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La vicina di casa e altre storie
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La vicina di casa e altre storie
E-book304 pagine4 ore

La vicina di casa e altre storie

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Info su questo ebook

Questo volume offre al lettore una ricca selezione di opere della scrittrice Maria Cristina Flumiani: i temi affrontati da queste storie, tutte scritte alla prima persona singolare, sono i rapporti interpersonali, colti nelle loro innumerevoli sfaccettature e vicissitudini.La raccolta inizia con il racconto giallo La vicina di casa, premiato a Rovigo al Concorso Unicorno e finisce con "Vita da psichiatra", finalista al concorso Mario Soldati; include altri racconti premiati.La copertina è di Marina Rigolone.
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2018
ISBN9788827816561
La vicina di casa e altre storie

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    Anteprima del libro

    La vicina di casa e altre storie - Maria Cristina Flumiani

    La vicina di casa

    Apro gli occhi e mi stiro pigramente; sonnecchio qualche minuto e poi vado in cucina a preparare il caffè, uno dei miei piaceri quotidiani. Guardo l’orologio: sono le undici. Indosso i jeans, una maglietta bianca e un cardigan blu che adoro; scarpe sportive, basse, niente trucco. Prima di uscire, mi guardo allo specchio: minuta, bassa di statura, viso ovale, lunghi capelli castani. Non saprei dire che cosa mi piace di me; forse le orecchie, piccole e ben attaccate alla testa. Chiudo la finestra che ho aperto per arieggiare la stanza e vedo, nella casa di fronte, l’amica della portinaia, la signora Pina, mentre osserva i miei movimenti; quando si accorge che la sto guardando, distoglie subito lo sguardo e comincia a lustrare con energia la maniglia della finestra. Come tutte le domeniche, vado a pranzo da mia madre che abita a qualche isolato di distanza. Mi accoglie con la sua vestaglia preferita di seta rosa e una maschera verde sul viso; non può parlare e, a gesti, mi indica un pacchetto rosa. Lo disfo e, all’interno, c’è un fermaglio di tartaruga.

    Bello!. Esclamo, mandandole un bacio con le dita.

    Accenna con la testa al tavolo apparecchiato e si allontana. Torna con un piatto, dove un arrosto con le patate, dorate e croccanti, fa bella mostra di sé; poi sparisce un’altra volta. Riappare dopo qualche minuto, senza maschera, truccata e con un abito beige. Mia madre è sempre elegante e curata.

    Ti ho comprato un fondotinta che, secondo la commessa della profumeria dove siamo andate insieme, è adatto al tuo tipo di pelle.

    Lo spalmo sul viso e mi guardo allo specchio; la pelle dorata m’imbellisce decisamente.

    Ci vorrebbero un po’ di fard e un nuovo taglio di capelli, se posso esprimere un’opinione. Dice mia madre.

    Mi piacciono i capelli lunghi, lo sai. Comunque, sei un tesoro.

    Mi sembri serena; prendi sempre la medicina?.

    Sì, sempre.

    Chiacchieriamo un po’ e dopo pranzo facciamo una passeggiata. Nel pomeriggio, torno a casa; guardo un film alla televisione, poi mi trucco con il nuovo fondotinta e raccolgo i capelli con il fermaglio. Esco per andare al cinema con i miei amici: sono persone che conosco da tanti anni; con loro, mi annoio serenamente e puntualmente.

    Ripenso a mia madre. Quando ero piccola, la mattina mi vestiva sempre con cura; avevo molti vestiti perché si divertiva ad abbigliarmi come una bambina con la sua bambola. Allora, i suoi capelli erano castani e gli occhi molto vivaci, sotto le lunghe ciglia. Poi raggiungevamo mio padre che faceva colazione. Mio padre era alto e magro, con gli occhiali di tartaruga. Mi piaceva osservarlo mentre spalmava la marmellata sul pane nero, lento e preciso, e poi lo divorava masticando piano, concentrato. Io bevevo sempre una tazza di latte in cui erano spezzettati dei biscotti; una mattina, avevo teso la mano e afferrato la fetta di pane che lui aveva preparato e l’avevo mangiata con molto entusiasmo. Ricordo la sua faccia divertita; da allora, aveva preparato le fette di pane con la marmellata anche per me e aggiunto un cucchiaino del suo caffè nella mia tazza piena di latte. Quando penso alla mia infanzia, ho l’impressione che ci fosse sempre il sole. Poi, un giorno, mentre spalmava con la consueta precisione la marmellata sul pane, mio padre annunciò che voleva separarsi. Si era innamorato di una collega e voleva andare a vivere con lei negli Stati Uniti. La mamma aveva pianto, lo aveva scongiurato di pensare a me, che ero ancora piccola. Lui l’aveva guardata pietoso ma irremovibile.

