Bellasiepe
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Anteprima del libro
Bellasiepe - Diego Scandola
Diego Scandola
Bellasiepe
UUID: f9b483c0-4ca9-11e8-85e4-17532927e555
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
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Indice
1. Caos
Prima dell'incendio
2. Bellasiepe
3. Innesco
4. Sesto potere
5. Il Tosatore di Siepi
6. Il Trattato del Cipolla
7. Opi Espinozo
8. I tre impostori
9. Il giorno prima dell'incendio
10. L'incendio
Dopo l'incendio
11. Elaborazione del lutto
12. Il processo
13. Altro mondo
Ringraziamenti
Libro 2° classificato al Premio Giovane Holden 2017, sezione romanzo inedito, con il titolo L'anonima tipografia del libero pensatore
.
Ciò che è di Bellasiepe
è del mondo.
1. Caos
1. La Pira di Monte Grullo
I libri frullarono come corvi crepitanti dalle viscere della tipografia in fiamme, dal primo all’ultimo, come interiora di brace riverse dalla carcassa del vecchio edificio. Tredici anni di lavoro e oltre tredicimila volumi andati in cenere senza che nessuno muovesse un dito.
I vigili del fuoco arrivarono alle prime luci dell’alba, a quasi sei ore dal divampare dell’incendio, con la cisterna incredibilmente vuota e gli estintori vergognosamente scarichi. Deve esserci stato un errore, sentenziò qualcuno troppo stupido per essere citato. I soldati della Guardia Esagonale fecero di peggio: arrivarono a sostegno dei vigili del fuoco a bordo di una scricchiolante camionetta e nella grande agitazione falciarono via l’unico idrante del quartiere, spargendo acqua ovunque meno che in direzione del fuoco. Infine i soccorsi sanitari, che arrivarono con calma verso le dieci del mattino e solamente per medicare i pompieri e le guardie che si erano feriti nel tentativo di circoscrivere la zona dell’incendio.
Stranamente in tutto quel guazzabuglio nessuno dei soccorritori si preoccupò di controllare la presenza di eventuali persone all’interno della tipografia, dove tutti sapevano che vivevamo sia io che il Mastro Tipografo. Forse già questo poteva bastare a formulare cattivi pensieri ma a quei tempi pensar male era peccato e il peccato faceva diventare ciechi.
Il Mastro Tipografo era un grande peccatore e per questo portava occhiali con lenti molto spesse. Nel dubbio pensava male di chiunque e di qualunque cosa: del Sindaco, del Vicesindaco e ultimamente perfino del Vescovo. In un’escalation inarrestabile e per la proprietà transitiva iniziò da lì a poco a pensar male anche di Dio, della Madonna e di tutti i Santi.
Da qualche tempo lavorare per lui era diventato difficile, difenderlo era diventato invece pressoché impossibile. Di punto in bianco iniziò infatti a sostenere che l’Alto Consiglio Esagonale avesse ordito un piano per far chiudere la sua tipografia, con lo scopo di privare i cittadini di un’informazione libera e indipendente. Si trattava però di una follia bella e buona, smentita dai fatti e dal buon senso. Dai fatti perché a Bellasiepe vi erano altri due organi di stampa totalmente indipendenti e quindi l’eventuale chiusura della tipografia non avrebbe affatto compromesso la libertà di espressione. E dal buon senso perché vivevamo di fatto nell’ultima repubblica democratica di tutto il pianeta, dove ogni sforzo del governo e dei cittadini era finalizzato esclusivamente alla gelosa conservazione di tutte le libertà personali, ovvero di tutti quei princìpi morali che ci avevano permesso di scampare alla guerra planetaria che infuriava ai piedi di Monte Grullo da oltre trent’anni.
Tuttavia, nel giorno che di lì innanzi sarebbe stato mestamente ricordato come la Pira di Monte Grullo
e di fronte a quella belva fumante che ancora andava dimenandosi tra le rovine, le farneticazioni del Mastro Tipografo assunsero per la prima volta un sapore diverso.
