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Il salto della vita
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E-book235 pagine3 ore

Il salto della vita

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Info su questo ebook

Dura è la strada che ogni giorno dobbiamo affrontare e crudele è il destino che ci attenderà.
L’amore e la passione per il pattinaggio sono gli elementi fondamentali di questo romanzo, i cui protagonisti, Emi ed Alec, tenaci fino alla fine, riusciranno a raggiungere gli obiettivi preposti, compreso quello di stare insieme per sempre.
I loro passi si intrecceranno in una danza che li condurrà nel viaggio alla ricerca di se stessi e di ciò che il fato ha in serbo per loro.
LinguaItaliano
Data di uscita10 feb 2018
ISBN9788868272456
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    Anteprima del libro

    Il salto della vita - Maria Montechiari

    1.

    Dura è la strada che ogni giorno dobbiamo affrontare

    e crudele è il destino che ci attenderà.

    In aula regnava il silenzio. Gli studenti dell’ultimo anno del liceo St. Louis erano ammutoliti.

    Così si apriva il primo giorno di scuola. Un anno scolastico pieno di incertezze, per alcuni di noia e tristezza, mentre per i pochi altri restanti sarebbe stato un anno pieno di studi.

    Gli amori con le loro vicende lasciate nel vecchio anno, riaffioravano con dubbi incorniciati da diversi ma e se. Quello che interessava era superare l’ultimo anno, prendere il diploma e ogni studente avrebbe poi intrapreso la sua strada: alcuni il college, altri si sarebbero dedicati al lavoro, altri ancora avrebbero frequentato l’accademia militare.

    I ragazzi si domandavano cosa volessero veramente dalla vita ed il pensiero era unico: guadagnare, accumulare denaro, in linea con i valori odierni.

    I valori dell’umanità, del sacrificio, del volontariato sfioravano minimamente le loro menti.

    Per quanto riguardava le ragazze, invece, era diverso: loro ambivano a diventare attrici, alcune fotomodelle e, molte meno, avvocatesse. Questi però erano solo sogni ad occhi aperti; magari il loro reale destino sarebbe stato quello di diventare una madre di famiglia impiegata in una caffetteria.

    Dinanzi a loro c’era un duro anno da affrontare, come diceva l’insegnante, la signorina Menson.

    A suo riguardo, quello era l’ultimo traguardo della vita lavorativa. Dopo quarantadue anni di insegnamento passati tra i banchi, aveva visto passare molte generazioni di studenti, aveva vissuto e visto in prima persona il cambiamento della scuola e la sua evoluzione, compresa quella della tecnologia.

    Scrutando uno ad uno i suoi allievi avvertiva amarezza e tristezza riflettendo sul tema più complicato, quello della vita. In cuor suo, se avesse potuto decidere di insegnare una materia diversa da quella attuale, questa sarebbe stata un fuori programma ovvero la materia dell’umanità e rispetto per il prossimo.

    Questo aspetto, purtroppo, non la riguardava più di tanto. Doveva svolgere il suo lavoro e la sua professione come aveva fatto in quarantadue anni di duro insegnamento.

    Li lasciò riflettere su quel pensiero da lei appena citato senza dare una traccia. Girò tra i banchi ad osservare i loro volti e per ascoltare commenti.

    Pensare al futuro senza sognare, pensare a quell’ultimo anno che avevano dinanzi: era questo lo scopo del suo intervento.

    Camminava tra le file dei banchi, i ragazzi la osservavano come per dire ma cosa gli è accaduto?

    Si soffermò di fronte alla finestra per assaporare l’aria esterna profumata di una siepe di gelsomino la quale aveva visto nascere e crescere anno dopo anno.

    Fuori era tutto calmo o almeno così sembrava, solo qualche studente che correva per entrare in classe, perché era in ritardo e questo la fece sorridere. Quel silenzio nell’aula fu interrotto dal cigolio della porta che si aprì piano piano.

    La signorina Menson non si voltò a guardare chi fosse, ma si limitò a salutare.

    «Entri pure signor Connors, prenda posto dove vuole anche in cattedra!»

    Il ragazzo la guardò perplesso e si girò verso i suoi compagni, vedendoli incuriositi e si domandò: Come era strana la prof…!

    Alec si sedette tranquillamente senza emettere una sillaba in un banco vuoto vicino alla porta.

    «Bene ragazzi, ora possiamo iniziare la lezione!»

    Quella che lei chiamava lezione durò ben due ore e furono le ore più interessanti di tutti gli altri anni.

    Quando la campanella suonò per la terza volta, tutti si alzarono dalle loro sedie ed andarono verso la professoressa per congratularsi della lezione.

