Storia di musica & amicizia
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Anteprima del libro
Storia di musica & amicizia - Milena Beltrandi
Milena Beltrandi
STORIA DI
MUSICA & AMICIZIA
Elison Publishing
Proprietà letteraria riservata
© 2018 Elison Publishing
www.elisonpublishing.com
elisonpublishing@hotmail.com
Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico.
Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:
Elison Publishing
ISBN 9788869631733
I fatti e i personaggi descritti in questo racconto sono frutto della mia fantasia. Luoghi e panorami sono realmente esistiti: esistono ancora anche se modificati dallo scorrere del tempo e dall’intervento dell’uomo.
1
– E anche per oggi il nostro spazio dediche è finito. Ci sentiamo domani, agli ascoltatori un caloroso saluto. – Azzurra si alzò sicura dalla sedia, abbassò il volume del microfono, alzò quello della sigla di chiusura, spense la luce pensile e lasciò il posto al giovane che era entrato in sala alle sue spalle.
– Ti lascio il posto: è tutto tuo! – disse contenta.
– Anche oggi te la sei cavata alla grande Azzurra, di là il Direttore ha seguito la trasmissione con molto interesse. Sai come è fatto quando c’è un nuovo programma controlla l’indice d’ascolto ad ogni fase. E la tua idea di aggiungere una piccola storia sul perché della dedica gli è piaciuta tantissimo e, a quanto ho sentito, anche agli ascoltatori! Ciao bella.
Un successo? Finalmente!
Aveva la mente piena di idee brillanti ma fino ad allora nessuna di queste aveva incuriosito tanto il Direttore da permetterle di elaborarla. Il Direttore le espresse il suo compiacimento con l’accenno di un sorriso: difficile vederlo contento e questo gesto era più di quanto avesse potuto sperare.
Aveva passato la quarantina, Azzurra, ma l’entusiasmo e la voglia di realizzare ancora molti progetti che aveva dentro erano quelli di una quindicenne. Passò dall’ufficio che condivideva con tre ragazze appena assunte. Si erano date molto da fare per quel programma, avevano trattenuto al telefono gli ascoltatori che avevano richiesto una dedica e da quanto ottenuto avevano montato, ogni volta, una storia da raccontare prima di mandare in onda la canzone richiesta.
Un’occhiata all’orologio: ecco aveva fatto tardi… mannaggia! Aveva promesso all’amica che sarebbe passata a vedere la sua mostra e non poteva mancare! Quindi prese il cappotto mandò un bacio alle ragazze immerse nel lavoro e uscì volando.
Una folata di vento le ricordò che erano in pieno inverno e, anche se le giornate avevano cominciato ad allungarsi, il sole era pallido e la brezza marina pungentemente gelida.
La mostra era allestita nel vecchio palazzo malatestiano dove aveva frequentato sia la scuola media che il liceo scientifico.
Aveva conosciuto Elisabetta in prima media, ma fu in terza liceo che la loro amicizia era diventata indistruttibile.
– Oh eccoti finalmente! Avevo paura che ti fossi dimenticata – disse andandole incontro appena la vide arrivare lungo il corridoio…
– Vieni! – l’invitò.
L’accompagnò veloce su per le scale, chiacchierando spigliata. Si fermò davanti alla vetrata, attese qualche secondo che la sua amica capisse dove era, poi, con un gesto plateale spalancò la porta: Azzurra rimase a bocca aperta! Credeva che la sua amica avesse allestito una delle solite sue mostre, piena di oggetti strani trovati nei mercatini, oggetti gettati via dalle vite altrui, cose ritenute inutili a cui sapeva dare nuova forma e nuova vita, con arte, ma quella che si trovò di fronte era un’aula di terza liceo ricostruita fedelmente come 20 anni prima.
La loro classe!
Quella della III Femminile!
