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Un ventennio perduto: 1994 2014
Un ventennio perduto: 1994 2014
Un ventennio perduto: 1994 2014
E-book151 pagine2 ore

Un ventennio perduto: 1994 2014

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Info su questo ebook

“La democrazia è venuta ad assumere il carattere di un sistema che ha riconsegnato per aspetti cruciali il potere a nuove oligarchie, le quali detengono le leve di decisioni che, mentre influiscono in maniera determinante sulla vita collettiva, sono sottratte a qualsiasi efficace controllo da parte delle istituzioni democratiche. Si tratta sia di quelle oligarchie che, titolari di grandi poteri, privi di legittimazione democratica, dominano l’ economia globalizzata, hanno nelle loro mani molta parte delle reti di informazione e le pongono al servizio degli interessi propri e dei loro amici politici; sia delle oligarchie di partito che in nome del popolo operano incessantemente per mobilitare e manovrare quest’ ultimo secondo i loro intenti; sia dei governi che tendono programmaticamente a indebolire il peso dei parlamenti (…) e soggiacciono all’influenza del potere finanziario e industriale, diventandone in molti casi i diretti portavoce e gli strumenti.” (Massimo Salvadori, “Democrazie senza democrazia.”).
LinguaItaliano
Data di uscita3 set 2014
ISBN9788890983481
Un ventennio perduto: 1994 2014

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    Anteprima del libro

    Un ventennio perduto - Andrea Mannone

    9788890983481

    Prememessa

    Premessa

    Noi in genere intendiamo per storia una narrazione di fatti, di avvenimenti che si sono succeduti nel tempo. E’ un modo indubbiamente assai riduttivo di concepire la storia, che non può essere ridotta a "Res Gestae, ma va intesa, piuttosto, come Memoria Rerum Gestarum", ossia, come presa di coscienza del proprio passato.

    "Del resto, non sapere che cosa è successo prima che tu sia nato, equivale ad essere un ragazzo. Che cosa è, infatti, la vita di un uomo se non si riallaccia con la vita di quelli venuti prima di noi, attraverso la memoria storica?" (Cicerone, De Oratore, 2, 36).

    Queste cose diceva Cicerone già duemila anni fa, quasi a volerci dire come la Memoria intesa come esperienza del ricordare fa parte integrante della vita dell’uomo, perché lo àncora al passato, gli consente di interpretare il presente, e di progettare il futuro. Un messaggio che giunge ai posteri come una sorta di Memento e che ancora oggi conserva tutta intatta la sua validità e attualità.

    Ma diventare uomini è una prova dura e difficile che impegna l’uomo con tutto se stesso nella lotta di ogni giorno tesa al raggiungimento di "… quella capacità di comprendere la vita e soprattutto il posto che vi teniamo nei nostri rapporti con gli altri". A tal fine " non c’è bisogno di divorare libri, enciclopedie o intere biblioteche… basta vivere da uomini, cercare, cioè, di spiegare a se stesso il perché delle proprie azioni e di quelle altrui, basta tenere gli occhi aperti, curioso su tutto e su tutti, sforzarsi di capire ogni giorno il Tutto di cui siamo parte; basta comprendere e penetrare la vita con tutta la nostra forza di passione, di volontà di tensione ideale e morale. Che è come dire: non poltrire, non impigrire" (A. Gramsci).

    Di qui la necessità della Memoria storica per diventare persone mature e coscienti di sé. Certuni, però, non diventano mai uomini, ma rimangono…

    "Obbedendo ad un ordine di Zeus, Prometeo plasmò gli uomini e le bestie. Ma quando Zeus si accorse che le bestie erano molto più numerose degli uomini, gli ordinò di disfare un po’ di bestie per ridurle a uomini. Prometeo eseguì l’ordine. Ecco perché tutti coloro che la forma umana non l’avevano ricevuta originariamente, si ritrovarono con un corpo di uomo e l’anima di una bestia. Ecco una favola buona per un uomo grossolano e bestiale."

    (Esopo, Prometeo e gli uomini.)

    Introduzione

    Introduzione

    Il decadimento della politica nel nostro paese non scaturisce solo dalla indegnità e dalle nefandezze della casta. Il decadimento origina in primo luogo dal degrado civile sociale e culturale che ha caratterizzato la nostra società nel corso di questi ultimi venti anni.

