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I fatti di Bisaccia: Predicazione protestante, reazione cattolica e intervento dello Stato liberale nell’Irpinia di inizio Novecento
I fatti di Bisaccia: Predicazione protestante, reazione cattolica e intervento dello Stato liberale nell’Irpinia di inizio Novecento
I fatti di Bisaccia: Predicazione protestante, reazione cattolica e intervento dello Stato liberale nell’Irpinia di inizio Novecento
E-book154 pagine2 ore

I fatti di Bisaccia: Predicazione protestante, reazione cattolica e intervento dello Stato liberale nell’Irpinia di inizio Novecento

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Un viaggio nel profondo sud agli inizi del Novecento, terra «gentile di austera bellezza», tra intolleranze e paure e speranze di riscatto. Come in una pièce di teatro si muovono contadini, prefetti, preti, vescovi, predicatori, donne e ragazzi, carabinieri e reparti dell’esercito, in una terra percossa da terremoti e da una miseria antica con l’apparizione fugace del re e della regina. L’opposizione tra cattolici e protestanti fu un fenomeno non isolato nel nostro Paese dove la libertà religiosa venne di fatto pienamente riconosciuta solo alla metà del secolo.

Sandro G. Franchini è cancelliere emerito dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti di Venezia. Ha pubblicato saggi di carattere storico, con particolare attenzione alla libertà di religione e di coscienza.
LinguaItaliano
Data di uscita27 set 2021
ISBN9788865127797
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    Anteprima del libro

    I fatti di Bisaccia - Sandro G. Franchini

    Dalle carte del ministro dell’Interno

    Tra le centinaia di grosse buste che formano l’archivio di Luigi Luzzatti, custodito a Venezia dall’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, è conservato un fascicolo isolato nel suo genere, intitolato I fatti di Bisaccia , che, per sua natura, dovrebbe trovarsi negli scaffali dell’Archivio Centrale dello Stato tra i documenti del Ministero dell’Interno.

    Un fascicolo che Luzzatti, essendo presidente del Consiglio dei ministri e ministro dell’Interno dal marzo 1910 al marzo 1911, conservò tra le carte di casa, con procedura irrituale ma non infrequente per gli uomini politici del tempo: questo ci consente di esaminare gli avvenimenti narrativi utilizzando una fonte documentaria omogenea e inedita e di collocarli, anche attraverso le testimonianze dei protagonisti, nel contesto di una più larga storia dove gli uomini alla ricerca di Dio, o più semplicemente alla ricerca di un senso da dare alla loro precarietà, mescolano eroiche testimonianze di fede e di dedizione con odiose manifestazioni di insofferenza e di orgogliosa supponenza.

    Nella colorita vicenda, che si inquadra nel diffuso senso di intolleranza tra la maggioranza cattolica e le comunità protestanti nate in Italia dopo l’unità nazionale, ritroviamo motivi, ispirazioni e fatti non così rari in quei decenni a cavallo tra Otto e Novecento, quando nella polemica tra cattolici e protestanti prevaleva una reciproca ostilità, tanto da dar luogo in varie parti della penisola a episodi di violenza. Manifestazioni che prefetti e funzionari di polizia cercavano di raffreddare e comporre attraverso una difficile opera di mediazione, ma anche ricorrendo all’intervento dell’esercito, in un precario equilibrio tra il rispetto delle leggi dello Stato che si voleva liberale e che aveva nel principio della libertà religiosa uno dei suoi fondamenti, e le pulsioni che la coscienza personale e le sollecitazioni di un ambiente ancora fortemente clericale facevano loro pervenire [1] .

    I «fatti di Bisaccia» ridotti all’essenziale videro, nella primavera-estate del 1910, gruppi di popolani, donne e ragazzi, più o meno apertamente sostenuti dal clero locale, manifestare la loro avversione nei confronti di una piccola comunità di battisti sorta nella cittadina irpina, facendola oggetto di pesanti atti di scherno, con sassaiole, strattonate e tentativi di aggressione personale: episodi tanto gravi da richiedere l’intervento della prefettura, della forza pubblica e dell’esercito, fino a richiamare l’attenzione del ministro dell’Interno e, come vedremo, dell’Ambasciata statunitense a Roma [2] . Fatti che ebbero ripercussioni nei centri dell’Irpinia più vicini come Calitri e Sant’Angelo dei Lombardi e che vanno considerati come segni di un malessere che ritroviamo un po’ in tutta la regione, in quell’allora remoto angolo del Meridione d’Italia dove si incontrano i confini della Campania, della Puglia e della Basilicata.

