Chi te l'ha detto?: I rumors da Polifemo al web
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Anteprima del libro
Chi te l'ha detto? - Marina D'Agati
Ringraziamenti
Introduzione
Firenze, 27 ottobre 1954, h. 15:00. In un Paese che gioca al Totocalcio e che ha da poco visto nascere la televisione, in cui Trieste ritorna a essere italiana dopo un complicato contenzioso diplomatico, che sogna ascoltando Ma quando di Claudio Villa e Tutte le mamme del mondo di Gino Latilla ma ammicca, come ne l’Americano a Roma, agli States in cui sta nascendo il mito di Elvis Presley, al Comunale di Firenze (oggi l’Artemio Franchi) circa dodicimila persone aspettano il calcio d’inizio del derby toscano Pistoiese ‒ Fiorentina. La prima milita in quarta serie, la seconda nella massima. Non si tratta, in verità, di una gara di cartello: è una partita amichevole del Campionato De Martino, competizione per riserve e giovani che oggi non esiste più. La Fiorentina, che nella stagione successiva vincerà il suo primo scudetto, è quella delle grandi occasioni: ha schierato tutti i suoi titolari, lasciando in panchina le riserve.
L’arbitro fischia. Inizia l’incontro. Il pubblico tra gli spalti è concentrato a seguire le azioni dei propri beniamini. Tutto a un tratto qualcuno inizia a rumoreggiare. No, non per l’agonismo dei ventidue in campo: qualcosa sta volteggiando sul cielo del Comunale. Numerosi oggetti volanti (chi dice a forma di dischi bianchi e lucenti, chi li vede a forma di goccia, chi di ali d’aquila, chi di sigaro o di cappello da mandarino cinese (D’Isa & Salimbeni 2015), chi di palle luccicanti) stanno eseguendo complicate acrobazie, sfrecciando a folle velocità. Il tutto dura circa un quarto d’ora. Poi, una strana sostanza biancastra inizia a cadere dal cielo. C’è chi dice che è neve, chi bambagia vetrosa i cui fiocchi si sciolgono e si dissolvono a contatto con le mani o non appena toccano il suolo, chi filamenti simili a ragnatele battezzati per l’occasione capelli d’angelo
, chi batuffoli gelatinosi e chi sfilacci appiccicosi di lana, chi materiale radioattivo. Distratti anche i ventidue giocatori in campo, poco prima dell’intervallo l’arbitro decide di interrompere la partita.
Poi, improvvisamente, tutto ritorna alla normalità. La partita riprende, la Fiorentina vince per 6-2 e si va tutti a casa. Eppure, il ricordo di quei momenti resta vivo. Nei giorni successivi non si parla d’altro: del disco o dei dischi, non si sa bene, e della strana nevicata. Anche i giornali danno risalto ai fatti di Firenze. Filamenti di vetro cadono su città toscane dopo il passaggio di globi e dischi volanti
titola «La Nazione»; Clamorosa apparizione di un disco nel cielo dello stadio di Firenze
si legge ne «l’Unità», mentre poco più in basso si apprende del divorzio di Marilyn Monroe da Joe Di Maggio (si veda, al riguardo, la Figura 2.1).
La storia e le sue numerose varianti (i dischi ora diventano missili ora biglie lucenti, e la sostanza biancastra ora bava degli alieni ora una grossa ragnatela giunta sulla terra da un pianeta lontano non si sa bene come e via dicendo) approdano sui tavolini dei bar, nelle botteghe dei barbieri, nei mercati. Voci e congetture si moltiplicano e si diffondono rapidamente. Come «si è trattato di un’esplosione atomica», «siamo stati invasi dai marziani», «a Firenze si è svolto un congresso di ufo», e ancora «siamo stati attaccati dall’Unione Sovietica» o «hanno fatto un esperimento nucleare». La voce più accreditata è, però, quella dell’invasione degli ufo.
Gli extraterrestri sorvolano dunque il cielo di Firenze per invadere la città o magari attaccarla ma poi, all’ultimo momento, cambiano idea. Di cosa si tratta? Di suggestione collettiva? Di una leggenda metropolitana? Di una diceria? Di un altro Caso Roswell
?¹ Di una bravata, come quella di Orson Welles ne La guerra dei mondi (The War of the Worlds)²? O forse è stato proprio quel pazzo racconto, rimasto impresso nella memoria di alcuni fiorentini, a fornir loro l’ispirazione in un pasticcio di finzione e realtà?
Non sappiamo con certezza cosa sia realmente accaduto a Firenze quel 27 ottobre 1954. Eppure, al di là dell’autenticità o meno dell’evento, la diffusione di voci, notizie e supposizioni di ogni genere su quanto accaduto ha fissato nella memoria collettiva l’episodio fiorentino. Tant’è che ancora oggi, a distanza di oltre sessant’anni, qualcuno ricorda ancora quel pomeriggio in cui gli ufo fermarono per qualche minuto l’incontro di calcio al Comunale di Firenze³. Come il signor Carlo, all’epoca appena undicenne: «un mio vicino di casa mi aveva detto che un amico di suo cugino aveva visto alcune sfere nel cielo e subito dopo cadere della lana di vetro appiccicaticcia. Si dice che fossero ufo venuti dallo spazio, ma per far cosa non si sa».
