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Al centro della Terra: Ciclo di Pellucidar 1
Al centro della Terra: Ciclo di Pellucidar 1
Al centro della Terra: Ciclo di Pellucidar 1
E-book177 pagine3 ore

Al centro della Terra: Ciclo di Pellucidar 1

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Info su questo ebook

Quando decide di testare la sua invenzione – un potente scavatore minerario – il giovane David Innes non può immaginare che il macchinario lo porterà al centro della Terra, dove esiste un mondo, Pellucidar, ancora allo stato primordiale.
A Pellucidar gli uomini sono schiavi dei crudeli Mahar, e così David, tra inseguimenti e combattimenti mozzafiato, e scontri con creature mostruose, decide di capeggiare una rivolta per conquistare il potere, e il cuore di Dian la Bella.
Per la prima volta in italiano la saga di Pellucidar, una delle opere più famose di Edgar Rice Burroughs, maestro dell'avventura fantastica.
LinguaItaliano
Data di uscita23 apr 2021
ISBN9791280243126
Al centro della Terra: Ciclo di Pellucidar 1
Autore

Edgar Rice Burroughs

Edgar Rice Burroughs (1875-1950) had various jobs before getting his first fiction published at the age of 37. He established himself with wildly imaginative, swashbuckling romances about Tarzan of the Apes, John Carter of Mars and other heroes, all at large in exotic environments of perpetual adventure. Tarzan was particularly successful, appearing in silent film as early as 1918 and making the author famous. Burroughs wrote science fiction, westerns and historical adventure, all charged with his propulsive prose and often startling inventiveness. Although he claimed he sought only to provide entertainment, his work has been credited as inspirational by many authors and scientists.

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    Anteprima del libro

    Al centro della Terra - Edgar Rice Burroughs

    1_cover.jpgCopertina

    #1

    Altair

    Collana di letteratura fantastica

    Edgar Rice Burroughs, Al centro della Terra (Pellucidar vol. 1)

    1a edizione Landscape Books, aprile 2021

    Collana Altair n° 1

    © Edgar Rice Burroughs 1914

    © Landscape Books 2021

    Titolo originale: At the Earth's Core

    Traduzione di Sofia Riva

    www.landscape-books.com

    ISBN 979-12-80243-12-6

    Realizzazione: WAY TO ePUB

    Edgar Rice Burroughs

    Al centro

    della Terra

    Ciclo di Pellucidar 1

    Prologo

    Prima di cominciare vi prego di tenere a mente che non mi aspetto che crediate a questa storia. Né potreste meravigliarvi se foste stati testimoni di una mia recente esperienza quando, armato di beata e magnifica ignoranza, ne ho narrato allegramente il succo a un Socio della Royal Geological Society in occasione del mio ultimo viaggio a Londra.

    Avreste sicuramente pensato che mi avessero scoperto a compiere un crimine non meno efferato del furto dei gioielli della corona dalla Torre di Londra, o di aver messo del veleno nel caffè di Sua Maestà il Re.

    L’erudito gentiluomo con cui mi confidavo si è come congelato prima che avessi finito di parlare! – è grazie a questo che si è salvato dall'esplodere – e i miei sogni di una menzione d’onore, medaglie d’oro e uno spazietto nella Hall of Fame sono svaniti nell’aria sottile e fredda della sua atmosfera artica.

    Ma io credo a questa storia, e ci credereste anche voi, come ci crederebbe anche il dotto membro della Royal Geological Society, se voi e lui l’aveste sentita dalle labbra dell’uomo che me l’ha raccontata. Se aveste visto, come ho visto io, il fuoco della verità in quegli occhi grigi; se aveste sentito l’accento di sincerità in quella voce tranquilla; se aveste compreso la passione in tutto ciò – anche voi ci avreste creduto. Non avreste avuto bisogno della prova definitiva che avevo io: la strana creatura simile al ranforinco che aveva portato con sé dal mondo interno.

    Mi imbattei in lui all’improvviso, e di certo inaspettatamente, al confine del grande deserto del Sahara. Era in piedi davanti a una tenda di pelle di capra in mezzo a un gruppo di palme da dattero di una piccola oasi. Lì nei pressi c’era un douar arabo di otto o dieci tende.