    Nella provincia di Avellino i primi predicatori protestanti erano giunti alla fine dell’Ottocento. Non erano isolati, ma facevano parte di un piccolo e disarmato esercito che, non senza una certa spregiudicatezza, talvolta venata di un ingenuo fanatismo come può avvenire nei neofiti, immaginava di poter liberare l’Italia dall’oppressione del potere clericale e papalino: volevano così portare il ‘messaggio autentico’ del Vangelo, liberato dalle sovrastrutture di un cattolicesimo giudicato come una superstizione ormai superata.

    C’è da rimanere stupiti dal coraggio di questi avventurosi missionari e il loro fervore va visto nel quadro di quel generale risveglio della sensibilità religiosa che si diffuse un po’ ovunque nell’Europa del XIX secolo e che interessò direttamente il mondo protestante.


    [1] Per un quadro complessivo del riconoscimento giuridico delle Chiese non cattoliche da parte dello Stato liberale: G. Peyrot, La legislazione sulle confessioni religiose diverse dalla cattolica, in La legislazione ecclesiastica, a cura di P. A. D’Avack, Vicenza, Neri Pozza, 1967, pp. 519-548; G. Rochat, Regime fascista e Chiese evangeliche. Direttive e articolazioni del controllo e della repressione, Torino, Claudiana, 1990, pp. 9-14.

    [2] Cenni, a volte non del tutto esatti, su quanto avvenuto a Bisaccia nel 1910 sono pubblicati in varie sedi, anche on line. In particolare si ricordano: D. Maselli, Storia dei battisti italiani. 1863-1923, Torino, Claudiana, 2003, pp. 113-114; G. Spini, Italia liberale e protestanti, Torino, Claudiana, 2002, pp. 237-238; V. Vinay, Storia dei Valdesi, 3. Dal movimento evangelico italiano al movimento ecumenico (1848-1978), Torino, Claudiana, 1980, p. 247. Più estese relazioni sono in R. Maiocchi, Il lucignolo fumante: una comunità battista nel Sud Italia, «Gioventù Evangelica», 33, 84, dicembre 1983, pp. 10-14 e in N. Palminota, Le Chiese Avellinesi (Avellino, Bisaccia, Calitri). Bisaccia, «Il Testimonio », dicembre 1955, pp. 424-428.

    Una difficile Riforma

    In Italia la Riforma luterana era stata stroncata sul nascere da una violenta quanto efficace repressione tale da preservare la penisola da ogni infiltrazione protestante. Rare eccezioni erano state ammesse in quegli Stati italiani che maggiormente mantenevano relazioni commerciali con l’Europa settentrionale e che avevano autorizzato la presenza di luoghi di culto evangelico a esclusivo uso di stranieri [1] . Le riforme napoleoniche avevano dato temporaneo respiro alle minoranze religiose, ma la restaurazione dell’antico regime comportò il riaffermarsi dell’intolleranza religiosa nei confronti dei dissidenti. In campo cattolico, in particolare, ciò corrispose a un’esaltazione della figura del romano pontefice e, soprattutto nei primi decenni del XIX secolo, a una incondizionata apologia della religione cattolica unita a una ferma condanna del pensiero contemporaneo erede dell’illuminismo. Parallelamente, nel clima di un diffuso sentimento di rinascita religiosa, si andò affermando in Europa una profonda esigenza di purificare il cristianesimo dalle incrostazioni del tempo e di ritrovare l’essenzialità del messaggio evangelico, anche nel tentativo di stabilire un dialogo col mondo moderno e con il pensiero scientifico. In Italia queste istanze non tardarono ad essere recepite, portando ad auspicare una riconsiderazione del potere temporale del pontefice e una maggiore libertà per le minoranze religiose [2] .

    Con l’unità nazionale raggiunta nel 1861 venne applicata a tutto il regno la legislazione piemontese e in particolare lo Statuto Albertino, che all’articolo 1 stabiliva che la religione cattolica era la sola religione dello Stato, ma ammetteva anche l’apertura di luoghi di culto e la predicazione da parte dei pastori protestanti.

    I primi ad approfittare di questa opportunità furono i valdesi che contavano su una secolare presenza nello Stato sabaudo, anche se confinati in un territorio ristretto e remoto nel cuore della Alpi Cozie. Del resto i valdesi, già nel 1848, grazie all’emancipazione loro riconosciuta dallo Statuto, avevano potuto inviare dalle loro valli, dove si parlava francese, a Firenze alcuni pastori perché si impratichissero dell’italiano in vista di una futura opera di proselitismo nella penisola [3] .