    Un ventennio in cui il paese si è venuto a trovare senza più un saldo ancoraggio al suo retroterra storico, politico già a partire dal problema stesso della sua Tenuta. Nonostante sia trascorso un secolo e mezzo dalla sua Unità, bisogna onestamente riconoscere che questo popolo non ha ancora una storia condivisa. Questo popolo non ha ancora rimarginato le sue ferite ataviche, dalla questione meridionale, alla guerra civile fascisti-antifascisti, fino a Mani pulite. Il venir meno di una memoria storica, di un passato comune si è ulteriormente accentuato e aggravato in questi ultimi anni nei quali la lega si è spinta fino a contestare lo stesso Risorgimento, l’Unità d’Italia, il Tricolore. Si aggiunga, altresì, che l’avvento di un bipolarismo irriducibile, insanabile, inconciliabile, di infima bassezza politica, ha radicalizzato divisioni e contrapposizioni in un processo di progressiva escalation conflittuale in cui le coalizioni cosiddette di destra e di sinistra solo in apparenza sono state alternative l’una all’altra. In realtà, si sono rivelate ciò che veramente sono: il Giano Bifronte, ossia, le due facce uguali e diverse di uno stesso corpo: il potere.

    Il paese ha smarrito il suo orizzonte di senso e di valori: l’uomo, il singolo, l’individuo è ciò che conta; l’immagine è quella che vince; la comunicazione è quella che convince; comandare è meglio che ogni altra cosa. Soldi, sesso e successo! Questo il dio uno e trino della società di questi anni.

    Insomma, una Italietta popolata da piccoli uomini e piccole donne da salotti tv, incipriati, incerottati, imbellettati, come immagine comanda. Del politico è avvenuto né più e né meno quel che avviene del pesce: come il pesce non vive fuori dall’acqua, così il politico non sopravvive fuori dall’apparizione mediatica.

    L’esposizione mediatica è diventata l’elemento vitale, essenziale del suo esser-ci. Di qui, il suo snaturamento, il suo diventare sempre più attore e maschera del teatrino mediatico, e sempre meno figura politica in vicinanza e consonanza col sentire, con i bisogni, con le aspirazioni, con le ansie di chi non ce la fa ad arrivare alla fine del mese.

    Nell’Italietta di questo ventennio, tra i requisiti indispensabili e imprescindibili di un politico, c’è la comunicazione, fino a teorizzare che fare politica serve sì, ma fino ad un certo punto. Anzi, per i più alti pensatori di questa scuola, essere politico o far politica significa essere l’ultimo romantico di un tempo che non è più.

    Comunicatore e affabulatore: questa è e deve essere la virtù maliarda, magica e fascinosa del politico della società dell’Immagine. Un tempo si diceva épater le bourgeois. Oggi si potrebbe dire: épater le voyeur, cioè, il gonzo, il guardone del video, il vidiota. Ma è possibile che la politica, in ultima istanza, si riduca a gettare polvere negli occhi? A specchietto delle allodole? Non è una offesa alla intelligenza dell’uomo e della sua divina facoltà? Pensare, riflettere, ragionare.

    Purtroppo, questa realtà più virtuale che reale nella quale siamo stati avvolti come in un magico involucro, ha financo generato l’illusione che Democrazia è potere del popolo, che il popolo è sovrano. In realtà, si tratta di una sovranità rituale, formale, tutt’altro che decisionale, perché gli addetti ai lavori fanno rientrare dalla finestra ciò che il popolo si è recato a votare; perché deputati e senatori sono stati già eletti nelle segrete stanze delle segreterie di partito; perché le decisioni cruciali e vitali per le sorti di un popolo, di una nazione non stanno più di casa qui in Italia, ma altrove. Insomma, Passata la festa, (la kermesse elettorale) gabbatu lu santu. Perché? "Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare".  

    Alle soglie degli anni 90

    Alle soglie degli anni ‘90

    Con l’avvento della cosiddetta II° Repubblica, lo scenario della politica italiana non è più quello cui abbiamo assistito a partire dalla seconda metà del novecento per circa un cinquantennio fino ad arrivare agli anni novanta:

    a) finisce l’URSS;

    b) finisce il mondo bipolare;

    c) finisce la guerra fredda;

    d) cade il muro di Berlino.

    Si tratta di avvenimenti epocali, destinati a segnare e a cambiare dal profondo anche la cultura politica e democratica del nostro paese. La politica in Italia, prima della caduta del muro di Berlino, era davvero espressione di grandi tensioni e contrapposizioni politiche, etiche e ideali.

    La società italiana era come spaccata in due dal macete

    dell’ Ideologia : o si stava di qua o si stava di là; o eri di una parrocchia o eri della parrocchia opposta, con la conseguenza di tutte quelle logiche drastiche, rigide e schematiche che alimentavano e stavano alla base dei concetti di sinistra e destra.

