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Mostri in Riviera
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E-book274 pagine3 ore

Mostri in Riviera

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Info su questo ebook

In un futuro indefinito esseri mostruosi mangiauomini e notturni invadono una cittadina della riviera romagnola. Il territorio di caccia é un piccolo borgo, chiamato San Giovanni In M.. All'inizio dimostreranno di essere piuttosto imbranati, impacciati. Il racconto inizia qui, rivelando la loro origine e la finale trasformazione. Leggeremo della loro precedente vita per poi assistere all'evento che li renderà Moloch o Gobbi. Per sottolineare l'evoluzione e il nuovo corso, ci sarà anche un cambiamento nella scrittura. Alcuni dei personaggi sono Angelo Bellini posto a capo della missione antimostro e Sara una acrobata di un circo, coinvolta in una storia di gelosia fra due clown, che a loro volta verranno trasformati in Moloch e protagonisti di una vendetta. Il fenomeno provocherà una reazione della popolazione che sfocerà anche in atti di follia. Contadini, casalinghe, campioni di motociclismo, ladruncoli, personaggi di ogni tipo abiteranno una Riviera di mostri in espansione a cui Angelo con il governo nazionale e altri cercheranno di opporsi. Dopo inutili tentativi di distruggere i Moloch divenuti più veloci e letali, il loro campo di azione supererà i confini nazionali; per questo i metodi e le armi per combatterli dovranno essere sempre più sofisticati, e senza scrupoli. Una squadra con doti e le qualità eccezionali cercherà di resistere. Dopo un assurdo tentativo di distruggere le loro sedi, Angelo e i collaboratori troveranno uno spiraglio in un giardino in periferia di Bologna, con il suo "coltivatore", e un modo per convivere e una prospettiva di pace, stabilire una tregua. Il finale è aperto. Il futuro dipenderà da come gli uomini tratteranno con i mostri.
LinguaItaliano
Data di uscita30 gen 2024
ISBN9791222726809
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    Mostri in Riviera - pietro paggiolu

    PROLOGO

    1

    Il numero di protocollo era stato deciso da tempo, stampato nel formato giusto per occupare lo spazio apposito con il timbro o la marcatura del veterinario Quel foglio anche digitalizzato e conservato nella banca dati nazionale, conterrà l’identificativo 3600 con una data e una successione di lettere come DGSAF e le linee guida del Ministero della Salute, chiamate anche MDS; sotto sarà stampigliato un numero di varie cifre della check–list ministeriale, con allegata la dichiarazione del veterinario attestante la salubrità del prodotto in attesa della soppressione Infine, l’animale verrà tatuato secondo un decreto legislativo ad oc. Il nono mese l’epilogo, sarà folgorato, scuoiato, squartato, smembrato, parte della carne riservata agli insaccati - ad esempio prosciutto - suddiviso in bistecche da barbecue e in tranci più o meno pregiati Al più presto a norma di legge e nel rispetto dell’igiene, incellofanato, congelato, ripartito per destinazione e inviato in una quantità congrua a ristoranti, supermercati o macellerie, dove potrà, secondo esigenza e tradizione, essere ritrasformato e ridotto in strutto, macinato, sanguinacci, salsicce, trippa ecc.

    Il suo nome é un numero, come quello dei suoi coetanei E se in alcuni giorni della breve vita pascolerà per qualche ora fra lo stabbio e l’aia recintata e fangosa, la maggioranza del tempo mangerà e defecherà nel capannone porcilaia, perché lui e il branco non vadano ad intralciare i lavoranti dell’azienda o peggio, finiscano sotto i mezzi agricoli producendo dei danni e vanificando l’economia dell’ingrasso.

    Tuttavia, il suino pur non avendo raggiunto il peso desiderato, seguendo il piano alimentare soddisferà abbondantemente le aspettative dell’imprenditore, compensando le spese e il tempo dedicati.