    Alec fu l’ultimo ad alzarsi e prima di uscire gli disse: «Sarà un anno interessante, signorina Menson, molto interessante!» poi uscì dall’aula per raggiungere i suoi coetanei che si trovavano in giardino, quel giorno era appena iniziato e dato il clima ancora estivo molti si stavano organizzando per andare al mare o in piscina dopo la scuola.

    «Alec, vieni con noi?»

    «Dove?» chiese lui.

    «Alla pista di skate, puoi portare i tuoi pattini!»

    «No, ragazzi! Ho promesso a mia sorella che l’avrei portata a pattinare al parco. Dovere di fratello maggiore».

    Alec si allontanò dal gruppo dirigendosi verso le palestre visto che era un tipo atletico che amava lo sport, non si faceva mancare nulla e non aveva ancora deciso cosa fare nella vita, perché era indeciso a quale sport dedicarsi per avere una borsa di studio. Era bravo in alcune discipline, come il basket, la pallavolo, il football: insomma era il numero uno della scuola in questo campo.

    Il suo coach gli aveva sempre detto di iscriversi all’università per diventare un insegnante di discipline sportive, ma ad Alec non interessava. Lui guardava oltre.

    Giunto alla palestra cercò la persona che era andato a trovare e che stimava più degli altri docenti e, come aveva immaginato, lo trovò a bordo campo a selezionare nuovi giocatori talentosi per i vari campionati delle suddette discipline.

    Il coach si sentì chiamare e si girò appena udì quella voce.

    «Guarda, guarda! Non so ancora cosa fare!»

    «Attento coach perché potrei decidere davvero!» disse Alec.

    «Hai deciso cosa fare?»

    «No, sto aspettando un segnale dal cielo, qualcuno che mi illumini la via!»

    «Quest’anno, lo sai, dobbiamo vincere il campionato, la squadra c’è ed è forte ed inoltre si sono aggiunti nuovi elementi».

    «Non credo che giocherò a basket coach! Quest’anno voglio dedicarmi al tiro con l’arco».

    «Cosa ci fai con un arco? Non avrai mai una borsa di studio con due frecce!»

    «Non avrò la borsa di studio, ma le ragazze non sono da meno! Ho visto che ci sono nuove entrate in quella disciplina: meglio dare un’occhiata da vicino!»

    «Attento cupido a non conficcarti una freccia nel cuore, potresti trovare la tua metà!»

    «… per questo deve ancora nascere!»

    Alec si allontanò dalla palestra lasciandosi alle spalle una sicura borsa di studio, ma non era la cosa alla quale mirava…

    Le lezioni quel pomeriggio ripresero come di consueto ed i ragazzi non facevano altro che confrontarsi parlando delle vacanze estive trascorse da poco.

    L’ultima ora suonò per quel primo giorno, i ragazzi si riversarono nei corridoi per raggiungere l’uscita e godersi le ultime ore di sole al mare o a fare una passeggiata nei parchi.

    La giornata era ancora calda ed Alec, tornato a casa, prese sua sorella, come aveva promesso per portarla a pattinare in una pista sicura.

    «Sei sicuro di volermi portare? Non è che stai rinunciando ad un appuntamento per colpa mia!»

    «No, tranquilla, una promessa è una promessa, io alla tua età non sapevo pattinare, perché non avevo nessuno accanto. Ho dovuto fare tutto da solo e, credimi sorellina, ho fatto tante di quelle cadute, perché sbagliavo le coordinazioni, poi mi sono rialzato giorno dopo giorno finché le cadute le vedevo fare agli altri».

    «Allora oggi riderai di me!»

    «Non lo farei mai! Ti sorreggerò quando starai per cadere e ti insegnerò a cadere senza farti del male».

    Il luogo dove stavano andando era una vecchia pista poco frequentata, circondata da una pista ciclabile nel mezzo di un parco. Quel luogo era ideale per imparare a pattinare ed Alec lo sapeva, perché era proprio lì che lui si allenava.

    «Siamo quasi arrivati Carol, sei pronta!»

    La piccola Carol rispose con un cenno della testa. Guardando il suo adorabile fratello, si sentiva la sorella più fortunata del mondo.

    Alec parcheggiò l’auto sotto una grande quercia. Il sole ancora era alto in cielo e riscaldava l’aria come in una giornata di luglio.

    Carol si affrettò a scendere dall’auto prendendo la borsa che aveva lasciato riversa sul sedile posteriore. Anche Alec cominciò a prepararsi, tirò fuori i suoi roller professionali, poi calzandoli si guardò attorno e scrutando i movimenti della folla che era nel parco.

    «Bene Carol! La pista è tranquilla, persone scellerate e scatenate non le vedo. Se farai quello che ti dico, nel giro di poche settimane starai sui pattini e potrai stare accanto a me nelle zone rosse».

    «Cosa sono le zone rosse?» chiese lei curiosa.

    «Sono piste, così le chiamo io, dove i pattinatori si divertono ad esibirsi. Si trovano sul lungo mare».

