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La casata
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E-book405 pagine5 ore

La casata

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Info su questo ebook

Lo scontro con la Casata più potente della terra sembra ormai inevitabile.

Angelique ha violato una delle regole più importanti del mondo vampiro. Un'antica profezia, però, si affaccia all'orizzonte, minacciando il nefasto potere del più vecchio vampiro esistente.

Nel frattempo sorgono nuove minacce, ormai dimenticate, dalla stirpe dei licantropi e dei cacciatori.

Quale delle tre stirpi riuscirà a prevalere?

“Sentivo il vento tagliarmi il viso mentre cadevo senza sapere cosa sarebbe successo. Un volo dal terzo piano della Casata principe dei vampiri, mano nella mano con Lei. Un volo di almeno 40 metri, un volo impossibile per qualunque mortale e forse per molti di noi. Un volo che avrebbe determinato la nostra sorte, un volo che poteva ridarci la speranza, un volo che sembrò durare una vita, un volo che la poteva decidere la nostra vita, un volo da tutto o niente, un volo che ci restò dentro per sempre”.
LinguaItaliano
Data di uscita1 lug 2019
ISBN9788831627856
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    Anteprima del libro

    La casata - Pietro Giorgi

    a.C.

    Capitolo 1

    Quando aprii gli occhi era buio, probabilmente notte fonda.

    Mi ritrovai sdraiato con gli occhi rivolti verso il cielo, un cielo scuro, denso, senza stelle.

    Nella foga del momento tentai subito di alzarmi ma fu una pessima idea. Ricaddi giù come una mela ormai troppo matura che si stacca dal suo ramo.

    Mi sentivo debole, spossato, non ricordavo nulla.

    Un vuoto totale e incondizionato si era impadronito di me, lasciandomi con diverse domande che senza sosta tormentavano la mia mente.

    Com’ero arrivato in quel prato? Dove mi trovavo? Cosa avevo fatto quella notte?

    Più cercavo di capire e più sentivo delle fitte violente alla testa, come se una strana forza m’impedisse di ricordare quello che era appena successo.

    Della nottata appena trascorsa rammentavo solo una grande sofferenza, come se ogni singola parte del mio corpo si stesse rivoltando contro di me. Un dolore lancinante, il più violento e acuto che avessi mai provato.

    Giacevo supino su quel prato deserto con i muscoli ancora intorpiditi, ma con un’idea fissa. Tornare a casa.

    Cercai nuovamente di tirarmi su e per fortuna questa volta andò un po’ meglio.

    Riuscii almeno a stare seduto su quell’erba umida e viscida, anche se per la verità avvertivo ancora violenti giramenti di testa a intermittenza.

    Mi sentivo confuso, disorientato, una moltitudine di sensazioni insolite dentro me. Percepivo l’ambiente circostante, la notte, i rumori in modo diverso.

    Persino la mia vista era migliorata in modo prodigioso.

    Avevo sempre avuto bisogno degli occhiali e ora, senza di essi, riuscivo a leggere un cartello della pubblicità di una bevanda alcolica a più di duecento metri di distanza, diceva Spritz-time!.

    Finalmente, guardando meglio in giro, compresi dov’ero finito. Hyde Park.

    Il perché mi trovassi lì a quell’ora della notte rimaneva un mistero.

    Dopo una buona mezz’ora trascorsa a riflettere su quelle strane circostanze, sentii che pian piano stavo riacquistando le forze, avvertivo nuova energia scorrere in me e i capogiri erano quasi del tutto spariti.

    Forse tra non molto sarei stato capace di andarmene.

    Mi accorsi che indossavo ancora gli stessi vestiti del giorno precedente.

    La solita maglietta a mezza manica grigia, i miei jeans Levis e le mie fedeli All Star nere, le mie scarpe preferite, da sempre.

    Guardando meglio la maglietta, notai una grossa macchia rossastra sulla spalla sinistra. Sangue. Lo spavento iniziale, però, lasciò velocemente posto a un confortevole sollievo, dopo aver costatato che non avevo tagli o ferite di nessun genere.

    Quel sangue quindi non poteva essere il mio, doveva esserci un’altra spiegazione, che per ora non riuscivo ancora a trovare.