Elisabetta sapeva che l’amica adorava quel periodo:
– Allora? Che te ne pare? Sono sicura che non ti aspettavi una cosa del genere… peccato il tuo ritardo ci impedirà di guardare tutto per bene, vieni che ti faccio vedere. – allungò la sua la mano a trovare quella della compagna come quando erano ragazzine e l’accompagnò al loro banco… l’emozione cresceva ad ogni passo: sembrava un giorno qualsiasi del 1968! Ricordavano ogni particolare di quel banco in legno nero, intagliato, ammaccato, macchiato d’inchiostro e chissà quali altre sostanze, scritto dagli anni e negli anni da alunni maschi e femmine, il calamaio di vetro con l’inchiostro nero, la struttura unica con seggiolino, spalliera e sopraelevata per i piedi! Le due amiche si guardarono, Elisabetta sorrise, Azzurra alzò la ribalta del banco:
– Dai no non ci credo! È il nostro banco non c’è dubbio! Ricordi ci abbiamo inciso un quadrifoglio. Ti ricordi quel giorno? – chiese Azzurra esplorando in profondità lo sguardo dell’amica alla ricerca dell’emozione di quella particolare giornata che cambiò per sempre le loro vite.
2
Era un giorno di pieno inverno, uno di quei giorni in cui fare lezione era difficile ed i professori non facevano caso se qualche alunno si distraeva. Elisabetta e Azzurra, compagne di banco, stavano vicine per scaldarsi a vicenda, il vento fischiava, le onde del mare si intravedevano in lontananza bianche di schiuma ed il freddo entrava dalle fessure della malconcia finestra. Il professore di Italiano e Storia, si era prodigato per scaldare l’aula aggiungendo legna alla grande stufa di ghisa ma era una fatica inutile. Come avrebbe potuto interrogare o parlare alle ragazze della rivoluzione francese che avveniva in piena estate? Pensò fosse meglio dirottare sulla lettura di 100.000 gavette di ghiaccio
. L’atmosfera era quella giusta, avrebbero capito come quei poveri soldati vivevano attraverso il freddo dell’aula e le parole dell’autore.
Era così difficile stare attenti con il vento che soffiava fuori; sbatteva contro le finestre e faceva rotolare di tutto, l’odore del mare entrava prepotente dalle fessure degli infissi, le compagne che avevano il banco vicino alla parete esterna spesso dicevano che arrivava loro anche la sabbia: si lamentavano nonostante fossero le più vicine alla stufa a legna, unica fonte di calore di quelle aule. Piccola cara stufa, con la scorta di legna che il bidello Giovanni tutte le mattine poneva nella cesta. Per fortuna quei giorni di bora si potevano contare sulle dita e, per fortuna, i professori non dicevano nulla se gli alunni tenevano i cappotti e le sciarpe durante le lezioni. Ciò su cui invece nessun professore transigeva era mangiare la merenda in classe.
Azzurra era stata punita spesso per questo, mentre Elisabetta non aveva il coraggio di toccare fuori orario la merenda anche se, a volte, lo aveva fatto con il solo scopo di stare con la compagna fuori dalla porta. In inverno invece, soprattutto se era molto freddo, aspettava diligente l’ora di ricreazione per divorare il panino che la mamma le metteva nella cartella, non avrebbe seguito la compagna fuori dalla porta, odiava il freddo!
Quel giorno invece erano state pizzicate ad incidere il quadrifoglio nel banco e anche questo era un reato
punibile con mezz’ora fuori dalla porta se si trattava di un’incisione leggera e una visita guidata
dal Preside, se il coltellino aveva inciso più in profondità.
Tirava la bora, la finestra si era spalancata almeno due volte nell’ultima mezz’ora ed entrambe non avevano voglia di seguire la lettura. Si erano distratte su mare, sabbia cocente, bagni tra le onde e avevano, ingiustificatamente, inteso una nota di dolcezza nello sguardo del professore… Erano all’opera da poco più di due minuti quando la voce di quest’ultimo le fece sobbalzare.
– E così, per comprendere meglio quale è il contesto in cui si stanno muovendo il sergente ed i suoi uomini, pregherei le due scultrici di accomodarsi fuori dalla porta dove potranno godere della giusta temperatura… prego signorine dico a voi: fuori!