    Se ne era andato un giorno di settembre; mi aveva abbracciato, poi aveva salutato la mamma che lo guardava gelida. L’avevo visto l’anno successivo, era venuto a prendermi con la nuova compagna, una donna bella, con un vestito viola molto elegante; mi avevano portato in una gelateria e, mentre raccontavo quanto ero brava a scuola, avevo notato che, ogni tanto, lui sogguardava l’orologio, mentre lei sfogliava una rivista. Quando mi avevano riaccompagnato a casa, mi avevano baciato e mio padre mi aveva dato una carezza, già perso in altri pensieri. Da allora, ci saremo visti tre volte. Gli Stati Uniti sono lontani.

    Il mattino dopo, esco in ritardo come il solito. Nella portineria, ci sono la signora Pina e la sua amica Marisa, la portiera. Questa mi apostrofa sorridendo: Buongiorno, signorina. C’è una novità.

    La signora Pina interviene: Una bella novità.

    Raccontatemi, vi prego.

    L’appartamento vicino al suo è stato venduto a una ragazza. L’ho vista con l’agente immobiliare quando è venuta a vederlo; deve avere circa la sua età. Pare che si trasferirà qui tra qualche mese.

    Davvero! Finalmente non sarò più sola al sesto piano.

    Alcuni giorni dopo, arriva una squadra di operai che lavora trapanando fin dal mattino presto. Quando comincio ad abituarmi a quel rumore, torna il silenzio e uscendo incrocio due imbianchini che stanno entrando nel nuovo appartamento armati di vernici e pennelli. Infine, inizia il trasloco. Mi affaccio al balcone e vedo arrivare un camion con dei mobili di legno chiaro, un divano, due poltrone. Dopo un mese, l’appartamento è pronto. Una mattina, mentre aspetto l’ascensore, incontro la mia vicina: alta, capelli corti e lisci, jeans e giaccone.

    Ciao, sono Carla, benvenuta in questo bellissimo condominio. Le dico.

    Piacere, sono Giulia. La voce è bassa e, mentre parla, inclina la testa di lato; ha il viso lungo e stretto, le labbra sottili e gli occhi come due fessure grigie.

    Spero che ci vedremo per conoscerci meglio. Le sorrido gaiamente.

    Volentieri. Ha un tono distaccato che m’induce a sospettare che non ne abbia alcuna voglia.

    Il venerdì sera, sento della musica e delle voci provenire dall’appartamento accanto al mio. Mi affaccio alla finestra e vedo arrivare molta gente giovane; alzo gli occhi e incrocio lo sguardo penetrante della signora Pina, che si accinge subito a limarsi le unghie. Il suono del campanello mi fa sobbalzare; apro e vedo la mia vicina, con un vestito nero, che mi dice:

    Ho organizzato un aperitivo per inaugurare la casa. Vuoi venire?

    Grazie… Mi coglie di sorpresa. Sono appena tornata; faccio una doccia e vi raggiungo rispondo.

    Indosso un vestito comprato di recente, applico il nuovo fondotinta e mi spazzolo i capelli. Mi sento ridicola ad arrivare con la borsa nell’appartamento accanto, ma d’altronde non saprei dove mettere le chiavi, il fazzoletto e il cellulare; ne scelgo una piccola, di seta, che mi ha regalato mia madre. Mi guardo allo specchio: il viso dorato è carino, ma il resto mi sembra scialbo; pazienza. Esco e suono il campanello; Giulia mi accoglie e m’introduce nel salotto dove ci sono molti ragazzi che chiacchierano. Mi siedo sul divano di velluto verde accanto a una ragazza castana, con degli occhiali dalla montatura verde smeraldo. Ci presentiamo e lei mi dice che si chiama Renata.

    È molto che conosci Giulia?. Cerco di conversare con lei.

    Oh sì. E tu?.

    Io la conosco da quando è venuta a vivere qui; abito nell’appartamento accanto.