    Poi la mia pelle era più bianca del solito, forse a causa della luce al neon emanata dal lampione vicino o forse per la crisi di panico in atto, fatto sta che sembravo ricoperto da uno spesso strato di cerone.

    Certo, non avevo mai avuto una carnagione scura, ero sempre stato un tipo piuttosto pallido, ma così era decisamente troppo… sembravo un cadavere…

    Quando le mie mani s’incontrarono, trasalii. Erano ghiacciate, come il resto del mio corpo.

    I miei ricordi si fermavano al tardo pomeriggio del giorno precedente. Rammentavo di aver passato la giornata in biblioteca assieme a Richard, il mio migliore amico, per definire gli ultimi dettagli della tesi che avrei dovuto discutere tra meno di due mesi.

    Frequentavo, infatti, la facoltà di Lettere e Filosofia dell’University College of London, ed ero ormai alla fine del mio percorso di studio.

    Gli esami erano un lontano ricordo, li avevo superati tutti, attendevo solo la discussione della tesi per tagliare finalmente l’agognato traguardo della laurea.

    Ricordo che quella sera avevamo in programma di andare alla solita festa del campus… ma a questo punto dubitavo seriamente di esserci stato.

    Non riuscivo a fare chiarezza. Avevo nella testa un grande vuoto, la mia memoria passava direttamente dal tempo trascorso in biblioteca a ora.

    A conti fatti, compresi che in quel frangente non sarei mai riuscito a ricordare nulla, così decisi di stringere i denti e cercare di tornare alla mia stanza del campus.

    Cominciai così a camminare e inaspettatamente mi sentii subito meglio, a tal punto che decisi di provare a correre fino alla stazione dei taxi che distava solo pochi isolati.

    Quello che accadde in seguito fu qualcosa di cui non riuscii a capacitarmi. Qualcosa che non poteva essere reale.

    Correvo così veloce che mi sembrava di essere in uno di quei videogame di ultima generazione in 3D, a bordo di un’auto da corsa truccata. L’ambiente circostante era confuso, scolorito, come una fotografia sfocata, mentre il vento gelido graffiava rabbioso il mio volto come un rasoio.

    In un batter d’occhio arrivai alla stazione, in una ventina di secondi avevo percorso circa due chilometri. Sapevo benissimo che questo non era possibile, ma era appena successo!

    Forse ero in un sogno. Forse stavo ancora dormendo nella mia camera del campus. Questa era l’unica spiegazione razionale che riuscivo a darmi.

    La cosa più strana e che mi faceva più paura, però, era che per quanto lo volessi non riuscivo proprio a svegliarmi. A questo punto l’unica cosa che mi rimaneva da fare era tornare a casa.

    C’era la probabilità che mi sarei svegliato nel tragitto o forse da un momento all’altro.

    Poi un pensiero macabro attraversò la mia mente come un fulmine a ciel sereno. Ero forse morto?

    Capitolo 2

    Non ebbi difficoltà a evitare il custode. Il vecchio Paul, infatti, ormai era più un soprammobile che un vero custode, a quell’ora ronfava come un bambino. Così sgattaiolai sulle scale e raggiunsi facilmente la mia camera.

    Infilai la tessera magnetica nella fessura provocando un bip e la seguente accensione di una lucina verde. Erano il segnale che la porta era sbloccata.

    Entrai cercando di fare il minimo rumore possibile e nonostante il buio intenso vidi chiaramente il mio amico Richard che russava nel letto accanto al mio.

    Provai una forte sensazione di sollievo nel trovarlo lì.

    In un istante i cattivi pensieri che mi erano ronzati in testa nel tragitto furono spazzati via del tutto. Adesso avevo la totale sicurezza di essere finalmente giunto nella mia camera e davanti a me c’era la rassicurante presenza dell’amico con cui avevo condiviso tante esperienze.

    Forse ogni cosa sarebbe presto tornata alla normalità.

    Mi sforzai di non pensare al mistero della notte appena trascorsa e dei segreti che celava, e decisi di dormire qualche ora per recuperare le forze, anche se in verità non ne sentivo per nulla il bisogno.

    Mi sdraiai sul letto e chiusi gli occhi.