Il timbro di voce si era andato gradualmente alzando ed aveva sottolineato il… dico a voi… con un pugno sulla cattedra che aveva fatto sobbalzare tutta la classe.
Caspita! Le ragazze si erano alzate tremanti, sperando che non avesse aggravato la loro situazione con una nota sul quaderno, una di quelle scritte che richiedevano la firma dei genitori. Elisabetta era più tranquilla, ma anche lei, per seguire l’amica, aveva irritato i genitori che avevano promesso provvedimenti necessari da prendere in caso di ulteriori messaggi da firmare.
Azzurra, la più coraggiosa, aveva allungato la mano per agguantare tutti e due i sacchetti della merenda, ma il professore, che le aveva raggiunte in fondo alla fila di banchi per schernire, la loro uscita dall’aula, con un inchino, glieli strappò di mano, ricordando ad Azzurra che il Sergente e i suoi uomini non solo avevano sofferto per il freddo ma soprattutto per la fame!
Destino crudele! Il professore le aveva scambiate per soldati della Brigata Julia. Erano così uscite senza merenda, al freddo.
Un brivido percorse la schiena di Elisabetta al ricordo di quella giornata e questo la scosse riportandola al presente.
Azzurra si era alzata, girava tra i banchi sfiorandoli con le dita, si soffermò sulla lavagna, i gessi e le cimose rigorosamente legate al sostegno per evitare che i più discoli ne facessero oggetto di gioco. Sorrise al ricordo di quei giorni: la sua amica aveva pensato a tutto.
Cominciava a farsi tardi: dovevano proprio andare! Per uscire passarono davanti allo stanzino adibito a magazzino dal custode della scuola: in quella stanza ci teneva tutto l’occorrente per pulire le aule, i pezzi di ricambio dei banchi, le cimose ed i gessetti nuovi impacchettati.
Una rapida occhiata all’interno le portò alla mente giorni vissuti con frenesia, dolori ed entusiasmi che aveva rimosso, ed ora in quel luogo tornavano quasi sospinti dal vento. Per un attimo, Azzurra aveva avvertito un movimento accanto a sé, ma non c’era nessuno. D’istinto aveva messo la mano sulla maniglia del magazzino che, non facendo parte della mostra, era chiuso.
E di nuovo quella sensazione di dolore e intorpidimento che le saliva dallo stomaco: gli occhi le si erano riempiti di lacrime senza motivo. Anzi, il motivo c’era, è che quel ricordo era così nascosto nel tempo che per un attimo l’aveva dimenticato.
– Andiamo è tardi! – la esortò Elisabetta.
– Dovevamo essere alla stazione già da dieci minuti, rischiamo di fare tardi, muoviti! – le ricordò Elisabetta mentre spingeva l’amica fuori dal grosso portone.
Il custode le salutò cordiale e assicurò le signore che ci avrebbe pensato lui a chiudere tutto alla fine dell’orario stabilito per la mostra.
Arrivarono alla stazione mentre lo speaker annunciava che il treno proveniente da Milano e diretto ad Ancona era in ritardo di circa cinquanta minuti. Le due amiche si guardarono stupite e sconcertate dall’evento: ogni volta che andavano alla stazione a ricevere qualcuno accadeva la solita cosa! Sembrava che il tempo si fermasse a riposare prima di consegnare l’ospite alle due donne. Sembrava che il passato volesse fare quattro passi tra loro, quel giorno, stimolato dalla mostra di Elisabetta!
Azzurra propose un caffè ed Elisabetta accettò.
Cinquanta minuti in una giornata fredda come quella non sarebbero passati facilmente così, per ingannare il tempo, le due amiche si incamminarono verso il sottopassaggio che portava fuori dalla stazione. In pochi passi si trovarono sul lungo mare davanti a quello che era stato, un tempo, il loro ritrovo estivo. Elisabetta si guardò intorno, sullo sfondo della campagna si stagliava uno scheletro di una vecchia costruzione, un albergo abbandonato nel tempo. Sorrise.
Il vento ululava e le onde, sollecitate dalla sua forza, si alzavano rabbiose prima di scagliarsi contro la riva.
