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Cian Ciun
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Cian Ciun
E-book177 pagine2 ore

Cian Ciun

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Info su questo ebook

Cian Ciun si getta in mare per sfuggire ai pirati e raggiunge Trileccio a nuoto. Qui incontra Vito e Maria che lo accolgono nella loro famiglia.

Cian Ciun si rivela sin da subito un ragazzino curioso e svelto, frequenta la scuola organizzata per i bambini del paese e riesce a scoprire la causa dei misteriosi incendi che si ripetono da secoli nel tempio abbandonato dei Sevioti.

Le avventure di Cian Ciun si intrecciano con le vicende di molti altri personaggi: Sebastiano, il pittore; Celestino e l'insegna del merlo giallo; il brigante Testacalda e don Pigello alle prese con un santo sconosciuto; Gaetano e il suo asino Mimmino; il pirata Matamoro, il friggitore di pesce e il venditore di lardo; Panfilo, l’addetto all’artiglieria e Arturo che tiene i cannoni sotto il letto…

Cian Ciun è un romanzo, quasi una favola, per tutti.
LinguaItaliano
Data di uscita12 apr 2015
ISBN9786050371505
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    Anteprima del libro

    Cian Ciun - Giovanna Archimede

    GITA

    LA MAESTRA CIUN

    Quando il portone della scuola si aprì i ragazzi si precipitarono dentro e si misero a correre per i corridoi e per le scale alla conquista delle loro classi e dei posti migliori.

    Le stanze vuote in pochi minuti si riempirono di vita.

    Tutti volevano parlare, raccontare, intervenire.

    Raccontavano delle vacanze, dei progetti e delle preoccupazioni per l'anno scolastico che stava per iniziare.

    Alcuni mostravano i loro nuovi giochi elettronici, si scambiavano figurine.

    – Io stavo bene in vacanza, ma mi sono anche un po' annoiato, sono contento che ricominci la scuola.

    – Anch'io! Però bisogna alzarsi troppo presto.

    – I primi giorni è duro, poi ci si riabitua!

    – Ragazzi! Mi hanno detto che la quarta è difficile…

    – No! Chi te lo ha detto? La quarta sarà come tutte le altre classi: dai, per ora non ci pensiamo!

    Alcuni temevano la verifica dei compiti non terminati.

    – Con tutto quello che ci danno da fare ci devono rovinare la festa, è sempre così, appena c'è una vacanza… compiti e compiti, non se ne dimenticano mai!

    Poi il suono della campanella annunciò l'inizio della lezione.

    La maestra chiese di fare silenzio e, dopo qualche esitazione, tutti andarono ai loro posti.

    Dopo poco bussarono alla porta ed entrò la bidella che conduceva per mano un bambino.

    – Questo è uno nuovo – disse sbrigativa la donna e lo fece entrare nell'aula.

    Il bambino era intimorito, con le spalle leggermente alzate e un po' imbronciato si guardava in giro, non sapeva dove dirigersi.

    – Buongiorno Alessandro, benvenuto nella tua nuova classe. Guarda, là in fondo c'è un posto libero, sistema le tue cose e dopo vieni qua e ti presenterai ai tuoi nuovi compagni – gli disse l'insegnante.

    Alessandro, raggiunto il fondo dell'aula, posò lo zaino sulla sedia, prese l'astuccio insieme al diario e li mise sul banco che gli era stato indicato: l'astuccio in alto sulla destra ed il diario più in basso a sinistra.

    Intanto i ragazzi si erano tutti voltati dalla sua parte e lo osservavano con interesse.

    – È un tipo preciso.

    – Deve essere bravo.

    – Mi sembra anche simpatico.

    – Avete visto che astuccio stratosferico?

    Quando ebbe finito di organizzare le sue cose, andò alla cattedra e l'insegnante lo invitò a parlare di sé a tutta la classe.

    Con voce leggermente tremante cominciò dicendo:

    – Io sono… sono Alessandro. Ho dovuto cambiare scuola perché mio padre, che è geologo, ora lavora qui a Trileccio…

    – Dove lavora? – domandò Damiano.

    – Lavora alla RES, che vuol dire Ricerca Energie del Sottosuolo. Devono scavare nuovi pozzi, dovrà rimanere per un po' e così siamo venuti ad abitare in questa città.

    – Anche mio padre lavora ai pozzi di petrolio.

    – Mia madre negli uffici.

    – Sì, anche mio nonno lavorava nel petrolio.

