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I MITI - Luci ed ombre
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E-book402 pagine3 ore

I MITI - Luci ed ombre

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Info su questo ebook

Un viaggio affascinante nei grandi miti, partendo dagli archetipi collettivi della creazione e del diluvio universale, attraverso i misteri irrisolti di Atlantide e della grande Piramide di Giza, l'unica delle sette meraviglie del mondo antico ancora intatta, come echi di un'antica civiltà supermondiale. Un'analisi non convenzionale di figure come Abramo, Ezechiele e Giuda, troppo spesso liquidate con conclusioni semplicistiche, trascurando il legame con interessanti teorie, come l'apocatastasi, la sconvolgente redenzione cosmica che potrebbe coinvolgere perfino Satana. Gli enigmi del libro dell'Apocalisse sono sviluppati alla luce delle profezie di Ildegarda di Bingen, di Malachia, di Nostradamus, nell'ottica del pensiero ermetico e simbolico, fino ad arrivare alla controversa figura di papa Francesco. I vangeli canonici, confrontati con quelli considerati apocrifi, trovano un'impareggiabile raffigurazione nell'”Ultima cena” di Leonardo Da Vinci. Il pensiero razionale nato nell'antica Elea, plasmato da Platone, reso scientifico da Ipazia da Alessandria, sarà poi sviluppato nell'età moderna da filosofi originali come lo sfortunato Spinoza. La sirena Partenope continua a raccontarci le meraviglie del golfo di Napoli, città legata alla francese Angers, ove è conservato il più misterioso arazzo medioevale, mentre Venezia, con i colori cangianti della sua laguna, rappresenta il nostro mutevole inconscio. La psicostasia di Osiride, la leggendaria “pesatura delle anime” compie un lungo viaggio, partendo dalle rive del Nilo, per arrivare a Parigi, la città cara ad Iside.
LinguaItaliano
Data di uscita2 ott 2018
ISBN9788869826818
I MITI - Luci ed ombre

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    Anteprima del libro

    I MITI - Luci ed ombre - Luigi Angelino

    ispirazione....

    INTRODUZIONE

    I miti che ci sono stati tramandati hanno radici lontane ed hanno sempre affascinato l'immaginario collettivo, come fonte di una sapienza antica ed arcana. Nel passaggio dal mythos al logos, cioè nell'evoluzione dalla rappresentazione fantastica alla costruzione logica, le civiltà antiche, in primis quella greca, hanno compreso che alcuni racconti non potevano essere facilmente razionalizzati e che era preferibile lasciarne l'interpretazione all'immaginazione dei destinatari. A ciò si aggiunge il dato, ormai acquisito come pressoché incontrovertibile, che la conoscenza del nostro lontano passato sia ancora molto lacunosa e frammentaria, nonostante i notevolissimi passi in avanti compiuti dalle scienze empiriche e da quelle umanistiche, non più separate da una contrapposta metodologia d'indagine, ma indirizzate alla ricerca della verità. E la nascita della filosofia, originata dalla meraviglia dell'uomo davanti al creato, come scienza basata sui principi di identità e di non contraddizione, non ha dimenticato i miti, ma ha cercato di interpretarli in chiave razionale, attribuendo ad essi una maggiore dignità, come ha poi cercato di fare, in seguito, la teologia nei confronti delle cosiddette religioni rivelate.

    Il presente testo nasce con l'idea di scattare fotografie istantanee ad alcuni grandi miti, che sono ormai entrati a far parte del nostro inconscio collettivo, tanto da non potersene distinguere con certezza i fondamenti fantastici da quelli reali.

    Ho strutturato lo scritto in cinque parti, ciascuna suddivisa in  capitoli, cercando di dare una certa sistematicità storica e contenutistica, partendo dai miti di origine biblica (parti 1 e 2), per poi confluire in altri  miti religiosi anche di origine non giudaico-cristiana (parte 3), dedicando gli ultimi due blocchi (parti 4 e 5) a luoghi e personaggi che, a diverso titolo, hanno suscitato e continuano a suscitare particolare interesse.

    Gli argomenti trattati sono collegati in maniera eziologica e trasversale tra le diverse parti e capitoli, presentando intrecci abbastanza unitari, nonostante l'apparente eterogeneità.