    Mi guardo intorno: i mobili sono chiari e moderni, alle pareti sono appese delle stampe egiziane e delle maschere probabilmente africane. Su un tavolino, ci sono varie fotografie incorniciate e un Buddha d’avorio. Un ragazzo si avvicina e saluta Renata. Poi mi guarda sorridendo e i nostri sguardi s’intrecciano; è bellissimo, alto, con i capelli rossi e le lentiggini. Scopro che si chiama Paolo, è un architetto e lavora nello studio di suo padre.

    Improvvisamente, Giulia si materializza.

    Ti rubo Paolo, è molto ambito. Gli sorride, guardandolo da sotto in su mentre lo trascina via.

    Lui si stringe scherzosamente nelle spalle mentre si allontana spargendo tonnellate di fascino intorno a sé; molti occhi femminili lo seguono e lui ne è consapevole, a giudicare dalla sicurezza con cui si muove.

    Decido di consolarmi dedicandomi al buffet; ma continuo a pensare all’ospite della mia vicina e a quella meravigliosa corrente di simpatia che ci ha avvolto per qualche secondo, isolandoci dal resto del mondo.

    Ti consiglio questa torta salata, è deliziosa. Mi dice un tipo robusto e occhialuto.

    La assaggio.

    È squisita, grazie per il consiglio.

    Io sono Andrea. Sei amica di Giulia?.

    No, la conosco solo da qualche giorno. Mi chiamo Carla e abito nell’appartamento accanto.

    Che cosa fai?.

    Lavoro nell’ufficio stampa di una multinazionale. Intanto divoro la torta.

    Io sono ingegnere chimico.

    Una ragazza bruna si avvicina al buffet.

    Carla, ti presento Carlotta; ha un negozio di abbigliamento. Andrea le circonda le spalle con un braccio.

    Che meraviglia! Il lavoro ideale per una donna!. Esclamo io.

    Lo ammetto. Devi assolutamente farmi visita, il mio fornitore mi ha appena portato dei bellissimi paltò. Carlotta, fasciata in un abito grigio molto raffinato, mi avvolge con uno sguardo attento.

    Che lavoro fa Giulia?. Chiedo ad Andrea.

    È una pittrice. Vedi quel quadro? L’ha appena finito. Mi indica un punto sulla parete.

    Guardo il dipinto; rappresenta un cielo azzurro e dei fiori stilizzati, rossi e gialli. La immagino mentre lavora, con un camice chiazzato di colori, intenta a disporre vigorose pennellate sulla tela e a esaminare il risultato con la testa inclinata sulla spalla. La cerco nella folla; sta intrattenendo Paolo, che la guarda con gli occhi socchiusi.

    Mi avvicino. Complimenti per il quadro. Non sapevo che fossi un’artista.

    Grazie; ti mostro gli altri lavori, se vuoi.

    Volentieri.

    Vengo anch’io, è tanto che non vedo le tue opere. Paolo posa il bicchiere.

    Giulia ci introduce in una stanza adiacente, piuttosto grande. È arredata con una libreria zeppa di libri di pittura e di arte; un Buddha di ottone, una statuetta della dea Kalì e altre maschere africane occupano il primo ripiano; poi c’è un cavalletto con una tela imbrattata di grigio e un tavolo pieno di tubetti di colore. La finestra si affaccia sui giardini pubblici oltre i quali c’è un condominio grigio.

    Questa natura morta ha vinto un concorso per giovani artisti. Dice Giulia indicando un quadro dai colori scuri che rappresenta una caffettiera posata su un tavolo.

    Paolo interviene: Complimenti, mi ricorda Van Gogh.

    Sei proprio un adulatore! Van Gogh usava colori solari, mentre io ho usato colori tetri perché si tratta di una natura morta. Giulia ride.

    Ammetto di non avere nessuna competenza sull’argomento. Paolo fa una smorfia.

    Guardo un quadro che rappresenta un campo di grano e dei papaveri; piccole nuvole navigano nel cielo come se l’artista avesse giudicato eccessiva la perfezione dell’azzurro.

    Bello. Commento.

    Te lo posso vendere per duecento euro. Giulia mi guarda attenta.

    E quanto costa quello nell’angolo?.

    Rappresenta un bosco che si affaccia su uno stagno; il cielo azzurro è luminoso come in un pomeriggio estivo.

    L’ho dipinto quest’estate e non ho ancora deciso il prezzo. Potrebbe essere centocinquanta euro.

    Mi giro verso Paolo.

    Che cosa ne pensi?.

    È delizioso, secondo me.

    Tu non compri niente?.

