La libertà dell'uomo, le sfide del diritto, la coerenza della fede: Scritti su «Studium» (1950-1964)
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Alfredo Carlo Moro, nato a Taranto nel 1925, è stato magistrato, giudice e docente universitario. Pioniere della scienza del diritto minorile in Italia, presidente del Tribunale per i minorenni di Roma dal 1971 al 1979, esperto di diritto di famiglia – alla cui riforma offre un contributo decisivo – è autore di testi fondamentali per la cultura giuridica italiana e di centinaia di scritti e articoli di argomento ecclesiale, pedagogico e sociopolitico. Collabora intensamente con riviste, periodici e quotidiani, in particolare «La Gazzetta del Mezzogiorno». Muore a Roma nel 2005.
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Anteprima del libro
La libertà dell'uomo, le sfide del diritto, la coerenza della fede - Alfredo Carlo Moro
Alfredo Carlo Moro
LA LIBERTÀ DELL’UOMO, LE SFIDE DEL DIRITTO, LA COERENZA DELLA FEDE
Scritti su «Studium» (1950-1964)
«Studium» è una Rivista bimestrale
Direttori emeriti: Vincenzo Cappelletti, Franco Casavola
Direttore responsabile: Vincenzo Cappelletti
Comitato di direzione: Francesco Bonini, Matteo Negro, Fabio Pierangeli
Coordinatore sezione on-line di Storia: Francesco Bonini
Coordinatori sezione on-line di Letteratura: Emilia Di Rocco, Giuseppe Leonelli, Fabio Pierangeli
Coordinatori sezione on-line di Filosofia: Massimo Borghesi, Calogero Caltagirone, Matteo Negro
Coordinamento collana ebook Biblioteca della Rivista «Studium»: Simone Bocchetta, Anna Augusta Aglitti
Copyright © 2020 by Edizioni Studium – Roma
ISBN 978-88-382-4951-8
ISBN: 9788838249518
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
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Indice dei contenuti
NOTA DELL’EDITORE
INTRODUZIONE - Tiziano Torresi
La bussola della Costituzione e del Concilio
Le «gioiose realtà» del cattolicesimo in fermento
Il dialogo tra il cristianesimo e il mondo contemporaneo
La promozione integrale della persona umana
La giustizia al servizio dell’uomo
La famiglia, le sue trasformazioni e le sue ferite
La politica, la legalità e l’etica pubblica
L’aborto e il diritto minorile
Conclusione
Profilo biografico
Scritti
Esperienze pastorali in Francia. 1) Le esigenze della Parrocchia*
Esperienze pastorali in Francia. 2) Parrocchia, liturgia e missioni proletarie*
La situazione universitaria italiana*
La disciplina giuridica dei partiti*
Lo sport nella vita moderna*
Crisi della famiglia?*
Adulterio e Costituzione*
Il mondo contemporaneo di fronte alla Chiesa*
Per una migliore amministrazione della giustizia*
Specifica moralità dell’attività politica*
Testimonianze
Testimone di una sintesi possibile tra fede e storia
Un intelletto aperto alla bontà
Bibliografia
Volumi
Curatele
Opuscoli
Relazioni e interventi in volumi
Articoli in riviste
Direzione scientifica
Scritti senza firma inseriti da Alfredo Carlo Moro tra le sue pubblicazioni
BIBLIOTECA DELLA RIVISTA «STUDIUM» / 9.
STUDIUM EDITRICE E RIVISTA:
TESTIMONIANZE E RICERCHE / 4.
