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La mia Verna
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E-book125 pagine1 ora

La mia Verna

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Info su questo ebook

Mauro Olmastroni torna a parlare di un tema a lui caro: l’incontro casuale.
Silvia, nell’atmosfera spensierata di una vacanza, si trova costretta a rivivere un episodio doloroso del suo passato che la fa precipitare in una profonda crisi interiore che appare senza via d’uscita.
Inaspettato e favorito dall’ambiente in cui si trova, avverte un primo spiraglio di risveglio, a cui si aggrappa fiduciosa e che la porta dove non avrebbe mai pensato, al perdono. Da qui prende il via la rinascita del proprio animo e, in prospettiva più vasta, di tutta la comunità di cui si sente parte. Tutto avviene alla Verna.
La Verna, Chiusi della Verna è una piccola località dell’alto Casentino, dove agli albori del XIII secolo un miracolo illuminò la fede cristiana, ma è anche un piccolo gioiello che deve essere salvaguardato, aiutato, vissuto e apprezzato. Di fronte alla maestosità e alla sacralità delle rocce scoscese della foresta, alla Verna è naturale restare affascinati da ciò che ci circonda e avvertire una grande serenità interiore.
Questa è “La mia Verna”.
LinguaItaliano
Data di uscita20 dic 2017
ISBN9788827802649
La mia Verna

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    Anteprima del libro

    La mia Verna - Mauro Olmastroni

    633/1941.

    1

    Già da alcuni giorni, nei pomeriggi di un autunno inoltrato, andavo alla spiaggia a godere del sole, che continuava a regalare splendide giornate. Qualche volta incontravo un’amica, più spesso ero sola e stavo lì sulla sedia sdraio, coperta da un telo, a guardare le onde del mare. Solo qualche temerario entrava in acqua, ma nelle belle giornate diverse persone frequentavano ancora la spiaggia: qualcuna era lì a rilassarsi come me, altre camminavano sulla battigia, consapevoli del fatto che il piacere di bagnarsi i piedi sarebbe durato ancora per poco. Non mi interessava osservare gli altri, volevo solo pensare a me stessa, rinfrescata dalla brezza che saliva dal mare. A momenti ripercorrevo i fatti recenti della mia vita, più spesso mi trovavo con la testa vuota, non una sensazione di disagio, ma una leggerezza gradevole in cui mi trovavo cullata, quasi avessi speso tutte le energie della mente per risolvere qualcosa di importante. Quei momenti di relax erano divenuti un’abitudine; era una solitudine per modo di dire, perché venivo sulla spiaggia con mio marito e lui si tratteneva, qualche decina di metri dietro a me, a dare una mano ai suoi amici a mettere le attrezzature balneari al sicuro in previsione delle prossime mareggiate invernali. Qualche volta aiutavo anch’io, ma di solito non c’era niente da fare per me e gli uomini preferivano restare da soli, allora andavo a sedere in riva al mare, immedesimandomi nel continuo fruscio delle onde.

    «Che fai tutta sola?», la voce di Giampaolo mi risvegliò dal torpore. «Ti vedo quasi tutti i pomeriggi qui sulla riva da sola… ti disturbo?».

    «Ci mancherebbe… Mi piace starmene qui in silenzio a scaricare la mente e tenerla lontano da ogni preoccupazione».

    «Fai bene», aggiunse Giampaolo allontanandosi, «ti vedo serena, ti si legge negli occhi. Scommetto che stai facendo un bilancio delle vacanze appena trascorse».

    L’uomo era già distante quando mi venne di rivolgermi ancora a lui, all’improvviso: «Giampaolo, sei un amico, vero?».

    L’artista restò sorpreso da queste parole, si soffermò un attimo e tornò verso di me: «Direi proprio di sì e son felice di esserlo. Ci conosciamo da quando sei venuta ad abitare qua dietro, ti eri sposata da poco».

    Un attimo di silenzio e proseguii, come sicuramente non si sarebbe aspettato: «Da quanto tempo non dipingi qualcosa?».

    «Che domanda mi fai?», mi accorsi che era rimasto sorpreso, «io dipingo o scolpisco sempre, dovresti saperlo».

    «Sì, lo so, ripensavo a quando ci siamo conosciuti; allora stavi affrescando la chiesa del paese».

    «Già, il primo grande lavoro che ho fatto… ma che c’entra questo con la nostra amicizia?».

    «Non lo so, mi è venuto di chiedertelo senza nessuna logica».

    Non riusciva sicuramente a capire cosa avessi voluto comunicargli, forse non volevo dargli nessun messaggio preciso perché neanche io avevo chiaro il significato della mia domanda. Poi aggiunsi: «Quante storie di vita si potrebbero mettere nei dipinti delle chiese, non solo quelle dei santi e della passione di Cristo». Le parole mi erano venute spontanee.

    «Hai qualche idea da suggerirmi?». Giampaolo si fece più attento, pensando che volessi rivelargli o chiedergli qualcosa.

    «No, era solo una considerazione vaga, lascia perdere», risposi leggendo sulla sua faccia quasi una punta di delusione.

    «Comunque», concluse salutandomi, «io sono sempre pronto a prendere in considerazione qualsiasi idea, sai dove trovarmi».

    «Chissà, sarebbe bello».

    Lui era già lontano, mentre io restavo sorpresa dei discorsi confusi che avevo fatto. Già, perché mi erano venuti in mente? Avevano qualche relazione con la mia storia?

    Ma come era rilassante stare sulla riva a godere dello sciacquio delle onde!

