Le stelle gemelle e altri racconti
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Anteprima del libro
Le stelle gemelle e altri racconti - Miyazawa Kenji
2
© Atmosphere libri 2018
Via Seneca 66
00136 Roma
www.atmospherelibri.it
info@atmospherelibri.it
INDICE
Le stelle gemelle
Al di là della neve
- Konsaburō il volpacchiotto
- La Festa della Lanterna Magica della scuola
elementare delle volpi I frutti del ginko
I funghi scimmia Il cipresso e i papaveri Il commissario che amava la polvere velenosa Il topo Tse
Ku il topo
La casa con la sorgente
La stella del falco notturno
Le notti di luna delle belve
Le ghiande e il gatto selvatico
L’ufficio dei gatti
L’Orsa Maggiore dei corvi
Le origini della danza del cervo
Le rane e gli stivali di gomma
La storia di Budori Gusko
Postfazione di Maria Elena Tisi
Note
Le stelle gemelle
I
Sulla riva occidentale del Fiume del Cielo si possono vedere due stelle così piccole che sembrano quasi spore di equiseto. Sono i due tempietti di cristallo in cui vivono le stelle gemelle, i piccoli Chunse e Pouse.
Queste due costruzioni trasparenti sono messe una di fronte all’altra. All’imbrunire entrambi ne escono immancabilmente e, seduti compostamente, suonano per tutta la notte i loro flauti d’argento in armonia con il canto delle stelle che viaggiano per il cielo. Questo è l’incarico che hanno ricevuto.
Una mattina mentre il sole, scrollato l’imponente corpo crepitante, sorgeva da est, Chunse posò il suo flauto argenteo e si rivolse a Pouse.
«Pouse, ormai abbiamo finito! Il sole è già sorto e le nuvole risplendono già. Perché oggi non ce ne andiamo alla sorgente delle praterie dell’ovest?»
Siccome l’altro, ancora assorto, continuava con gli occhi semichiusi a suonare il flauto, Chunse scese dal suo tempio, si mise le scarpe, salì i grossi scalini di quello del fratello e ripeté:
«Pouse, ormai abbiamo finito! Il cielo a est è già così bianco che sembra bruciare e giù sulla Terra gli uccellini hanno già aperto gli occhi. Perché oggi non ce ne andiamo alla sorgente delle praterie dell’ovest? E poi, una volta creata della nebbia, giochiamo a fare gli arcobaleni con le girandole!»
Pouse, finalmente risvegliatosi, posò il flauto con aria stupita e disse:
«Ah, Chunse! Scusami. Ormai è già molto chiaro! Aspetta che mi metto subito le scarpe».
Detto questo, si infilò le calzature di conchiglia e cantando si incamminarono insieme verso le argentee pianure erbose del cielo.
Le bianche nuvole del cielo
spargono luce
e purificano il cammino del sole.
Le azzurre nuvole del cielo
sotterrano in profondità le mura di pietra
sul cammino del sole.
Arrivarono alla sorgente celeste.
Nelle notti serene questa particolare sorgente si può vedere chiaramente dalla Terra, molto distante dalla sponda occidentale del Fiume del Cielo e circondata tutt’intorno da piccole stelle azzurre. Il fondo di questo corso d’acqua, infatti, è ricoperto da ciottoli azzurri fra cui un’acqua limpida gorgoglia dalla fonte e scorre profonda in un piccolo rivolo fino al Fiume del Cielo. Nei tempi di siccità nel nostro mondo, i succiacapre e i cuculi, deperiti, levano in alto lo sguardo e lo guardano silenziosi. E non li si può vedere, ogni tanto, deglutire con rimpianto? Nessun tipo di uccello o animale, qualunque esso sia, può andare fin lì. Nessuno, tranne ovviamente le stelle del Corvo, dello Scorpione e della Lepre.
«Pouse, innanzitutto costruiamo una cascata qui!»
«Sì, dai! Io porto le pietre».
Chunse si tolse le scarpe ed entrò nel ruscello mentre il fratello prendeva dalla sponda abbastanza pietre grandi per il gioco.
Ora il cielo si era riempito di un dolce profumo di mela. Veniva dalla luna argentata, ancora semi visibile nel cielo dell’ovest.
All’improvviso, dall’altro capo del prato si sentì una forte voce cantare:
La sponda occidentale del Fiume del Cielo
è, un po’ in disparte, il pozzo celeste.
Circondata da stelle azzurre
gorgoglia l’acqua e sta la mica.
Il succiacapre, il gufo, il piviere e la ghiandaia,
anche se vogliono venire, non possono.
«Ah, è la stella del Grande Corvo!» esclamarono i due bambini in coro.
