Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Le Origini Occulte della Musica: Il sentiero oscuro, da Mozart agli anni 70 - Volume 1
Le Origini Occulte della Musica: Il sentiero oscuro, da Mozart agli anni 70 - Volume 1
Le Origini Occulte della Musica: Il sentiero oscuro, da Mozart agli anni 70 - Volume 1
E-book572 pagine7 ore

Le Origini Occulte della Musica: Il sentiero oscuro, da Mozart agli anni 70 - Volume 1

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

La prima raccolta completa di documenti, interviste, aneddoti, foto e retroscena: dalla musica classica al Rock Psichedelico, dall’Heavy Metal all’Hip Hop.

La musica di oggi è veloce, frenetica, martellante. I videoclip sempre più cupi, sensuali e ipnotici, ricchi di simboli che si susseguono in modo ripetitivo e misterioso e di cui ci sfugge il vero significato.

 testi alludono senza censure al consumo di droghe, al sesso, alla morte e al controllo mentale. Numerosi cantautori parlano di sdoppiamento ed evocano patti con “potenze superiori” mentre dilaga la moda tra i più giovani di individuare dei nessi con l’occultismo e i Gruppi di Potere.
  • Quando nasce questa tendenza? Quanto c’è di vero nelle suggestioni di massa?
  • Fino a che punto siamo sedotti dalla potenza della musica?
  • Quale effetto hanno su di noi le frequenze delle note?
  • Perché si parla sempre più spesso di manipolazione mentale nel campo della musica?
Dall’autrice di N.W.O. NEW WORLD ORDER, il primo volume di una trilogia dedicata al lato occulto della musica: l’ossessione delle star per la magia sessuale, l’esoterismo, il satanismo, il voodoo, gli psichedelici, la neostregoneria, il paganesimo, gli UFO. Il mistero dietro i simboli degli album e dei videoclip, il segreto nascosto nei testi e i messaggi subliminali delle canzoni. E ancora, il potere vibratorio delle note, le frequenze dannose per la nostra salute e i suoni utilizzati come suggestione subconscia.

Luci e ombre della musica: culti e follie delle band degli anni Sessanta e Settanta, tra morti misteriose e omicidi insoluti.

In questo volume: Elvis Presley, Beatles, Rolling Stones, Brian Jones, Pink Floyd, Syd Barrett, ABBA, The Doors, Frank Zappa, Brian Eno, David Bowie, Velvet Undergroud, Lou Reed, Jimmy Page, Emerson Like & Palmer, Robert Fripp, Grateful Dead, PFM, Goblin, Genesis-P-Orridge, Elton John, Jimi Hendrix, Bob Dylan, Elvis Presley, Yoko Ono, Peaches Geldolf… e molti altri ancora
LinguaItaliano
Data di uscita4 giu 2021
ISBN9788898829378
Le Origini Occulte della Musica: Il sentiero oscuro, da Mozart agli anni 70 - Volume 1

Leggi altro di Enrica Perucchietti

Correlato a Le Origini Occulte della Musica

Ebook correlati

Musica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Le Origini Occulte della Musica

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Le Origini Occulte della Musica - Enrica Perucchietti

    Roma.

    1

    L’autodistruzione di una stella

    «Loro sono le stelle, stanno morendo per te

    Ma spero che vivano per sempre

    Ti bruciano con i loro sorrisi radiosi

    Ti incastrano coi loro splendidi occhi

    Sono rotte e disonorate o ubriache o impaurite

    Ma spero che vivano per sempre».

    David Bowie

    «Il sacrificio cruento è la parte principale della Magia […]

    Il sangue è la vita».

    Aleister Crowley

    «Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla follia, affamate nude isteriche, trascinarsi nei quartieri negri all’alba in cerca di un sollievo astioso, alternativi dalle teste d’angelo in fiamme per l’antica celeste connessione con la dinamo stellata nel meccanismo della notte che in povertà e stracci e occhi vuoti e fatti sedevano fumando nell’oscurità soprannaturale di appartamenti con acqua fredda galleggianti tra le cime delle città contemplando il jazz».

    È il 7 ottobre 1955 quando, alla Six Gallery di San Francisco, il giovane poeta Allen Ginsberg recita per la prima volta in pubblico queste parole, incipit di quello che diventerà il manifesto poetico dell’intera cultura Beat americana: Howl (Urlo). Nel suo ululato lacerante, freddo, sfacciato e disperato risiedono gran parte delle esperienze giovanili dell’autore e tutta la forza immaginifica della sua forma poetica che lo avrebbe condotto – insieme all’editore Lawrence Ferlinghetti – a un processo per oscenità. Tra le righe del poema dedicato allo scrittore dadaista Carl Solomon, conosciuto durante il periodo di reclusione presso l’ospedale psichiatrico di Rockland, pulsano i richiami all’amicizia con Jack Kerouac, William S. Burroughs, Gregory Corso, Neal Cassady, l’omicidio di David Kammerer da parte del brillante genio autodistruttivo Lucien Carr.

