la difesa di Roma a richiamare i presìdi dalle città toscane e Vitige potè rapidamente rioccuparle, non è arbitrario supporre che l’animo della popolazione della Tuscia fosse già mutato e che apparisse preferibile il governo gotico all’esperimento, già sufficiente, del fiscalismo e del militarismo bizantino²⁶. Così Fiesole resistette tenacemente per sette mesi alle forze imperiali, e quando Narsete si accinse a togliere ai Goti le piazzeforti della Tuscia ancora in loro possesso, tra queste figuravano ancora Firenze e Lucca. Occupare quest’ultima era importante, in quanto Lucca era un nodo stradale che passava per quella zona, e che congiungeva il settentrione con il centro Italia²⁷.

    Mentre Firenze nel 541 accolse l’invito di Narsete ad arrendersi, Lucca oppose un’estrema resistenza con una difesa (552) che parve memorabile agli stessi storici bizantini. L’assedio durò almeno tre mesi, infatti Narsete, prima di tentare l’assalto alla città, impiegò tre mesi per espugnarla. Così a Fiesole come a Lucca la difesa fu sostenuta dal presidio gotico, che a Lucca ebbe un tardivo aiuto dai Franchi, ma, se dall’ampio racconto di Agazia²⁸ appare che non mancasse a Lucca chi desiderasse la resa, non si può per questo affermare che gli abitanti del luogo parteggiassero per gli imperiali, anzi, la difesa di Lucca deve essere messa in rapporto con la posizione di preminenza sulle altre città della Tuscia che Lucca aveva già avuto nel periodo gotico, il quale aveva rappresentato per la città un periodo di sicuro benessere²⁹.

    Non è senza fondamento la tradizione che già allora esistesse una zecca lucchese, e non è del tutto da escludere che le memorie documentate da numerose carte³⁰ dell’esistenza, appunto, di una Moneta e di Palazzi del re e della regina presso la Chiesa di S. Giusto, possano risalire al periodo gotico piuttosto che all’età longobarda, per cui il successivo riferimento appare fuori di dubbio. Resterebbe da vedere anche se la contrada Gottella, di cui resta memoria solo nel nome della piccola Chiesa di S. Benedetto in Gottella, nella stessa parte della città dove si trovavano la Zecca, la Corte Regia, che continuò con i Longobardi e con i Franchi, e dove sorse poi l’Augusta di Castruccio, in prossimità della Plebs battesimale, non accenni col nome della contrada – infatti la chiesa è del secolo XII – al periodo gotico. Certo la più antica iscrizione cristiana lucchese dell’anno 536, che non è di un goto³¹, ma di un Antoninus, è datata secondo la formula in uso presso i Goti per l’indicazione del consolato: essa proviene dal borgo di S. Concordio in Contrada, dove è da credersi si stanziassero i Goti e, successivamente, i Bizantini e i Longobardi³².

    Quanto alla condizione religiosa di Lucca sotto i Goti, mancano dati per qualsiasi determinazione.

    Ma non pare che vi fosse, a Lucca almeno, aperto conflitto fra Romani cattolici e Goti ariani, fatta forse eccezione per il periodo di Totila, al quale si riferisce il martirio di S. Regolo, vescovo africano che, passato a vivere come eremita a Populonia, in Maremma, dove si sarebbe estesa, e forse già si era estesa, la diocesi lucchese, sarebbe stato fatto decapitare da Totila per la sua opposizione all’Arianesimo³³.

    Un accenno al permanere di ariani nel territorio lucchese si è voluto riconoscere nel nome di Valle Ariana, conservato per una zona collinare della Val di Nievole, oggi detta Valleriana, ma questa diffusa opinione non si fonda che su di una coincidenza verbale che ammette anche altre spiegazioni³⁴.

    Narsete, vittorioso, aveva lasciato al governo di Lucca, che continuava a raccogliere dei Goti, un Bono, duca della Mesia. Ad ogni modo, qualunque ne sia stato il nome, un capo militare, quale i bizantini ponevano nei centri principali col titolo di duces e di nomina imperiale (mentre gli iudices erano governatori civili), gettò le basi di una aristocrazia fondiario-militare che in parte ebbe continuazione con i duchi longobardi e i conti franchi.

    Il dominio bizantino, che durò in città marittime per breve tempo, come a Pisa e, strettamente congiunta come era alla Tuscia, a Luni, cadde rapidamente nelle città dell’interno, di contro all’invasione longobarda.