Alfredo Carlo Moro
LA LIBERTÀ DELL’UOMO, LE SFIDE DEL DIRITTO, LA COERENZA DELLA FEDE
Scritti su «Studium» (1950-1964)
Introduzione di Tiziano Torresi
NOTA DELL’EDITORE
Sono qui raccolti gli articoli di Alfredo Carlo Moro pubblicati sulla rivista «Studium» tra il 1950 e il 1964. L’editrice «Studium», che nel 2014 ha già offerto ai lettori, nella collana «Cultura», un’antologia dei suoi saggi ( Vivere nella storia. Scritti di impegno civile ed ecclesiale ), torna così a valorizzare la memoria di uno degli intellettuali cattolici più brillanti della storia italiana del Novecento, proponendo nuovi spunti per conoscere meglio una figura che, con operosa discrezione ed esemplare coerenza, ha dato un contributo decisivo all’accrescimento della cultura giuridica del Paese. Gli articoli che Moro firma su «Studium» sono eloquente testimonianza della sua giovanile passione per le vicende ecclesiali e civili dell’Italia e un documento della riflessione di alta qualità che la stessa rivista ha saputo elaborare su vasti temi, grazie ad autori del suo calibro, nel corso della sua storia. Introdotti da un saggio di Tiziano Torresi, gli scritti sono accompagnati dalle testimonianze di Nicolò Lipari e Francesco D’Agostino, rese il 6 maggio 2014, presso la Sala Zuccari del Senato della Repubblica, in occasione della presentazione della citata antologia e pubblicate in «Studium», n. 4 (2014), pp. 588-594.
S. B.
INTRODUZIONE - Tiziano Torresi
Guarda lontano, prepara una via: il realismo utopico di Alfredo Carlo Moro
Alfredo Carlo Moro si accostò al laboratorio culturale di «Studium» sul finire degli anni Quaranta. Al pari di altri giovani intellettuali che avevano militato nella Fuci – della quale era stato, come il fratello Aldo, presidente nazionale dall’ottobre 1946 all’ottobre 1949 – egli aveva già maturato una solida formazione cristiana e una valida esperienza in campo editoriale, con ruoli di primo piano nelle redazioni dei giornali degli universitari e dei Laureati cattolici, rispettivamente «Ricerca» e «Coscienza». Proprio sulle pagine di quest’ultima, al momento di lasciare l’incarico di presidente della Fuci, egli scrisse un articolo dal valore programmatico: Vivere nella storia [1] . Moro vi afferma che è l’uomo a «formare la storia», a scrivere con la propria esperienza di ogni giorno pagine decisive per la vicenda del mondo, e che quindi spetta a ognuno «guidare l’umanità verso i suoi nuovi destini», realizzare la «grande missione» della ricostruzione della società, superare le paure del passato, le incomprensioni dei nazionalismi, le ferite della guerra. «Ma ci sono alcuni – puntualizza – per cui la responsabilità è più diretta, più completa, più cosciente: sono gli uomini di cultura e i cristiani» [2].
Una responsabilità sempre più diretta, completa e cosciente, motivata dalla cultura e ispirata dalla fede, mi sembra sia stata centrale nella biografia e nel pensiero di Moro e rappresenti perciò un’efficace chiave di comprensione del suo itinerario culturale e professionale. Egli ha onorato la responsabilità di uomo di cultura e di cristiano, intuita come essenziale sin da giovane, impegnandosi nel progresso della società italiana verso più sostanziali diritti, nello studio delle dinamiche istituzionali, politiche e civili del Paese, nella maturazione della coscienza del laicato.
In questo senso, gli articoli pubblicati sulla rivista «Studium» tra il 1950 e il 1964, sebbene rappresentino un’esigua porzione della sua vastissima produzione scritta [3], sono un documento della sua passione civile e del suo rigore di analisi su temi di grande importanza per la vita politica ed ecclesiale dell’Italia. Per apprezzarne la qualità è bene però contestualizzarli nel più ampio alveo della sua riflessione, che ebbe due punti di riferimento irrinunciabili: la Costituzione Italiana e il Concilio.