    Volevo restare così. Mi sforzavo di restare così, fino a quando non fossi caduto fra le braccia di Morfeo. Ma era tutto inutile, dopo più di un’ora passata in bianco, capii che non c’era nulla da fare.

    Non riuscivo a prendere sonno.

    Così presi il mio Mac. Forse guardare un film mi avrebbe aiutato.

    Nel frattempo mi era esplosa anche una fortissima emicrania, probabilmente causata dai suoni incessanti che udivo ripetutamente nella mia testa.

    Mi apparivano vicinissimi, come se fossero a pochi metri da me, ma in realtà non lo erano.

    Concentrandomi potevo sentire qualsiasi cosa: le parole che si stavano dicendo i ragazzi e le ragazze ancora svegli in qualunque piano del mio edificio, le rare macchine che sfrecciavano all’esterno del campus, la tv di Paul sintonizzata su un vecchio film, doveva essere Casablanca.

    Avevo un disperato bisogno di qualcosa che mi distraesse, qualcosa di forte che mi rapisse, portandomi con la mente da un’altra parte.

    Alla fine decisi per un bel film horror, Nightmare.

    Speravo mi aiutasse a dimenticare le singolari sensazioni che stavo provando, forse solo immaginarie, causate dalla tensione che mi stava sempre più attanagliando.

    All’inizio sembrò funzionare. Il film stava suscitando in me un vivo interesse e la faccia di Freddy Krueger era sempre qualcosa di spaventoso da guardare. Solo che… il sangue, tutto quel sangue, anziché farmi socchiudere gli occhi come mi era sempre successo, provocò in me una reazione imprevista. Mi tenne incollato allo schermo.

    Era bello, così rosso, così caldo, così vivo.

    Arrivai persino a desiderare di poterne assaggiare un po’.

    Cominciavo ad avere paura sul serio, ma cosa diavolo mi stava succedendo? Spensi velocemente il computer e corsi in bagno tremando.

    Quando vidi la mia immagine riflessa allo specchio, rimasi di sasso.

    Chi era quel ragazzo? Era così diverso da me. No, non potevo essere io.

    Ci volle qualche minuto prima che riconoscessi la mia immagine, ma ero troppo cambiato per essere vero.

    La mia pelle era pallida come la neve e al tatto dura come la pietra, sembrava che niente avrebbe potuto scalfirmi.

    I miei capelli si erano allungati di qualche centimetro, erano diventati più scuri, di colore biondo cenere, più lisci e più folti.

    I miei occhi erano più neri del solito, del colore delle tenebre, con un leggero contorno rosso e occhiaie violacee.

    La cosa più stupefacente, però, era senza dubbio la mia corporatura.

    A occhio e croce ero cresciuto almeno di una decina di centimetri e dopo essermi tolto la maglietta, vidi chiaramente che ero diventato anche più muscoloso e definito. Sembravo il David di Michelangelo, spalle scultoree, pettorali larghi e addominali ben scolpiti.

    Non riuscivo a staccare gli occhi dallo specchio, non riuscivo a crederci. Come se non bastasse quella sensazione fortissima di gola secca, di sete non se ne andava.

    Provai a bere dal lavandino del bagno, ma fu tutto inutile.

    Oltre a non dissetarmi, rischiai anche di soffocare.

    Il sapore dell’acqua, infatti, non era più lo stesso, anzi, mi bruciava la gola, come se bevessi sorsate di tequila liscia.

    Il mio corpo cominciò, poi, a muoversi da solo come dotato di volontà propria.

    Mi stavo pericolosamente avvicinando alla gola del mio amico.

    Non riuscivo a fermarmi. Qualcosa infinitamente più forte di me mi spingeva verso lui.

    Cosa avevo intenzione di fare, non lo sapevo nemmeno io.

    O forse lo avevo intuito, ma rifiutavo il solo pensiero che questo potesse accadere davvero.

    Le mie labbra erano quasi sul suo collo, quando all’improvviso Richard si svegliò e mi vide.

    Il suo volto in pochi secondi era sbiancato, tremante mi fissava senza proferire parola.

    Era il ritratto stesso della paura, dell’orrore.