    Le migliori menti della generazione Beat avrebbero influenzato non solo l’arte e la letteratura di quegli anni, ma l’intera società, infondendo quel senso di ribellione, anarchia, rivendicazione, libertà e nichilismo che ardevano sotto le ceneri della cultura borghese. Avrebbero abbracciato la rivoluzione psichedelica con il suo uso e abuso collettivo di droghe, la ricerca dell’Assoluto nella filosofia orientale, le stranezze zen. Avrebbero ispirato quegli artisti che come Mia Farrow, i Beach Boys o i Beatles avrebbero cercato una risposta ai propri tormenti interiori in un ashram in India. Avrebbero sdoganato per la prima volta il riferimento esplicito al sesso e all’omosessualità, scardinando definitivamente il vecchio ingessato sistema per conseguire qualcosa – in apparenza – di nuovo e libero.

    Ciò trapelava nella nuova visione ("New Vision") che era stata codificata dal giornalista statunitense Lucien Carr – membro determinante del Circolo della Beat Generation alla Columbia University negli anni Quaranta –, una tesi riciclata dai Trascendentalisti americani e dai bohémien parigini – a loro volta ispiratisi al filosofo Ralph Waldo Emerson – che avevano fissato i punti della ribellione creativa dei Beats:

    1. la nuda espressione di sé è il seme della creatività;

    2. la coscienza dell’artista è ampliata dallo sconvolgimento dei sensi;

    3. l’arte non è soggetta alla morale convenzionale.

    Questo Rinascimento decadente e anarchico avrebbe influenzato profondamente tutti i rami della società, destando scandalo tra gli adulti e corrompendo i giovani. La morale borghese, le restrizioni sociali e le leggi non sarebbero bastate per porre un freno a una vera e propria rivoluzione dei costumi, del sentire, dell’uomo stesso. Una rivoluzione sociale e antropologica che – come vedremo – sarebbe stata anche strumentalizzata dai servizi segreti per manipolare e controllare le masse ed evitare che il fermento giovanile degenerasse in rivolte violente.

    Aspetto poco indagato è l’interesse che i padri della Beat Generation nutrivano nei confronti della psicologia del profondo e della magia: sono note infatti le ossessioni di Burroughs per l’occultismo, la telepatia e il paranormale, o i viaggi in Perù per provare la droga delle droghe, lo yagé (l’Ayahuasca, la bevanda sacra degli sciamani andini), infine la Magia del Chaos, da cui sarebbe conseguita l’iniziazione nel 1993 presso gli Illuminati di Thanateros (IOT)³.

    Queste ossessioni avrebbero turbato e influenzato altri artisti, quali registi, attori, pittori e musicisti. Se ne trovano tracce ovunque: basta scavare ed emergono riferimenti, qualche volta assai espliciti, in autori insospettabili.

    Seguendo le orme dei profeti della rivoluzione psichedelica⁴ – come Timothy Leary e Terence McKenna – anche Burroughs sarebbe approdato al neopaganesimo (tramite la Chaos Magic), apprezzando in tempi ancora non sospetti i traguardi che avrebbe potuto offrire la tecnologia digitale con i suoi paradisi artificiali, alternativi e più duraturi di quelli psicotropi⁵. La dimensione del sogno vagheggiata da Leary e McKenna sarebbe presto stata a portata di mano di tutti, senza le controindicazioni dei trip da psichedelici: la condivisione collettiva delle droghe, tanto cara agli hippie, sarebbe però collassata su di sé, rendendo gli psiconauti dei solitari alle prese con ben altre diavolerie, quelle tecnologiche, che al di là dei proclami di connessione costante in rete, dividono e isolano l’utente rischiando di renderlo un disadattato.

    Il paroliere di Elton John, in The Rocket Man, avrebbe biasimato questa deriva che sentiva imminente, descrivendo un uomorazzo solo e sperduto nello spazio siderale, prigioniero di una società ipertecnologica. L’ispirazione gli era venuta percorrendo in macchina un tratto di strada verso casa. Si era affacciato e aveva iniziato a contemplare il cielo stellato, quel cielo che dalla fine degli anni Sessanta era stato violato dalle prime esplorazioni spaziali.

    Altri colleghi avevano abbracciato questa nuova era tecnologica: sfuggiva loro la lacerante malinconia che Taupin aveva provato contemplando le stelle. Quelle stesse stelle che avevano ispirato, migliaia di anni prima, i primi filosofi greci a interrogarsi sul senso dell’esistenza umana.

    Alcuni critici hanno voluto vedere in questa canzone anche un riferimento alla solitudine che affliggerebbe gli artisti, prigionieri di un mondo all’apparenza dorato che nasconde, in realtà, più insidie che benefici. Ne deriva un senso di oppressione che può degenerare in vere forme di paranoia – ben note a David Bowie e a John Lennon – e il conseguente bisogno di evasione.

    Come si può fuggire però da una prigione dorata, quando tutti all’esterno sognano di entrarci, di essere al tuo posto? Quando la tua solitudine viene interpretata come mancanza di riconoscenza, debolezza, follia? Alcune stelle resistono, alcune impazziscono e abbracciano la morte, la maggior parte sceglie la strada delle droghe. È il richiamo dell’autodistruzione.

    Lo stordimento dei sensi era anche un punto imprescindibile della nuova visione della Beat Generation per raggiungere l’allargamento della coscienza e oltrepassare le cosiddette porte della percezione cantate dal poeta William Blake. Anche i Beatles, durante il periodo di eccessi, abbracciarono gli acidi come forma di evasione ma anche come mezzo per amplificare la propria percezione.