    Quando tutti ebbero finito di nominare i parenti che erano o erano stati impiegati nell'industria petrolifera, Alessandro proseguì.

    – Mi è dispiaciuto lasciare la mia città e la mia classe dove avevo tanti amici, anche voi mi piacete, ma è diverso, spero che diventeremo amici.

    – Certo che diventerete amici! Ora voi ragazzi dite qualche parola di benvenuto al vostro nuovo compagno – intervenne la maestra.

    – Se giochi a pallone puoi entrare nella mia squadra, stiamo cercando un attaccante.

    – Un giorno devi venire a casa mia.

    – Possiamo fare i compiti insieme.

    – Ciao…

    – Come stai?

    – In questa città ci sono tanti divertimenti, c'è anche la piscina, ti piacerà.

    – Io ho gli album degli ultimi anni del campionato di calcio, li devi vedere…

    – Io ho il biliardino, se vuoi possiamo giocare insieme.

    Dopo un breve imbarazzato silenzio, Matteo concluse:

    – Tutti stanno dicendo che sei simpatico e che sono contenti di averti qua con noi.

    Alessandro, rivolto a tutta la classe, rispose:

    – Anch'io, ora che vi ho conosciuto, sono un po' più contento. Anche voi siete simpatici, penso che mi troverò bene con voi.

    – Vedrai che ti troverai bene, stai tranquillo. Ah! Scusa, dimenticavo… io sono la tua insegnante e credo che questo lo avrai già capito, mi chiamo Clara Ciun.

    Alessandro la osservò con insistenza, come perplesso.

    – C'è qualcosa che non va? – gli chiese.

    Il ragazzo era titubante, poi le rispose:

    – No, niente. Solo che Ciun mi sembra un cognome straniero, di persone che hanno dei visi diversi, che vengono da paesi lontani, però tu non sembri così.

    – Giusto! Hai ragione. Lo ha scritto la tua maestra che sei un grande osservatore, attento e riflessivo. Questo cognome, devi sapere, l'ha portato qua un ragazzino che, tanto tempo fa, è approdato in questa città che allora era un paese, si chiamava Cian, Cian Ciun e sicuramente aveva un viso come tu hai detto.

    – Da dove veniva, come è arrivato qua, perché è venuto? – chiesero in molti.

    – Veniva da lontano, da molto lontano, dall'Oriente, era intelligente e curioso, ha avuto una vita avventurosa, ma ora non abbiamo tempo per parlarne. Se vi interessa, durante l'anno, vi potrò raccontare la sua storia.

    – Sì, sì – risposero in coro – doveva essere forte, ci piace!

    Dall'ultimo banco una voce solitaria azzardò:

    – Mi piace, ma senza dover scrivere impressioni, commenti e tutto il resto!

    Un contenuto mugolio fece capire che anche altri la pensavano nello stesso modo.

    – Ragazzi, siamo a scuola! Tutto il resto, come dite voi, deve essere fatto: comunque, se decidiamo di parlare di Cian sono sicura che vi appassionerete alla sua storia e che non incontrerete neppure particolari difficoltà a svolgere gli esercizi che vi verranno assegnati. Voi ragazzi non dovete lamentarvi dei compiti, siete fortunati perché potete studiare. Ai tempi di Cian, pochissimi potevano andare a scuola e quando c'era bisogno di leggere o scrivere qualcosa si era costretti a rivolgersi a chi aveva studiato e ci si doveva fidare. Voi siete fortunati.

    Terminate le spiegazioni e i commenti, la maestra fece l'appello, illustrò il programma del nuovo anno e rimandò ai giorni successivi il controllo dei compiti delle vacanze. Tale informazione tranquillizzò coloro che, proprio il primo giorno, non avevano nessuna voglia di inventarsi assurde scuse per giustificare la propria negligenza.

    Quindi iniziò la lezione.

    Dopo qualche giorno l'insegnante cominciò a narrare di quel ragazzo, con il viso un po' diverso, che era venuto da lontano.

    Il racconto che segue è la storia di Cian Ciun che Clara Ciun narrò alla sua classe.

    IL TUFFO

    Il cielo era stellato, il mare calmo, la luna veniva a tratti coperta dalle nuvole che le scorrevano davanti e quando fu del tutto offuscata, Cian Ciun pensò che quello era il momento. Salì sul parapetto della nave, alzò le braccia, unì i palmi delle mani, piegò la testa in avanti e si buttò in acqua.

    La nave era ancorata in una insenatura circondata da alte scogliere che penetravano per un lungo tratto in mare.

