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Lauto Grill. Giallo industriale
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E-book111 pagine1 ora

Lauto Grill. Giallo industriale

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Info su questo ebook

Parlare di industrializzazione – intesa come processo di trasformazione di una società che da rurale diventa industriale – a Sant’Eligio è una contraddizione. Il paese è nato per i bisogni di un’acciaieria ed è sparito quando quest’ultima ha chiuso i battenti. Nessun tipo di trasformazione ha dunque avuto luogo e di certo nulla di rurale è mai esistito in quel territorio.
Curiosamente dopo questo passaggio industriale rimane un inutile “Museo Contadino”; inutile vista la natura stessa del paese ma che rimane tuttavia una presenza significativa costringendo quel luogo abbandonato ad avere – oltre che un custode per il museo – anche un commissariato e, con esso, un commissario.
A dar pepe alla storia è la grande flessibilità mentale di una donna che, a differenza del superfluo e inetto marito, riesce a creare dal nulla un mondo dove tutti possono trovare quello che vogliono.
Accompagnati dai peccati capitali, rivisti anche da una giovane coppia in un racconto parallelo, si attraversa questo mondo ritrovandosi alla fine ad affrontare la morte: un peccato o una benedizione?

LinguaItaliano
Data di uscita16 mag 2018
ISBN9788897308690
Lauto Grill. Giallo industriale
Autore

Diego Bernasconi

Diego Bernasconi nasce nel 1971 a Mendrisio, sul confine tra la pianura padana e le Prealpi. In quegli anni i suoi genitori fondano una compagnia teatrale. Gran parte della sua infanzia trascorre dunque tra copioni, palcoscenici, camerini e sipari. Negli anni ’90 collabora e adatta diverse opere teatrali per svariate compagnie. Fino al 2000, quando, con suo padre, scrive la sua prima commedia. Da lì in poi è tutto un crescendo e le idee maturate negli anni prendono forma: scrive altre tre commedie e il romanzo breve “Lutto alle pompe funebri” (premio Stresa 2014), crea uno spettacolo per bambini e allestisce una mostra con più di cento edizioni annuali di giornali di carnevale di Mendrisio. Nell’ambito della ricerca linguistica, dopo aver firmato un simpatico saggio in cui illustra i meccanismi del ”Larpa iudré”, l’idioma criptico di Mendrisio, produce un esilarante DVD con le prime dieci lezioni per imparare questa “lingua”. In seguito si affaccia al mondo del cinema, scrivendo le sceneggiature di tre lungometraggi: ”La Palmira ul Film“ (2013), ”Complotto nel Mendrisiotto“ (2015) e ”Grand Hotel Stella Alpina“ (2016). Un artista versatile, nonché una fonte inesauribile di idee e progetti che si alimenta con l’entusiasmo e il desiderio di regalare al pubblico emozioni sempre nuove e tanti momenti di ilarità!

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    Anteprima del libro

    Lauto Grill. Giallo industriale - Diego Bernasconi

    Accidia

    Il sole, nascosto nell’oscurità, sembra non essersi ancora mosso.

    Il rumore del chiavistello dà il via alla giornata lavorativa di Adelmo. Con innata apatia apre la porta del museo, entra, richiude e dà un giro di chiave. Accende le lampade al neon che illuminano di luce artificiale, ma regolare, l’entrata e lo spogliatoio che si trova in un angolo a poca distanza. Adelmo apre l’armadietto in metallo, ci infila la giacca e indossa un camice da lavoro grigio topo sbiadito. Di luce naturale nemmeno l’ombra. L’assenza di cambiamenti cromatici rincuora il custode.

    Prima di partire per il giro preapertura, come d’abitudine, controlla l’orologio da polso ricevuto in regalo il giorno della cresima da un ignoto parente. Osserva l’ora con un mezzo sorriso, troppo lungo per non essere falso e che ha più l’aria di una paresi facciale. Quel sorriso è una delle pochissime espressioni di Adelmo che, beato, si siede sulla sedia nell’angolo, proprio accanto agli armadietti. Mancano ancora tre minuti e venti secondi all’apertura del museo, calcolando che il giro preapertura comprende la verifica di tutti gli oggetti e l’accensione dell’interruttore di ben due vetrine espositive per una durata totale di esattamente due minuti e quarantasei secondi, può stare tranquillo ancora trentaquattro secondi. E di questo si rallegra.

    Nel paese di Sant’Eligio, patrono dei metalmeccanici festeggiato il 1° dicembre, il Museo di storia contadina era nato più che altro per ragioni finanziarie. La verità è che di storia contadina o di ambienti agresti questa località, prettamente industriale, non ha mai sentito neppure l’odore. Le industrie Tassoni, infatti, crearono questo accessorio museale al paese negli anni Settanta solo per ricevere i sussidi statali e detrazioni fiscali. Dopo l’inaugurazione, ma soprattutto dopo aver ricevuto i benefici finanziari, il museo e il custode rimasero soli e abbandonati a loro stessi, di visitatori non ci fu mai traccia. Tanto meglio: meno pensieri e imprevisti per il custode, a quel tempo il padre di Adelmo.