    Secondo il Mancini, tutto porta a credere che l’occupazione longobarda di Lucca fosse un fatto compiuto nel 570.

    A dirigere senza esitazione i nuovi conquistatori verso Lucca, contribuirono la fama acquistata ormai dalla città per la sua posizione e per la difesa delle sue mura, ma soprattutto il fatto che il territorio lucchese si presentava in buone condizioni di produzione e di stato economico: la lunga guerra goto-bizantina si era svolta principalmente nella Toscana orientale, specialmente nel Mugello, e il territorio lucchese non aveva subito devastazioni e saccheggi.

    L’opera dei Bizantini per Lucca era stata, come altrove, burocratica e amministrativa, al più si può attribuire loro il rafforzamento di qualche punto strategico di una certa importanza: si è pensato, ma senza sicura base, a Castrum nonum, Castelnuovo di Garfagnana. Nulla resta a Lucca della dominazione bizantina: semmai qualche traccia di culti, ma di cui non sappiamo stabilire la data di introduzione e di provenienza³⁵, come S. Pantaleone e S. Macario.

    1.1.3 I LONGOBARDI

    Terminata la conquista dell’Italia, appena Narsete ebbe soffocato gli ultimi moti insurrezionali dei Goti appoggiati dai Franchi, e dopo aver domato nel 567 una rivolta di truppe di frontiera degli Eruli, il re Alboino con i suoi Longobardi si mosse dalla Pannonia per strappare ai Bizantini la loro parte occidentale. Il giorno dopo Pasqua (2 aprile) del 568 radunò il suo popolo per la spedizione oltr’Alpe e in maggio penetrò in Italia. Già negli anni seguenti venne oltrepassato l’Appennino e occupata la maggior parte della Toscana, a quanto pare, senza colpo ferire, poiché anche più tardi si ha notizia di combattimenti solo alla frontiera meridionale e sulle coste³⁶.

    Lo Schneider ritiene che i Bizantini rinunciarono a opporre resistenza in Tuscia per non spezzare le loro forze, poiché la sorte della guerra doveva decidersi lungo il Po e in Emilia; d’altronde ai Bizantini bastava tenersi la strada militare da Ravenna a Roma, passando per Perugia.

    La facilità con cui fu conquistato il paese diventa ancor più comprensibile se è vero che le guarnigioni delle più importanti città, che per prime fronteggiarono le schiere longobarde, erano costituite nella maggior parte da Goti, che certamente si affiancavano con gioia ai loro liberatori e fratelli di stirpe, contro il comune nemico: tanto più che il loro successo sembrava di gran lunga meno incerto di quello delle soldatesche franche da cui i Goti di Lucca, malgrado le promesse, erano stati piantati in asso quindici anni prima³⁷.

    Se è lecito ritenere, come già detto, che l’occupazione di Lucca per opera dei Longobardi avvenisse entro il 570, nulla sappiamo sulle condizioni della città nei primi tempi del nuovo dominio. Possiamo però ritenere che l’impeto dei conquistatori si abbattesse anche su Lucca, e specialmente sul suo territorio, come nel resto delle terre occupate³⁸.

    Secondo Conti³⁹, ai tempi di Alboino i Longobardi sarebbero avanzati fino alla Tuscia, ma è certo che essi dilagarono oltre l’Appennino approfittando della viabilità che coinvolgeva centri quali Piacenza, Parma, Reggio, Modena e utilizzando un percorso che giungeva nella Garfagnana: a questa valle si arrivava tramite i noti passi del Berceto e di S. Pellegrino per discendere nella piana di Lucca, rinunciando alla conquista di porti e zone costiere, che, com’è risaputo, erano in mano ai Bizantini. Un’altra via, adottata forse più tardi, fu la via Francigena dei Romei, che proveniva dalla Francia e da altre regioni centro-europee; essa saliva per il passo della Cisa e di Monte Bardone, dove sarebbe sorto poi un monastero longobardo; da qui si scendeva a Pontremoli nella valle della Magra verso Luni, per poi proseguire attraverso la fascia pedemontana fino a Lucca.