    Ehi Ricky, perché mi guardi così?, cercavo di essere normale, di dire cose normali, ma l’unica cosa a cui pensavo era il sangue che avevo visto nel film e che scorreva copioso nelle sue vene.

    Ne volevo un po’, ne avevo un disperato bisogno. La mia mente cercava ostinatamente di ribellarsi contro quel folle desiderio, ma era pressoché impossibile.

    N-non sei Lucas.

    Certo che sono Lucas e chi altri? Lucas Allen. Ultimo anno della facoltà di Lettere, ad un passo dalla laurea e tuo amico da circa quattro anni. Ma cosa ti prende?.

    Mi fissò per alcuni interminabili secondi, in cerca della prova che fossi veramente il suo vecchio compagno di stanza. Poi riprese: S-Sei proprio tu! Ma c-come sei diventato? C-cos’hai fatto ai capelli? S-sei più alto, più robusto, ma c-com’è p-possibile? Avrei g-giurato che stavi per m-mordermi prima. Richard balbettava sempre quando era nervoso, prima di un esame, prima di una gara sportiva, ma questa volta lo faceva per un altro motivo. Una paura folle.

    Riuscivo a sentire persino l’odore della sua paura, misto a quello più delizioso del suo sangue. Ne sentivo il dolce scorrere nelle sue vene capienti. Dovevo solo assaggiarne un po’, lo stretto necessario per placare quest’assurda sete, questa irresistibile brama.

    Mi avvicinai. Sempre più vicino. Richard indietreggiò verso la parete, sempre più indietro, fino a quando non poté più andare oltre.

    La distanza tra noi era ormai di poche decine di centimetri, quando un rumore metallico squarciò il silenzio in cui eravamo piombati.

    Guardai in basso e vidi una cornice a terra.

    La foto era di qualche mese fa, io e il mio amico seduti sul prato del bellissimo St James’s Park in una delle rare giornate di sole in quel periodo.

    Un improvviso vortice di ricordi mi travolse, era come se una cortina di nubi si fosse diradata per lasciare spazio a un sole radioso.

    Capii cosa stavo per fare e compresi che non me lo sarei mai perdonato…

    Scappai dalla finestra della camera saltando sulle scale antincendio, un balzo di quasi tre metri, ma atterrai dolcemente.

    Come fossi stato una piuma che fluttuando nell’aria si adagia poi a terra.

    Scesi di gran carriera le scale e corsi verso il parco.

    Non feci nemmeno in tempo a prendere velocità che alcuni individui mi si pararono davanti, sbarrandomi il passaggio di proposito.

    Erano quattro, tre uomini e una donna. Catalogarli in una fascia di età sarebbe stato molto difficile. Erano pallidi come me, forse persino di più, e molto belli, di una bellezza inconsueta, quasi mistica.

    Notai che anche loro avevano un tenue contorno rosso ai bordi degli occhi neri e lievi occhiaie violacee.

    I loro lineamenti invece erano perfetti, forse troppo per essere reali.

    So che ti sembrerà strano ma devi venire con noi, per il bene di tutti, tuo e nostro. Abbiamo tante cose di cui parlare disse uno dei tre uomini facendo un passo avanti. Non ti faremo del male, puoi fidarti. Io mi chiamo Bruce, questi sono Christopher e Nicholas, lei è Chrystal.

    Mi guardava fisso negli occhi, senza mai staccare lo sguardo, mentre indicava ognuno dei suoi compagni.

    Non sapevo cosa dire, cosa fare. Ero pietrificato.

    L’unica cosa cui riuscivo a pensare era la mia gola che stava andando in fiamme. Avevo una sete sfrenata e dovevo placarla ad ogni costo.

    Guarda, Bruce, ha le pupille dilatate, la sete lo sta divorando gridò allarmato Nicholas, mentre il colore dei suoi occhi mutò in azzurro, un azzurro acceso, profondo.

    Potrebbe diventare pericoloso, dobbiamo portarlo via da qui subito!.

    Ma chi siete? Cosa volte da me? Io non vengo da nessuna parte con voi, lasciatemi stare! Andatevene o chiamo la polizia! cercavo di urlare con tutto il fiato che avevo in gola, ma dalle mie labbra uscivano solo deboli sussurri.