2. L’oracolo del Mastro Tipografo
Lavoravo per il Mastro Tipografo da tredici anni suonati, prima come garzone di bottega, poi come aiuto bibliotecario e infine come assistente tipografo. La paga non era granchè ma la crisi economica infuriava e quindi toccava accontentarsi.
Fu in quegli anni che imparai ad apprezzare i libri. Prima di lavorare per il vecchio, oltre alla Bibbia e ai testi scolastici inculcatimi a forza dalle suore avevo letto per intero solamente un altro volume, del quale per inciso non avevo capito un’acca. L’aveva scritto un tale che era diventato famoso per il fatto di non portare mai i calzini e parlava di cose incomprensibili come la velocità della luce, l’allungarsi del tempo e il restringersi dello spazio. E non contribuì affatto a migliorare la mia opinione sulla letteratura. Poi tutto cambiò.
Passare le mie giornate con il Mastro Tipografo mi permise finalmente di vedere i libri da una diversa prospettiva, non più come un mezzo obbligato attraverso cui essere giudicati ma come uno strumento libero attraverso il quale conoscere il mondo. Fu così che rimasi intrappolato, dapprima nelle trame della sua conoscenza, poi nei meandri della sua biblioteca e infine nella solitudine della sua vita, mentre i libri diventavano a mano a mano il cibo con cui saziare le mie pene.
Ero orfano dalla nascita e questo non era nemmeno il male peggiore. Venni cresciuto dalle suore e fin da piccolissimo mi venne riscontrata una forte forma di sinestesia che confondeva le mie percezioni sensoriali facendomi avvertire i suoni come luce, i colori come aromi e gli odori come sensazioni tattili. Non si trattava di una malattia vera e propria, ma visto che dal nome lo sembrava io preferii comunque chiamarla stranezza. La mia stranezza. Le suore dal canto loro preferirono invece rimpiazzare il termine sinestesia con demonio, per cui mi separarono dagli altri trovatelli e mi costrinsero all’isolamento in una cripta, dove venni curato per anni a suon di salmi, odi e cantici. Infine, non potendo scacciare un diavolo che non c’era, le monache affrante decisero di cacciare me. Era il giorno del mio diciottesimo compleanno e quello fu il loro regalo.
Non ero mai uscito prima dal monastero e quella libertà forzata mi provocò un forte senso di smarrimento, notevolmente amplificato dall’echeggiare delle bombe. Per ore bussai a ogni porta del Fronte ferendomi le mani su porte così chiuse da sembrare senza cardini, poi grazie a dio mi imbattei nell’Anonima Tipografia del Libero Pensatore che inverosimilmente aprì il suo uscio.
Senza nemmeno chiedermi chi fossi il Mastro Tipografo mi accolse nella sua casa e nel suo laboratorio, offrendomi un tetto, un lavoro e un salario da fame. Non ero in condizione di rifiutare per cui accettai, curioso per altro di cimentarmi finalmente con qualcosa di diverso dal mero e complicato compiacimento di Dio.
Ora che le cose stavano andando a scatafascio, quei ricordi lontani tornarono a brillare nel buio della mia memoria, restituendomi in una sola volta tutta la riconoscenza che provavo per quell’uomo incurvato e miope. Poi come un fulmine a ciel sereno mi tornò alla mente anche una frase più recente, una specie di profezia che il Mastro Tipografo aveva pronunciato il giorno prima dell’incendio:
- Devi promettermi una cosa senza fare domande. Quando la situazione sarà disperata, e lo sarà, tu scaverai sotto il pero nano nel Giardino del Libero Pensatore. Scaverai sotto il pero e userai ciò che troverai come meglio credi, secondo coscienza. -
L’uomo più simile a un padre che avessi mai avuto mi stava chiedendo aiuto per la prima volta in tredici lunghi anni. Promisi prima ancora che avesse terminato la frase, commosso dall’intensità di quel momento e fiducioso che la