Il Corvo giunse fendendo a grandi passi pesanti le alte erbe celesti e facendole fremere mentre, già da lontano, scrollava le spalle. Indossava un mantello e un paio di pantaloni di velluto nerissimo.
Visti i bambini, si fermò e fece un inchino cortese.
«Oh, buongiorno, Chunse e Pouse! Il cielo è meravigliosamente sereno. Quando è così sereno mi viene una gran sete! E poi ieri sera forse ho cantato un po’ troppo forte… Scusate» e immerse la testa nella fonte.
«Fai pure. Non preoccuparti e dissetati!» gli disse Pouse.
E, dopo aver bevuto ininterrottamente a grandi sorsi per più di tre minuti senza neanche prendere fiato, alzò la testa, sbatté un po’ le palpebre e si scrollò l’acqua scuotendo il capo.
In quel momento si sentì di nuovo una voce cantare impetuosa da lontano. In un instante il Corvo cambiò colore e fu vistosamente scosso da un forte brivido.
Lo Scorpione dagli occhi rossi del Cielo del Sud
ha l’uncino velenoso e grandi chele,
chi non lo conosce
è un uccello stupido.
A quelle parole il Corvo, infuriato, esclamò:
«Dannazione! È la stella dello Scorpione! Le faccio vedere io chi è un uccello stupido. State a guardare. Appena arriva qui le strappo quegli occhiacci rossi!»
Chunse non fece in tempo a dire:
«Corvo, lo sai che non lo puoi fare. Conosci il Re!» Già da lontano arrivava lo Scorpione dagli occhi rossi agitando le grosse chele e trascinando rumorosamente la lunga coda.
Quel fracasso risuonava per tutta la pianura celeste che altrimenti era immersa nel silenzio.
Il Corvo, che già tremava violentemente dalla rabbia, sembrava in ogni momento sul punto di lanciarsi all’attacco. Le due stelle gemelle cercavano disperatamente di trattenerlo a gesti.
Lo Scorpione, che senza prestargli la minima attenzione era già arrivato alla fonte, disse:
«Ah, che sete terribile! Ehilà, gemelli! Buongiorno, eh! Quasi quasi mi bevo un po’ d’acqua. Ma, un momento! Quest’acqua è stranamente fangosa! Sembra quasi che qualche cretino completamente nero ci abbia ficcato dentro la testa. Eh, che ci vuoi fare? Bisogna avere pazienza…»
E bevve a grandi sorsi per dieci minuti filati. Nel frattempo per prendere in giro il Corvo sventolava la coda su cui si trovava l’uncino velenoso.
Alla fine quello, non potendone più, spalancò di colpo le ali e urlò:
«Ehi, Scorpione! È da prima che mi insulti dandomi dello stupido uccello! Che ne dici di chiedermi immediatamente scusa?»
Lo Scorpione sollevò finalmente la testa dall’acqua e mosse gli occhi rossi, ardenti come il fuoco.
«Che strano. Sembra che qualcuno stia parlando. Che sia la persona vestita di rosso? O forse quella in grigio? Vogliamo fargli fare una visitina da un pungiglione?»
Il Corvo fece uno scatto e, senza pensarci, gridò alzandosi in volo:
«Cosa? Insolente! Guarda che ti spedisco in un attimo dall’altra parte del cielo!»
Anche lo Scorpione era infuriato e contorse rapidamente il suo grosso corpo dirigendo l’uncino della coda verso il cielo. Il Corvo si alzò in volo schivandolo e, a sua volta, scese in picchiata puntando dritto sulla testa dell’avversario usando il becco come una lancia.
I piccoli Chunse e Pouse non erano più in grado di fermarli.
Lo Scorpione, con una profonda ferita alla testa, e il Corvo, con il petto che era stato trafitto dal pungiglione velenoso, giacevano uno sopra l’altro, entrambi gementi e privi di sensi.
Il sangue dello Scorpione scorreva in cielo a fiotti, creando una disgustosa nuvola rossa.
Il piccolo Chunse, calzate in fretta le scarpe, disse:
«Questo è un bel guaio! Il Corvo è stato avvelenato, bisogna aspirare subito il veleno! Pouse, per favore, tienilo fermo».
Anche il fratello si mise le scarpe in tutta fretta e, spostatosi dietro al Corvo, lo tenne bloccato. Chunse mise la bocca sulla ferita nel petto e Pouse gli disse:
«Chunse, mi raccomando, non bere il veleno! Devi sputarlo subito fuori!»
Il piccolo tacque e per sei volte succhiò il sangue avvelenato dalla ferita e lo sputò fuori. Poi il Corvo riprese conoscenza e, aperti appena appena gli occhi, chiese:
«Ah, grazie… Cosa mi è successo? Sono riuscito a battere quel maledetto?»