Niente aveva fascino come il mare in tempesta in pieno inverno, difficilmente le due amiche riuscivano a resistere allo spettacolo ed abbandonare quel teatro. Quel giorno soprattutto, c’era qualcosa di speciale tra le onde, qualcosa che risuonava lontano nel vento, un passato che voleva riaffiorare prepotente, ed aveva lasciato segni misteriosi fin dalla mattina. Un brivido di freddo costrinse Azzurra a guardarsi intorno e cercare riparo in una vecchia cabina dalla porta sradicata. L’amica la raggiunse e si sistemarono sulla piccola panca consumata dal tempo.
– Ti è piaciuta la mia mostra? L’aula non è perfetta? Ne parlerai domani in radio così avrò un po’ di visitatori? – chiese Elisabetta, ma Azzurra non l’ascoltava più, era rapita dal movimento delle onde, sorrideva.
– Ti ricordi quel giorno, Betta?
Appollaiate sulla panca, si immersero nei ricordi, come avevano fatto quel pomeriggio nella loro classe ricostruita alla perfezione. Ora i pensieri continuavano a seguire la strada del passato.
3
Erano dunque fuori dall’aula di terza liceo femminile a scontare la pena al freddo e senza merenda quando avevano sentito degli strani rumori provenire dal sottostante nel cortile interno che gli alunni chiamavano, con molta fantasia, giardino
. Le ragazze non avrebbero dovuto muoversi, ma come resistere? Non c’era nessuno a controllare cosa facevano e nessuno avrebbe potuto controbattere se avessero sostenuto di voler trovare un posto più riparato dal vento, per non morire congelate. Si proposero di scendere a dare solo un’occhiata per tornare, poi, al proprio posto, nessuno se ne sarebbe accorto. Usarono le scale a chiocciola, quelle vietate agli studenti, per scendere in giardino
.
Non videro nessuno, non subito almeno.
Curiose, le due ragazzine fecero un giro sul perimetro e si trovarono davanti alla porta del magazzino. La giornata si faceva eccitante, avevano già trasgredito a molti divieti e poiché anche il magazzino era un posto vietato agli alunni, ritennero opportuno e logico pensare che avrebbero potuto esibire anche loro un trofeo come quello che aveva reso famoso un ragazzetto di prima che, nonostante il bidello di guardia, era riuscito ad entrare ed aveva preso un pennino dorato.
Avrebbero esibito anche loro una prova della loro avventura. La maniglia che di solito era rigida e inamovibile, scese sotto la loro pressione con un piccolo scatto. Entrarono sbalordite nel regno sconosciuto.
Di nuovo quello strano rumore: non c’erano dubbi qualcosa stava accadendo in quel luogo, si sentivano voci concitate e decisamente spaventose.
Si nascosero dietro uno scaffale pieno confezioni di carta igienica spaventate ed in silenzio assoluto.
Due giovani scuri in volto stavano spintonando con cattiveria un terzo, più giovane e magro di loro. Una spinta più forte lo fece sbattere contro lo scaffale ed alcuni pacchi caddero a terra:
– Guarda cosa hai combinato! Quando tornerà il custode sarai nei guai. Che farai allora? Manderai mammina a salvarti? – chi aveva parlato gli tirò un calcio allo stinco destro. Il ragazzo si chinò di riflesso e l’altro ne approfittò per colpirlo dietro al collo con una gomitata. Azzurra trattenne un urlo, si guardò intorno in cerca di qualcosa con cui aiutare il giovane che, piegato a terra, non riusciva a difendersi, mosse d’istinto la sedia davanti a sé sperando che il rumore li spaventasse.
I due giovani si fermarono in ascolto, la loro vittima riuscì a mettersi in piedi anche se traballante. Il magazzino era tornato nel totale silenzio: forse il custode stava arrivando, dovevano uscire. Infastidito dal cambio di programma, il giovane dai capelli scuri afferrò il ragazzo per il bavero, lo spinse contro lo scaffale minacciandolo:
– Vedi di fare il bravo, la lezione per te oggi è finita, ti avevamo detto di non tornare a scaldare il banco, andiamo in cantiere adesso, c’è un sacco di lavoro da fare ed è tutto tuo!