    3600 era un maiale come gli altri, stessa taglia, vita monotona, sempre affamato di qualunque tipo di sbobba … fuorché per un particolare: Mentre gli altri esibivano una pelle rosea uniforme con poche variazioni, qualche chiazza tutt’al più, lui a partire dalla testa aveva una striscia scura quasi nera che correva dalla testa lungo tutto il dorso fino alla coda; comunque un particolare estetico e senza alcuna influenza sulla commercializzazione.

    Isaia Sofri, titolare dell’azienda agricola sita nelle campagne fra Tavullia e Monte Lupo, quando entrava nella porcilaia, per questo particolare, anche distrattamente non poteva fare a meno di guardare nella sua direzione.

    Un martedì come tanti scostò lo scorrevole con un lungo cigolio, investito da un refolo maleodorante La corrente d’aria gli scompigliò l’unica ciocca di capelli rimasta sulla fronte glabra Però quella mattina, guardando il branco nel recinto 3600 non era fra gli altri e quasi ci inciampò sopra Il recinto di metallo era chiuso, come era uscito? Una sbarra divelta o fuori posto era impossibile non notarla.

    Isaia non aveva tempo da perdere e gli fece un gesto come per scacciare l’animale, ma non si mosse e non ebbe alcuna reazione Avrebbe pensato a lui più tardi; comunque attraversando la porcilaia ebbe l’impressione che il maiale non solo lo stesse osservando, ma lo seguisse fino alla porta del magazzino.

    Quando uscì posò il sacchetto delle sementi e con un bastone, a voci e fischi lo condusse all’interno del recinto; controllò attentamente che non ci fossero vie di fuga o la serratura del cancelletto di metallo fosse rotta; niente, era integro Ma una volta uscito, voltandosi per chiudere lo scorrevole riecco il quadrupede nella posizione di quando era arrivato Avrebbe dovuto riportarlo nel recinto? No, chiuse e andò via, aveva altro da fare.

    Pietro, hai fatto uscire un maiale?

      No, e perché mai?

    3600 era fuori del recinto.

    Il figlio allargò le braccia; Isaia scacciò il pensiero e raggiunse gli operai.

    Mercoledì Quella mattina doveva prendere dei semi di cavolfiore Anche questa volta trovò 3600 nel centro del corridoio comodamente disteso, e come in precedenza lo scortò fino alla porta del magazzino.

    Isaia ripeté la stessa prassi, con fischi e voci riaccompagnò il maiale nel recinto; però prese del fil di ferro e legò il cancelletto al piantone Ma quando voltò le spalle sentì del movimento: 3600 era libero e lo seguiva fermandosi quando lui si fermava Non era bastato, così per tutta la lunghezza puntellò le sbarre con dei sacchi di patate e le ricontrollò una ad una.

    Questa volta, fuori dello scorrevole lasciato socchiuso, strisciò sulla parete cercando di non provocare il minimo rumore Eccolo là 3600, immobile, come se aspettasse di vedere i suoi occhi nella fessura.

    Lavorò controvoglia La sera a tavola si lagnò dell’accaduto con la moglie e il figlio, l’unico fra i tre ad aver seguito le sue orme.

    Pietro considerò il racconto del genitore divertente; ma non Priscilla che conoscendo il marito, lo sapeva incapace di inventare storie.

    Lo stress gioca brutti scherzi, dovresti prenderti una pausa.

    Invece il figlio se la rideva.

      Magari è un animale un po’ tocco; anche loro hanno dei problemi.

    Il padre lo fulminò con lo sguardo.

    Dai! Non prendertela. Questo fine settimana controllo meglio la recinzione.

    Per Isaia non era divertente Anzi, per non ridere né piangere, il giorno dopo preferì entrare nel magazzino dal retro, anche se il percorso era più lungo e scomodo Gli operai, a cui non sfuggiva nulla, quando notarono la stranezza, le scuse di volta in volta più ridicole per evitare la porcilaia, inserirono l’aneddoto per animare i tempi morti e farcire conversazioni e battute.