    Il ragazzo aveva attentamente studiato i luoghi e pianificato il percorso. Era sicuro che ce l'avrebbe fatta.

    Appena giù dovette dirigersi verso il mare aperto. Quando ebbe superato gli scogli, cambiò direzione. Con la testa sott'acqua, che a tratti sollevava per riprendere fiato, si avvicinava con bracciate lunghe e vigorose verso terra.

    Faceva freddo, i vestiti bagnati gli pesavano addosso e rallentavano i suoi movimenti. Quando sentì il terreno sotto le ginocchia, si alzò e procedette a piedi. Il risucchio lo fece cadere, si rimise in piedi, era congelato, tremava e a fatica raggiunse la riva.

    La spiaggia era sassosa, era buio, non riusciva a vedere quello che c'era intorno; si sedette e chiuse gli occhi, quando li riaprì, la luna, completamente uscita fuori dalle nuvole, gli fece intravedere lo spazio circostante.

    Voltò le spalle al mare e si incamminò verso l'interno.

    Il percorso, in salita, era impervio, pieno di buche e sterpi. Inciampò, afferrò un arbusto nel tentativo di evitare la caduta, la pianta si spezzò, ma riuscì a mantenere l'equilibrio.

    In lontananza notò una debole luce e si diresse da quella parte. Imboccò un sentiero in terra battuta dove era più agevole camminare, accelerò il passo e raggiunse una casa che sembrava essere la prima di una serie di altre e si fermò. Stette in ascolto davanti alla porta, non sentì né voci né rumori, non aveva il coraggio di bussare, non sapeva come l'avrebbero accolto a quell'ora di notte, non era in grado neppure di spiegarsi. Era stanco, troppo stanco, non riusciva neppure a stare in piedi.

    Si sdraiò per terra in attesa che giungesse il mattino, ma dopo poco la porta si aprì, uscì un uomo con una lanterna, vide il ragazzo che, rannicchiato là davanti, gli impediva il passaggio. L'uomo gli illuminò il volto, lo osservò con attenzione: dormiva, il suo sonno era innaturale, sembrava svenuto, indugiò, poi lo scosse.

    Il ragazzo si sollevò, gli rivolse uno sguardo assente e poi ricadde giù. L'uomo della lanterna gli pose un braccio dietro la schiena, lo sollevò e lo condusse in casa.

    Davanti al focolare ancora acceso, il suo viso cominciò a distendersi e a riprendere colore.

    L'uomo gli dette un pezzo di pane e del latte, poi gli domandò:

    – Chi sei? Cosa ci fai qua? Sei solo? Io sono Vito, tu come ti chiami?

    Il ragazzo non comprendeva quelle parole, non conosceva la lingua, aveva capito però che doveva dire il suo nome, si alzò, tremava, e in mezzo ai singhiozzi continuava a ripetere:

    – Cian Ciun, Cian Ciun!

    – Ho capito che sei Cian Ciun. Da dove vieni, sei tutto bagnato, intirizzito, cosa ti è successo?

    L'uomo si affacciò alla finestra, guardò fuori e vide che non c'era nessun altro.

    Il ragazzo continuava a tremare, Vito allora salì al piano superiore, portò una coperta e lo aiutò a svestirsi. Era magrissimo, le spalle mostravano segni di frustate, il corpo era pieno di lividi. Mentre l’uomo metteva i suoi stracci bagnati ad asciugare vicino al fuoco, continuò a chiedergli da dove venisse e che cosa cercasse.

    Cian capì che doveva dare delle spiegazioni.

    Si diresse allora verso l'altra parte della stanza, posò l'avambraccio sul tavolo e, con la mano che si muoveva ondeggiando, fece intendere che veniva dal mare. Poi indicò se stesso, pose l'altra mano sul braccio disteso, con l'indice ed il medio che si inseguivano, fermandosi in fondo, indicò che aveva nuotato fino ad arrivare alla riva.

    – Eri su una nave? Con chi eri?

    Il ragazzo a gesti gli fece capire che, gettandosi in acqua, era fuggito da uomini violenti che andavano per mare ad assalire le navi.

    – Ma che hai detto? Uomini violenti che vanno per mare ad assalire le navi? Chi sono, sono forse pirati? – domandò Vito.

    Cian rispose di sì con la testa. Poi gli fece intendere che la mattina sarebbero sbarcati per saccheggiare il paese.

    Vito era sconvolto. Piano, parlando a se stesso, disse:

    "I pirati! Sono anni ed anni che non se ne sentiva neppure parlare. Erano scomparsi ed

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