    Non me ne intendo, come ho già detto; del resto, il mio appartamento è pieno di poster e di fotografie; non saprei proprio dove mettere un quadro.

    Mi piace questo. Decido per il bosco. Finita la negoziazione, torno in salotto.

    Andrea si avvicina.

    Ti ha venduto qualcosa? È abilissima.

    Sì, un quadretto che rappresenta un bosco. Tu hai mai comprato qualcosa?.

    Qualche anno fa, ho comprato un quadro con un vaso di rose violacee su uno sfondo lilla; Giulia ha detto che sarebbe stato perfetto nel mio studio bianco, ma non posso dire che mi piace.

    Si allontana e Renata mi viene appresso.

    Scommetto che ha parlato male di Giulia. È stato innamorato di lei qualche anno fa e non le perdona di averlo rifiutato.

    Mi avvicino alla finestra; di fronte, c’è la signora Pina che ci guarda. Sparisce quando si accorge che l’ho vista. Cerco Paolo con gli occhi. Finalmente, lo vedo; è seduto su una poltrona, le gambe accavallate, e sorseggia un bicchiere di vino. La sua solitudine dura poco perché una bionda slavata gli si avvicina. Qualche ospite si sta accomiatando. Prendo il mio acquisto, saluto le nuove conoscenze e torno nel mio appartamento.

    Il giorno dopo, esco dall’ascensore e trovo le due comari ad aspettarmi.

    Allora, signorina, si è divertita ieri sera?. La portinaia è ansiosa di ascoltare il mio racconto.

    Sì, molto. Sorrido.

    Ci racconti…. Dice la signora Pina.

    C’era tanta gente simpatica e un buffet abbondante. Giulia dipinge e ho visto i suoi quadri. Rispondo.

    Oh, un’artista…. Commenta la portinaia.

    Purtroppo, però, adesso devo salutarvi perché sono in ritardo. Dico e le saluto.

    Quando esco dall’ufficio, vado dal parrucchiere.

    Incontro Giulia davanti all’ascensore; mi guarda senza riconoscermi e, quando la saluto, mi osserva attentamente.

    Ah, sei tu! Stai veramente bene con questo nuovo look. Mi dice.

    Grazie. Che cosa ne pensi di andare a vedere la mostra di Renoir una di queste sere?. Le dico.

    L’ho già vista; è bellissima, ti consiglio di affrettarti perché finisce tra una settimana.

    Ci salutiamo.

    Qualche sera dopo, ci incontriamo sul pianerottolo. Mi dedica uno sguardo veloce e un sorriso prima di entrare nel suo appartamento.

    La domenica, vado da mia madre.

    Finalmente hai tagliato quei capelli da Maria Goretti! E li hai anche schiariti. Finalmente! Fatti vedere.

    Giro su me stessa. Il vestito di maglia rosso mette in risalto il mio fisico minuto e, oltre alle orecchie, ho cominciato ad apprezzare anche il viso incorniciato dai capelli corti e chiari. Ho riposto jeans e maglioni insieme alla mia vecchia immagine di ragazza androgina e sportiva.

    L’appartamento vicino al mio è stato comprato da una pittrice che si chiama Giulia. L’altra sera mi ha invitato perché inaugurava la casa. Le racconto.

    Che tipo è?. Chiede mia madre.

    Molto magra, sembra anoressica.

    È simpatica?.

    La conosco troppo poco per esprimere un giudizio. Sicuramente, è molto riservata.

    Come mai ti ha invitato, allora?. Mi chiede incuriosita.

    Non lo so. Forse voleva essere cortese oppure mostrarmi i suoi quadri.

    È una brava pittrice?.

    Non lo so, non me ne intendo. Paolo mi sorride da un angolo della mia mente.

    Non sarai stata così allocca da comprare un quadro, vero?. Mi dice mia madre inarcando le sopracciglia.

    Be’, ecco... c’era un quadretto che rappresenta un bosco, molto carino. Lo metterò in anticamera. Rispondo distogliendo lo sguardo.

    Quanto l’hai pagato?. Mi chiede mia madre.

    Cento euro. Mento.

    Non è molto, per fortuna. La tua vicina è un’abile venditrice. Commenta rassicurata. Mi raccomando, non comprargliene altri, però.

    Mi osserva mentre mangio distratta la mia crostata preferita.

    Hai conosciuto qualcuno?.

    C’era molta gente… un certo Andrea, molto simpatico, e una ragazza che ha un negozio di abbigliamento.