    Il maiale acrobata e guardone divenne il suo chiodo fisso Ma dopo alcuni giorni, indispettito dalle velate prese in giro decise di reagire, determinato ad affrontare le sue paure; certo, era sconcertante, ma non sarebbe più accaduto Ripeté il concetto un’infinità di volte: Doveva passare dal porcile, maiale o no.

    Lunedì, cinque e venti del mattino; il cielo sgombro di nuvole preannunciava una bella giornata Uno dopo l’altro gli operai giunsero fino al garage per ritirare gli attrezzi; sapevano cosa fare, ma come da consuetudine, prima di muoversi attesero Isaia per eventuali ordini o cambi di programma.

    Smontò dalla bici, e senza pensarci troppo entrò nella porcilaia Servivano due rastrelli e una vanga lasciata li dal venerdì Tirò un sospiro di sollievo, il maiale non c’era; accese i neon, pochi passi e alzò lo sguardo A circa due metri di altezza, su una delle mensole fra i barattoli e le bottiglie di vetro, vide 3600 Questa volta i suoi occhietti piccoli e sottili erano di un colore rosso acceso, i denti sembravano più lunghi e sporgevano in un ghigno beffardo Gli si drizzarono i peli sulle braccia e le gambe cominciarono ad andare da sole Aprì lo scorrevole con tanta forza che rimbalzò violentemente sul battente per richiudersi Corse come mai prima e quasi travolse suo figlio: Pareva un centometrista.

    Con lunghe falcate raggiunse un trattore parcheggiato cinquanta metri dal capanno Non riusciva ad incamerare aria e credette di svenire; Pietro quando vide suo padre correre in quel modo lo inseguì e lo raggiunse:

      Cos’è successo? Hai visto un fantasma?

    Il padre boccheggiava Fece segno di aspettare perché riprendesse fiato e riacquistasse la calma.

      Non dirmi che è ancora a causa di quel maiale? Cosa ha fatto questa volta il guardone?

      Se vuoi, puoi vedere tu stesso. Anzi no, può essere pericoloso, non entrare …

    Non aveva finito la frase che Pietro camminava in direzione del capanno:

      Vediamo questo fenomeno.

    Per ogni evenienza afferrò il forcone caduto accanto alla parete; Isaia lo vide richiudere lo scorrevole Gli operai ridacchiavano divertiti dal fuoriprogramma Pochi secondi e udirono un urlo tremendo, seguito da rumori di metallo e tonfi come di una colluttazione, quindi ancora stridii e grugniti.

    Un attimo di smarrimento e gli operai si fiondarono all’interno in soccorso dell’amico.

    Fuoriuscì un coro macabro e straziante Sulla lamiera si produssero grossi bozzi e schizzi di sangue fuoriuscivano dalla porta mentre si apriva e richiudeva, come se qualcuno tentasse di fuggire e gli fosse impedito Spuntarono per un secondo una testa irriconoscibile, poi un’altra e mani aggrappate per una resistenza inutile, immediatamente trascinate all’interno.

    Fin quando il concerto finì.

    Il contadino sorreggendosi alla ruota grande del trattore tremava d’avanti all’inconcepibile Quando riuscì a reagire inforcò la bicicletta e corse fino alla casa; aprì l’armadio blindato, prese uno dei fucili e dopo diversi tentativi lo caricò.

    Davanti al capanno gridava piangendo il nome del figlio, quello degli operai, intimandoli di uscire Se lo era, era uno scherzo crudele.

    Aveva forse qualche alternativa? Suo figlio e gli altri erano tutti li dentro Entrò sparando, uno, due colpi, poi un grido, tonfi, vibrazioni, stridii, grugniti.

    Silenzio.

    La moglie ritornò verso le tredici Parcheggiò il furgoncino vicino alla porta e lasciò lo sportello del cassone semiaperto perché il figlio o il marito scaricassero le poche provviste per l’azienda Ma non arrivò nessuno:

      Isaia, Pietro dove siete? Datemi una mano! – nessuna risposta – Questi due quando c’è qualcosa da fare scompaiono.