    «Quel lungo mare dove le ragazze pattinano in costume e tutti i ragazzi cadono a terra per guardarle, compreso tu!»

    «Non ti sfugge nulla! Hai già capito come va il mondo! Cara mia, un giorno quando sarai grande, farai girare la testa a molti, ma per il momento ti controllo io».

    Prendendola per mano, piano piano la portò sulla pista cominciando a dargli le prime indicazioni su ciò che non doveva fare e, parlando di continuo, cominciò la pattinata fianco a fianco e mano nella mano senza mai lasciarla.

    Le poche ragazze che transitavano sulla pista non potevano distogliere lo sguardo da Alec: alcune di loro non accontentandosi di una prima volta, ripercorrevano più volte quel tragitto, altre si fermavano per guardarlo, altre ancora si sdraiavano sul prato facendo esercizi di yoga senza mai staccargli gli occhi di dosso. Come poteva passare inosservato un ragazzo alto con occhi verdi, capelli biondo cenere con taglio corto e dal fisico atletico, con un volto senza difetti? Persino le donne mature, che accompagnavano i propri figli al parco, lo notarono, ma lui, pur avvertendo gli sguardi, non fece nulla e continuò a pattinare con disinvoltura accanto a sua sorella.

    «Perché non ci fermiamo un pochino solo per riprendere fiato?»

    «Hai ragione sorellina, sto esagerando e non ho considerato che le mie gambe sono più allenate delle tue, scusami!»

    A quelle parole lei cercò un po’ di ombra sotto una pianta dove accanto vi era una panchina vuota.

    «Vado a prendere dell’acqua in macchina, tu resta qui e non muoverti e non dare confidenza a nessuno, capito!» disse Alec con tono preoccupato.

    «Sì, lo so come mi devo comportare, mamma e papà mi hanno detto tutto. Stai tranquillo Alec!»

    «Guarda che ti osservo mentre vado verso l’auto!»

    Alec si allontanò pattinando verso la macchina che non era molto lontana e, pattinando veloce, vi arrivò subito. Si girò nuovamente a controllarla, poi aprì il vano dell’auto e prese l’acqua come aveva detto. Di corsa si allontanò da essa dirigendosi verso la panchina.

    Il sentiero della pista era un po’ in discesa e ogni dieci metri si intersecava con altre piste sempre ciclabili.

    Arrivato al secondo incrocio si voltò all’indietro, perché disturbato dal suono di un’allarme auto; stava ancora pattinando e non si rese conto che la velocità era nel frattempo aumentata. L’allarme continuava a suonare. Aveva saputo che in quella zona vi erano stati dei furti, così tenne sotto controllo la sua, ma si dimenticò di fermarsi talmente preso a guardare all’indietro che, d’improvviso, urtò violentemente contro un’altra pattinatrice che si era fermata sul ciglio della pista per allacciarsi uno stivaletto.

    L’impatto fu violento: il ragazzo fece un paio di capriole prima di fermarsi accanto ad una panchina, urtandola con il ginocchio destro e il polso della mano, mentre per la ragazza solo una lieve contusione al fondo schiena, senza subire danni seri.

    Alec lanciò un piccolo grido di dolore poi si accasciò tenendosi il polso. Carol vide tutta la scena e provò a correre in suo aiuto, ma aveva i pattini e non riusciva a coordinarli.

    Nel frattempo la ragazza fu la prima ad avvicinarsi di corsa e a soccorrere il povero sfortunato.

    «Fermo, non muoverti! Potresti avere qualcosa di rotto!» disse lei.

    Alec non aveva neanche il fiato per rispondere, quello che sentiva era solo dolore e dolore. Al ginocchio aveva un taglio che cominciò a sanguinare vistosamente, poi varie sbucciature lungo braccia e mani. La ragazza cercò di tranquillizzarlo chiamando subito i soccorsi al telefono.

    Lui ebbe un attimo di lucidità, iniziò a capire cosa fosse successo e nel suo dolore e caos cercò sua sorella.

    «Carol, dove sei?»

    Non riusciva ad alzarsi e più si agitava più il dolore aumentava.

    «Chi è Carol!» domandò la ragazza.

    «È mia sorella! È qui da qualche parte seduta con i pattini, ha solo otto anni!»

    Alec cominciava a fatica a respirare. I suoi occhi vedevano in maniera sfocata e doppia, da un lato della testa dietro l’orecchio sinistro si era procurato una ferita che iniziava a sanguinare.

    «Stai calmo, così complichi di più le cose. Vado io a cercare tua sorella, penserò io a lei!»

    La ragazzina aveva raggiunto il fratello, che ora si trovava circondato da altra gente presente in quell’angolo di parco. Pronunciò il suo nome più volte facendosi largo tra la folla dei curiosi. Da lontano si udiva la sirena dei soccorsi avvicinarsi di gran fretta. Alec continuava a chiamare e a cercare sua sorella, perché era l’unico pensiero che gli passava in quel momento per la mente ritenendosi responsabile. E finalmente una piccola voce si fece sentire.