    Il mito della creazione e quello del diluvio universale, che si riscontrano nella maggioranza delle tradizioni dei popoli antichi, ci fanno pensare ad Atlantide o alla Piramide di Giza, una delle sette meraviglie del mondo antico, come espressioni di un'unica civiltà super mondiale, molto evoluta anche tecnologicamente, e forse scomparsa dopo un grande cataclisma. Alcune figure, assunte a simbolo iconografico della fede o dell'iniquità, come Abramo o come Giuda, sono analizzate in maniera obiettiva, senza indulgere troppo nella vulgata tradizionale, ma comprendendo anche interessanti e, per lungo tempo, trascurati legami con alcune teorie considerate eretiche e gnostiche, come ad esempio l'apocatastasi e la sconvolgente redenzione finale del diavolo. Gli enigmi del libro dell'Apocalisse di Giovanni di Patmos e la misteriosa simbologia del 666 della bestia si sviluppano nelle successive profezie di Ildegarda di Bingen e di Nostradamus, nel Petrus Romanus di Malachia, fino ad arrivare alla controversa figura di papa Francesco. Il messaggio evangelico, presentato in maniera diversa dai sinottici e da Giovanni, considerato emanazione divina perfino nel Corano, troverà un'incomparabile rappresentazione artistica nel famoso dipinto L'ultima cena di Leonardo da Vinci. Il razionalismo del pensiero greco, originato ad Ascea, l'antica Elea, sarà plasmato da Platone, reso scientifico da Ipazia di Alessandria, e sviluppato da filosofi originali dell'epoca moderna come lo sfortunato Spinoza, condannato perché considerato eretico. La sirena Partenope continua a raccontarci le meraviglie del golfo di Napoli, città di incomparabile bellezza, legata alla francese Angers, ove è conservato il misterioso arazzo dell'Apocalisse, mentre Venezia, con i colori cangianti della sua laguna, rappresenta il nostro inconscio collettivo. La psicostasia di Osiride, la leggendaria pesatura delle anime compie un lungo viaggio, partendo dalle rive del Nilo per arrivare a Parigi, la città cara ad Iside.

    La lettura dei miti ci fornisce la consapevolezza che siamo noi stessi ad indicarne la sacralità, superando le barriere del tempo ed i singoli contesti spaziali narrati, con l'intento quasi catartico di proiettare in essi la nostra individualità, attribuendo un significato religioso o spirituale.

    I miti, pertanto, presentano sia luci che ombre, perché contengono elementi che possono, allo stesso tempo, illuminare ed oscurare la nostra percezione della realtà, non mirando a soddisfare interessi scientifici, ma a colmare le lacune ontologiche presenti in ciascuno di noi.

    PREFAZIONE

    a cura dell'Avv. Massimiliano Bertolla

    L'idea di parlare dei grandi miti è nata da un'esigenza, sicuramente encomiabile, di fare chiarezza su alcuni argomenti molto spesso trattati come luoghi comuni, non adeguatamente chiariti, né sufficientemente motivati, soprattutto nella frammentaria ed iconografica era del web.

    Il testo di Luigi Angelino, così come ha spiegato l'autore nella sua nota introduttiva,  si propone di offrire una panoramica sintetica ed orientata metodologicamente, che costituisca una base di partenza di riflessione su nodi cruciali e non risolti dei nostri molteplici e variegati orizzonti culturali, partendo dai miti religiosi fino ad arrivare alla scelta di alcuni personaggi, considerati particolarmente significativi, per lo sviluppo successivo del loro pensiero e legati alla descrizione delle parti precedenti del testo.

    Si nota come il metodo adoperato dall'autore sia di carattere pressoché scientifico, aspetto questo ampiamente dimostrato dal notevole numero di note collocate a piè di pagina, per rendere più accessibili alcuni riferimenti e per dare la possibilità ai lettori di compiere quei collegamenti interdisciplinari diretti ad un eventuale approfondimento delle tematiche trattate, che lo stesso autore ritiene base di partenza di riflessioni.

    Ritengo che la lettura de I miti: luci e ombre, presentando con lucidità ed obiettività i lati luminosi e quelli oscuri di alcuni racconti, non limitandosi alle interpretazioni della cultura tradizionale, ma neanche obbedendo ciecamente ad avventate conclusioni fantasiose, contribuisca ad accrescere la curiosità e l'interesse per alcuni argomenti, che, troppo spesso archiviamo nella nostra mente ed abbandoniamo ad un facile oblìo, affidandone la soluzione ad interpreti forse troppo di parte.