    Rassegnata scaricò la spesa e le confezioni dell’acqua, sistemò i surgelati nel frizer e conservò il resto dei deperibili nel frigo I sacchi di mangime e fertilizzante invece restarono sul pianale del  pickup, lei non aveva tempo: Era il momento di cucinare Attese un altro po’ e chiamò al cellulare il figlio, ma risultava irraggiungibile; pensò ad un imprevisto Era capitato altre volte Quindi accese la televisione e mangiò qualcosa.

    Passarono due, quasi tre ore Ma dove erano finiti tutti quanti?

    Sei, sette uomini, é difficile non vederli.

    Parlava da sola nervosamente.

      Forse uno dei mezzi avrà avuto dei problemi e saranno andati dal meccanico … mah!

    Partì nuovamente alla ricerca di indizi controllando le camere da letto e perfino in bagno; niente, non c’era nessun segno del loro passaggio Però notò i cellulari spenti sul tavolo.

      Ha! Ecco perché.

    Il furgone, poteva servire la sera stessa Per portarsi avanti scaricò faticosamente i sacchetti, sistemandoli sul gradino dell’ingresso.

    Questa gliela faccio pagare!

    Erano le diciotto e quindici e il sole dietro i monti Doveva preoccuparsi? Entrò nella saletta degli hobby del marito e poi in camera del figlio Strano, notò accanto al mobile dei vinili l’anta aperta della rastrelliera blindata delle armi; mancava uno dei fucili da caccia, il calibro più grande Alcune munizioni erano sparpagliate sul tavolo e per terra.

    Affacciandosi nel cortile non scorse anima viva; il cane, le galline e le oche non scorazzavano come sempre Decise di perlustrare il podere.

    Controllò nella rimessa, nessuna traccia, poi con l’auto andò fino all’orto, nessuno; i mezzi stazionavano nel solito posto come se non fossero stati usati Concluse il tragitto nelle vicinanze della porcilaia e notò la bicicletta, un cappello e degli attrezzi per terra Scese e chiamò ad alta voce il marito, quindi il figlio e anche:

      Matteo! Giacomo!

    Ma non ricevette risposta Notò le chiazze rosse per terra e le lamiere ammaccate dello scorrevole, ma non sentì i soliti grugniti, né vi erano movimenti particolari, ma solo l’odore pungente dei reflui Si fece coraggio e spalancò la porta Con la luce alle sue spalle l’interno gli parve un blocco nero; stormivano solo i rami; il vento fischiava attraverso le fessure.

    Priscilla fu accolta da un nuvolo di mosche e brontolii Strinse con forza il maniglione e senza entrare allungò il braccio per attivare l’interruttore, niente luce.

    Vedendo delle sagome muoversi fece un passo verso l’interno, attese qualche secondo affinché gli occhi si abituassero e chiamò di nuovo:

      Isaia, sei tu? Rispondi! Pietro? Isaia? Matteo, Giacomo! Niente scherzi!

    Distinse uno sciame di punti rossi muoversi velocemente e disporsi ai lati del camminamento Fece un passo all’interno:

    Chi ? … ma, cosa?

    L’accolsero due file di denti enormi.

    Seduto sul retro del Suv Angelo lesse con attenzione il rapporto e le prime valutazioni Ma i nomi e le informazioni riportate non gli dicevano niente, se non che erano una famiglia e dei lavoratori onesti Quelle persone, imprenditori e lavoranti di un’intera azienda agricola si erano come dissolti.

      Passi per uno o due, tre, ma dieci persone, svanite.

    Smise di leggere quando arrivarono i suoi collaboratori con un’auto di servizio; impartì disposizioni ad un militare, perché lo avvertissero in caso di novità; fece un segno all’autista e partì per raggiungere la casa a Cà Gallo dove era atteso dalla famiglia Da un po’ il lavoro richiedeva sempre più energie, divenendo più insidioso e pieno di cattive sorprese Non ebbe un buon presentimento.

    Setacciarono l’azienda e cercarono le tracce nei dintorni per giorni, scavarono nelle loro vite alla ricerca di un qualunque indizio ne certificasse l’esistenza in vita o la morte; ma a parte un po’ di sangue qua e là, niente Vaporizzati.

