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Simbolo di morte e di vita: la figura mitologica e simbolica del serpente nella letteratura biblica ed extra biblica
Simbolo di morte e di vita: la figura mitologica e simbolica del serpente nella letteratura biblica ed extra biblica
Simbolo di morte e di vita: la figura mitologica e simbolica del serpente nella letteratura biblica ed extra biblica
E-book139 pagine1 ora

Simbolo di morte e di vita: la figura mitologica e simbolica del serpente nella letteratura biblica ed extra biblica

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Info su questo ebook

La figura del serpente è uno di quei simboli che hanno attraversato i secoli, i luoghi, le culture e le religioni. Nel bene e nel male quest'animale continua ad esercitare il suo fascino stuzzicando la fantasia degli uomini.

L'immagine che noi abbiamo di essere maligno ed ingannatore, influenzata dalla cultura giudaico cristiana, sia solo una fra quelle possibili, e che oltre a quella ce ne sono altre, in cui esprime elementi e forze positive.
LinguaItaliano
Data di uscita16 feb 2018
ISBN9788827806319
Simbolo di morte e di vita: la figura mitologica e simbolica del serpente nella letteratura biblica ed extra biblica

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    Anteprima del libro

    Simbolo di morte e di vita - Roberto Biancotto

    apatia.

    1 LA FIGURA DEL SERPENTE NELLE

    RELIGIONI MESOPOTAMICHE

    In questo capitolo tratterò la figura del serpente nella religiosità dei popoli nella zona Mesopotamica. Fin dall'era neolitica fra il Tigri e l'Eufrate si sono succedute e accavallate diverse popolazioni. Cronologicamente la prima di cui abbiamo testimonianze scritte è la civiltà sumera, la cui religione ha lasciato traccia in tutte le culture che verranno successivamente nel Vicino Oriente antico. Tuttavia risulta difficile se non impossibile riuscire a separare gli elementi caratteristici propri di tale fede, rispetto a quelli dei popoli vicini di etnia semita, in particolare da quelli accadici. Infatti quando si iniziano ad avere i primi testi scritti in lingua sumera, intorno alla metà del III Millennio, le due popolazioni vivevano in simbiosi già da diverso tempo. Una prova di ciò emerge da un analisi dei più antichi scritti finora conosciuti come le tavolette di Tel Abu Sālāh Bi dove si può trovare che i colofoni (la parte finale del testo in cui vengono riportati il nome dello scriba e il sovrano che era in carica quando fu scritto o la biblioteca in cui era conservato il manoscritto) riportano la notizia che chi ha redatto il testo in molti casi, pur scrivendo in lingua sumera, aveva un nome semita. Questo fatto pone il problema di stabilire quale è stato l'apporto semitico ai testi religiosi sumeri e dimostra che dal punto di vista della fede e della cultura le due popolazioni erano già molto integrate fra loro, in grado quindi di instaurare relazioni e scambiarsi influenze reciprocamente. Pertanto piuttosto che parlare di scritti sumeri o religione sumera sarebbe più opportuno parlare di testi scritti in sumero e di religione mesopotamica.

    Tale fede era di tipo politeista e legata a molte divinità (An-Anun in sumero, Annunaki in accadico). In tante tavolette troviamo testi che parlano di divinità legate alla figura del serpente. Alcune di queste venivano rappresentate con tratti ofitici; mentre altre, pur essendo rappresentate con fattezze antropomorfe¹ sono connesse con questo animale attraverso epiteti, ad esempio (dio dei serpenti) come nel caso di Ninazu; oppure attraverso simboli che lo richiamano come nel caso di Ningišzḯda e l'immagine del caduceo che rappresenta due serpenti avvolti intorno ad un bastone. Di seguito faccio una descrizione delle principali divinità ofitiche conosciute nella religione mesopotamica.

    1.1 MUŠHUŠŠU E BAŠMU

    Questa creatura mitologica, il cui nome deriva da Muš² ( in lingua sumera = serpente), era immaginata come un mostruoso serpente-drago. Veniva spesso associata a svariate divinità ad esempio Ninazu, Ningišzḯda, Nergal e Marduk in cui viene rappresentato molte volte ai piedi della divinità o comunque al suo fianco. Potrebbe simboleggiare il fatto che l'essere mostruoso è stato sconfitto, domato e reso controllabile. La sua forma ha subito un cambiamento nel tempo. L'iconografia più antica lo rappresenta come un leone con la coda di serpente. In epoca accadica viene raffigurato con il corpo felino, la testa di serpe e le zampe di rapace³. Il termine Bašmu è di lingua accadica e nell'iconografia viene immaginato come un serpente con le corna, dotato a volte di zampe anteriori altre volte sprovvisto. In alcuni casi è descritto come un abitante delle montagne in altri come una creatura marina. Non si tratta di un nome generico ma di una entità definita. Dal periodo Ur III questo mostro è indicato come trofeo del dio Ninurta⁴