[1] A.C. Moro, Vivere nella storia, in «Coscienza», a. III, n. 9, 20 ottobre 1949, p. 2. Per un inquadramento degli scritti di Alfredo Carlo Moro mi permetto di rinviare a T. Torresi, Intuizioni della modernità e servizio all’uomo: sulle tracce del pensiero di Alfredo Carlo Moro, in Id., Vivere nella storia. Scritti di impegno civile ed ecclesiale, Studium, Roma 2014, pp. 13-64.
[2] Id., Vivere nella storia, cit.
[3] La bibliografia, che conta oltre settecento titoli, è riportata in calce a questo volume.
La bussola della Costituzione e del Concilio
Moro scrisse ripetutamente che la promozione della libertà e dell’uguaglianza degli uomini è l’architrave del sistema giuridico, il lume che aveva orientato il cammino storico del diritto e l’orizzonte che avrebbe continuato a dargli senso. Il diritto, scaturito dal desiderio di trovare nell’ordine costituito dalla legge la possibilità di vivere al di fuori dell’incertezza e della paura, aveva segnato il passaggio dalla libertà dallo Stato alla libertà nello Stato, infine alla libertà attraverso lo Stato. È questa la parabola storica che conduce il suddito a diventare cittadino, a passare dall’arbitrio e dal sopruso alla libertà di realizzare la propria personalità e di contribuire alla costruzione della comunità. Lo Stato gioca quindi un ruolo decisivo. Avvertì nel 1966: «Il riconoscimento della libertà del cittadino diviene riconoscimento puramente formale ove non si radichi su una coraggiosa, ferma, adeguata azione statuale per realizzare la liberazione dell’uomo dall’ignoranza, dalla insicurezza, dalla miseria al fine di garantire all’uomo una maggiore pienezza di essere» [1] . Poiché la persona umana, nel realizzare se stessa è misura e ragione di vita dello Stato, quest’ultimo non può limitarsi a proclamare un’uguaglianza formale trascurando un’uguaglianza sostanziale. Per questo la Costituzione rappresenta la tavola di valori di tutta la vita sociale, perché – scriverà ancora Moro – da essa lo Stato è chiamato «in tutti i suoi settori e attraverso tutti i suoi organi, a servire nei suoi valori sostanziali il cittadino che ha acquistato coscienza e sentimento della sua vita elementare ed empirica come valore, e che giustamente vuol vedere appagati i suoi più profondi bisogni morali e materiali e tutelata in pieno la sua dignità» [2] . Pertanto gli scritti di Moro – giuridici, ma non solo, come vedremo – si potrebbero idealmente considerare come una sorta di nota a piè di pagina dell’articolo 3 della Costituzione. Egli lo richiama più volte come uno spartiacque della storia giuridica, come condanna del passato, impegno per il presente, progetto per il futuro. Lo Stato non si limita più a correggere gli atti difformi dalla legge. Depone le vesti di arbitro imparziale e impassibile sui destini della società umana e cinge quelle di attore dinamico e attento, assumendo un compito radicalmente nuovo di correzione, di intervento e di promozione dell’uguaglianza sostanziale tra gli uomini, «stimolando e coordinando l’autonomia dei privati verso la realizzazione di interessi generali» [3] . Tornerò più avanti su questo punto.