    PARTE 1:  LA BIBBIA                                     ANTICO TESTAMENTO

    CAPITOLO 1

    L'Antico Testamento

    Il primo ad utilizzare l'espressione Antico Testamento è stato l'apostolo Paolo in lingua greca (palaia' diatheke) nella seconda lettera ai Corinzi¹, una di quelle epistole sicuramente attribuite alla sua mano da parte dei critici storiografici. Il riferimento paolino richiamava l'alleanza spesso infranta dal popolo ebraico e destinata a rinnovarsi e a perfezionarsi solo con Cristo. Come è ben noto, Paolo di Tarso², pur non avendo mai conosciuto Gesù, è il principale fondatore della dottrina cristiana, coniugando, in maniera del tutto originale, i principi della tradizione ebraica ed i caratteri fondamentali del pensiero ellenistico.

    In seguito, furono due autori latini, Tertulliano³ ed Origene⁴, tra il II e il III secolo d.C.,  i primi ad utilizzare l'espressione Antico Testamento in maniera esplicita per riferirsi alle Sacre Scritture di Israele accettate anche dalla dottrina cristiana. La nuova ala del Magistero cattolico post-conciliare (successiva al Concilio Vaticano II) preferisce parlare di Primo Testamento, significando che la storia della salvezza presenta un percorso unitario, che affonda le radici ontologiche nelle vicende del popolo ebraico.

    L'attuale Primo Testamento accolto nella Bibbia cristiana consta di 46 libri, mentre la tradizione ebraica  aveva ordinato l'orizzonte testuale dei vari libri considerati canonici ed ispirati, scegliendo rigorosamente quelli composti in lingua ebraica ed in minima parte in aramaico, secondo una classificazione ben delineata. La prima tavola di questa ideale teologia è chiamata Torà, che può essere tradotta come legge ed insegnamento, comprendente i primi cinque libri (Genesi, Esodo, Numeri, Deuteronomio e Levitico), che rappresentano il fulcro del credo di Israele, denominati poi in ambito cristiano Pentateuco. La seconda tavola del trittico è costituita dai Nebihim, i Profeti, a sua volta suddivisa in due tronconi: da un lato i libri storici, da Giosuè ai Re, detti Profeti anteriori, dall'altro i libri detti dei Profeti posteriori, attribuibili da Amos in poi a personaggi abbastanza individuabili. Infine, si passa alla terza tavola, quella dei Ketubim, gli Scritti, che raccoglie le opere sapienziali e quelle appartenenti a generi ed usi liturgici vari⁵.

    Anche la tradizione cristiana distingue un trittico, ma con significative varianti. Al primo gruppo appartengono il Pentateuco  ed i libri storici da Giosuè fino ai Maccabei, includendo anche testi scritti in greco e chiamati deuterocanonici, come Tobia, Giuditta ed i i libri dei Maccabei. Nel secondo gruppo sono inseriti i libri sapienziali che contengono riflessioni intimistiche sulla storia della salvezza, estendendosi anche a due libri scritti in greco, come Siracide e Sapienza. Il terzo gruppo è rappresentato dalla voce dei Profeti, con la sequenza da Isaia a Malachia, con l'aggiunta di Baruc, assente nella versione ebraica⁶. Il canone cattolico del Vecchio Testamento, pur affondando radici secolari, è stato fissato definitivamente con il Concilio di Trento (1545-1563)⁷, come reazione alla recente Riforma Protestante.

    L'Antico Testamento è stato paragonato, anche con le sue brutture, le tantissime contraddizioni ed i suoi passi sconcertanti (vedasi ad esempio le efferate violenze del libro di Giosuè o la norma di lapidare le ragazze non vergini del Deuteronomio), ad una cattedrale cosmica, un'immane costruzione simbolica che racchiuderebbe la rivelazione segreta del Creatore.