    Ero venuto dal nord per la caccia al leone. Il mio gruppo era composto da una dozzina di figli del deserto – io ero l’unico uomo bianco. Mentre ci avvicinavamo al piccolo cespuglio di vegetazione, vidi l’uomo uscire dalla sua tenda e scrutarci intensamente riparandosi gli occhi con le mani. Alla mia vista avanzò rapidamente per venirci incontro.

    — Un uomo bianco! — gridò. — Sia lodato il buon Dio! Vi ho osservato per ore, sperando contro ogni speranza che questa volta ci fosse un uomo bianco. Ditemi la data. Che anno è?

    E quando glielo dissi, barcollò come se fosse stato colpito in pieno volto, tanto che fu costretto ad afferrare la mia staffa di pelle per sostenersi.

    — Non può essere! — gridò dopo un momento. — Non può essere! Ditemi che vi sbagliate o che state scherzando.

    — Vi sto dicendo la verità, amico mio —, risposi. — Perché dovrei ingannare uno sconosciuto, o anche solo provarci, in una questione così semplice come la data?

    Per qualche tempo rimase in silenzio, con la testa chinata.

    — Dieci anni! — mormorò infine. — Dieci anni, e pensavo che potesse al massimo essere poco più di uno!

    Quella notte mi raccontò la sua storia – la storia che vi riporto qui, quasi con le sue stesse parole, come riesco a ricordarle.

    I. Verso i fuochi eterni

    Sono nato nel Connecticut una trentina di anni fa. Mi chiamo David Innes. Mio padre era un ricco proprietario di miniere. Morì che avevo diciannove anni. Tutte le sue proprietà sarebbero passate a me quando avessi raggiunto la maggiore età – a condizione che avessi dedicato i due anni che mancavano studiando con rigore gli importanti affari che avrei ereditato.

    Feci del mio meglio per soddisfare le ultime volontà del mio genitore – non per l’eredità, ma perché amavo e onoravo mio padre. Per sei mesi lavorai nelle miniere e negli uffici contabili, perché volevo conoscere ogni minimo dettaglio degli affari.

    Poi Perry mi rese partecipe della sua invenzione. Era un vecchio che aveva dedicato gli anni migliori della sua lunga vita a perfezionare uno scavatore sotterraneo meccanico. Per hobby studiava paleontologia. Guardai i suoi progetti, ascoltai le sue argomentazioni, ispezionai il suo modello funzionante – e poi, convinto, gli anticipai i fondi necessari per costruire uno scavatore vero, a grandezza naturale.

    Non entrerò nei dettagli della sua costruzione – ora si trova là fuori nel deserto, a circa due miglia da qui. Domani potrete vederlo, se volete. Grossomodo, è un cilindro d’acciaio lungo un centinaio di piedi, e articolato in modo da potersi insinuare e ruotare attraverso la roccia, se necessario. A un’estremità c’è un potente trapano azionato da un motore che secondo Perry genera più potenza al pollice cubico di quanta ne generi qualsiasi altro motore al piede cubico. Ricordo che sosteneva che quell’invenzione da sola ci avrebbe reso favolosamente ricchi – l’avremmo resa pubblica dopo il successo della nostra prima prova segreta – ma Perry non tornò mai da quel viaggio di prova, e io solo dopo dieci anni.

    Ricordo come se fosse ieri la notte fatidica in cui dovevamo testare il funzionamento di quella strabiliante invenzione. Era quasi mezzanotte quando ci riparammo nell’alta torre in cui Perry aveva costruito la sua talpa di ferro, come era solito chiamarla. Il grande muso poggiava sulla nuda terra che faceva da pavimento.

    Entrammo dalle porte del rivestimento esterno, le chiudemmo, e poi passando nella cabina, che conteneva il meccanismo di controllo nel tubo interno, accendemmo le luci.

    Perry controllò il suo generatore; i grandi serbatoi che contenevano i prodotti chimici ravvivanti con i quali doveva produrre aria fresca per sostituire quella che consumavamo respirando; gli strumenti per registrare le temperature, la velocità, la distanza e per esaminare i materiali attraverso i quali saremmo passati.