    1.2 NINAZU

    Tale divinità viene definita, nei testi babilonesi denominati Vecchi incantesimi, come Re dei serpenti oppure come Signore della Medicina. ⁵ La sua funzione è di presiedere all'oltretomba accanto a sua moglie (o in alcuni testi a sua madre) Ereškigal. Veniva raffigurato assieme al serpente-drago (Mušhuššu). Era considerato il dio protettore delle citta di Engi ed Ešnunna e dove assunse la funzione di dio della guerra. Le caratteristiche ofitiche del suo culto assumono importanza solo tra la fine del III millennio e l'inizio del II. Anche la forma animale del drago Mušhuššu subisce un cambiamento nel tempo. L'iconografia più antica lo rappresenta come un leone con al coda di serpente. In epoca accadica invece viene raffigurato con il corpo felino, la testa di serpe e le zampe di rapace. Come si nota questa divinità re dei serpenti risulta assimilare diversi poteri che diventano elementi caratterizzanti del dio: i serpenti, l'oltretomba, la salute e la guerra. Il legame fra questi elementi è complesso da comprendere. Ciò che lega il serpente e l'oltretomba potrebbe essere spiegato dal fatto, che tale dimensione nella cosmologia sumera (e in molte altre culture successive) è localizzata nel sottosuolo, dove i serpenti tendono a rifugiarsi e a vivere sfuggendo al controllo umano e portando con sé il senso del mistero e della morte. Non va neppure trascurata la micidialità del loro morso, che deve senz'altro aver impressionato e spaventato gli uomini di allora come quelli di oggi (serpente capace di morte e quindi malefico, aspetto negativo). Il legame fra morte e medicina può trovare una spiegazione nel fatto che a quel tempo morire di malattia o di infortunio era una possibilità più che concreta. È quindi intuibile che lo sfuggire alla morte era considerata come una grazia del Re dei serpenti nei confronti dell'ammalato. Altro elemento che mette in associazione i serpenti con la guarigione potrebbe riguardare la loro capacità di cambiare pelle che in molte culture è sempre stata interpretata come simbolo di rinascita così che il riprendersi da una malattia sarebbe stato visto come un ritorno alla vita. Probabilmente il cambio della pelle e il suo legame con i concetti di rinascita e resurrezione hanno fatto si che questi animali venissero accostati con i cicli naturali della vegetazione (primavera) e alla fertilità. Possiamo ipotizzare anche che lo stesso veleno mortifero del morso dei serpenti potesse trovare applicazioni curative nella medicina naturale di allora. Infine il riferimento alla guerra nasce dalla necessità di esorcizzare la morte estesa nella guerra ancora più che nella malattia. Per tali motivi nella figura di Ninazu coesistevano questi tratti ambivalenti richiesti dalla vita vissuta e dagli usi comuni.

    1.3 NINGIŠZḮDA

    Questo dio viene chiamato Signore del vero albero. Il sovrano Gudea nel documento (den. CYL BX III 9) lo descrive come dingir-numun-zi.zi.da ovvero dio dalla buona progenie e la Lista degli dei di Nippur lo definisce Gišbanda cioè Giovane albero⁶. Nell'iconografia viene associato anch'esso con la figura del Mušhuššu e veniva simboleggiato attraverso l'immagine del caducèo, cioè due serpenti avvinghiati attorno ad un tronco d'albero o ad una canna. Veniva infatti considerato il figlio di Ninazu, e come suo padre era venerato come nume dell'oltretomba e della guerra. Tuttavia dagli epiteti e dalla simbologia si evince che era connesso alla vegetazione. Il legame fra piante e mondo sotterraneo può essere compreso tenendo presente che, secondo la religione mesopotamica le prime traevano forza e vita dal secondo⁷. Il nesso fra vegetazione e Serpente si può desumere se si considera che entrambi sono associati all'idea di rinascita e di immortalità. La cosa risulta evidente leggendo il passo dell'Epopea di Gilgamesh (Tav. 11 righe 287-289), in cui l'eroe dopo aver recuperato la pianta dell'immortalità afferma:

    "(…) Avendo scorto

    una pozza di acqua fresca,

    vi si gettò per bagnarsi. \

    ma un serpente,

    all'odore della pianta

    usci furtivamente e la portò via : \

    e tornando indietro

    egli si gettò via una pelle (…)"

    Così il serpente conquista la pianta dell'immortalità sottraendola all'uomo e acquistando la capacità di rinascere (cambiare pelle) così come i vegetali che rifioriscono ogni primavera. Priva l'umanità della possibilità di vivere in eterno e la condanna al suo destino mortale, esattamente come nella Genesi (capitolo 3°), dove emerge la furbizia ingannatrice dell'animale a scapito dell' Uomo e della

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