    Dopotutto ogni epoca ha avuto la sua droga. Ogni società ha privilegiato un mezzo naturale o sintetico per creare paradisi sintetici, annegare il dolore o cercare vie dirette a Dio. In età moderna poeti, scrittori e artisti hanno cantato le visioni che l’oppio o il laudano procuravano loro. Poi è venuto il turno dell’assenzio: la Fatina verde dispensava visioni ed euforia ai suoi fedeli amanti. Pittori e poeti ne hanno cantato le doti, mettendo su carta o immortalando su tela le visioni che l’assenzio donava.

    Gli anni Sessanta hanno avuto l’LSD: l’acido lisergico ha completamente rivoluzionato le abitudini e il modo di pensare di intere generazioni, offrendo «l’illusione della trascendenza chimica⁶» a portata di tutti. Una scorciatoia per accedere velocemente all’Uno-Tutto e fondersi con esso, senza bisogno di riti o religioni. Almeno così pensavano gli psiconauti e i menestrelli di quell’epoca.

    Qualche anno prima ci aveva provato la psilocibina a offrire un contatto diretto col divino in forma democratica: per cogliere e assaggiare i funghetti magici, infatti, non era necessario compiere un lungo e tortuoso viaggio nelle foreste amazzoniche a dorso di mulo, bastava uscire in giardino dopo una pioggia abbondante, addentarne uno e attenderne gli effetti.

    Poi venne la mescalina e il suo guru per eccellenza, il romanziere inglese Aldous Huxley che, riprendendo una celebre poesia di Blake, intitolò il suo saggio sugli psichedelici Le porte della percezione. Jim Morrison, appassionato come vedremo di allucinogeni, sciamanesimo ed esoterismo, si sarebbe ispirato al libro di Huxley prendendo in prestito il termine "Doors (Porte") per battezzare la sua band. Nascevano così i Doors.

    Vi furono poi gli esponenti dell’esoterismo e della magia del Novecento, da Aleister Crowley a René Daumal, che abbracciarono la strada degli psichedelici per accedere ai piani di esistenza, eludendo così quella pratica rituale tradizionale che imponeva pazienza, regole estenuanti e soprattutto tempo. Dopotutto in molti condividevano la massima di Burroughs, secondo cui «ciò che può essere raggiunto con mezzi chimici, può essere raggiunto anche con mezzi non-chimici»: certo è che ci vogliono costanza e fatica, come dimostrato dal neuroscienziato statunitense John Lilly con la sua vasca di deprivazione sensoriale. Così gli occultisti si illusero di poter evitare quei duri esercizi spirituali che avevano appreso magari in Oriente o presso le società segrete del tempo. E alcuni geni della Magia presto dovettero soccombere alle insidie seduttrici dell’eroina e della morfina.

    Capostipite di questa moda fu ancora una volta il mago Aleister Crowley, autoproclamatosi la Grande Bestia 666, – vera e propria icona per l’arte, la musica e la psichedelia dei decenni successivi – che s’interrogò sulla possibilità di accedere agli stati di estasi che aveva conseguito in Oriente con la pratica dello yoga sostituendoli con un mezzo farmacologico. L’irruenza e la passione di Crowley sono note. Se esisteva un mezzo chimico o elettrico per indurre velocemente il samâdhi⁷ si sarebbero potuti risparmiare tempo, energie e fatica:

    «La morfina rende l’uomo santo e felice, ma in modo negativo; perché non dovrebbe esserci una qualche droga che sia in grado di produrre l’equivalente in positivo? Il mistico rimarrà senza fiato per l’orrore, ma non è necessario prestargli attenzione. È lui che insulta la natura postulando una discontinuità nei suoi processi».

    Anche Burroughs e Ginsberg erano coscienti, così come lo era stato Crowley, che le droghe in sé

    «non sono molto importanti. Hanno il loro ruolo: è una via più corta per arrivare, al contrario di altre. Ma sarebbe ottimistico credere che le droghe possano produrre da sole una trasformazione radicale delle coscienze⁸».

    Chaos Magic e sciamani metropolitani

    Le droghe possono fornire una scorciatoia lungo il sentiero della magia o per il conseguimento della trance mistica. Ma sono e rimangono un mezzo. Non è un caso che il sacerdote dell’LSD, Timothy Leary, prima di approdare al cyberpunk fosse ossessionato dalla figura di Crowley e dalla Sex Magick.

    Lo psicologo americano, dopo essere stato iniziato da Andy Warhol alla magia sessuale, giunse alla convinzione di essere la reincarnazione del Mago inglese e di doverne proseguire l’opera, convinzione che non nascose e di cui anzi parlò apertamente anche in interviste televisive.

    Lo studioso di occultismo Robert Anton Wilson nel suo Sex, Drugs & Magick racconta che Leary ebbe un’illuminazione mentre stava usando il mazzo di tarocchi disegnato dalla Grande Bestia. Egli comprese di essere

    «Crowley rinato per completare la sua opera e preparare l’umanità alla coscienza cosmica […]. Le coincidenze-sincronicità tra la mia vita e la Sua sono imbarazzanti».