    La stessa contrapposizione dei due grandi partiti DC contro-PCI era l’aspetto fenomenico della spaccatura manichea della politica nel nostro paese: da una parte il Bene, dall’altra parte il Male; da una parte, la Libertà, dall’altra parte, la illibertà; da una parte, Cristo, dall’altra parte, l’ Anticristo.

    Oggi, invece, le cose non stanno più così. La politica non corre più lungo il crinale di grandi scelte, o di grandi opzioni ideali e valoriali; insomma non è più quel mondo di logiche conflittuali e tradizionali di un tempo, ma si viene sempre più delineando e configurando come uno spazio sempre meno dualista e sempre più pluralista.

    Ma i sommovimenti, gli sconvolgimenti di un’epoca non afferiscono soltanto alla sfera, all’ordine politico e ideologico di una storia, di un tempo, ma si ripercuotono e si riverberano anche all’interno di una visione e concezione del vivere economico e sociale del nostro paese.

    In particolare, gli eventi cruciali di questi ultimi decenni, col craxismo prima e col berlusconismo poi, sono stati il trionfo, l’apoteosi di una ben precisa Ideologia economica e sociale: liberismo e mercatismo.

    Tutto è diventato rampantismo, competizione selvaggia nel nome della Deregulation a cui ha finito per omologarsi e convertirsi una larga parte di classe politica e dirigente anche di sinistra, che non ha disdegnato di adagiarsi e curvarsi alla logica del mercato e della finanza. Non a caso, sulla scena politica irrompono altre figure, altri personaggi, altri attori: uomini di finanza, di affari, managers e super-managers.

    La politica viene relegata sempre più sola e soletta in un cantuccio e, per contro, si fa sempre più spazio all’all’avvento della New Economy: operazioni in borsa, scalate bancarie, acquisizioni azionarie con tutte le nefandezze e scelleratezze varie perpetrate dalla finanza tossica. Ciò ha portato al declino del prestigio sociale del lavoro, inteso come attività operosa, laboriosa e produttiva e alla corsa al denaro che nasce e si riproduce dal denaro.

    E’ la corsa sfrenata alla finanziarizzazione dell’economia che affida il processo di arricchimento più alla speculazione che alla produzione. Insomma, un capitalismo da Raider e arrampicatori che alcuni eminenti dirigenti politici di sinistra hanno salutato e cantato come capitani coraggiosi.

    Oggi a distanza di più di vent’anni, bisogna oggettivamente riconoscere che le cose sono cambiate. Panta rei, tutto scorre, tutto passa: liberismo, mercatismo, individualismo. Un’epoca è finita: quella degli anni novanta, degli spiriti vitali, o per meglio dire, degli spiriti animali del liberismo oltranzista, un’epoca nella quale Stato, società, welfare, solidarietà, dignità e diritti del lavoro non avevano diritto di cittadinanza. Esistevano solo gli individui e il loro più sfrenato Laissez faire.

    Come mai è potuto accadere tutto ciò? E’ potuto accadere perché sono venute meno le grandi identità politico-ideologiche e soprattutto perché si sono notevolmente affievoliti e indeboliti quelli che un tempo erano i forti e solidi legami di classe e ceto sociale in base ai quali i partiti regolavano e determinavano le loro strategie. Nascevano così i partiti leggeri, liquidi, i partiti ectoplasma.

    Ma un partito è partito se declinato e correlato a precise realtà e identità sociali che possono essere poste a fondamento di esso, se rappresenta, cioè, interessi, bisogni, aspirazioni, tensioni e volizioni di ben precisi ceti sociali e una volta che li ha individuati, riconosciuti e localizzati si candida a rappresentarli. La sinistra, purtroppo, da questo punto di vista, è stata assente, e oggi finalmemente- meglio tardi che mai- accenna a qualche esame autocritico:

    "… Vorrei capire se noi siamo in grado di mettere al centro della discussione qual è l’idea delle sinistra di cui questo paese ha bisogno. A furia di compatibilità economiche, rigore, austerità, noi abbiamo smarrito un pezzo della nostra identità, della nostra anima, della nostra autonomia culturale. Io non difendo a spada tratta tutto quello che noi abbiamo fatto nel corso di questi anni. Non sono tra quelli che dice che le cose che ha fatto il pd per definizione sono giuste. Io penso che dobbiamo chiudere il ventennio della storia di questo paese e lo dobbiamo fare uscendo non da destra, ma da sinistra.

    Se dovessi dire cosa metto nella valigia di questi ultimi vent’anni, mi porto appresso, direi, non moltissime cose; direi l’ulivo, direi l’euro,… abbiamo bisogno di una svolta profonda e radicale e di una alternativa per il futuro di questo

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