    Un’improvvisa quanto logorante stanchezza si stava inesorabilmente impadronendo del mio corpo.

    Le mie gambe stavano cedendo secondo dopo secondo e la mia vista si stava facendo sempre più offuscata e confusa.

    Devi venire con noi, Lucas, hai bisogno di nutrirti, è così per tutti noi e soprattutto per i neonati come te. A poco a poco perderai le forze, i tuoi muscoli saranno come congelati e il tuo corpo sarà paralizzato completamente. Poi morirai disse l’individuo che aveva parlato per primo, Bruce. Lascia che ti aiuti, non voglio farti del male. So bene quello che provi. Solo noi, però, possiamo darti le risposte che cerchi, solo noi.

    E a dire la verità il suo tono sembrava persino amichevole, ma io ero sconvolto. Troppe cose non quadravano, troppe domande erano ancora senza risposta, troppo complicato era quello che mi stava succedendo.

    E poi come facevano a sapere il mio nome? E che cosa diavolo significava che ero un neonato?

    La paura che stavo provando mista alla confusione mentale sempre più forte stranamente mi rinvigorì i muscoli. Ne approfittai subito. Mi girai di scatto e corsi via come un proiettile. Via dal campus, da quei loschi figuri, da quella notte maledetta, da tutto quello che mi stava succedendo.

    Ma non percorsi molta strada. Dopo circa duecento metri caddi a terra esausto, la vista si annebbiò e un velo nero mi travolse.

    Capitolo 3

    Quando aprii gli occhi, mi ritrovai in una grande stanza, disteso di traverso su un letto matrimoniale.

    Dopo essermi ripreso del tutto, in realtà mi accorsi che il letto su cui mi trovavo era uno di quei caratteristici modelli a baldacchino.

    Non ne vedevo uno da diversi anni, da quando andavo a giocare nella casa di campagna dei miei nonni paterni.

    Questo particolare tipo di giaciglio era formato da candide stoffe color scarlatto, sostenute da aste di legno chiaro, mentre la trapunta che lo ricopriva, di color rosso fuoco, creava uno strano contrasto sui cuscini blu scuro.

    Guardandomi in giro, notai ben presto il resto dell’arredamento elegante e antico. C’erano poltrone barocche di pelle nera, sedie francesi in noce di fine Settecento, foderate di velluto rosso veneziano, tappeti persiani dai colori caldi e armoniosi, contornati da bordature in verde smeraldo.

    Le pareti erano invece adornate da quadri di raro impatto scenico, raffiguranti per la maggior parte battaglie epiche e grandi guerre.

    La luce soffusa e suadente, invece, proveniva da due piantane con la base in marmo bianco, alte circa tre metri, con un paralume in delicato tessuto grigio chiaro che stemperava il bagliore rendendolo fioco.

    Sul tessuto erano incisi vari simboli appartenenti a una lingua a me ignota, ma avevo come l’impressione che fossero orientali.

    Poi il mio sguardo incrociò qualcosa di singolare.

    In un contenitore trasparente, sopra una mensola, erano adagiate due sacche di sangue con un biglietto.

    Era scritto con una calligrafia molto elegante e ben curata, diceva: "Non preoccuparti, Lucas, qui sei al sicuro. So che apprezzerai quello che ti abbiamo lasciato. Appena sei in comodo ti aspetto nel salone principale. Fuori dalla porta troverai Christopher, ti accompagnerà lui.

    P.S.: Fa’ come se fossi a casa tua. Bruce".

    L’allusione di Bruce riguardava chiaramente le sacche di sangue, ma io non le avrei toccate per nessun motivo. Non ero un mostro. Non potevo farlo. Non volevo. La mia gola, però, riprese di nuovo ad ardere dalla sete. Per alcuni interminabili minuti ingaggiai una dura battaglia contro la mia sfrenata brama, usai tutta la forza di volontà di cui disponevo, ma fu tutto inutile.

    Istintivamente presi la prima sacca, la morsi con denti affilati che neanche credevo di avere e in un attimo succhiai tutto il suo contenuto.

    Ma non mi bastava.

    Così, come in trance, presi anche la seconda e la consumai avidamente.