    L’ossessione per Crowley e la magia sessuale avrebbero influenzato profondamente anche i più grandi musicisti del Novecento, da John Lennon a Jimmy Page, da Jim Morrison a Frank Zappa. Alcuni artisti – come lo stesso Morrison – si sarebbero visti come dei moderni sciamani. Mutano le tradizioni, le culture, le mode, persino le tecniche dell’estasi, ma sopravvive l’idea di poter viaggiare attraverso i mondi, dialogare con gli spiriti e raggiungere l’estasi.

    Gli anni Settanta battezzarono una nuova epoca ("New Age") contraddistinta dal caos laddove prima c’era stato l’ordine. La confusione divenne di moda (Bob Dylan sentenziò: «Io accetto il caos ma non sono sicuro che lui accetti me») ispirando il genere punk, e convogliando le proprie influenze nel postmodernismo e nella Transavanguardia.

    Queste tendenze influenzarono anche la magia, fino a quel momento dominata da un ferreo rigore che si dipanava – come la massoneria – in logge, gradi, sistemi, rigide dottrine. Scrive il ricercatore Francesco Dimitri:

    «L’Universo del mago non era troppo dissimile da quello dello scienziato: un’immensa e precisa macchina di cui esplorare gli ingranaggi. Per farlo era necessario utilizzare rituali antichi e rispettati, e quanto più antichi tanto più erano rispettati […]. La magia però non è un’entità al di fuori della Storia. Come ogni altro prodotto del pensiero umano, muta con il mutare delle epoche e delle culture⁹».

    Così, nel momento in cui il disordine e l’anarchia si affacciano con prepotenza nella nuova società, anche la magia muta, scardinando gli antichi rigori e aprendosi a influenze nuove e irriverenti. Il rifiuto di qualunque forma di dogmatismo diventa la parola chiave delle nuove correnti magiche, così la magia si fa punk. Alla fine degli anni Settanta, Peter Carrol e Ray Sherwin, insieme ai padrini della SNS (Stoke Newington Sorcerers) danno vita alla Chaos Magic,

    «un nuovo approccio alla magia davvero rivoluzionario, la cui influenza è ancora forte tanto nel Neopaganesimo quanto in alcune frange della cultura pop.

    Le teorie dei Maghi del Chaos sono un’esplicita estremizzazione di quelle di Crowley, filtrate attraverso molte altre fonti. Le riassume perfettamente uno dei loro motti: NOTHING IS TRUE, EVERYTHING IS PERMITTED, niente è vero, tutto è permesso, attribuito a Hasan-i Sabah, fondatore della setta degli "ashashin". Un praticante della magia del chaos non crede nell’esistenza di alcuna verità superiore: piuttosto gioca allegramente con tutte le verità offerte dai reality tunnels più vari¹⁰»,

    riconoscendo così una malleabilità delle credenze che vengono usate in modo libero per l’azione magica. I praticanti non cercano più di dare una forma coerente in rapporto ai vari sistemi a cui si ispirano nelle loro esperienze ed è per questo motivo che ricorrono anche ad autori provenienti dalla letteratura e dallo spettacolo, pescando così in H. P. Lovecraft oppure nelle serie televisive gotiche e horror action, come Buffy – The Vampire Slayer (L’ammazzavampiri) in cui l’autore e regista Joss Whedon ha dato vita a una complessa mitologia di stampo gnostico che si evolve nel corso delle sette stagioni della saga.

    Con questa rivoluzione copernicana, l’occultista può finalmente invocare qualunque tradizione di dèi, demoni, angeli o simboli – anche quelli derivati dalla narrativa – dato che il loro significato soggettivo, più che la loro reale esistenza, è vitale nel conseguimento degli obbiettivi magici. Gli immaginari dèi alieni dei Miti di Cthulhu sono così tra le entità demoniache che si trovano più spesso nella letteratura della magia del Chaos.

    I primi maghi del Chaos, spiega ancora Dimitri,

    «fecero esplodere l’idea, serpeggiante in tutto il Neopaganesimo, secondo cui non esiste una realtà oggettiva. Esistono modelli, mappe, reality tunnels, ed è con quelli che interagiamo giorno dopo giorno. È possibile che ci sia anche un qualcosa oltre quei modelli, un qualcosa che resta comunque inafferrabile a meno di non averne un’esperienza mistica – ma l’esperienza deve pur sempre passare attraverso i modelli. La conseguenza è che, se l’unica realtà attingibile consiste nelle nostre illusioni, nelle mappe che noi stessi disegniamo, allora modificando le mappe modificheremo la realt๹».

    Si può intuire come un personaggio come Burroughs, ossessionato dallo scardinamento delle regole e del linguaggio (da cui la sua tecnica del cut-up¹²) sarebbe rimasto conquistato da questo nuovo orientamento magico. Con la Chaos Magic, infatti, l’occultista si fa demiurgo: è uno strutturalista che salta da un paradigma magico all’altro, senza rimanere imbrigliato in nessuna dottrina. Ma finché pratica una determinata via deve saperla dominare e piegare al proprio volere, senza la superficialità che contraddistingue invece la New Age contemporanea:

    «L’importante è che quando sceglie un paradigma, l’occultista lo viva in pieno, e ci creda del tutto: perché questo sia possibile serve un addestramento lungo e non semplice, che comporta, com’è ovvio, il rischio della schizofrenia. Se un mago del chaos sceglie di essere cabalista, deve diventare un ottimo cabalista, non può accontentarsi di un mordi-efuggi. Al limite, può anche praticare lo stesso sistema magico per tutta la vita, ed esser ugualmente caotico, finché si rende conto che quel sistema è solo una via inventata, una mappa, una realtà relativa come qualsiasi altra. La Chaos Magic è, come dice chi la pratica, un metaparadigma¹³».