    Con la coda dell’occhio scorsi in lontananza un’altra figura, come me ferma di fronte alla riva. Non riuscivo a distinguere se si trattasse di un uomo o di una donna, tanto meno quale potesse essere la sua età, ma qualcosa mi attraeva istintivamente e dopo un po’, quasi inconsapevolmente, mi venne di muovermi verso di lei. Tenendo lo sguardo fisso su quella che piano piano riconobbi come una figura femminile, notavo che restava immobile; poi mi accorsi che dietro di lei c’era qualcuno accovacciato e poco dopo capii che questa persona stava facendo un ritratto alla donna. Mi venne naturale un pensiero: riuscirà il pittore a rappresentare, oltre alla figura della donna, anche il suo animo?

    2

    Le nostre estati, come quelle della maggioranza dei residenti nelle zone marine, prevedevano ben poche ferie, anche se né io né mio marito lavoravamo direttamente nelle attività ricettive turistiche. Per noi, come per tanti altri, era normale restare in paese ritagliandoci al massimo una quindicina di giorni per evadere dai nostri luoghi; qualche volta una breve vacanza all’estero, più spesso in zone d’Italia diverse dalla nostra, per conoscere posti nuovi e per ritemprare lo spirito. Proprio per questo ci piaceva la montagna e da qualche anno trascorrevamo una decina di giorni sui monti del Veneto, della Val d’Aosta o del Trentino.

    C’era tanto da vedere, soprattutto dal punto di vista naturalistico e ci piacevano le passeggiate per prati e boschi, a volte anche dall’alba al tramonto, accompagnati da uno zaino con un po’ di provviste, un bastone e una coperta per sdraiarci quando le forze cominciavano a venir meno. Quasi ogni estate da una quindicina di anni era così, ma non ci annoiavamo per niente, come qualche amico sosteneva in continuazione. Forse a questa nostra scelta di vita aveva contribuito il fatto di non avere figli, cosa che per tanti anni è stata traumatica per me, ma che con l’affetto di mio marito sono riuscita a superare piano piano.

    Durante la stagione, Luciano passa quasi tutti i pomeriggi a dare una mano ai gestori dello stabilimento balneare. Si conoscono da quando erano ragazzetti e lui ricorda ancora il nonno del proprietario attuale che a metà degli anni sessanta cominciò a costruire le prime cabine e piantò i primi ombrelloni di quello che sarebbe diventato uno dei più rinomati stabilimenti di San Vincenzo. Allora Luciano era un amico inseparabile di Giampaolo, il figlio del gestore e condivideva con lui buona parte delle giornate, fino a quando lui, che aveva le idee chiare sulla sua vita futura, andò a terminare gli studi in città. Il lavoro sulla spiaggia era tanto e a tirare avanti lo stabilimento restavano soprattutto i suoi genitori e Luciano, fin da allora, iniziò a passare lì tutto il suo tempo libero. Era divenuto uno di famiglia, anche quando quello che ormai si stava affermando come un vero artista aveva lasciato quasi del tutto la gestione dello stabilimento a suo figlio. Sarebbe stato bello se anche noi ne avessimo avuto uno per affiancarlo a lui, così che la comunanza delle nostre famiglie sarebbe stata ancor più grande.

    Io di solito mi reco in spiaggia nel tardo pomeriggio, dopo essere rientrata da lavoro e aver sistemato un po’ la casa. Al mare, lo riconosco, faccio la bella vita, in fondo da ospite, ma quando c’è bisogno di qualcosa si rivolgono a me come se fossi una di loro.

    Non so dire chi, tra me e mio marito, abbia fatto per primo conoscenza con una famiglia che proveniva dal Casentino e frequentava ormai da qualche anno lo stabilimento dove eravamo anche noi. Io mi ero trovata più volte a parlare con Rita, più o meno mia coetanea; sicuramente era stato il caso a volere che il suo ombrellone fosse vicino a quello che era riservato a me, ma avevo notato che anche suo marito parlava spesso con il mio. Quando seppi che provenivano da Chiusi della Verna, mi sentii ancor più attratta da loro, perché quel posto mi aveva sempre affascinato e pur da lontano lo portavo nel cuore.

    Avevo conosciuto la Verna durante una gita scolastica, in una giornata che almeno all’inizio non sembrava affatto indicata per un viaggio in montagna. Ero scombussolata dal baccano degli altri studenti e non ho alcun ricordo della santità e della bellezza di quel luogo. Solo un episodio sarebbe rimasto sempre nei nostri ricordi: durante il pranzo al sacco nel bosco subito sopra il convento, il professore di filosofia vide rotolare in fondo a un dirupo la sua scatoletta di tortellini, di cui ci aveva parlato tanto durante il viaggio. Eravamo adolescenti e nessuno ci poteva impedire in un’occasione come quella di sbeffeggiare a più non posso quel professore che per una volta ci faceva tanto ridere, mentre in classe era la nostra ossessione. Per quanti anni avremmo ricordato la sua faccia sconsolata e le sue imprecazioni affogate dalle nostre risate sguaiate e i successivi sfottò sul pullman! Il giorno successivo, nei corridoi e nelle aule della scuola, non si parlava d’altro e la voce si sparse in un batter d’occhio per tutta Piombino, almeno nei punti di ritrovo degli studenti.

    Ma la Verna, per me, non è solo racchiusa in quella scatoletta di tortellini al sugo che forse si trova ancora in quel dirupo. Solo diversi anni più tardi, quando ero già fidanzata da tempo con lui, scoprii che in quella gita c’era anche Luciano con la sua classe. Non avevo notato per niente quel ragazzo nel nostro pullman, probabilmente lui faceva combutta solo con i suoi amici e quando tanti anni dopo realizzammo di aver passato quella giornata insieme ci rammaricammo di non aver iniziato a frequentarci prima, ma in fondo ci piaceva aver vissuto quell’esperienza anche da perfetti sconosciuti. Ricordo che fu proprio in quell’occasione che, per la prima volta, provammo il

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