Sappiamo inoltre che le voci riguardanti avvistamenti di ufo da quel momento si moltiplicarono in Italia e fuori dai confini nazionali con un effetto domino⁴. Chiameremo queste voci, rumors o rumeurs. Nel linguaggio quotidiano, esse indicano generalmente un’informazione non verificata o non confermata in maniera ufficiale che può riguardare un tema di interesse pubblico e che si diffonde da persona a persona (Minestroni 2012).
Il concetto di rumor sembra condividere lo stesso destino del termine gioco
, cui in questi anni abbiamo dedicato diversi contributi. Spesso considerati fenomeni sociali banali e marginali, la loro rilevanza è stata sottovalutata o fraintesa dalle scienze sociali. Un’attitudine sottolineata dagli stessi usi linguistici. Quando si dice «faccio sul serio, non per gioco» (D’Agati 2004) si vuole mettere in evidenza che giocare è un’attività contrapposta al serio, relegandola magari nell’età dell’infanzia (D’Agati 2015; 2016). Analogamente quando si afferma «è solo un rumor» si tende a evidenziare la fragilità di un’informazione o la sua natura inattendibile. Questa connotazione di valore negativa è spesso valsa al rumor l’etichetta di comportamento collettivo, nel senso di un susseguirsi incontrollato di voci che dà vita a comportamenti fortemente emotivi e irrazionali, considerati tipici delle folle (Le Bon 1895; Gallino 2006).
Non riteniamo che i rumor siano solo notizie fragili non confermate da fonti ufficiali pensiamo al contrario, con Aldrin (2005), che essi vadano presi sul serio, trattandoli cioè come un fenomeno sociale e non come voci insignificanti prodotte da una collettività irrazionale.
Il libro si compone di quattro capitoli, più l’introduzione che stiamo leggendo. Il primo capitolo è dedicato ad alcune considerazioni sull’etimologia e i significati del termine francese rumeur (che è femminile), preferito nella prima parte del volume ai vocaboli italiani diceria/voce
o quello inglese rumour (negli US scritto rumor, come l’originale latino). Le ragioni di questa decisione vanno ricercate anzitutto nell’articolazione sonora della pronuncia francese che, a giudizio di chi scrive, rende in maniera efficace l’idea di una notizia che si allunga sfumandosi e deformandosi man mano che circola fino a evaporare, dissolvendosi, come la vistosa scia bianca lasciata dietro di sé dall’aereo, che pian piano si dirada per poi svanire del tutto.
Il secondo capitolo si sofferma sui significati, controversi in alcuni casi, del termine rumor.
Il terzo capitolo prende in esame i più importanti approcci al tema dei rumors. Da un punto di vista scientifico quello di rumor è un concetto recente. Solo all’inizio del XX secolo (Stern 1902; Kirkpatrick 1932), infatti, si segnalano i primi lavori su questo tema. Sarà tuttavia durante la seconda guerra mondiale che lo studio dei rumors conoscerà un forte impulso grazie ai contributi degli psicologi statunitensi Knapp (1944), F. H. Allport e Lepkin (1945) e G. W. Allport e Postman (1945; 1946/1947; 1947). Questo campo di ricerca si è poi esteso con i lavori sociologici di Shibutani (1966), Morin (1969), o di Campion-Vincent e Renard (2002a; 2002b) sotto un’altra denominazione, quella delle leggende urbane, e con quelli di Froissart (2001; 2007), di Aldrin (2005; 2010), e di Rouquette (1975; 1989; 1994).
Il quarto capitolo, infine, si sofferma sulle principali classificazioni dei rumors.
Il testo è volutamente privo di conclusioni. Riteniamo che sui rumors ci sia ancora molto da dire. Non c’è fumo senza arrosto infatti…
Parigi-Brest, 29 settembre 2017
Nota dell’editore
Per nostra norma editoriale solitamente non decliniamo al plurale i forestierismi. Tuttavia in questo volume ci sembra più coerente seguire l’uso comune dei termini rumor
e rumors
, utilizzati sia al plurale sia al singolare tanto nel linguaggio specialistico, che in quello giornalistico o quotidiano. Per la stessa ragione, non metteremo in corsivo il termine rumor, così come quelli simili (rumeur, etc.). Per gli altri termini, invece, queste norme vengono rispettate.
¹ Il 2 luglio del 1947, agli albori della Guerra Fredda, qualcosa cadde dal cielo nel deserto del Nuovo Messico, a un centinaio di chilometri dalla cittadina di Roswell. Alcuni detriti recuperati da un abitante della zona generarono svariate voci secondo le quali quel materiale appartenesse a un disco volante alieno schiantatosi nel deserto (Pinotti 2016).
² Si tratta dell’adattamento radiofonico dell’omonimo romanzo di genere fantascientifico di H. G. Wells, trasmesso dalla CBS il 30 ottobre 1938 alle ore 20. Il programma, diretto e interpretato da un giovane Orson Welles, annunciò e descrisse in modo estremamente realistico lo sbarco dei marziani sulla terra, scatenando il panico in molte zone degli Stati Uniti.
³ Alla notizia è stato dato risalto a più riprese dalla BBC. Cfr. Padula (2013; 2014).
⁴ Si registrarono ad esempio in altre zone della Toscana e a Gela in Sicilia (Pinotti 2016).
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