    La Chaos Magic, le opere di Burroughs (tra tutte Wild Boys) e la letteratura cyberpunk avrebbero influenzato profondamente la musica degli anni Ottanta e Novanta, così come la Sex Magic e la Beat Generation avevano suggellato con il loro marchio la musica degli anni Sessanta e Settanta.

    Da questo momento in poi, appare sulla scena magico/musicale anche una nuova figura, quella dello sciamano metropolitano, che attraverso i nuovi strumenti tecnologici e le nuove droghe continua il lavoro del medicine man delle comunità tradizionali:

    «Tra le tecniche dell’estasi degli sciamani tradizionali la musica svolgeva un ruolo importante – ancora oggi in religioni estatiche, come la Santeria cubana, i ritmi ossessivi portati con le percussioni sono fondamentali per i rituali. Lo sciamano metropolitano forse non avrà enormi tamburi o un gruppo che suona per lui, ma in compenso ha a disposizione potenti strumenti magici: un walkman, stereo, drum machine, sintetizzatori, ecc. Una dance hall può trasformarsi, grazie al lavoro congiunto di immaginazione e volontà, in un tempio, un luogo sacro che permette di distaccarsi dal corpo fisico. Non tutti coloro che ballano sono sciamani, ovviamente – la differenza tra lo sciamano e il semplice raver è che quest’ultimo non è in grado di partire in astrale, di provocare a piacere e dirigere l’esperienza della trance. Inoltre lo sciamano ha sempre un motivo preciso per voler visitare gli spiriti, non lo fa per il puro gusto di farlo¹⁴».

    Nelle rete del caos sarebbero rimaste imbrigliate numerose star, tormentate dal proprio passato o inquiete per la mancata soddisfazione che il successo offriva loro. Perché se la ricerca di senso motiva la ricerca di sé, il cammino verso l’introspezione può essere sovvertito da una discesa agli inferi, scambiata con una vita di compromessi o dall’illusione che un’esistenza di fama e denaro possa sopire il vuoto insondabile che giace nell’anima di ognuno di noi. Ci si può far sedurre dalle insidie dell’oscurità per puro edonismo o per noia, per curiosità o disperazione.

    Perché solo questo vuoto, tanto profondo quanto buio e insondabile, può generare una stella danzante. La discesa nelle oscure caverne della propria psiche reca però con sé il confronto con il Dio caprino del desiderio, dell’impulso e del panico¹⁵ e comporta il rischio di farsi irretire dal suo suadente richiamo. Come spiegava il celebre psicanalista e filosofo junghiano James Hillman, «gli dèi rimossi ritornano come nucleo archetipico dei complessi sintomatici» e la figura di Pan

    «personifica per la nostra coscienza ciò che è completamente o solo naturale, il comportamento nel suo corso massimamente naturale […] un comportamento che trascende il giogo umano […] impersonale, oggettivo, inesorabile¹⁶».

    Essendo Pan «al tempo stesso distruttore e preservatore¹⁷», il comportamento istintivo e oscuro che lo caratterizza può però anche condurre alla pazzia le menti più fragili.

    Viaggio verso l’autodistruzione

    Se le star sono tormentate e insicure, fallibili e disperate, il fascino per le tenebre, gli eccessi e l’autodistruzione sono solo questione di tempo.

    Il critico musicale Philip Norman, già autore delle biografie di John Lennon e di Mick Jagger, ha ricordato come le persone equilibrate non diventino di norma celebri:

    «Per diventare ciò che definiamo una star non è sufficiente possedere un talento eccezionale in una delle varie discipline dello spettacolo; a quanto pare, è anche necessario avere dentro di sé un vuoto tanto insondabile e oscuro quanto è brillante la luce delle stelle¹⁸».

    Per sfondare ci vuole una determinazione così ferrea al limite dell’autodistruzione, del sacrificio di sé. Fu lo stesso Lennon – ormai nel 1970, in una celebre intervista per «Rolling Stone» – ad ammettere che i Beatles si erano svenduti per il successo: «Avevamo dovuto uccidere noi stessi per sfondare. E fu la fine».

    Si deve rinunciare a tutto per forgiarsi una nuova esistenza, la cui maschera può scalzare l’intima essenza dell’anima. Si deve dimostrare di avere un desiderio selvaggio di emergere, di rivalsa contro il mondo: una volontà che sappia dirigere gli eventi e orientarsi anche in mezzo alle peggiori burrasche.

    Scavando nelle biografie delle star, si rimane sorpresi dalla determinazione mostrata da molte di loro anche nei momenti più bui: come se il cammino per il successo fosse più importante di qualunque altra cosa e l’ombra del fallimento sinonimo di dannazione.

    La volontà, per Crowley, era la chiave di ogni atto magico. La magia, infatti, era definita dal mago inglese come «la Scienza e l’Arte di provocare cambiamenti in conformità con la Volontà».