Lo afferrarono per le braccia ed uscirono cercando di tenerlo dritto tra di loro come tre amici.
– Bastardi! Me la pagherete! – disse il ragazzo sofferente tra i due bulli che risero divertiti lui, uscendo, girò la testa e per un secondo incrociò gli occhi di Azzurra appostata dietro la vecchia cattedra.
Quando la porta si chiuse alle loro spalle, le due ragazze spaventate decisero di seguire i tre, convinte che quel giovane avesse bisogno di una mano. Azzurra aveva captato qualcosa di particolare in quello sguardo nocciola: una chiara richiesta d’aiuto.
Sfuggendo al controllo del custode, le due ragazze uscirono dalla scuola giusto in tempo per vedere i tre girare la cantonata a sinistra della scuola e prendere la strada che andava al mare. Le ragazze si guardarono la loro scelta era unanime, nessun ripensamento: molti dei libri preferiti raccontavano di avventure e pedinamenti: sapevano come fare! Attente a non farsi scoprire, si fermavano a guardare le vetrine ogni volta che il gruppetto rallentava. Elisabetta azzardò l’ipotesi che il ragazzo in ostaggio cercasse di liberarsi, perché ogni tanto si piegava ed inciampava nei propri piedi, era chiaro che lo picchiassero e se lo facevano era a seguito dei suoi tentativi di fuga. Questo le convinse della saggezza della loro decisione, non dovevano perderli di vista. Non pensarono al tempo che passava, non sentirono la fame quando l’ora della ricreazione passò, continuarono a seguire i tre, fino a vederli sparire dietro al cancello alto di una recinzione impenetrabile.
Si erano sedute su una panchina al sole sconsolate cercando una soluzione logica e utile al giovane muratore.
Fu Elisabetta ad accorgersi che il tempo passava e loro erano uscite da scuola senza autorizzazione. Non potevano tornare, ormai il danno era fatto. Tanto valeva continuare in quella giornata particolare che le aveva portate alla spiaggia.
– Che succederà adesso Elisabetta? – chiese Azzurra preoccupata. Era quasi mezzogiorno, dovevano aspettare l’orario della campanella nei pressi della scuola in modo da avere un alibi ed andare a casa come sempre.
– È l’unica soluzione, credimi! – suggerì Elisabetta.
– Aspettiamo che escano tutti e ci mischiamo in mezzo, però ci facciamo vedere dai professori, se no chiamano casa che siamo sparite. Dai corriamo che riusciamo a farcela. – ribadì Azzurra.
Quando il professore si rese conto che le due ragazze non erano rientrate dopo la ricreazione, chiamò il bidello e gli chiese di fare un giro per il cortile a cercarle. Chiese alla classe di finire il capitolo che stavano leggendo e si preparò il discorso per il Preside: quelle due monelle non l’avrebbero passata liscia questa volta. Avrebbe detto al Preside che se l’erano filata di nascosto eludendo la sua sorveglianza con un sotterfugio e poi pensò a cosa scrivere ai genitori. Sperò vivamente di vederle apparire con il custode. Ma questi tornò un’ora dopo da solo. Aveva alcuni indizi che gli dicevano che le ragazze non erano andate lontano. La porta del magazzino era aperta, alcuni oggetti erano fuori posto come ad esempio una sedia da cattedra ed alcuni pacchi di carta prestampata per le pagelle, che teneva negli scaffali più in alto, erano caduti a terra; era logico che le ragazzine si erano nascoste e divertite nel suo magazzino. Le avrebbe trovate, disse il bidello al professore, non erano uscite dalla scuola, ne era più che certo, nessuno riusciva a scappare quando lui era di servizio: quello era il suo lavoro. Tornò al suo posto davanti alla porta d’ingresso, mancava ormai poco al suono della campanella di fine lezioni e doveva controllare la massa di ragazzini in uscita, era certo che le due discole non avevano lasciato quelle mura, ci avrebbe messo la mano sul fuoco!