    La settimana prossima potresti ricambiare l’invito coinvolgendo le nuove conoscenze e i tuoi soliti amici.

    Hai ragione.

    Approvi la mia idea? Oggi è proprio la giornata delle sorprese!. Scuote il capo divertita.

    Ricordo che all’inizio la vita senza mio padre era triste. Ci alzavamo, mangiavamo e parlavamo come automi. La mamma fumava moltissimo, dormiva poco, era dimagrita. Poi, poco per volta, ci siamo abituate all’assenza di quella persona silenziosa e sorridente che era stato mio padre e l’abbiamo dimenticato, come una cartolina tra le pagine di un libro già letto. Ma, nei miei ricordi, il sole non splende più.

    A diciotto anni mi sono fidanzata con un ragazzo che andava già all’università, alto, bruno, con gli occhi grigi, molto determinato e ambizioso; accanto a lui, mi sentivo protetta. Era di Roma e abitava da solo a Milano; passavamo tanti fine settimana insieme, a studiare, a fare l’amore, a parlare. Era bellissimo. Poi si è laureato e si è trasferito a Londra dove aveva trovato un lavoro in una grossa banca. All’inizio, mi telefonava spesso, poi sempre meno; infine, mi ha scritto che non aveva più tempo per me, che doveva lavorare sodo per fare carriera, che sperava che saremmo rimasti buoni amici. Ricordo che nei mesi successivi pioveva sempre; io passavo ore davanti ai libri senza riuscire a concentrarmi, le serate davanti alla televisione. Mi sembrava di aver perso una parte di me, sentivo un dolore quasi fisico. Non avevo più amici perché non volevo più vedere le persone che frequentavo insieme a lui, tutte coppie; non avevo la serenità per conoscerne di nuove, non m’interessava più nulla. Alla fine mia madre mi ha portato da uno psichiatra, che mi ha prescritto un antidepressivo. E il mondo gradualmente ha smesso di essere grigio, ha ripreso i suoi colori ed io ho ricominciato a vivere. Mi sono laureata e ho cominciato a lavorare; ho conosciuto Florinda, la mia migliore amica, e con lei altre persone simpatiche, sono andata a vivere da sola. Mi sono costruita una vita piena d’impegni: ho fatto l’abbonamento a teatro, al cineforum, in palestra. Rifuggo la solitudine, la voce del silenzio, il vuoto dentro di me. Sono palliativi, ma funzionano. Ricordo un dialogo di due attori in un film:

    Tu credi in Dio?.

    No, io credo nel Prozac.

    Anch’io.

    Riunisco i miei quaderni dove incollo le ricette che ritaglio dai giornali e scelgo i piatti migliori.

    Scrivo un elenco delle persone da invitare e faccio qualche telefonata. Voglio dire personalmente alla mia vicina della cena che sto organizzando; non è il caso che le telefoni; per evitare di disturbarla, potrei anche infilare un bigliettino sotto la porta o inserirlo nella sua casella postale; ma mi sembra sciocco e decido di suonare il suo campanello. Quando mi apre, vedo che indossa il camice macchiato di colori e noto che la punta del naso è turchese.

    Ciao, vieni, stavo lavorando dice spalancando la porta.

    Non vorrei disturbare.

    Non ti preoccupare; però continuo a dipingere, se non ti dispiace Così dicendo, torna nello studio.

    Sul cavalletto, c’è sempre la tela dipinta di grigio chiaro.

    Voglio ritrarre il condominio di fronte. Mi spiega.

    Seguo la direzione del suo sguardo e vedo in lontananza il condominio che avevo già notato la sera della festa. È grigio, con una finestra illuminata e le altre buie.

    Mi sembra un bel soggetto. Sono venuta per invitarti a una cena che organizzo sabato sera; potresti dirlo anche ad Andrea, Paolo e Renata. Mentre parlo, lei aggiunge dei tocchi di colore al quadro.

    Non risponde subito.

    Grazie, volentieri. Dice infine.

    La osservo mentre tratteggia il perimetro della finestra; la testa è lievemente inclinata, le spalle curve. Mi guardo intorno.

    Bene, non voglio disturbarti ulteriormente. E mi giro verso la porta.

    A proposito, Andrea ha detto che sei molto simpatica. Dice lanciandomi un’occhiata veloce.

    Grazie. Lui è molto brillante.