    Le stelle più luminose che il Novecento e il primo decennio del secondo millennio ci hanno offerto sono state creature dotate di talento ma torturate dai demoni del passato e votate inesorabilmente all’autodistruzione; inclini agli eccessi, affamate di successo quanto dell’amore del pubblico. Incapaci di restare sole, terrorizzate dai propri demoni. Sono emerse da condizioni miserabili, hanno trascorso un’infanzia difficile e hanno giurato al mondo che ce l’avrebbero fatta.

    Sarebbero però rimaste intrappolate nell’immagine che si erano costruite per scalare il pantheon del successo: spesso, troppo spesso, il prezzo richiesto è la propria anima. L’elenco è lungo: Judy Garland, Elvis Presley, Jim Morrison, John Lennon, Kurt Cobain, Michael Jackson, Amy Winehouse, Whitney Houston. Molte di queste stelle sono state attratte come falene dalla luce che sembra rifulgere nelle tenebre, dalla discesa agli Inferi, dall’ignoto, le droghe e la magia.

    In fondo, il primo ad aver reso la propria vita uno spettacolo e aver fatto parlare di sé i tabloid e poi la storia è stato lo stesso Crowley, che da apprendista iniziato è diventato il più importante e famoso mago del Novecento, finendo però per autodistruggersi, dimenticato tra eccessi, sesso e droghe.

    Il suo nome è diventato un inaspettato modello per le generazioni successive e per quelle stesse star che hanno imbrigliato la propria volontà per divenire ricche e famose: per farcela.

    Non a tutte, però, la fama e l’affetto del pubblico è bastato per colmare quel vuoto oscuro e impenetrabile.

    Poi vi sono quelle celebrità che non hanno dovuto conquistarsi la fama con il sudore e l’autosacrificio, che non hanno dovuto riscattare un’infanzia traumatica o che addirittura hanno avuto spianata la strada verso il successo.

    Ma, anche tra queste, le vite delle stelle più fragili sono state spezzate.

    Addio Peaches

    7 aprile 2014.

    La star Peaches Geldof, figlia della giornalista Paula Yates e del celebre cantante e attivista irlandese Bob, viene trovata senza vita nella sua casa di campagna nel Kent. L’autopsia confermerà la causa del decesso: overdose di eroina.

    Emerge così un macabro parallelismo con la madre, Paula Yates, stroncata da un’overdose di eroina nel 2000 a soli 41 anni. Beffa del destino vuole che proprio quella domenica Peaches avesse twittato una foto di lei piccolina in braccio alla mamma. Come l’eroina l’aveva resa orfana a soli undici anni, così Peaches lascia due figli piccoli, Astala e Phaedra, nati dalle seconde nozze con il cantante Thomas Cohen, ex frontman della band punk-rock S.C.U.M.¹⁹.

    La sua vita è segnata, fin dall’infanzia, da quel lutto: diventa frenetica, eccessiva, tormentata e breve.

    È figlia di un mondo subdolo, in apparenza sfavillante, che ti divora. Un mondo che da un momento all’altro ti crolla addosso e ti travolge. E lei diviene vittima di quel sistema, come le tante Amy, Miley, Britney. L’intelligenza non basta per tirarsi fuori dagli ingranaggi di una macchina che macina le sue celebrità. Le alleva, le coccola, le corrompe e poi le divora, pronta per averne altre. Più giovani, più fresche, più radiose.

    Lei è intelligente, indipendente, irrequieta. Quel viso dolce dalla pelle di porcellana veste la maschera del successo. Aspira a diventare giornalista ma nel frattempo lavora come modella e conduttrice televisiva. È troppo giovane per sapere che il lavoro può solo soffocare il dolore ma non rimarginare le ferite.

    Tormentata dal fantasma della morte della madre, condivide la sintesi delle sue sofferenze in un’intervista del 7 novembre 2012 rilasciata all’edizione inglese della rivista «Elle»:

    «Ricordo il giorno in cui mia madre morì […] e per me è ancora difficile parlarne. Il giorno dopo fui costretta ad andare normalmente a scuola perché la mentalità di mio padre è: manteniamo la calma e andiamo avanti. Così, andammo tutti a scuola cercando di comportarci come se non fosse successo nulla […] ma era successo. Non provavo dolore. Non piansi ai funerali. Non ero in grado di esprimere alcun sentimento, ero completamente stordita. Solo intorno ai 16 anni ho iniziato a soffrire davvero²⁰».

    Nella vita di Peaches entrano così gli eccessi, le droghe e, infine, il fascino per l’occulto. Cerca forse una via breve per raggiungere la pace, quell’equilibrio che non ha mai avuto, avendo nascosto per anni il suo dolore dietro l’immagine della figlia perfetta prima e della giovane donna in carriera, moglie e madre poi.

    Nel 2009, dopo un’overdose e dopo essersi confrontata a lungo con Katie Holmes²¹, si avvicina alla Chiesa di Scientology e si trasferisce nel loro quartiere generale a Los Angeles. Ma come per l’ex moglie di Tom Cruise, l’infatuazione per la religione di Ron Hubbard – che sembra averle regalato un po’ di pace – dura poco²². Ne esce presto e approda a ben altro culto e di tutt’altro genere: l’O.T.O. (Ordo Templi Orientis), l’Ordine del Tempio di Oriente, un’organizzazione magica fondata da Carl Kellner e Theodor Reuss che si ispira alle pratiche e alla dottrina di Thelema professata da Crowley.