    Il cambiamento fu tanto immediato quanto stupefacente, non avevo più sete e la mia gola non bruciava più. Finalmente stavo bene e mi sentivo rinvigorito, più forte che mai.

    Quello che avevo fatto, però, iniziò subito a tormentarmi.

    Ero diventato un mostro! Avevo bevuto sangue come fosse stata acqua, anzi, come fosse stata una delle cose più buone che avessi mai assaggiato.

    Del resto adesso aveva un profumo irresistibile, mi attraeva in modo insopportabile. Era diventato un po’ come una droga e se ce ne fosse stato dell’altro, l’avrei senza dubbio divorato.

    L’unica cosa cui riuscivo a pensare era che sembravo un vampiro.

    Più che spaventarmi, però, quell’idea mi faceva sorridere. Lucas Allen, un vampiro. Niente di più assurdo.

    Queste cose non erano reali, un po’ come gli orchi o i lupi mannari, creature fantastiche inventate dai grandi per tenere buoni i bambini che non volevano andare a letto.

    Eppure mi stavo comportando proprio come un succhia-sangue, e il mio fisico era sempre lì a ricordarmelo. Ero cambiato in modo impressionante. Non ero più io. Ero più pallido, più bello, più aggraziato, velocissimo ai limiti dell’incredibile. Avevo una vista e un udito sovrumani e chissà quali altre capacità di cui per ora ignoravo l’esistenza.

    Tutti gli indizi mi guidavano nella direzione del soprannaturale, ma la mia innata razionalità mi portava puntualmente a respingere quell’idea balzana.

    Doveva esserci una spiegazione plausibile, anche se adesso non riuscivo proprio a trovarla.

    Non riuscivo ad aggrapparmi a nulla di reale, di umano.

    La situazione degenerò quando mi tolsi l’orologio e involontariamente mi tastai il polso senza avvertire il battito del mio cuore.

    Provai e riprovai decine di volte, ma fu tutto inutile. Non c’era più battito.

    Lo shock fu incontrollabile. In preda ad una vera crisi di panico cominciai a sondare le varie ipotesi. Forse ero davvero morto. La prima ipotesi che avevo fatto, come spesso accade, forse si era rivelata quella giusta.

    Forse quello era il Paradiso. O forse l’Inferno.

    Ripensandoci, però, non ero stato tanto cattivo nella mia giovane vita, magari ero in una specie di Purgatorio.

    In ogni caso, c’era un solo modo per scoprirlo. Feci un respiro profondo e mi avviai verso la porta, ormai la curiosità aveva preso completamente il sopravvento. Volevo scoprire tutto, ogni singola cosa che mi era accaduta in quella folle notte.

    Fuori, come scritto nel biglietto, trovai ad aspettarmi l’uomo che avevo incontrato al campus, Christopher.

    Ciao Lucas, ce ne hai messo di tempo per riprenderti. Credevo che non ti saresti più svegliato. Dai seguimi, ti porto dagli altri disse con voce affabile, nel tentativo di mettermi subito a mio agio. Lo sai, hai dormito per due giorni di fila! Certo che potevi anche cambiarti, e non dirmi che i vestiti non erano di tuo gradimento. Ho visto che ce n’è un’infinità!.

    In realtà non ci avevo nemmeno fatto caso.

    I vestiti che indossavo, in effetti, erano parecchio malmessi, ma in quei frangenti critici dare un’occhiata all’armadio non mi era nemmeno passato per la testa. E in fin dei conti non me ne importava granché.

    Gli feci solo un fugace cenno di assenso col capo. Era evidente che si stava sforzando di essere socievole, ma io ero decisamente troppo teso per intraprendere qualunque tipo di conversazione.

    Lo stabile in cui mi trovavo doveva essere gigantesco. Era una specie di villa ottocentesca e noi dovevamo essere in una delle due ali.

    Stavamo percorrendo un ampio corridoio, il cui pavimento era ricoperto da un tappeto rosso vermiglio e le cui pareti di roccia erano decorate con piccole pietre marrone scuro che davano un’atmosfera di antichità e sacralità a quello strano luogo.

    Il corridoio portava a una grande rampa di scale, i cui gradini di marmo giravano attorno ad un’immensa colonna.