L’altra coordinata fondamentale della riflessione e dell’impegno di Alfredo Carlo Moro fu la promozione del dialogo tra la Chiesa e il mondo contemporaneo, che ebbe nel Concilio Vaticano II il suo momento più alto di espressione e di orientamento. Al pari di molte altre personalità della sua generazione, Moro è stato profondamente partecipe della «transizione epocale» [4] compiuta dalla Chiesa a metà del Novecento. I suoi scritti ne sono una testimonianza. Ma più ancora lo è il suo profilo biografico e professionale, segnato – come ha ricordato, tra gli altri, Paola Gaiotti De Biase – da una radicalità evangelica, da una spiritualità asciutta, da un carisma laicale consapevolmente vissuto [5]. In un colloquio del 1971 con l’amico Clemente Ciattaglia, presbitero di rara finezza culturale e artistica, egli così chiarì le distinzioni imposte alla coscienza da questo impegno del laico nella storia: «Il cristiano [...] deve assumere le proprie responsabilità, ma deve assumerle nel piano che è loro connaturale, cioè nel piano umano. Il cristiano non può presumere d’imporre a tutti, come unica soluzione di un problema, una sua libera, autonoma scelta, presentandola come la soluzione voluta dal Vangelo, magari interpretato in maniera personale, arbitraria, come non può nascondersi dietro il Vangelo, per esimersi dal cammino difficile delle acquisizioni umane, raggiunte con sua responsabilità personale» [6]. Quest’ultima – proseguiva – «consiste nel non riposarsi mai, nel non dare mai nulla per acquisito totalmente e in modo assoluto, nell’impegnare continuamente ciò che abbiamo acquisito a vantaggio proprio ed altrui» [7]. La fede non gli apparirà mai come un deposito di dottrine da difendere ma come un rischio, una scommessa sull’uomo, un tentativo di tradurre il Vangelo nella vita e nella professione [8].
[1] A.C. Moro, La libertà del cittadino nell’ordinamento giuridico italiano, in La libertà dell’assistito, Atti del I congresso nazionale, Roma, 3-5 dicembre 1966, Unione cattolica assistenti sociali italiani, Tipografia Campo Marzio, Roma, 1967, pp. 3-24.
[2] Id., Eguaglianza e progresso sociale, in «Giustizia e Costituzione», n. 1-2 (1973), p. 22; cfr. anche Id., I diritti dell’uomo oggi in Italia: tra teoria e pratica, in «Presenza pastorale», n. 7-8 (1983), p. 83.
[3] Id., Eguaglianza e progresso sociale, cit., p. 26. In proposito, importante è la distinzione che Moro opera ripetutamente nei suoi scritti tra la beneficenza filantropica e l’assistenza su cui si basa il welfare state, capace di mobilitare risorse e comunità attorno al fondamentale obiettivo della riduzione della disuguaglianza sociale; cfr. Id., Intervento alla Tavola rotonda, in F. Volpe (a cura di), Bartolo Longo e il suo tempo, Atti del convegno storico, Pompei, 24-28 maggio 1982, vol. I, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1983, pp. 545-553 e A.C. Moro, Nuove possibili frontiere di una carità operosa, in «Orientamenti pastorali», n. 2, 1991, pp. 43-45.
[4] Cfr. G. Alberigo, Transizione epocale. Studi sul Concilio Vaticano II, Il Mulino, Bologna 2009.
[5] P. Gaiotti de Biase, Prefazione, in A.C. Moro, Vivere nella storia, cit., pp. 7-12.
[6] Colloqui sul Vangelo. Incontro con Carlo Alfredo Moro, in «Il Popolo», 31 luglio 1971, p. 3.
[7] Ibid.
[8] Sulla spiritualità della professione, che era il proprium del Movimento Laureati di Azione cattolica, cfr. A.C. Moro, Rinascita o decadenza dei valori spirituali nella professione, in «Civitas», n. 7-8, 1959, p. 27 e, in una prospettiva più ampia, M.L. Paronetto Valier, Competenza e responsabilità. La spiritualità delle professioni, Studium, Roma 2002.