    Provò lo sterzo, e controllò i possenti ingranaggi che trasmettevano la strabiliante velocità alla trivella gigante sul muso della strana creatura.

    I nostri sedili, nei quali ci sistemammo, erano disposti su barre trasversali in modo da farci stare in posizione verticale sia che il veicolo si facesse strada verso il basso nelle viscere della terra, sia che corresse orizzontalmente lungo qualche filone di carbone, sia che risalisse di nuovo verticalmente verso la superficie.

    Alla fine tutto era pronto. Perry chinò la testa pregando. Per un momento rimanemmo in silenzio, poi la mano del vecchio afferrò la leva di avviamento. Ci fu uno spaventoso ruggito sotto di noi – il gigantesco telaio tremò e vibrò – e un gran frastuono mentre la terra entrava attraverso lo spazio vuoto tra il rivestimento interno e quello esterno per essere depositata nella nostra scia. Eravamo partiti!

    Il rumore era assordante. La sensazione era spaventosa. Per un minuto intero nessuno dei due poté fare altro che aggrapparsi con la proverbiale disperazione dell’uomo che affoga ai corrimano dei nostri sedili basculanti. Poi Perry guardò il termometro.

    — Accidenti! — gridò, — non è possibile; presto! Cosa dice il misuratore di distanza?

    Quello e il tachimetro erano entrambi sul mio lato della cabina, e quando mi voltai per leggere il primo vidi Perry che borbottava.

    — Dieci gradi in più, non è possibile! — e poi lo vidi tirare freneticamente il volante.

    Quando finalmente trovai il piccolo ago nella luce fioca, compresi l’evidente eccitazione di Perry, e sentii il cuore sprofondare. Ma quando parlai, nascosi la paura che mi perseguitava. — Ci vorranno settecento piedi, Perry — dissi, — prima che tu possa girarla in orizzontale.

    — Allora è meglio che mi dia una mano, ragazzo — rispose, — perché da solo non posso riportarla in verticale. Voglia Dio che le nostre forze siano all’altezza del compito, perché altrimenti siamo perduti.

    Mi avvicinai al fianco del vecchio senza nessun dubbio, se non quello che la grande ruota avrebbe ceduto di colpo alla potenza dei miei giovani e vigorosi muscoli. Tale convinzione non era solo vanità, perché il mio fisico era sempre stato motivo di invidia e disperazione per i miei compagni. E proprio per questo motivo era diventato ancora più robusto di quanto la natura avesse previsto, poiché il naturale orgoglio per la mia forza mi aveva portato a curare e sviluppare il corpo e i muscoli con ogni mezzo a mia disposizione. Con la boxe, il football e il baseball, mi ero allenato fin dall’infanzia.

    E così fu con la massima fiducia che mi aggrappai all’enorme cerchio di ferro; ma sebbene ci mettessi ogni oncia della mia forza, il mio sforzo fu inutile quanto lo era stato quello di Perry – la cosa non si sarebbe mossa – la scura, insensata, orribile cosa che ci stava portando dritti verso la morte!

    Alla fine rinunciai all’inutile lotta e senza una parola tornai al mio posto. Non c’era bisogno di parole – almeno nessuna che potessi immaginare, a meno che Perry non volesse pregare. Ed ero abbastanza sicuro che l’avrebbe fatto, perché non perdeva occasione per chinarsi in preghiera. Pregava quando si alzava al mattino, pregava prima di mangiare, pregava quando aveva finito di mangiare, e prima di andare a letto la sera pregava di nuovo. E in mezzo a queste occasioni trovava spesso delle scuse per pregare anche quando il motivo sembrava inverosimile ai miei occhi mondani – ora che stava per morire ero sicuro di dover assistere a una perfetta orgia di preghiera – se si può alludere con tale similitudine a un atto così solenne.

    Ma con mio grande stupore scoprii che con la morte che lo fissava in faccia Abner Perry si era trasformato in un nuovo essere. Dalle sue labbra sgorgava – non una preghiera – ma un flusso chiaro e limpido di profanità concentrata, ed era tutto diretto a quel pezzo tranquillamente ostinato di meccanismo immobile.