    Nella Genesi entra in scena ha-adàm, l'uomo, con i suoi dilemmi morali nel confronto con l'albero della conoscenza. Se ne ricava una riflessione simbolica sull'essere umano, straordinariamente lucida per una penna di quell'epoca storica, che si sofferma sulle antitesi tra determinismo e libero arbitrio, coniando il concetto di peccato ed evidenziando le particolarità e le miserie dell'essere umano, tentato da un personaggio tanto importante quanto misterioso nelle sembianze del serpente. Ormai anche il Magistero della Chiesa Cattolica, che per secoli ha attribuito significati letterali alla maggior parte della Bibbia, ha dovuto accettare la teoria dei generi letterari, riconoscendo il valore simbolico e didascalico di determinati testi, comunque ancora considerati sacri ed ispirati dalla stessa divinità. Sarebbe stato oltremodo controproducente ed anacronistico perseverare nelle negazioni delle scoperte scientifiche nel contesto sociale e culturale contemporaneo, dove le informazioni sono sempre più velocemente conosciute e diffuse in maniera globale.

    Con Abramo si apre il periodo patriarcale ed avrebbe origine il piano di salvezza di Dio che cerca di salvare l'uomo dal peccato, nonostante le sue numerose e ripetute infedeltà. La figura di Abramo rappresenta la fede cieca ed ubbidiente, in vicende perennemente rischiose ed incerte, fino al tentato  sacrificio del figlio primogenito, sventato all'ultimo momento da un messaggero di Dio (almeno  nella versione a noi pervenuta; potrebbe darsi che nelle primitive elaborazioni, Isacco fosse stato effettivamente immolato, come da usanze tribali comuni a tante civiltà antiche). In seguito Giacobbe, discendente di Abramo, combatterà con Dio, testimoniando l'ardua impresa della fede e della fedeltà alla sfuggente divinità. Ma il grande evento, destinato a diventare uno dei punti cardine della religione ebraica e ad essere citato in tutti i memoriali liturgici posteriori, è quello dell'Esodo, dopo la liberazione dalla schiavitù d'Egitto, con il paradigma pasquale del Mar Rosso (tramandato come tale in maniera erronea ed esagerata, trattandosi, invece, con ragionevole certezza, dell'attraversamento di una zona paludosa)⁸.

    Grande fortuna ed importanza assunsero, poi, i Profeti, durante il periodo della deportazione babilonese, quando il popolo ebraico, oppresso dall'infausto esilio, prese consapevolezza della propria identità e, sotto l'influsso di civiltà molto più evolute, iniziò la codificazione della Torà, che fino ad allora era stata per lo più tramandata oralmente, e con l'istituzione del Tempio elaborò le prime celebrazioni liturgiche.

    I Profeti non devono essere considerati coloro che magicamente erano in grado di prevedere il futuro, come invasati da una forza misteriosa, ma come coloro che, nel groviglio delle vicende umane, cercavano di individuare il filo conduttore dell'azione divina, interpretando con lucidità e raziocinio i fatti del presente, proiettandone le conseguenze in un probabile futuro. Il Monte Sinai⁹ si impone in tante pagine bibliche, dalla sua vetta scende la parola di Dio, che nel decalogo affidato a Mosè, trova la sua espressione più incisiva, pietra miliare della cristallizzazione dei principi fondamentali del diritto naturale.

    E qualche secolo dopo, conquistata la Terra di Canaan¹⁰, per il popolo di Israele inizia la difficile stabilizzazione di uno stato, mentre la figura del re Davide¹¹ diventa un tangibile segno del Messia, che vuol dire unto, consacrato, spianando la strada alla pienezza salvifica del Nuovo Testamento. Se Davide prefigura il Messia, Salomone¹² rappresenta l'emblema di una nuova visione religiosa, quella sapienziale, cioè una spiritualità interiore più sofferta e maggiormente influenzata dalla cultura greca, che si interroga sulle malattie interiori e sul significato dell'essere umano.

    In sintesi si può dire che il Vecchio Testamento è una grande metafora dell'uomo, non  teorica e nemmeno teoretica, ma costruita in maniera esistenziale, attraverso cioè le difficoltà e le peripezie di un popolo.

    Le interpretazioni e le ricostruzioni storiche dei suoi racconti sono ancora in gran parte indecifrabili: in futuro ci potranno essere nuove scoperte in grado di fare chiarezza sui tanti elementi oscuri e controversi.

    Forse il linguaggio simbolico della Bibbia sarà finalmente compreso, tenendo in debito conto anche il progresso scientifico e tecnologico?