Chunse rispose:
«Lava subito quella ferita con quest’acqua che scorre. Riesci a camminare?»
Il Corvo si alzò malfermo sulle zampe e, visto lo Scorpione, disse con il corpo ancora tremante:
«Maledizione! L’insettaccio velenoso del cielo! Bisogna pensare che è una fortuna che sia morto quassù».
I bambini lo portarono in fretta al ruscello. Gli lavarono per bene la ferita e, dopo averci soffiato sopra due o tre volte con i loro aliti profumati, gli dissero:
«Bene, adesso finché è ancora chiaro cammina lentamente fino a casa. E non fare mai più una cosa simile. Il Re sa tutto».
Il Corvo, avvilito, con le ali che ciondolavano senza forza, si inchinò ripetutamente e, trascinate le zampe verso l’altro lato delle alte erbe della pianura, si allontanò dicendo:
«Grazie! Grazie infinite! Grazie! D’ora in poi starò attento…»
I gemelli andarono a esaminare lo Scorpione. La ferita alla testa era sicuramente molto profonda, ma il sangue si era già fermato. Attinta dell’acqua dalla sorgente, gliela versarono sopra lavandola con grande cura. Poi, a turno, ci soffiarono su.
Il sole era esattamente in mezzo al cielo quando lo Scorpione aprì debolmente gli occhi.
Asciugandosi il sudore, il piccolo Pouse chiese:
«Come ti senti?»
Quello mormorò lentamente:
«Il Corvo è morto?»
Chunse, leggermente adirato, rispose:
«Ancora dici cose del genere? Eri tu che stavi per morire, invece. Avanti, fatti forza e tornatene subito a casa. Rientra finché c’è luce, o sarà un guaio!»
Con una strana luce negli occhi, lo Scorpione disse:
«Miei cari gemelli, non potreste accompagnarmi? Mi sarebbe di grande aiuto».
E il piccolo Pouse:
«Accompagniamolo. Avanti, tieniti!»
E Chunse:
«Su, tieniti anche a me. Se non ci sbrighiamo non riusciremo a raggiungere casa prima che venga buio. E se non dovessimo riuscirci, stanotte le stelle non potranno compiere il loro viaggio!»
Appoggiandosi a entrambi, lo Scorpione iniziò a camminare malfermo. Ai gemelli sembrò che le spalle stessero per piegarsi, e in effetti il corpo dello Scorpione era molto pesante. Anche solo in termini di dimensioni, doveva essere almeno dieci volte le loro.
Ma quelli, pur con il volto rosso dalla fatica, avanzarono passo dopo passo.
Lo Scorpione camminava incerto con uno sgradevole respiro affannoso, mentre la sua coda, strisciando, cigolava sui ciottoli. In un’ora non avevano fatto nemmeno dieci cho¹.
Per il dolore che li penetrava a causa del troppo peso sulle braccia, ormai i due bambini non riuscivano più a sentire né spalle né petto.
I prati celesti risplendevano di luce bianca. Superarono i sette ruscelli e le dieci praterie.
Ai gemelli ormai girava talmente la testa che non sapevano più se stavano camminando o erano fermi, ma nonostante tutto entrambi avanzavano senza fiatare, passo dopo passo.
Erano ormai già passate sei ore e per la casa dello Scorpione ce ne voleva ancora almeno una e mezza. Il sole si stava già per calare fra le montagne dell’ovest.
Il piccolo Pouse disse:
«Non puoi andare un po’ più veloce? Anche noi dobbiamo rientrare a casa entro un’ora e mezza… Ma come stai? Ti fa molto male?»
«Eh, manca ancora poco. Abbiate pietà!» lo Scorpione piangeva.
«Ah, manca ancora poco… Ti fa male la ferita?» disse il piccolo Chunse, sopportando fermamente il dolore della spalla che ormai sembrava quasi sul punto di frantumarsi.
Il sole crepitante scendeva già maestosamente fra i monti.
«Noi dobbiamo tornare. È un bel problema… Non c’è nessuno qui intorno?» urlò il piccolo Pouse.
Dai prati celesti immersi nel silenzio non venne alcuna risposta.
A occidente le nuvole risplendevano di rosso acceso e anche gli occhi dello scorpione sfavillavano di una triste luce vermiglia. Le stelle dalla luce più forte avevano già indossato la loro armatura d’argento e, cantando, si mostravano in lontananza.
«La prima stella! Desidero… diventare ricco!» gridò un bambino guardando in alto dalla Terra.
Il piccolo Chunse disse:
«Scorpione, manca ancora poco! Non puoi fare un po’ più in fretta? Sei stanco?»