    Ho l’impressione che voglia dirmi qualcosa. Ma scuote i capelli lisci e si gira sorridendo verso di me.

    Ci vediamo sabato, allora.

    Il campanello suona spesso. Il salotto, pulito e riordinato con cura, è illuminato da una lampada sistemata in un angolo e da candele profumate; sulla tavola coperta da una tovaglia provenzale ho messo una ciotola di patatine, tovaglioli di carta e bicchieri. I miei amici sono già arrivati: Florinda, una ragazza corvina e vivace, Giovanni, dinoccolato e timido, e Vittorio, un mio compagno di scuola con la sua fidanzata Simonetta. Verso le nove meno un quarto, entrano Giulia, Paolo e Andrea.

    Scusa il ritardo, ma c’era molto traffico. Giulia mi sorride con la testa un po’ inclinata com’è sua abitudine. Ridiamo. Si guarda intorno e si sofferma sul suo quadro, che ho appeso vicino alla libreria dieci minuti fa.

    Dimenticavo: Renata si scusa, ma ha un impegno di lavoro. Aggiunge in fretta.

    Intanto, Paolo e Andrea chiacchierano con i presenti sgranocchiando patatine e salatini.

    Hai finito di dipingere il condominio di fronte?. Chiedo a Giulia.

    No, non ancora. Ho deciso che la luce deve essere quella che c’è d’estate dopo il tramonto, quando non è ancora scuro ma tutto appare più cupo non so se mi spiego. Intanto, si guarda intorno.

    Ti spieghi benissimo. Mi affretto a rassicurarla. Deve essere difficile.

    Sì, molto; d’altra parte, una pittrice deve dimostrare il suo valore utilizzando al meglio luci e ombre, sfumature e dettagli.

    Paolo si avvicina.

    Questo taglio di capelli ti dona moltissimo, vero Giulia?.

    Sì, quando l’ho incontrata davanti all’ascensore dopo che era andata dal parrucchiere, non l’ho neanche riconosciuta. Ti ricordi?. Giulia mi sorride.

    Hai proprio una bella casa; devi perdonarmi la deformazione professionale, ma io cambierei la disposizione dei mobili per sfruttare meglio lo spazio disponibile. Paolo si guarda intorno con aria critica.

    Che cosa mi consigli?. Sono disposta a mettere i mobili sul soffitto se me lo chiede.

    Secondo me, il divano e le poltrone vicino alla finestra hanno un effetto pesante; io metterei il tavolo e le sedie dove c’è la luce e sparpaglierei il resto del mobilio nella stanza.

    Credo che tu abbia ragione. E dove metteresti il quadro?. Gli chiedo.

    Starebbe molto bene su quella parete; io metterei tanti quadretti vicini, oppure dei poster e delle fotografie. Interviene Giulia.

    Andrea si avvicina.

    Occupiamoci di problemi seri adesso! Avete sentito che il ministro della Cultura si è dimesso?. Dice a voce alta attirando l’attenzione generale.

    Tutti cominciano a parlare di politica e di scandali. Vado in cucina a prendere l’insalata di pasta e le torte salate. In effetti, sarebbe più comodo se il tavolo fosse vicino alla finestra; adesso, invece, devo attraversare la stanza.

    Quando torno, i miei ospiti parlano di vacanze ed escursioni.

    Carla, stiamo organizzando una gita in montagna per il fine settimana. Hai qualche proposta?. Dice Andrea.

    Un posto comodo da raggiungere è Courmayeur. Io in realtà adoro il Trentino, ma è lontano. Gli sorrido e penso a quello che mi ha detto Giulia.

    Mi sembra una buona idea. Che cosa ne dite di andarci domenica prossima?. Propone Andrea.

    Benissimo! Lo dirò anche a Renata. Dice Giulia.

    Che buona questa pasta, Carla! Saresti proprio una fidanzata ideale. Paolo mi sorride in quel modo fanciullesco che è così affascinante.

    Potrebbe anche essere una moglie ideale. Interviene soave Florinda.

    Questa quiche, però, è un po’ cruda. Non è vero?. Giulia guarda Paolo e i suoi occhi sono due fessure. Il sorriso mi si gela sulle labbra. Non è assolutamente cruda, diciamo che la crosta non è croccante.

    È ottima, in ogni caso. Andrea ne mangia un’altra fetta e mi sorride.

    Florinda mi telefona il giorno dopo.

    Come si chiama la tua vicina? Giulia? Non mi piace.

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