Le «gioiose realtà» del cattolicesimo in fermento
Prefigurando tutto questo e attestando una consapevolezza già matura dei problemi, i suoi primi articoli pubblicati su «Studium», all’inizio del 1950, contengono alcune interessanti intuizioni sulle esigenze, sui ritardi, sulle risorse che segnavano la comunità ecclesiale alla vigilia del Concilio. È, in particolare, sul caso francese che il giovane autore porta l’attenzione dei lettori. Veicolati in Italia dalle pubblicazioni apparse nella collana «Documentazioni ed esperienze pastorali» dell’editrice Morcelliana [1] , i temi della pastorale della parrocchia avevano infatti avuto Oltralpe sviluppi originali e significativi. Su di essi Moro invitava a riflettere non soltanto per un rinnovo delle strutture, dei metodi e dei mezzi di apostolato «adeguati alle particolari esigenze dei tempi» [2] , quanto di tutta intera la vita della comunità dei credenti. Non si trattava «tanto – scrisse – di escogitare nuove formule più o meno felici quanto di effettuare un ritorno a quelle che erano le prime e più genuine forme di vita cristiana» [3] . La riflessione suscitata negli anni precedenti dalla pubblicazione del celebre successo editoriale di Yvan Daniel e Henri Godin, La France pays de mission? [4] , aveva ispirato prassi coraggiose, talvolta provocatorie, che il cattolicesimo italiano non poteva ignorare. La parrocchia appariva come il centro nevralgico attorno al quale ripensare tutta la vita della comunità ecclesiale ma urgeva ripensarne la natura alla luce dei tempi. Essa non poteva più essere considerata come una fortezza che rivaleggia con la città terrena ma come una casa accogliente verso tutti e specialmente verso i più lontani, non più come un’amministrazione burocratica inaccessibile ai sentimenti ma come una famiglia dove ci si aiuta reciprocamente. Scriveva Moro, richiamando le conclusioni di un convegno ecclesiale tenuto a Besançon nel 1946: «I cristiani di una stessa parrocchia non possono accontentarsi di vivere gli uni accanto agli altri come angeli, ignari del volto umano del loro fratello, dei suoi problemi, delle sue pene, dei suoi bisogni» [5] . Egli insisteva su un rapporto tra il presbitero e il popolo di Dio necessariamente diverso dal passato. Perché la parola del sacerdote potesse «riuscire a penetrare nella vita vera dei contemporanei, portando una risposta ai problemi della vita d’oggi» [6] non poteva più bastare l’estro o la psicologia di uno solo. E neppure la sua autorevolezza. Occorreva una collaborazione più intensa tra il sacerdote e la comunità, purché quest’ultima «sia trattata da adulta e prenda le sue responsabilità» [7] . Bisognava superare l’idea che il parroco fosse un amministratore delle cose sacre e immaginare un cammino condiviso di maturazione e di evangelizzazione di tutta intera la comunità, dove al presbitero spettava il compito di rendere sinfonici i carismi dei laici, non di comandarli. Si trattava, in sostanza, di percezioni e stati d’animo che stavano dissodando i solchi lungo i quali il Concilio avrebbe seminato a piene mani.
In questi fermenti della Chiesa francese Moro sceglieva due esempi apparentemente antitetici per verificare le concrete possibilità di riannodare i legami tra la comunità dei credenti e il mondo contemporaneo. Le esperienze che sottopose ai lettori furono quella di padre Laurent Remillieux, che nella parrocchia Notre Dame-Sant’Auban, alla periferia di Lione, aveva messo in cantiere un’innovativa pastorale liturgica [8], e quella del domenicano Jacques Loew, di fatto il primo prete operaio francese, che aveva lavorato per tre anni tra gli scaricatori nel porto di Marsiglia durante la guerra e poi era divenuto uno degli animatori della Mission de France [9]. Liturgia e lavoro: «sembra – scrisse Moro – che i due metodi si completino a vicenda perché se è vero che spesso lo zelo apostolico anche di chi fa parte di una comunità che viva perfettamente la vita liturgica è insufficiente per arrivare a tanti che vivono staccati dalla parrocchia, è anche vero che i nuovi cristiani per poter mantenere viva e fulgida la propria fede devono poter trovare delle comunità parrocchiali vive, dove la liturgia sia fortemente sentita, dove in una comunione di spiriti ci si aiuti veramente nell’ascesa» [10]. Proseguiva: «Una parrocchia perfettamente organizzata senza però una fiancheggiatrice attività missionaria rischierebbe di rimanere una oasi cristiana in un deserto pagano; una missione che non si appoggiasse a una parrocchia efficiente rischierebbe di gettare un seme che difficilmente potrebbe dar vita a una pianta solida e rigogliosa» [11].