    CAPITOLO 2

    Il racconto della creazione

    Nell'affrontare la tematica del racconto biblico della creazione sorge spontaneo chiedersi se si tratti di una storicizzazione di un mito o di una mitizzizazione di una storia, se debba cioè essere interpretata in chiave simbolica o come reminiscenza di un archetipo collettivo. E' d'obbligo, prima di tutto, anteporre qualche precisazione di ordine storico e letterario per una lettura obiettiva, priva dei pregiudizi tipici della mentalità moderna. La maggior parte di noi, infatti, pensa che un libro sia composto in un tempo più o meno individuabile da uno stesso autore, o da più autori, che, comunque siano in grado di coordinarsi nell'elaborazione di un progetto comune. I libri della Bibbia, invece, sono stati elaborati nel corso di una ventina di secoli e sono stati composti da autori diversi, con peculiari visioni teologiche, inseriti in determinati contesti culturali, presentando variegati elementi molte volte contrastanti fra loro.

    Per quanto riguarda la Genesi, gli studiosi moderni, analizzando gli antichi manoscritti, sono riusciti a distinguere, con ragionevole certezza, i brani che appartengono allo stesso gruppo di autori, individuando  due fonti principali: quella denominata jahvista¹³ e l'altra a cui si attribuisce la denominazione di sacerdotale¹⁴. Nella tradizione jahvista, sviluppatasi intorno al X-IX secolo a.C., Dio è chiamato con il suo nome impronunciabile di YHWH¹⁵ ed è presentato con atteggiamenti quasi antropomorfi: cura l'uomo, si adira, soffia la vita nel primo uomo, passeggia nel giardino dell'Eden. Dio, insomma, incontra l'uomo e gli progetta un piano di salvezza. Nell'altra tradizione, quella sacerdotale, sviluppatasi tra il VI e il V sec. a.C., durante l'esilio babilonese, prevale l'attenzione dei redattori per gli aspetti cultuali, la preghiera, il sacrificio, evidenziando maggiormente gli atteggiamenti sapienziali ed il rispetto di tutte le norme sacre.

    Il primo racconto della creazione narrato dalla Genesi (1,1-2,4a) è attribuito alla fonte sacerdotale ed appare molto più astratto e teologico del secondo (2,4b-25). E' chiaro l'intento del redattore di dare una classificazione e logica della creazione, avvenuta in una settimana, che si conclude con il riposo sabbatico. E' completamente inutile stabilire una corrispondenza tra il quadro della creazione biblica e la scienza moderna, anche di carattere simbolico, come ad esempio il succedersi di diverse ere, ma bisogna intuire l'insegnamento rivolto alla trascendenza di Dio, che ha carattere permanente ed unico, anteriore al mondo ed al concetto stesso di tempo. La creazione biblica non è un mito atemporale, ma vuole rappresentare l'inizio della storia stessa. La luce è creata da Dio, mentre le tenebre ne sono la negazione, visione che sarà sviluppata in seguito e che influenzerà la teologia cristiana sul concetto di male come non essere, cioè come allontanamento dall'Essere che è Dio¹⁶.

    Nella Genesi la parola di Dio è creatrice, Lui crea dicendo, pronunciando ciò che vuole formare: non a caso, in ebraico, la radice dab, è insita sia nel verbo parlare che fare, un'anticipazione  di quello che sarà il logos¹⁷ della lingua koinè¹⁸ greca, inteso sia come pensiero che come parola. E' da notare come i nomi dei luminari siano intenzionalmente pretermessi: i popoli vicini, infatti, adoravano il sole, la luna, le stelle, mentre Israele intende sottolineare l'assoluta trascendenza del suo unico Dio.

    Grandi dibattiti ha sempre destato l'espressione Elohim, plurale di el, Dio, quando esprime la volontà facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza¹⁹. Nella tradizione monoteista ebraica, si interpreta la frase, includendo le schiere di angeli che sarebbero stati già creati da Dio, quindi una sorta di dialogo tra il creatore e le sue creature più eccelse. Ma non bisogna dimenticare che inizialmente il popolo ebraico era monolatrico, cioè rivolgeva il culto di adorazione ad un unico Dio, ma non monoteista, nel senso di possedere già una dottrina compiuta sull'esistenza di un unico Dio, dottrina che inizierà a concretizzarsi solo a partire dal VI secolo a.C., nel periodo dell'esilio babilonese. Non si può escludere, pertanto, che il racconto della creazione di tradizione sacerdotale, per secoli trasmesso oralmente, fosse originato da un'iniziale esperienza politeista. La tradizione cristiana più antica ha, invece, voluto vedere in questo plurale il senso della pienezza e della maestà di Dio, e, ancora più arditamente, già una traccia della rivelazione della santissima Trinità, un dogma così particolare ed originale da caratterizzare ab intrinseco la stessa religione cristiana.