    Nel contempo intrapresero le loro attività missionarie gli evangelici e i metodisti inglesi, anche con il sostegno politico e finanziario della Prussia e dell’Inghilterra. È indicativo che ad opera della Società Biblica di Londra tra il 1853 e il 1864 siano state distribuite in Italia ben 130.000 bibbie [4] . Una delle spinte ideali a questo rinnovato zelo missionario proveniva dal convincimento di essere depositari dell’autentico spirito evangelico: il fatto poi che le maggiori potenze politiche ed economiche del tempo, quali l’Inghilterra, gli Stati Uniti e la Germania, fossero protestanti, confermava la loro certezza della missione storica affidata al protestantesimo di portare la civiltà e il progresso in ogni angolo della terra. È questo lo spirito che nel 1857 animò gli intervenuti alla grande assise internazionale promossa dall’Alleanza Evangelica a Berlino, con gli auspici del re di Prussia Federico Guglielmo IV [5] . In quell’occasione furono stigmatizzate le persecuzioni e gli ostacoli posti contro i protestanti negli Stati cattolici, ai quali venne rivolto un appello per la libertà della predicazione missionaria. Tra i paesi cui si guardava con particolare attenzione era proprio l’Italia, che stava realizzando in quegli anni l’unità nazionale, aprendo un nuovo e promettente campo per il proselitismo evangelico. L’estromissione dell’Austria da gran parte dell’Italia, l’affermazione del Piemonte con la sua legislazione liberale e laica, il ridimensionamento dello Stato pontificio, consentivano di formulare degli ottimistici scenari per i volonterosi missionari che vi si fossero avventurati.

    Analoghe considerazioni venivano svolte anche negli Stati Uniti. È significativo che già nel 1862 inizi l’azione missionaria verso l’Italia dei battisti, una delle Chiese protestanti più sensibili alla promozione sociale dei diseredati. L’avvio venne dato con una lettera aperta pubblicata dal pastore di Baltimora John Berg sulla necessità di evangelizzare la nostra penisola. I ventidue milioni di Italiani che formavano il nuovo regno, affermava Berg, erano stanchi non solo della Chiesa cattolica, ma anche di qualsiasi altra struttura ecclesiastica ed erano finalmente liberi dal potere temporale e dal dispotismo dei papi: si trovavano quindi nelle condizioni migliori per ricevere il vangelo dalla predicazione battista [6] . Riscontriamo analoghe considerazioni nel pensiero di lord Shaftesbury (presidente dell’Alleanza evangelica e uomo politico di primo piano dell’Inghilterra vittoriana), che guardava ammirato all’impresa di Garibaldi come fosse un novello Gedeone: «It seems to me that God’s protecting and accompanying power has repeted for him the miracle of Gideon and his three hundred» [7] .

    Nuove comunità nacquero così un po’ ovunque in Italia, secondo il variegato carisma delle diverse Chiese. Non di rado esse erano in contrasto tra loro su questioni teologiche anche importanti, ma erano accomunate dall’orgoglio di rappresentare i valori della laboriosità, dell’onestà, del rigore morale che avevano storicamente premiato col successo economico e politico i maggiori paesi protestanti. Le univa inoltre uno spirito polemico sempre pronto allo scontro: nessuna intesa era possibile con la Chiesa cattolica, identificata con la superstizione di stampo pagano e con la corruzione dei tempi più bui. La polemica estenuante di questa retorica celava, in alcuni casi, il vuoto teologico e l’impreparazione di predicatori improvvisati. Si trattava infatti, a volte, di giovani non adeguatamente formati all’arduo compito che si erano ripromessi oppure di ecclesiastici cattolici convertiti al protestantesimo che portavano con sé, assieme alla vis polemica, un bagaglio teologico tradizionale e ben poco aggiornato sul pensiero che si accingevano a diffondere. Purtuttavia erano animati da uno zelo pastorale instancabile, che tanta parte ebbe nella presa di coscienza di sé dei diseredati del mondo rurale, soprattutto nel meridione, fino ad allora abbandonati. La sensibilità sociale dimostrata dai metodisti e dai battisti con le loro scuole domenicali e le loro associazioni di mutuo soccorso ebbero un’importanza significativa nella promozione delle classi più emarginate. Ma non solo: anche nei centri urbani e nelle provincie economicamente più attive del paese, la presenza protestante di élites culturalmente più avvertite indubbiamente rappresentò una ventata di aria nuova proveniente dall’Europa, capace di ridestare ambienti spesso assopiti che la controriforma e il Sillabo avevano cercato di mantenere sotto stretto controllo e chiusi ai movimenti d’oltralpe.

    L’apertura di luoghi di culto non cattolici cominciò già all’indomani dell’unità d’Italia: i più attivi furono i valdesi, che si distribuirono lungo un po’ tutta la penisola. A Firenze già nel 1859 giunse il pastore metodista wesleyano William Arthur; a Barletta e a Fano nel 1865

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