    2

    Gobbi.

    San Giovanni è un bel paesotto medievale protetto da alte e spesse mura Al centro un fortino coi tetti colore rosso antico, sormontati da comignoli di mattoni e segnavento Addirittura, anche sotto terra è bello, da quando un’amministrazione comunale illuminò le antiche cisterne, ex depositi sotterranei che è possibile ammirare da grandi oblò trasparenti a filo marciapiede.

    Le mura sono lambite dal rio Marignano e da aiuole variopinte, con sempreverdi, oleandri, margherite e pruni vaporosi Di tanto in tanto appare un gelso o un cedro rosso ben potato, ortensie, gladioli e folti ciuffi di mimose.

    Sui balconi e i davanzali le campanule danzano, sulle pareti le edere fremono, e nei cortili i salici ondeggiano, piangono fra ciliegi frondosi I gatti cacciano i pennuti d’ogni specie e a loro volta fuggono dai cani, che sporcano le piazze e i parchi attrezzati, sfiorando i bambini, vocianti, stancanti, inseguiti da tate, genitori, all’ennesima marachella, coi visi disperati e rochi per le sgolate.

    Un idillio, funestato da un però grande grande, direi gigante Se qualcuno chiedesse di come si sta a San Giovanni, di com’è vivere là, anche un bambino che lo sa’, dirà, guardando l’orologio della torre campanara: 

    È  bello vivere qui, però a San Giovanni MORDONO!

    No, non è solo per dire, i mostri ci sono: Spaventevoli, somigliano un poco agli umani, però sono diversi da qualunque forma di vita conosciuta.

    Apparvero improvvisamente, aggredendo, sbranando, divorando, rapendo qualunque malcapitato al tramonto: Un incubo.

    Una specie carnivora originata non si sa’ dove o come; nemici degli uomini e contro ogni cosa originata dagli uomini Gli abitanti del borgo rimpiangono i bei tempi, quando uscendo di sera a passeggio o per qualsivoglia motivo, non si era certi di morire.

    Detti signori appaiono a loro agio solo al crepuscolo, di notte e in volo; perché nelle rare occasioni in cui sono stati visti a terra, camminano gobbi, mostrando di non essere abituati ad usar le gambe Così il sopranome dato di fretta: Gobbi.

    Ma a molti il nome parve troppo all’italiana, tanto da renderli quasi simpatici e familiari L’alternativa la trovò un appassionato di cinema degli anni novecento-sessanta La trasse dal titolo di un Kolossal del sessantatre, Ercole contro Moloch Lo propose per scherzo in un bar, il resto lo fece l’attitudine logorroica dei clienti Così cammin parlando il nome piacque e cominciarono a chiamarli anche Moloch.

    Codesti esseri scuri e svolazzanti escono al finir del giorno a caccia di cibo a far strazio degli abitanti.

    Però appaiono ancora acerbi, mentre saggiano le regole d’ingaggio e le tattiche della caccia, intenti come sono a far conoscenza del territorio e delle prede Sovente il cacciatore oppresso dalla sete e la fame sbaglia mira o soggetto e velocemente impatta duro; maciullato e rintronato, cade e resta in attesa di ricomporre la forma originale Quindi s’alza malconcio e rientra a piedi e appena può in volo verso la tana.

    La prassi è questa: Avvistato il malcapitato, il mostro sghignazza e aumenta l’andatura immaginandolo fra denti e artigli; ma quando s’accorge della cantonata è tardi, lancia un verso grave e sbigottito. Dalle case s’ode un sibilio, poi un rumore sordo e infine un tonfo La scusa della capitolazione è sempre quella, la luna calante, la nebbia fluente e la distrazione inerente Quindi, prima dell’alba è possibile trovare qua o là, un po’ di Moloch piantati a terra come cespi; ammollati in un canale; attorcigliati su un tronco d’albero; spalmati su uno scivolo dell’asilo, raspati sull’asfalto o appesi per le gambe a qualsivoglia oggetto orizzontale.