    Non mancano affascinanti ricostruzioni, ma ancora non supportate scientificamente, secondo cui gli Elohim sarebbero individui provenienti dallo spazio, per conquistare il nostro. Essi avrebbero raggiunto un altissimo sviluppo tecnologico ed avrebbero alterato geneticamente alcuni esseri trovati sul nostro pianeta, in modo da renderli coscienti e capaci, per un loro recondito progetto. Queste teorie si basano sul fatto  che i principali miti biblici sono raccontati, con poche varianti significative, da tutti i testi delle antiche civiltà. Dai popoli mesoamericani ai popoli dell'antica India, dalla mitologia greca ai poemi mesopotamici ed ai papiri egizi, i ricordi dei vecchi invasori  sarebbero stati trasfigurati in miti letterari e religiosi.

    Secondo il professor Zecharia Sitchin²⁰, esperto soprattutto nelle decifrazioni delle iscrizioni cuneiformi, molti straordinari successi della scienza moderna affonderebbero radici nelle conoscenze perdute nel nostro passato più remoto. Tali conoscenze avrebbero consentito ai popoli antichi di descrivere, con dovizie di particolari, alcuni dettagli del nostro sistema solare che l'uomo moderno sta scoprendo, solo grazie all'esplorazione dello spazio più profondo²¹.  La visione di Zecharia Sitchin è tutto sommato lineare, ma sconvolgente: gli Annunaki provenienti dal misterioso pianeta Nbiru²² sarebbero i creatori dell'homo sapiens²³

    Pur ammettendo l'innegabile fascino di queste teorie, che giustamente individuano numerosissime contraddizioni nei testi biblici e nelle relative interpretazioni, dal punto di vista filosofico il problema non cambia, si sposta soltanto.

    Se noi siamo stati creati da una civiltà aliena, chi ha creato i nostri creatori?

    Ma come possiamo armonizzare il racconto biblico con le conoscenze della scienza attuale? Davvero fede religiosa e scienza vivono un contrasto inconciliabile, oppure è possibile in qualche modo armonizzarle? Galileo diceva che l'insegnamento della Bibbia serve per andare in cielo, la scienza serve a conoscere il cielo. Contrariamente a quanto si possa pensare nell'opinione comune, Galileo Galilei, pur essendo uno scienziato rivoluzionario per i suoi tempi, era un uomo profondamente religioso e fu molto turbato dalla condanna della Chiesa oscurantista nei confronti delle sue teorie, che aprirono, poi, la strada alle scoperte scientifiche moderne. La scienza non risponde al perché delle cose, ma si limita a chiarire l'evoluzione delle stesse, non essendo in grado di spiegare il mistero della vita, o di come improvvisamente sia sorta la materia. Anche la Bibbia parla in maniera figurata di evoluzione: la luce, il firmamento, le stelle, i pesci, gli animali, finora ad arrivare all'uomo.

    Il big bang²⁴, indicato dalla maggior parte della comunità scientifica, come origine dell'universo, è ancora confuso, quasi filosoficamente irrazionale, in quanto attribuisce una data alla formazione dell'universo (circa 14 miliardi di anni fa), ma prima del big bang cosa c'era, come si comportava questa massa enorme? E se individuiamo la nascita dell'universo nel big bang, significa che nulla preesisteva ad esso, ma dal nulla come poteva esplodere la materia? Domande che attualmente rimangono irrisolte.

    Il mondo comprende infiniti misteri che la scienza nemmeno prende in considerazione. Il mistero della creazione biblica aggiunge qualcosa di razionale, quando afferma che l'evoluzione non fu semplicemente frutto del caso, attribuendola alla volontà  e all'intenzionalità di Dio: il big bang potrebbe, pertanto, essere il tocco creatore dell'Essere infinito ed eterno.