    Per molto tempo Peaches tiene nascoste queste sue passioni, poi si confessa sui social network e inizia a postare foto della sua biblioteca di testi dedicati all’occulto, alla magia e alla cabala (il suo secondo marito è ebreo). Poi è la volta del tatuaggio sul braccio destro: la scritta O.T.O. incorniciata da un cuoricino. Non è il solo: ha numerosi tatuaggi sul suo corpo, tra cui una croce rovesciata dietro al collo che stona con quel viso d’angelo incorniciato dai capelli biondi.

    Nell’aprile 2013 consiglia via twitter ai suoi fan di acquistare i libri di Crowley e di seguirne gli insegnamenti²³. Qualcuno su Twitter, riporta il tabloid inglese «Daily Mail», prova a chiederle lumi sulla sua strana scelta ma lei, con tranquillità, risponde: «Prova a leggere i suoi libri, sono molto interessanti²⁴». Questa passione per Crowley turba i famigliari: la compagna del padre, l’attrice francese Jeanne Marine, si dichiara preoccupata e speranzosa che sia soltanto un’infatuazione passeggera.

    Un anno dopo l’iniziazione, viene trovata senza vita.

    Destino vuole che anche Crowley abusasse di eroina (e in seguito di morfina), vizio che lo accompagnò per tutta la vita.

    Thelema

    L’affiliazione di Peaches all’O.T.O. non è un caso isolato. Nell’ambiente dello spettacolo Crowley è considerato una vera e propria celebrità: è stato riconosciuto dalla BBC come il 73° «più grande inglese di tutti i tempi»²⁵. Come abbiamo accennato, il suo nome è stato celebrato anche dagli hippie del movimento psichedelico e dai musicisti e artisti degli anni Sessanta e Settanta (da Jim Morrison a Mick Jagger) per poi tornare in voga tra gli esponenti della musica contemporanea (da Marilyn Manson a Robbie Williams).

    Figura controversa ma dall’innato carisma, Crowley è stato tra i principali codificatori e divulgatori delle scienze occulte nel XX secolo. Nel passato gli è stata erroneamente attribuita la fama di satanista, a causa del suo comportamento provocatorio, libertino e fuori dagli schemi morali. La Grande Bestia era infatti atea e non credeva nell’esistenza del diavolo: affermava che «il diavolo non esiste», che «non c’è altro dio che l’uomo» e che Satana è semplicemente un nome inventato dalle religioni. Il suo sistema non era quindi strettamente satanico in quanto egli considerava Satana, così come Pan o Adonai, alla stregua di simboli, delle forze che permettono all’iniziato di evocare certi poteri.

    Per Crowley il diavolo era da intendersi come una simbolizzazione del proprio ego. Così, di fatto, la filosofia di Thelema è, per certi versi, definibile come una sorta di ateismo magico che rifiuta, oltre all’esistenza di Dio, anche quella di un Satana inteso come persona²⁶. Nella magia di Crowley il riferimento a Lucifero è solo la cifra di una visione libertaria e superomista, un ideale di autodivinizzazione e di libertà assoluta dell’ego che risulterebbe accettabile, se non fosse per i riferimenti occultistici e magici, anche a un qualunque ateo-materialista di vecchio stampo. Così, ad esempio, si esprime Crowley nel suo Inno a Lucifero:

    «Non c’è altro dio che l’uomo. L’uomo ha diritto a vivere secondo la sua legge, di vivere come vuole […] di morire quando e come vuole. […] L’uomo ha diritto di amare come vuole: prenditi tutto l’amore che vuoi, quando, dove e con chi vuoi. L’uomo ha diritto a uccidere coloro che volessero negargli questi diritti ²⁷».

    In questi termini programmatici, come negare che la cultura dominante del mondo moderno non sia, nel senso più profondo del termine, impregnata di satanismo?

    Il giornalista Mario Di Giovanni osserva perplesso:

    «Davanti al Rockefeller Center di Manhattan è posta una vistosa statua di Prometeo, il titano che rubò il fuoco agli dei. È il portatore di luceLucifero, come da etimologia – in prima di copertina. Par di capire quindi – poiché il concetto di luce è assai ampio – che la sapienza dei banchieri non si esaurisca nella produzione di denaro²⁸».

    Il culto del potere, dell’io onnipotente che deve cancellare Dio dai cieli e dalla terra, è infatti l’evidente punto d’arrivo di un percorso secolare di emancipazione dai valori e dai punti di riferimento tradizionali che inizia con la fine del Medioevo.

    Nella stessa Sala della Meditazione, all’interno del palazzo di vetro dell’ONU, voluta dalla potentissima famiglia dei Rockefeller, c’è un dipinto estremamente significativo in cui una colomba – simbolo dello Spirito divino – viene scacciata lontano da un uomo: accanto alla scena una sola frase a commento, VENGA IL REGNO DELL’UOMO. Un regno dell’uomo da intendere, però, come regno di alcuni uomini: esseri autoconsideratisi specialissimi ed eletti, potenti non solo per denaro o per prestigio sociale, ma anche in quanto veicoli di forze che trascendono la banale materialità; uomini che si percepiscono come superuomini e il cui rapporto con la massa dell’umanità potrà essere solo cinico e strumentale. Il sistema crowleyano ha inoltre generato vere e proprie derive sataniche (la Chiesa di Satana fondata da Anton LaVey), luciferine (il Tempio di Set fondato da Michael Aquino) e neopagane (dalla Wicca di Gerald Gardner alla Magia del Chaos).