    Dopo l’incidente attendono quanto basta perché avvenga la ricomposizione d’ogni parte rotta, maciullata, strappata, mozzata, quindi fuggono all’incombere del sole il loro primo nemico dissolutore.

    Sui pali bassi, gli alberi, le vecchie cassette dell’Ente Poste, un pluviale di metallo, la mattina è possibile vedere, oltre agli effetti dell’impatto, grossi fori ad arco e per terra sparsi qua e là, tanti denti color argento come sassi.

    Questo nonostante la pubblicazione del divieto emesso per decreto contro ogni schiamazzo, il danneggiamento della cosa pubblica e la minaccia di sanzioni affisso su porte e mura, le bacheche di tutta la città Un’ordinanza in teoria condivisa, ma comprensibilmente, obbiettivamente inutile; i vigili urbani, i poliziotti, tantomeno i cittadini, poveretti non s’azzardano di uscire di notte per farla rispettare.

    3

    Elia e Eliseo.

    Come tutti gli altri Moloch, Elia era un gran cacciatore e ogni notte usciva in ricognizione con Eliseo, anche lui tipo in gamba, abitante della stessa tana – perché questo è il nome per convenzione del luogo di riposo, rifugio dei signori della notte.

    I due erano gemelli Quando uno, con cigolii e polvere, scoperchiava la cassa, l’altro lo stesso; se uno usciva a fil di tramonto, l’altro lo stesso; se uno circonvolava in su o in giù, l’altro lo stesso e così via dicendo e facendo, cacciando in compagnia per tutta la notte, spartendo le prede e quando andava male, condividendo i digiuni.

    Una mattina, molto presto, oltre al buio c’era una densa foschia; quando nel quartierino s’udì un doppio tonfo preceduto da delle quasi urla in coro Un grosso palo luce di ferro s’inclinò, presentando nella circonferenza fori e denti conficcati Alla base tanti frammenti di un materiale simile al metallo.

    I corpi di Elia ed Eliseo caddero uno sopra l’altro e rimasero lì per un bel pezzo in una posizione, diremmo un po’ contorta, e per i parametri umani come minimo, scomoda Chi dopo l’impatto s’alzò per primo, dopo aver raddrizzato il collo e la gamba piegata all’insù a novanta, vedendo l’altro ancora steso e rotto, perché non svanisse al sole, se lo caricò in spalla e volò in direzione della tana.

    La notte appresso uscirono stirati a nuovo; questa volta facendo più attenzione ed evitando inutili volteggi Ma pur se sazi e intatti, inaudito, rientrarono insoddisfatti.

    In loro qualcosa era cambiato, affioravano desideri strani e sensazioni insolite per un signore della notte; inesprimibili concetti gridavano ai loro sensi, sollazzando le papille, rigenerando immemori profumi e sapori - ma della memoria e dei sapori, i profumi, loro, non ne erano esentati?

    La notte successiva i due Gobbi decisero di far tardi, di non rincasare e intrattenersi di fronte a certi posti che qualche ora prima consideravano zero come altri Con una voglia irresistibile che scalpitava in quei testoni fecero tappa su un tetto scuro, acquattati dietro un muro, ipnotizzati dietro un parapetto; e strisciando fino una colonnina del rifornimento, spiavano.

      Si, avete letto bene.

    Spiavano arrapati, attratti dalle bocche dei clienti nel bar pasticceria di Via Veneto.

    Mezz’ora dopo, saltello dopo saltello, dal monumento arrivarono in via Roma mimetizzati fra i cespugli, acquattati dentro un tombino; traguardavano nell’altro bar gli avventori del primo mattino.

    La bocca produsse in abbondanza qualcosa come l’acquolina, che colò sul collo tutto nervi Pur se reduci dal truce pasto, fremevano a veder l’azzanno di un bombolone caldo, allo sprizzar di crema pasticcera sulle dita, lo sbuffar di zucchero a velo, al goloso sfrigolio del cornetto caldo dolce e

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