    CAPITOLO 3

    Adamo ed Eva: il paradiso perduto

    La parte 2,4b-3,24 della Genesi si ispira alla fonte jahivista: comunemente viene denominato come un secondo racconto della creazione, a cui segue un racconto della caduta. In realtà, secondo la maggior parte degli interpreti, si tratta di due narrazioni distinte che provengono da due tradizioni diverse. In sintesi si tratterebbe di un secondo racconto della creazione, che non sarebbe completo senza l'apparizione dell'uomo, con l'aggiunta della narrazione del paradiso perduto, la caduta ed il castigo divino.

    L'uomo ebraico è indicato come adam²⁵ e vuol dire viene dal suolo, nella versione biblica è utilizzato proprio per indicare il primo essere umano. Il termine nefesh, invece, indica l'anima, un termine  che serve anche ad individuare l'essere animato da un soffio vitale, ruah.

    Quanto al termine giardino, esso è stato tradotto nella versione greca ed in tutta la tradizione successiva con paradiso. Ma Eden è l'appellativo di un luogo che non può essere precisamente localizzato, che sta ad indicare una località di delizie, contrariamente al deserto ed alle steppe che tanti problemi e preoccupazioni creavano alle popolazioni nomadi del vicino oriente. La descrizione ²⁶ adopera antiche concezioni della configurazione della Terra ed è evidente che l'intento del redattore non è quello di fornire una localizzazione concreta del giardino dell'Eden, ma di dare un'interpretazione simbolica delle quattro principali arterie del mondo, che avrebbero proprio origine nel paradiso. In realtà il giardino dell'Eden, così come descritto nella Genesi, si potrebbe collocare nell'attuale regione della Mesopotamia meridionale. Ma non mancano altre interessanti teorie, come quella di Juris Zarins²⁷, che colloca l'Eden in fondo al mare, e precisamente sommerso dal Golfo Persico, in considerazione del fatto che questa zona, prima dell'ultima glaciazione, verso il 6000 a.C., era completamente all'asciutto. E ancora molto suggestiva è l'ipotesi di Felice Vinci²⁸, che, nel suo saggio Omero nel Baltico²⁹, osservando le grandi analogie tra le mitologie mediterranee e quelle nordiche, colloca l'Eden nelle penisola norvegese di Nordkynn³⁰, anche per la presenza di quattro fiumi confluenti, a somiglianza della Mesopotamia asiatica.

    L'albero della conoscenza del bene³¹ e del male rappresenta il privilegio che Dio riserva all'uomo, ma che questi rovinerà con il peccato. Non si tratterebbe né di una forma di onniscienza, che l'uomo avrebbe perso con la caduta nel peccato e nemmeno di una sorta di discernimento morale. L'interpretazione esegetica più corretta sarebbe quella di individuare in essa la facoltà dell'uomo di decidere liberamente, grazie al libero arbitrio, ciò che è bene e ciò che è male, agendo di conseguenza. In effetti l'uomo rivendicherebbe la propria autonomia morale, rifiutando lo stato di creatura finita, soggetta a Dio, creatura infinita, quasi si trattasse di un peccato di orgoglio, un attentato all'immensa sovranità di Dio.

    Il racconto della creazione della donna, con ogni probabilità, proviene da una tradizione indipendente³². Il termine ebraico basar (carne) sta ad indicare sia nell'animale che nell'uomo, la parte molle e tenera del corpo, ma anche il corpo intero e lo stesso legame familiare, l'umanità e gli stessi esseri viventi. Ma basar sta ad indicare anche ciò che è fragile nell'uomo e destinato alla corruzione in contrapposizione allo spirito. L' immagine di plasmare con la costola vuole sottolineare lo strettissimo rapporto tra l'uomo e la donna e che la dottrina cristiana individuerà come primo precetto divino in materia di indissolubilità del matrimonio. Nella favola della creazione della donna, risulta evidente come la lingua ebraica faccia derivare il termine ishha (donna) da ish (uomo), frutto magari della mentalità patriarcale e maschilista dell'epoca, ma anche segno di una concezione già netta di totale compenetrazione tra l'essere maschio e l'essere femmina.

    E l'apparizione del serpente³³ serve ad identificare l'essere nemico di Dio e dell'uomo, che verrà poi identificato in tutta la tradizione cristiana con il diavolo. La tentazione del serpente consente la scoperta della concupiscenza, l'incedere del disordine nell'armonia ontologica della creazione. E' interessante, a questo punto, evidenziare la differenza del testo ebraico e della traduzione greca,

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