L’importanza del rinnovamento liturgico era chiara, a Moro, sin dagli anni trascorsi nella Fuci. Gli universitari cattolici erano stati infatti tra i primi, in Italia, già a partire dagli anni Trenta, a percepire l’esigenza di una liturgia maggiormente curata, meno devozionale, più consapevole e soprattutto partecipata dai laici [12]. Anche per questo, nel 1950, egli poteva scrivere senza timore su «Studium» che i «fedeli [...] debbono avere in essa [la liturgia] una parte attiva essendone gli attori, esercitando il loro sacerdozio laico nell’offerta del sacrificio insieme al sacerdote» [13]. L’omelia in mezzo alla gente, la preghiera dialogata, l’altare rivolto al popolo, la spiegazione accurata dei sacramenti: nei gesti pionieristici compiuti da padre Remillieux, che pochi anni più tardi sarebbero divenuti prassi comune con il nuovo rito [14], Moro scorgeva «uno spirito che vorremmo con tutto il cuore vedere vivo in tante nostre parrocchie che oggi ci si mostrano fredde, confuse, lontane da una applicazione integrale dello spirito liturgico» [15].
Altrettanto suggestiva gli appariva la predicazione dei preti operai. In fondo si trattava di innestare il mistero della fede dentro la storia degli uomini con strumenti differenti ma secondo una identica dinamica– e a lui perfettamente chiara – a quella celebrata dalla liturgia. Osservava: «Oggi giorno tutti noi ci accorgiamo che le verità cristiane difficilmente riescono ad attecchire tra i più umili e miseri, tra coloro che sono più vicini al cuore di Cristo, che più naturalmente dovrebbero essere portati a sentire, ad amare, a seguire la parola di Cristo. Perché? Che cosa mai è mutato nel messaggio di una volta che ha trovato proprio tra gli umili e i derelitti la sorgente più viva di fede, che per essi è riuscito a propagarsi in tutto il mondo? Come mai questo messaggio di amore, di uguaglianza, di speranza, ora non fa più presa [...]?» [16]. Dinanzi a queste domande occorreva, proprio come nella liturgia, rendere accessibile, presente, prossimo il mistero di Dio. Fare uscire il sacro dal tempio e immergerlo nella vita profana, senza edulcorare il messaggio del Vangelo [17]. Per farlo Jacques Loew aveva scelto di vivere come gli operai, di immedesimarsi con loro attraverso un impegno totalizzante, lavorando per un lungo periodo nel porto di Marsiglia e accettando le dure condizioni di vita dei proletari. «Il prete che divide con l’operaio le miserie – scrisse Moro – le pene del lavoro, le ingiustizie dell’organizzazione di mestiere, che vive a contatto con le famiglie, che non ha le mani bianche
può solo ritrovare la spontaneità dei rapporti semplici, fraterni del Vangelo, può veramente far lievitare la massa» [18]. E insisteva, ancora, sull’indispensabile collaborazione dei laici per poter rendere feconde queste opere nelle inedite e aspre frontiere del lavoro. Queste «gioiose realtà» del cattolicesimo francese erano, per Moro, un severo monito ai cattolici anche al di qua delle Alpi. Le strade lungo le quali riannodare il rapporto col mondo contemporaneo passavano dunque lontano da Roma. Proprio mentre la celebrazione del giubileo del 1950 alimentava le speranze, poi rivelatesi illusorie, di quanti credevano ancora realizzabile il progetto di una restaurazione in chiave integralista della civiltà cristiana, Moro ricordava che più che a nutrire sogni di gloria il cattolicesimo italiano si sarebbe dovuto impegnare, come fatto in Francia a partire dalla denuncia di Godin e Daniel, in un severo esame di coscienza sulle ragioni della «scristianizzazione delle masse», per poter corrispondere al «bruciante desiderio di operare perché veramente gli uomini assetati di giustizia e di verità possano trovare la via della salvezza» [19].