E le vide!
Insieme, come sempre, impegnate a chiacchierare fitto tra di loro, le chiamò, ma le due ragazze fecero finta di non sentire, anzi si mischiarono agli studenti della sezione Maschile che erano più alti di loro ed ebbe l’impressione che lo facessero per sfuggire alla sua vigilanza.
Convinto che il professore dell’ultima ora le avesse giustamente sgridate per la grave marachella, sorrise e le lasciò uscire, ma quando, qualche ora dopo, andò a sistemare l’aula della terza B femminile e vide sotto al banco in fondo dell’aula che c’erano i libri e i quaderni della giornata e, cosa che lo colpì maggiormente, i due sacchetti della merenda, capì che le ragazzine erano riuscite a scappare.
Sorrise, anche lui era stato studente e ne aveva combinate tante di bravate, esperienze che usava per battere in astuzia la voglia di avventura dei ragazzacci ripetenti, ma in questo caso ritenne che le ragazze meritavano un premio, non avrebbe detto niente, il giorno dopo.
Le ragazze erano arrivate a casa in perfetto orario, come tutti i giorni.
Elisabetta abitava in una bella casetta con giardino appena fuori dal centro cittadino di quel paese marchigiano affacciato sull’Adriatico, mentre Azzurra stava nella casa di fronte, in una palazzina di due piani. Al piano terra c’erano alcuni negozi ed un meccanico mentre al piano superiore abitavano la sua famiglia in un appartamento e, nell’altro, una signorina di circa quaranta anni, simpatica ed amante degli animali che viveva da sola con un gatto tigrato rosso di nome Romeo. Spesso le due amiche andavano da lei a fare i compiti per avere un aiuto sostanzioso, Clara era stata per molti anni una maestra delle Medie ed in cambio le ragazze le raccontavano ciò che succedeva loro a scuola, argomento che pareva interessare la loro amica.
Clara le aspettava alla finestra. Appena le vide arrivare attirò la loro attenzione e le avvisò che la segretaria della scuola aveva telefonato a casa sua, lei era l’unica ad avere il telefono nel palazzo, chiedendole di riferire ai loro genitori che erano scappate da scuola.
– Non ho detto nulla per ora, andate, fate finta di niente ma venite da me subito dopo pranzo, mi aspetto una spiegazione. – disse la donna facendo capire che non avrebbe accettato scuse.
Così le due ragazze, finito il pranzo con i rispettivi genitori, informarono la famiglia della lezione extra che la loro professoressa di musica esigeva in vista del prossimo saggio e della disponibilità della signorina Clara ad aiutarle con lo spartito quindi uscirono con gli strumenti.
La signorina Clara le aspettava con ansia ed aprì la porta prima che suonassero il campanello.
– Cosa avete combinato a scuola oggi? La segretaria era in stato di confusione, sapete come fa, farfugliava strane scuse e strane pretese, ma l’ho zittita io… sì sì, le ho detto, vado subito ad avvisarli. Ma ora voglio sapere tutto. Sedetevi qui che preparo il tè. Chi comincia? Azzurra sono tutta orecchie. – disse accompagnandole nel salottino dove aveva preparato una merenda leggera in grado di sciogliere le lingue più reticenti ed aprire bene le proprie orecchie.
– Beh, sai abbiamo visto una cosa strana e ci siamo messe all’inseguimento di tre tizi mai visti che sono spariti nel cantiere che c’è vicino al mare e così…–
– Ehi calma ragazzina, un passo alla volta, così non capisco niente, quante volte ti ho detto che devi raccontarmi tutto come fosse una storia, partendo dall’inizio e seguendo i fatti minuto per minuto. Dai ricomincia… vi ho lasciate a scuola stamattina avevate il compito in classe di italiano o sbaglio? – la fermò Clara… sempre più curiosa.
– Va bene. Il compito di italiano non l’abbiamo fatto. Sai tirava vento e la finestra non stava chiusa così il prof ci ha fatto leggere un libro… – ricominciò a raccontare Azzurra tenendo il pensiero sull’accaduto aggiungendo qualche particolare in più sulla descrizione del ragazzo perseguitato e su come veniva maltrattato.