    Crowley intendeva l’Ars Regia come una via iniziatica verso superiori stati di coscienza e, nel corso della sua vita, divulgò progressivamente tutti i rituali e gli insegnamenti della Golden Dawn pubblicandoli sul suo giornale The Equinox, causando non poco scompiglio tra gli occultisti dell’epoca.

    Il suo pensiero rimane però sconosciuto ai più: i giovani magari avranno visto il suo volto stampato su qualche T-shirt, o campeggiare sui vestiti di una popstar. L’ex stellina della serie TV teen Gossip Girl, Taylor Momsen, per esempio, dopo essersi allontanata dal set e aver deciso di dedicarsi unicamente alla musica, si è fatta immortalare con microabiti con l’effige del Mago Nero, inneggiando al sesso libero.

    Queste, a prima vista, potrebbero sembrare delle innocenti stranezze, bizzarrie da star. Eppure, la passione per la magia ha ispirato e infarcito i testi, i ritmi, le coreografie delle maggiori band di successo. Ozzy Osbourne, che ha dedicato una canzone, Mr Crowley, al Mago, lo ha definito «un fenomeno del suo tempo».

    Forse Ozzy ha centrato la questione: Crowley non ha rappresentato solo una moda passeggera: ha dato vita a un vero e proprio fenomeno perché numerosi discepoli si sono ispirati ai suoi scritti, prendendo ovviamente strade diverse che confluiscono però verso la medesima direzione. La supremazia dell’Ego.

    Crowley riteneva che il segreto ultimo dell’occultismo fossero il culto fallico e la magia sessuale: questo è l’orientamento fondamentale dell’O.T.O. e di coloro che vi si ispirano. Spiega Stephen Flowers:

    «Il principale metodo di ricerca magica all’interno dell’O.T.O. è di natura sessuale. Come è noto, Crowley ebbe le sue prime esperienze di magia sessuale già nel 1902, ma si può dire che, prima di entrare in contatto con l’O.T.O., brancolasse nel buio. Le note del suo diario risalenti al 1914 esprimono dubbi e insicurezze sulle sue capacità di praticare questa nuova forma di magia, nonostante nel 1909 si fosse attribuito il grado iniziatico di Magister Templi.

    A differenza della gerarchia coerente e prevedibile dell’A∴A∴, il sistema vigente nell’O.T.O. appare assai più misterioso, a causa soprattutto del mistero che circondava la magia sessuale, la quale doveva rimanere sconosciuta al grande pubblico e addirittura agli iniziati dei gradi inferiori. […] Crowley introdusse le proprie idee nella struttura dell’O.T.O., inteso come efficace strumento di circolazione dei suoi insegnamenti. Dal punto di vista della mano sinistra, uno degli aspetti più interessanti dell’O.T.O. è l’impiego di metodi magici simili ai tantra indù o buddhista. La cosmologia di Crowley, il suo modo di intendere l’ordine universale e il posto da lui stesso occupato al suo interno, era retta dalle strutture della Qabalah²⁹».

    Secondo i suoi seguaci, Crowley prefigura il radicale cambiamento filosofico che avrebbe spazzato la civiltà occidentale nel corso del XX secolo e, alla luce dei fatti, non era poi così lontano dalla verità. Nelle sue intenzioni, Crowley avrebbe dovuto distruggere il cristianesimo per battezzare l’instaurazione di una Nuova Era (New Age), chiamata l’Eone di Horus.

    La Legge di Thelema prese l’avvio tramite un’operazione di channeling praticata nel 1904 dal mago inglese al Cairo: per evocazione medianica ricevette da un’entità di nome Aiwass – che in seguito identificherà con il suo stesso Angelo Guardiano, mentre il suo biografo John Symonds lo indentificherà con Satana – un «libro che spiega l’Universo», il Libro della Legge. L’entità si presentò come l’autore del libro e al contempo messaggero di quelle forze che guidano il mondo. Il Libro preannunciava l’avvento dell’Eone di Horus, destinato da quel momento a durare duemila anni. Questa nuova epoca è caratterizzata dalla Legge di Thelema, riassunta nel codice di condotta che sarebbe divenuto famoso in tutto il mondo: «Fa’ ciò che vuoi sarà tutta la Legge!».

    Questo motto è stato spesso frainteso e interpretato come un invito a godere dei piaceri del mondo. Al contrario, esso fa riferimento all’elemento cardine della magia: la volontà. La legge del Fa’ ciò che vuoi, infatti,

    «si soddisfa con il raggiungimento della Conoscenza e la Conversazione del Santo Angelo Guardiano³⁰. L’idea celata dietro questo linguaggio ambiguo e pittoresco è che il singolo mago sia sempre e pienamente consapevole della divinità, o Sé più alto, presente all’interno o al di sopra della sua coscienza quotidiana. Ottenuto

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1