[1] Si pensi, tra gli altri, a Y. Congar, Esigenze della Parrocchia (1948), H.C. Chery, Comunità parrocchiale e liturgia (1950), L. De Coninck, Problemi di adattamento nell’apostolato (1950), G. Michonneu, Lo spirito missionario (1951). Per un quadro storico più ampio cfr. D. Gabusi (a cura di), Editrice Morcelliana. Catalogo storico, Morcelliana, Brescia 2006 ma anche G. Colombi, I. Bertoletti (a cura di), Morcelliana 1925-2000: contributi per una storia, in «Humanitas», a. LX (2001), n. 4, pp. 486-641.
[2] A.C. Moro, Esperienze pastorali in Francia. 1) Le esigenze della Parrocchia, in «Studium», a. XLVI, n. 1, gennaio 1950, pp. 48-52.
[3] Ibid.
[4] H. Godin, Y. Daniel, La France pays de mission?, Éditions de l’Abeille, Lyon 1943; sulla redazione e sulla ricezione del volume cfr., da ultimo, M. Margotti, "La France pays de mission? Vangelo e periferia, in A. Riccardi (a cura di), Il cristianesimo al tempo di Papa Francesco, Laterza, Bari-Roma 2018, pp. 241-261.
[5] A.C. Moro, Esperienze pastorali in Francia. 1), cit.
[6] Ibid.
[7] Ibid.
[8] Cfr. H.C. Chéry, Communauté paroissiale et liturgie, Notre-Dame Saint-Alban, Editions du Cerf, Paris 1947; J. Folliet, Le Père Remillieux, curé de Notre-Dame Saint-Alban (1882-1949), Chronique Sociale de France, Lyon 1962; M Paiano, Liturgia e società nel Novecento: percorsi del movimento liturgico di fronte ai processi di secolarizzazione, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2000, pp. 124 e ss.
[9] D. Xardel, Jacques Loew, Le Bonheur d’être Homme, Bayard, Paris 1988; cfr. anche E. Poulat, I preti operai (1943-1947), Morcelliana, Brescia 1967; M. Margotti, Preti e operai. La Mission de Paris dal 1943 al 1954, Paravia, Torino 2000; Ead., Lavoro manuale e spiritualità: l’itinerario dei preti operai, Studium, Roma 2001.
[10] A.C. Moro, Esperienze pastorali in Francia. 2) Parrocchia, liturgia e missioni proletarie, in «Studium», a. XLVI, n. 2, febbraio 1950, pp. 109-113.
[11] Ibid.
[12] Sul rinnovamento liturgico nei movimenti intellettuali di Azione cattolica tra le due guerre mi limito a citare G.B. Montini, Scritti liturgici. Riflessioni, appunti, saggi (1930-1939), a cura di I. Biffi, Istituto Paolo VI-Studium, Brescia-Roma 2010.
[13] A.C. Moro, Esperienze pastorali in Francia. 2), cit.
[14] Cfr. P. Bua, Sacrosanctum Concilium. Storia, commento, recezione, Studium, Roma 2013.
[15] A.C. Moro, Esperienze pastorali in Francia. 2), cit.
[16] Ibid.
[17] Cfr. Id., Parole dure, parole vere, in «Coscienza», a. IV, n. 19, 5 ottobre 1950, p. 2.
[18] A.C. Moro, Esperienze pastorali in Francia. 2), cit.
[19] Ibid.
Il dialogo tra il cristianesimo e il mondo contemporaneo
La valorizzazione del protagonismo dei laici [1] , la coscienza della centralità della liturgia, l’aspirazione a una innervazione cristiana paziente e capillare dei nuovi spazi e tempi della vita moderna: la coerenza di queste convinzioni