    Non si capisce se le indoli dei custodi siano innate o si formino con la pratica della professione. Sta di fatto che padre e figlio hanno una naturale avversione al cambiamento, a qualsiasi alterazione della quotidianità. Amano a tal punto la monotonia da rendere monotono anche l’amore per la stessa. La loro inutilità, vista dall’esterno, potrebbe sembrare egoismo allo stato puro. Invece, esaminandola più da vicino, si arriva a concludere che sia da considerarsi volontà di non esistere. Se non esisti non puoi essere disturbato.

    È l’ora.

    Adelmo controlla l’accensione del meccanismo che fa muovere un manichino vestito da contadino il quale, spingendo un pulsante, alza e abbassa una forca per tre volte. Questo ameno congegno elettromeccanico dovrebbe rappresentare l’essiccatura del fieno nei campi, ma siccome di campi in quella regione non ce ne sono mai stati, di fieno, sulla forca, per coerenza non ce n’è neppure un filo. Adelmo prosegue accendendo le luci di due teche colme di cartoline con immagini di animali. Sono disposte in ordine alfabetico: a suo tempo era stato chiamato un biologo da Torino per questa incombenza. Con ben 186 foto, tutte a colori, si inizia dall’asino per arrivare alla zebra.

    Seguono dei tavoli stretti dove sono appoggiate le rubriche telefoniche. Una collezione di dieci pezzi dal 1966 al 1977, il 1971 manca. I tomi, assicurati con una catenella, si possono consultare anche senza guanti bianchi. Adagiati sotto a questo patrimonio letterario si trovano dei grandi sacchi in juta con la scritta Café do Brasil. Nessuno ne conosce il vero contenuto. Appesi al muro della parete sud, una fila di copricapi di varia natura e genere, anche questi ordinati alfabeticamente per nome partendo dal Basco, passando per il Colbacco e il Fez per terminare con la Tuba.

    La ricognizione termina proprio sotto l’unica cosa che potrebbe avere a che fare con il mondo contadino della regione: un aratro. Appeso con robuste cordine in metallo sopra l’entrata principale si può godere della vista di questo vomere dei primi anni Cinquanta proveniente – ecco la ragione del potrebbe – dal Belgio. Un legame con Sant’Eligio però c’è: questo attrezzo è stato costruito con acciaio forgiato proprio qui, dalle acciaierie Tassoni. Appendere questo cimelio del Novecento è stato il primo e unico lavoro manuale eseguito dal padre di Adelmo. Giustappunto tutti i Natali, dopo il taglio del panettone, non mancava di raccontare l’impresa... tralasciando però il dettaglio che alla fine del lavoro, tornato nel suo appartamento al piano superiore, si accorse di aver forato anche il pavimento del salotto! Preso dal panico più profondo fu vittima di un blocco completo. Rimasto inerme e con una sola piccola parte del cervello ancora in grado di formulare un pensiero, si convinse che qualsiasi tipo di attività faccia male; meglio quindi l’inerzia. Ciò che temeva maggiormente era la reazione del direttore del museo. Per quanto incredibile possa sembrare, questo inutile museo aveva anche un inutile direttore. Avvicinato dal padre di Adelmo in una sola occasione, ossia il giorno dell’assunzione, dopo un timido saluto il custode gli chiese di conoscere i dettagli pratici dell’attività e gli orari di lavoro. Ne ottenne una semplice, chiara, risposta: «Le farò sapere», ma al museo non fu mai più visto.

    Qualche tempo dopo la disavventura bucolica – nel senso dei buchi –, arrivò una notizia che azzerò tutte le preoccupazioni: i Tassoni avrebbero lasciato il paese. Non solo: il genitore di Adelmo ereditò lo stabile con il museo e l’appartamento, nonché una cospicua rendita vitalizia.

    Un dono per la grande fedeltà dimostrata negli anni e l’intenzione della filantropica famiglia Tassoni di voler continuare a mantenere alto il livello culturale del paese. Questo, secondo il padre di Adelmo, i motivi dell’origine del lascito.

    In verità di paese ne restò ben poco. La partenza dei Tassoni, con la logica chiusura delle omonime industrie, portò con sé lo spopolamento di Sant’Eligio, che così come era nato per ragioni prettamente opportunistico-professionali morì quando gli vennero tolte queste opportunità. Neppure la nascita di Adelmo riuscì a risollevare la curva demografica di quegli anni. Via la gente, via i commerci. Via le chiese, via gli oratori. Via i bambini, via le scuole. Via i malati, via l’ospedale. Via gli anziani, via il cimitero, finendo per essere il paese stesso una via: Via Sant’Eligio.

    Terminato il giro di Adelmo, il museo può aprire i battenti.

    La pigrizia e l’inutilità sono snervanti sotto ogni punto di vista. Dopo l’apertura delle porte Adelmo rimane seduto per otto ore, non consecutive, su uno scomodo sgabello nell’angolo vicino al contadino semovente, fissando il nulla, felice. La sua occupazione principale è quella di determinare il trascorrere del tempo, osservando il riflesso del sole che al mattino entra da una finestra per poi a metà giornata passare all’altra.

    Questa alterazione di luce al nostro custode dà fastidio, come tutti i cambiamenti che in generale lo snervano, così chiude gli occhi per diverso tempo,

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