    — Mi verrebbe da pensare, Perry — lo rimproverai, – che un uomo della tua fede preferirebbe pregare piuttosto che imprecare nell’imminenza della morte.

    — La morte! — gridò. — È la morte che ti spaventa? Non è niente in confronto alla perdita che subirà il mondo. Perché, David, in questo cilindro di ferro abbiamo dimostrato possibilità che la scienza non ha mai sognato. Abbiamo imbrigliato un nuovo principio, e con esso abbiamo animato un pezzo di acciaio con la potenza di diecimila uomini. Che due vite siano spazzate via non è niente in confronto alla calamità che seppellirà nelle viscere della terra le mie scoperte che hanno portato a costruire ciò che ora ci sta portando sempre più verso i fuochi eterni.

    Non ho problemi ad ammettere che per quanto mi riguardava ero molto più preoccupato per il nostro futuro immediato che per qualsiasi terribile perdita il mondo potesse essere in procinto di subire. Il mondo almeno ignorava il suo lutto, mentre per me era un’attualità reale e terribile.

    — Cosa possiamo fare? — chiesi, nascondendo il mio turbamento sotto la maschera di una voce bassa e profonda.

    — Possiamo fermarci qui, e morire di asfissia quando i nostri serbatoi d’aria saranno vuoti — rispose Perry, — oppure possiamo continuare con la flebile speranza di poter poi deviare sufficientemente lo scavatore dalla verticale per disegnare un ampio cerchio che alla fine ci riporti in superficie. Se riusciamo a farlo prima di raggiungere la temperatura interna più alta, potremmo anche sopravvivere. Direi che c’è circa una possibilità su diversi milioni che ce la facciamo, altrimenti moriremo più rapidamente ma non più sicuramente che se restassimo fermi in attesa dell’agonia di una morte lenta e orribile.

    Diedi un’occhiata al termometro. Registrava 110 gradi Fahrenheit. Mentre parlavamo, la possente talpa di ferro si era fatta strada per più di un miglio nella roccia della crosta terrestre.

    — Continuiamo, allora — risposi. — Di questo passo dovrebbe finire presto. Non hai mai detto che la velocità di questo coso sarebbe stata così alta, Perry. Non lo sapevi?

    — No — rispose. — Non ho potuto calcolare esattamente la velocità, perché non avevo nessuno strumento per misurare la potenza del mio generatore. Ho calcolato, tuttavia, che dovremmo andare a circa cinquecento iarde all’ora.

    — E stiamo facendo invece sette miglia all’ora — conclusi per lui, mentre sedevo con gli occhi sul distanziometro. — Quanto è spessa la crosta terrestre, Perry? — domandai.

    — Ci sono quasi tante congetture quanti sono i geologi — fu la sua risposta. — C'è chi la stima a trenta miglia, perché il calore interno, aumentando al ritmo di circa un grado per ogni sessanta-settanta piedi di profondità, sarebbe sufficiente a fondere le sostanze più refrattarie a quella distanza sotto la superficie. Un altro suppone che i fenomeni di precessione e nutazione richiedono che la terra, se non è interamente solida, debba almeno avere un guscio di non meno di ottocento o mille miglia di spessore. Perciò ecco qui. Puoi fare la tua scelta.

    — E se dovesse rivelarsi solida? — chiesi.

    — Alla fine sarà lo stesso per noi, David — rispose Perry. — Nella migliore delle ipotesi il nostro combustibile basterà per tre o quattro giorni, mentre la nostra atmosfera non può durare più di tre. Entrambi, quindi, non sono sufficienti a farci attraversare in sicurezza ottomila miglia di roccia fino agli antipodi.

    — Se la crosta è abbastanza spessa, ci fermeremo tra le seicento e le settecento miglia sotto la superficie terrestre; ma durante le ultime centocinquanta miglia del nostro viaggio saremo dei cadaveri. Ho ragione? — domandai.

    — Piuttosto corretto, David. Hai paura?

    — Non lo so. È successo tutto così all’improvviso che non credo che nessuno di noi due si renda conto delle reali paure. Sento che dovrei essere in preda al panico;

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