    L’unica grande resistenza che Alboino incontrò nella sua avanzata fu opposta da Pavia. Ticinum (Pavia), la ben munita roccaforte dei Goti, divenuta nel 540 capitale del Regno, dopo la caduta di Ravenna, fu assediata per tre anni, e continuò a resistere valorosamente con l’esercito accampato non lontano dalla città. Alboino allora, nell’attesa di conquistare Pavia, fece avanzare i suoi soldati, da un lato attraverso le vie transappenniniche sopra citate fino alla Tuscia, senza arrivare a Roma, e dall’altro verso la città di Ravenna. Finalmente, dopo tre anni e alcuni mesi d’assedio, Pavia nel 572 si arrese ai Longobardi⁴⁰.

    Secondo Angelini⁴¹, però, le modalità dell’avanzata restano assai oscure, poiché le uniche fonti cui attingere sono fornite dalla Historia Langobardorum di Paolo Diacono, che, al riguardo, è molto sommaria. Lucca comunque dovette essere occupata nei primi tempi dell’invasione della Tuscia, anche se ciò non è condiviso dallo storico Conti⁴². Secondo Paolo Diacono, tutto porta a ritenere che l’occupazione longobarda di Lucca possa essere stata un fatto compiuto nel 570⁴³, quindi prima che fosse espugnata nel 572 la stessa Pavia.

    Sempre secondo Angelini⁴⁴, è in dubbio che Lucca sia stata presa in maniera cruenta: la città infatti era difesa dalle salde mura romane e circondata da paludi, inoltre nel 552 aveva resistito a lungo ad un assedio dei Bizantini. Probabilmente le difficoltà annonarie del tempo e le affinità razziali e linguistiche tra i Longobardi e i Goti (rimasti forse nella Tuscia settentrionale come guarnigione) agevolarono l’occupazione quasi pacifica della città: l’ipotesi sarebbe in accordo con la revisione attuale fra gli storici, sulla mitica ferocia della gente longobarda, fama del resto non estranea ad altri invasori in determinati momenti ed in particolari sedi⁴⁵.

    Se l’occupazione di Lucca potesse ammettersi avvenuta in forma semi-pacifica, può qui anticiparsi quanto riguarda invece Luni, che, per la sua vicinanza geografica, era di particolare interesse per la nostra città e la Garfagnana. Certamente la conquista di Luni avvenne alcuni decenni più tardi di quella di Lucca, al tempo di Rotari (636-652), tanto che Paolo Diacono⁴⁶ narra che tutte le città della costa ligure-tirrenica furono conquistate fino al confine col regno dei Franchi. Ciò induce a ritenere che la conquista sia avvenuta da sud-est verso nord-ovest, là dove gli storici hanno potuto ricostruire il limes di difesa dei Bizantini tra Lucca e Luni, e precisamente nella pianura versiliese mediante il Castellum Uffi sopra Valdicastello, il Castellum Aginulfi a Montignoso e nella valle della Magra a Filattiera (Castrum Surianum), per sbarrare l’accesso al passo di Monte Bardone⁴⁷.

    Dopo tre anni e sei mesi di regno in Italia, si compì però la fine di Alboino presso Verona, attraverso la vendetta di sua moglie Rosmunda (figlia del vinto re dei Gepidi), inorridita dallo scherno di Alboino, che la invitò a bere nella tazza allestita col teschio del padre Cunimondo⁴⁸.

    A soffrire sotto l’urto dei guerrieri longobardi per primi furono gli abitanti delle campagne che dovettero rifugiarsi al riparo delle mura cittadine⁴⁹. Nelle città dominava la fame e sulle popolazioni stremate e ammucchiate in poco spazio infierirono presto epidemie e pestilenze⁵⁰. Aveva interesse alla restaurazione bizantina l’esercito, che, forse per ordine del patrizio, sgombrava le città all’avvicinarsi delle orde nemiche e che in ogni caso veniva cacciato⁵¹; inoltre avevano tale interesse l’alta nobiltà che non risiedeva sul luogo e la Chiesa. Entrambe queste temevano giustamente di perdere il loro potere e i loro beni terreni; l’Impero aveva malamente difeso i loro interessi, ma il maggiore pericolo era costituito per l’una dalla fame di terra, per l’altra dall’Arianesimo e per tutte e due dall’astio politico del nemico nei confronti degli esponenti del patriottismo bizantino⁵².

    Queste classi si rifugiavano, se ne esisteva la possibilità, nelle piazzeforti più vicine, specialmente sul mare⁵³, dove la

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