Clara guardò le due ragazze e capì il loro entusiasmo. Quella che avevano vissuto era un’avventura bella e buona e qualcosa le diceva che poteva esserci un seguito, qualcosa di inaspettato e meraviglioso.
– Bene adesso allora sappiamo che in quel cantiere ci sono persone violente. Dobbiamo sapere che ci facevano a scuola. Segnatevi la data di oggi all’ultima pagina del diario, non si sa mai… fatemi fare una telefonata alla mia amica bidella, sapete lei sa tutto e ci aiuterà a trovare il nome del giovanotto. Va bene? – addentò l’ultimo biscotto rimasto nel piatto e guardò sorridendo le due ragazzine.
– Dobbiamo aiutare Occhi Nocciola
liberarlo da quegli aguzzini che lo hanno massacrato di botte, non possiamo ignorare la sua disperata richiesta d’aiuto. – Azzurra era rimasta colpita da quegli occhi profondi, Clara sorrise, il soprannome era proprio simpatico.
Lasciò le ragazzine da sole nel salottino e per rendere la loro attesa più divertente accese la radio, cercò una stazione dove trasmettevano musica moderna e passò nell’altra stanza a telefonare.
Tornò dalle giovani amiche dieci minuti dopo, si sedette tra di loro e svelò quanto l’amica le aveva confidato.
– Abbiamo il nome del ragazzo! Al 90 per cento si tratta di Lucio Gherdi un paio d’anni più grande di voi, frequentava o forse è meglio dire frequenterebbe la quarta liceo, è ripetente, ma pare che l’anno scorso abbia interrotto a metà per aiutare la madre rimasta vedova, a quanto ha detto la mia amica, è un bravo ragazzo, ha una buona media, sta lavorando e studiando per non perdere anche quest’anno. – disse come se si trattasse di un segreto. Le ragazze si guardarono pensierose poi Azzurra tirò le somme:
– Ecco, sì certo, ora tutto è chiaro, era a scuola per la lezione e quei due prepotenti lo volevano al lavoro. Poverino come hai detto che si chiama? Lucio. Mi piace questo nome… Lucio. – sorrise e fu chiaro da subito che quello sguardo scambiato per un attimo attraverso le gambe della cattedra aveva fatto nascere qualcosa di profondo nella ragazza.
Clara la richiamò al presente, se volevano fare qualcosa dovevano essere sicure di fare una cosa in aiuto al ragazzo, non potevano agire di testa loro come invece era chiaro volessero fare le due amiche. Per fortuna Clara era loro confidente ed aveva sufficienti anni sulle spalle per sapere come condurle alla ragione, inoltre era una appassionata lettrice di gialli e quelle pagine piene di enigmi da svelare, scritte da autorevoli autori, le avevano insegnato qualcosa, oltre che a estirparla dalla realtà e catapultarla nell’avventura del protagonista investigatore privato.
– Ragazze abbiamo tempo! Dobbiamo sapere innanzitutto chi è il costruttore per cui lavora il ragazzo. Potrebbe trattarsi solo di un episodio di bullismo o uno screzio per una antipatia personale. Se facessi finta di stare male e vi mandassi a prendere qualcosa per me in farmacia, le vostre mamme direbbero qualcosa? Chi di voi due se la sentirebbe di pedalare fino al cantiere, indagare sui nomi dei proprietari e tornare qui a riferire? –
Le ragazze si guardarono: Elisabetta avrebbe dovuto tornare a casa ad avvisare la mamma e prendere la bicicletta mentre per Azzurra era più semplice: abitava di sotto. Prese la casacca di maglia ed i guanti, era una giornata fredda. Sincronizzò l’orologio con le altre due complici, scese veloce la scala inforcò la bicicletta ed alla mamma che si era affacciata disse che doveva arrivare alla farmacia del centro a prendere una medicina per Clara che non stava bene.
– Stai attenta! – le urlò dietro la madre, ma la ragazzina aveva già imboccato la strada principale e