    «Sono qui Alec, vicino a te!»

    Lui si girò verso quella voce sorridendogli, poi chiuse gli occhi e svenne. Carol era lì accanto a suo fratello circondata da persone a lei estranee che non aveva mai visto, ma accanto aveva quella ragazza che la rasserenò.

    «Stai tranquilla, sono arrivati i soccorsi, penserò io a te!»

    Alec era riverso a terra privo di sensi su quella pista che per anni lo aveva ospitato nelle sue evoluzioni ed ora era stato coinvolto in uno scontro, lui che era sempre stato attento a non fare male agli altri e a non farsi male.

    I soccorritori lo trasportarono all’ospedale più vicino. La piccola Carol venne presa in custodia da quella ragazza che le era stata sempre vicino e, guardandola con i suoi occhioni marroni, le disse: «Devo chiamare i miei a casa!»

    «Il mio nome è Emi! Puoi usare il mio cellulare per chiamarli!»

    La bambina si fidò e con destrezza chiamò i genitori a casa, ma una voce di donna dall’accento straniero le rispose, dunque Carol capì che i suoi non c’erano, quindi lasciò il messaggio vocale alla donna straniera che era la collaboratrice domestica della famiglia, poi finì in un pianto soffocato. Emi prese il cellulare e conversò con la collaboratrice di famiglia dicendole dell’accaduto e comunicandole il nome dell’ospedale. Una volta salite in auto, si diressero verso l’ospedale non riuscendo ad arrivare in tempo per vederlo e dovettero rallentare a causa del traffico intenso di quell’ora.

    Giunti in ospedale, il ragazzo era già in sala d’emergenza per i primi controlli mentre Emi e Carol erano fuori ad aspettare notizie.

    Carol era impietrita e spaventata, non lasciava mai la mano di Emi.

    Vennero raggiunte da una delle infermiere che fece loro le domande nelle quali Carol seppe rispondere senza alcun problema, ma alla domanda relativa alla assicurazione, la bambina si ammutolì, ma qui intervenne la ragazza che prontamente rispose: «Per l’assicurazione prenda questa carta, tutte le spese sono a mio carico!» disse Emi.

    L’infermiera annuì e prese il documento compilando il modulo, poi le fece accomodare nella sala d’attesa dicendo loro che avrebbe mandato un responsabile per dare informazioni sullo stato di salute del ragazzo.

    La prima ora passò senza che nessuno si era fatto vedere; nel frattempo un dottore le raggiunse informandosi sulla dinamica dell’incidente.

    Emi prontamente rispose: «Non l’ho visto arrivare perché mi stavo allacciando lo stivaletto, ho avvertito solo un gran colpo nel mio fondo schiena, e quando ho alzato la testa, lui stava volando sopra di me e stava facendo alcune capriole per poi fermarsi a ridosso della panchina! Mi dica dottore, come sta?»

    «Quella è la sorella!»

    «Sì, ora sta dormendo, i genitori non sono ancora arrivati!»

    «Se lei signorina non è un familiare stretto, non posso dirgli nulla mi dispiace, aspetterò l’arrivo dei genitori del ragazzo».

    «Aspetti un attimo. Io sto pagando tutta l’assistenza ospedaliera prendendomi a mio carico tutte le spese sanitarie. Là c’è una bambina di otto anni alla quale nessuno ha rivolto parola. Io non la lascio qui da sola e voi mi venite a dire che non devo sapere nulla sulle condizioni del ragazzo che è suo fratello!»

    «Signorina, ho capito dove vuole arrivare, è meglio non andare avanti con il discorso. Le dirò in breve le condizioni del ragazzo del quale immagino lei non sappia neanche il nome».

    «Si chiama Alec Connors e studia alla scuola…»

    «Va bene, vedo che lo conosce. Allora le sue condizioni non sono cattive. Ha un polso rotto, una ferita al ginocchio e varie escoriazioni sul corpo, ma quello che ci preoccupa è la commozione cerebrale. Ha un’ematoma nella parte sinistra della testa dietro l’orecchio; stiamo aspettando che diminuisca sa è per questo che Alec non si sveglia!»

    «Quindi è in coma!»

    «Non esattamente, ci possono volere ore o giorni che si svegli, dipenderà da lui. È un ragazzo robusto forte e sono sicuro che si sveglierà presto. Questo è tutto!»

    «Possiamo vederlo? Sua sorella può stare accanto a lui? Solo per tranquillizzarla un po’!»

    «Sì, vi farò accompagnare da un’infermiera appena sarà sistemato nella stanza!»

    «Grazie!» disse la ragazza.

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