    Christopher scendeva con passo spedito e agile ed io lo seguivo senza difficoltà, con una destrezza innaturale che permetteva ai miei piedi di danzare sui bianchi e ripidi scalini.

    In fondo alle scale si estendeva un altro imponente corridoio, dove il tappeto rosso ricominciava, fino ad arrivare a un massiccio portone di mogano con due maniglie di bronzo a forma di otto capovolto, il simbolo dell’infinito.

    Christopher spinse la grande maniglia e senza apparente difficoltà il portone si aprì.

    Non potevo credere ai miei occhi. Era il salone più grande che avessi mai visto, ma forse chiamarlo salone era un po’ riduttivo per un ambiente così smisurato.

    Il pavimento era ricoperto da diversi tappeti persiani, sui quali erano sistemati parecchi divani angolari di pelle nera.

    Vicino a essi, dietro uno schermo trasparente, piccoli caminetti sprigionavano fiamme che cambiavano continuamente colore, dal rosso all’arancione, dal verdastro al violetto.

    Il soffitto, invece, era arricchito da grandi e sontuosi lampadari a piramide, ornati con cristalli che si accendevano di colori diversi in un fantastico gioco di luci. Sembravano sospesi in aria grazie a piccole catene quasi invisibili.

    Quella sera, a giudicare dalla moltitudine di gente presente, doveva essere in corso una specie di elegante ricevimento, forse in onore di qualcuno.

    Non potei fare a meno di notare che tutte le persone presenti erano di carnagione pallida simile alla mia e di una bellezza sconvolgente.

    Le donne erano al tempo stesso simili eppure differenti fra loro, vestite con abiti da sera scuri, molto eleganti, che ben s’intonavano alle loro capigliature nere o castane.

    A giudicare dalla loro classe e magnificenza dovevano senz’altro appartenere a un ceto nobile-aristocratico.

    Gli uomini indossavano invece completi classici, alcuni giacca e cravatta, altri più casual, ma sempre rigorosamente scuri, e avevano un modo di muoversi e chiacchierare da veri lord inglesi.

    Notai Christopher avvicinarsi a Bruce e indicarmi, probabilmente gli aveva riferito della mia presenza. Quest’ultimo, a sua volta, fece rapporto a un uomo molto distinto con capelli neri sciolti sulle spalle e la pelle ancora più pallida di tutti gli altri.

    La sua pelle era talmente bianca che poteva apparire quasi trasparente ad uno sguardo attento. Aveva occhi vivaci e penetranti, che cambiavano colore di continuo. Color bronzo, celeste, grigio.

    Sostenere il suo sguardo fu stranamente difficile, qualcosa mi costringeva ad abbassare gli occhi.

    Era l’unico vampiro che non indossava un completo, ma vestiva una lunga tunica nera interrotta da una cintura argentata che reggeva una sciabola riposta in un fodero incastonato di pietre preziose.

    Appeso al collo, invece, portava un appariscente medaglione d’oro corredato da strani simboli, come a indicare la sua indiscussa leadership in mezzo a quella folla di strani individui.

    All’improvviso, l’uomo, per attirare l’attenzione degli invitati, picchettò con una forchetta il suo calice.

    A quel segnale nella sala calò un silenzio surreale, al quale seguirono le sue squillanti parole: "Benvenuto Lucas, io sono Marcus, come posso dire, il signore del maniero e questi sono tutti miei figli. So che sei confuso, lo erano tutti. Ti starai chiedendo cosa sei diventato, chi siamo noi, ma sicuramente qualcosa avrai già intuito. Lo vedo dal tuo sguardo, hai solo paura di crederci. La risposta alla tua domanda è , caro ragazzo. Tu sei un vampiro, come tutti noi".

    A quelle parole trasalii, un lungo brivido mi percorse la schiena.