«Sono stremato. Manca ancora davvero poco. Vi prego, perdonatemi» fu la risposta lamentosa.
Giù sulla Terra, un altro bambino gridò:
Stelle, stelle! Una stella non è uscita!
Usciranno le altre mille e diecimila?
Le montagne a ovest erano ormai immerse nel buio. Qua e là le stelle comparivano scintillanti.
Il piccolo Chunse, che sembrava sul punto di crollare sotto il peso che gli inarcava la schiena, disse:
«Scorpione. Noi ormai questa notte siamo in ritardo. Senza dubbio verremo rimproverati dal Re. A seconda di come andranno le cose forse saremo cacciati. Ma se tu non dovessi trovarti al tuo posto, quello sarebbe un grave problema».
E Pouse, prima di perdere i sensi e cadere a terra stremato con un tonfo, aggiunse:
«Io ormai sono così stanco che mi sembra di morire… Scorpione, raccogli le forze e torna subito a casa!»
La stella rispose fra le lacrime:
«Vi prego, perdonatemi. Sono uno stupido. Non valgo nemmeno uno dei vostri capelli. Il mio cuore è cambiato e vi chiedo scusa. Perdonatemi!»
In quel momento il Lampo, con il suo manto dalla violenta luce azzurra, arrivò da lontano in un balzo abbagliante. Prese le mani dei due bambini e disse:
«Sono venuto a prendervi per ordine del Re. Su, aggrappatevi tutti e due al mio mantello, vi porterò subito ai vostri templi. È da prima che il Re vi osserva, ed è felicissimo del vostro comportamento. E tu, Scorpione. Tu finora sei sempre stato odiato. Beh, questa medicina è da parte del Re. Bevila».
I bambini gridarono:
«Beh, Scorpione, addio! Prendi subito la medicina! E ricordati la promessa di poco fa, mi raccomando! Addio!»
Poi si aggrapparono insieme al mantello del Lampo. Lo Scorpione prese la medicina e si prostrò con tutte le zampe per poi fare un inchino composto.
Nello splendere di un batter d’occhi, il Lampo era già in piedi vicino alla sorgente di quella mattina.
«Avanti, lavatevi per bene tutto il corpo. Ho ricevuto per voi degli abiti e delle scarpe nuovi dal Re. Abbiamo ancora una quindicina di minuti».
Le stelle gemelle si lavarono con gioia nelle fredde acque cristalline del ruscello e si infilarono gli abiti nuovi, il cui tessuto profumato brillava di azzurro, e le scarpe dalla luce bianca. Poi, all’improvviso, il loro corpo non fu più né stanco né dolorante, ma pieno di energie.
«Bene, andiamo» disse il Lampo.
I due bambini si aggrapparono di nuovo al mantello e, dopo un bagliore di luce purpurea, si ritrovarono ognuno davanti al proprio tempio. Del Lampo non c’era più traccia.
«Chunse, prepariamoci».
«Pouse, prepariamoci!»
Saliti ai loro templi, si sedettero compostamente l’uno di fronte all’altro e presero i loro flauti d’argento.
Il canto di viaggio delle stelle cominciò proprio in quel momento.
Lo Scorpione dagli occhi rossi
l’Aquila dalle ali spiegate
il Cagnolino dagli occhi azzurri
il Serpente dalle spire di luce.
Di Orione l’alto cantare
depone brina e rugiada,
di Andromeda la nube
dalla forma di bocca di pesce.
Dalle zampe dell’Orsa Maggiore
vengono visitate le cinque direzioni.
Sopra la fronte dell’Orsa Minore
la meta del peregrinare del cielo.
Le due stelle gemelle iniziarono a suonare il flauto.
II
Sulla riva occidentale del Fiume del Cielo si possono vedere due piccolissime stelle azzurre. Sono le due stelle gemelle Chunse e Pouse nei loro piccoli templi di cristallo, posti uno di fronte all’altro. Ogni sera i due vi ritornano e, seduti compostamente, per tutta la notte suonano il flauto accompagnando il canto di viaggio delle stelle. Questo è il loro compito.
Era una notte in cui la Terra era sepolta da una coltre di nuvole nere da cui la pioggia scrosciava violenta. I bambini erano comunque seduti compostamente nei loro templi uno di fronte all’altro quando, all’improvviso, una stella cometa arrivò con violenza, soffiando sulle due costruzioni una nebbia di luce pallida e disse:
«Ohi, stelle gemelle! Che ne dite di un viaggetto? Stanotte non c’è mica bisogno di lavorare! Per quanto i marinai naufragati cerchino di orientarsi con le stelle, esse sono