    Lui, per tutta risposta, mi fissò con i suoi acquosi occhi grigi e riprese: "Come sei diventato uno di noi? Questa è proprio una bella domanda, che merita una bella risposta. Vedi, una delle mie figlie, una vampira di nome Angelique, contravvenendo alle nostre leggi, ti ha trasformato in un essere immortale. Devi sapere che noi ci siamo dati delle regole ferree, che sono poi diventate vere e proprie leggi per la nostra razza. Gli umani hanno le loro, noi abbiamo le nostre. Sono proprio queste leggi che permettono a quelli come noi di vivere nell’anonimato, di mimetizzarci e integrarci con gli umani. Sono il fondamento della nostra cultura. Nessuno di noi ha il permesso di trasformare un umano, se prima il Consiglio degli Anziani non si è riunito dando la sua approvazione. L’immortalità è un privilegio, bisogna guadagnarsela. Tu non dovevi essere trasformato, è stato un errore, ma ormai non possiamo più tornare indietro. So bene che tutto questo è difficile da accettare, ma è la verità. Dovrai imparare molte cose sul nostro mondo e sulle nostre regole prima di essere libero di andartene. Ne vale della tua e della nostra vita".

    Sembrava che avesse il dono di leggermi nella mente, qualsiasi cosa pensassi lui la vedeva chiara come il sole. O forse erano solo le mie espressioni a indicargli la strada giusta.

    In ogni caso i miei pensieri per lui non avevano segreti.

    Che cosa succederà ad Angelique? Che cosa le succederà adesso? Perché non ricordo niente della scorsa notte?, ero a dir poco turbato dalle sue parole, ma non potei fare a meno di dare libero sfogo alle mille domande che assillavano la mia mente da diverso tempo. Di cosa vi nutrite? Non ucciderete persone innocenti spero….

    A questo punto Marcus mi interruppe: "Una domanda alla volta, mio giovane amico. Vedi, Angelique è una giovane vampira, ha l’aspetto di una ventenne, ma ti assicuro che è molto, molto più vecchia di quello che sembra, ha quasi duecento anni. Per questo sono molto deluso dal suo comportamento, non me l’aspettavo da una vampira della sua esperienza. Ieri notte è successa una cosa che non sarebbe mai dovuta succedere. Lei ti ha drogato, dovevi essere la sua preda, – a questa parola rabbrividii – ma non ha completato l’opera e ti ha lasciato al parco, dove ti sei poi risvegliato. Sul tuo corpo non trovi ferite perché una volta diventato vampiro si sono rimarginate in breve tempo. L’errore che lei ha commesso è imperdonabile. Per questo sarà giudicata dal Consiglio che deciderà la sua sorte, a questo punto la sua voce cambiò, diventando fredda come il ghiaccio e riprese: Beh, per quanto riguarda il nostro nutrimento, il sangue è la nostra linfa vitale, ne abbiamo bisogno praticamente tutti i giorni. Abbiamo scorte di sangue di tutti i tipi e per ogni evenienza. Tuttavia, assumere direttamente sangue da un corpo vivo dà un nutrimento più completo, il più elevato possibile, soprattutto se da umani. E poi ha tutto un altro sapore. È come un umano che deve decidere tra pane secco o appena sfornato, tu cosa sceglieresti? Certo, non possiamo esporci troppo, quindi la nostra dieta è varia, cacciamo sia umani che animali. Ovviamente dobbiamo stare molto attenti e proteggere il nostro segreto. Gli umani non sono ancora pronti per noi e forse noi non lo siamo per loro", le sue parole risuonarono nell’aria come un potente rullo di tamburi facendo vibrare la mia coscienza.

    Io non ucciderò mai un essere umano!, le parole uscirono dalle mie labbra spinte da una rabbia feroce. Come potete vivere in questo modo! Siete degli assassini!.

    Siamo predatori, non possiamo rinnegare la nostra natura ribatté con veemenza. Vedrai, col tempo lo capirai e imparerai anche tu ad assecondare i tuoi istinti.

    La folla di vampiri da cui ero ormai circondato annuì in segno di approvazione in ossequio del loro capo e profeta.

    Sentii i loro occhi fissi su di me. Mi squadravano ossessivamente cercando di sondare gli abissi più reconditi del mio essere, di mettere a nudo la mia anima ormai completamente smarrita, di percepire ogni mia emozione.

    Forse ero andato troppo oltre nel giudicare qualcosa di cui ancora non sapevo niente.

    Sarei diventato anch’io un assassino? Come sarebbe stata la

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